Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Un Debito Storico (tratto dalla rivista “FORA” di N.Zitara)

Posted by on Ago 5, 2019

Un Debito Storico (tratto dalla rivista “FORA” di N.Zitara)

Il periodico politico Indipendenza (00185 Roma, via Carlo Alberto, 39) mi ha posto la seguente domanda:

Parli, conti alla mano, di un debito storico di oltre sette milioni di miliardi che il resto d’Italia (Roma e Milano principalmente) ha contratto con il Sud [Brevemente spiega come sei giunto a indicare questa cifra] A questo aggiungi, tra i tanti flussi di ricchezza dal Sud al Nord, alcuni visibili altri no: protezionismo agricolo ed industriale comunitario; scambio diseguale tra aree a diversa quota di capitale per addetto; uso del risparmio meridionale per finanziare gli sbocchi dell’industria padana sul mercato meridionale; esportazione di capitali (attraverso Banche, Poste, Cassa Depositi e Prestiti); concentramento al Nord del sistema assicurativo privato e a Roma di quello assicurativo e previdenziale pubblico. Puoi spiegare connessione e dinamica di questi aspetti?

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Un passato che non passa…..di Zenone di Elea

Posted by on Lug 29, 2019

Un passato che non passa…..di Zenone di Elea

Un passato che non passa, in tutti i sensi. Perché ne subiamo le conseguenze ancora oggi, basta guardare le migliaia di persone che ogni anno abbandonano il Sud-Italia e perché non passa nelle teste delle persone, dei meridionali in primo luogo.

Leggendo la lettera del ragazzo di Gioiosa con le sue domande e la risposta che gli dà Zitara sentiamo che sono due mondi incomunicabili, che non riescono a dialogare. Sinceramente ci viene lo sconforto, pensando che forse non vi riusciranno mai.

Eppure sta tutto qui, in questo dialogo tra sordi il nostro dramma: l’incapacità assoluta di creare un soggetto politico autonomo che faccia effettivamente, per la prima volta nella storia dell’Italia unita, gli interessi del “Mezzogiorno”.

Le parole del ragazzo sono anche le nostre, di tanti anni fa, agli inizi degli anni settanta, quando frequentavamo l’ultimo anno delle scuole superiori in un pesino del Cilento e, nonostante del famoso ’68 sapessimo ben poco, volevamo cambiare il mondo, addirittura farlo diventare “socialista” perché solo così si sarebbero risolti tutti i mali passati e presenti del nostro Sud. Mali che costituivano l’atavico retaggio di una monarchia retriva e corrotta, quella borbonica, se non degli spagnoli o dei latifondisti romani e chi più ne ha più ne metta.

Almeno così ci indottrinavano a scuola.

Col tempo ci siamo resi conto, a fatica diciamolo francamente, che di balle ce ne avevano raccontate tante. Che non venivano da un paese senza storia, che quel paese una storia ce l’aveva, non era poi così male e che una guerra civile, in cui eravamo gli sconfitti, l’aveva cancellata.

Ora che non beviamo più alla fonte delle frottole, vorremmo che anche altri lo facessero. Non solo noi lo vorremmo, tanti amici sparsi per i vari continenti e altri residenti al Sud, come l’amico Zitara che ha speso tutta la sua vita per chiudere quel rubinetto di fandonie, lo vorrebbero.

Con l’acqua di quel rubinetto siamo cresciuti, sono state forgiate le coordinate interpretative della nostra storia, liberarcene è impresa ardua.

Quando noi che abbiamo saltato il fosso delle menzogne sentiamo o scriviamo certi nomi patrii, tipo Cavour o Garibaldi o Savoia, pensiamo alle migliaia di contadini morti oppure alle officine di Pietrarsa chiuse dopo l’unità, ma quando li sentono gli altri (ricordiamocelo, questi altri rappresentano il 99,9%) pensano ai padri della patria e nel migliore dei casi a roba vecchia, ottocentesca.

Che c’azzecca Garibaldi con la mafia e la criminalità organizzata, per esempio?
Che c’azzeccano i Savoia col malcostume meridionale?
Che c’azzecca Cavour con la mancanza di iniziativa imprenditoriale?

Se passiamo al termine “borbone” a noi viene in mente che Ferdinando II tramutò tutte le condanne capitali, che si inimicò gli Inglesi con la questione degli zolfi, agli altri viene in mente la bufala delle bufale ovvero quel falso storico della “negazione di Dio” del Gladstone, ‘gentiluomo’ inglese che non aveva mai visto una galera borbonica e lo ammise egli stesso, ma questa precisazione sui libri si storia non è mai passata.

Potremmo continuare all’infinito con i soliti luoghi comuni. Vallo a spiegare al ragazzo di Gioiosa che in Sicilia la mafia fece il primo salto di qualità appoggiando l’avanzata dell’eroe dei due mondi e che l’ordine pubblico nella Napoli garibaldina fu appaltato ai camorristi.

Magari ti obietta che bisogna guardare avanti, non al passato. Come possiamo fargli capire che è proprio in quel passato che non passa il nostro dramma maggiore, che se non ne prendiamo coscienza saremo sempre dei lacchè, dei senza patria, senza passato e senza futuro?

Noi che da anni, nel nostro piccolo, con estenuanti e infeconde discussioni con decine di amici e conoscenti, abbiamo provato a farlo, ci siamo resi conto che non è una questione culturale. Non si tratta più di riscrivere libri, di partecipare a convegni, di rendere omaggio ai nostri morti dimenticati.

Si tratta di semplice politica.

Solo un soggetto politico nuovo, unitario, può provocare un diffuso risveglio delle coscienze. Sta in noi che quel salto lo abbiamo fatto, la responsabilità di abbandonare tutte le diatribe, i personalismi, le piccole invidie e il nostro orticello e cercare di volare alto.

Qualche segnale in questi giorni lo abbiamo colto, speriamo che non si riveli effimero. Tanti “ragazzi di Locri” di varie età, sparsi per l’intera penisola e in altre parti del mondo, attendono quel segnale.

Solo così potremo riprenderci quello che – in un editoriale da leggere della rivista “L’Alfiere” – Edoardo Vitale definisce con una felice metafora “le chiavi di casa”.

Questo/a opera è pubblicato sotto una Licenza Creative Commons.

Bibiografia essenziale
L’UNITÀ TRUFFALDINA, Nicola Zitara – e-book (edizione elettronica)
IL SUD E L’UNITÀ D’ITALIA, Giuseppe RESSA – e-book (edizione elettronica)
LA STORIA PROIBITA – AAVV (Introduzione di Nicola Zitara)
L’UNITÀ D’ITALIA: NASCITA DI UNA COLONIA, Nicola Zitara
PER LA CRITICA DEL SOTTOSVILUPPO MERIDIONALE di E. M. Capecelatro e A. Carlo
STORIA DEL BRIGANTAGGIO DOPO L’UNITÀ di Franco Molfese
ITALIANI, BRAVA GENTE? di Angelo Del Boca – Editore Neri Pozza, 2005
L’UNITÀ D’ITALIA: GUERRA CONTADINA E NASCITA… di M. R. Cutrufelli
I SAVOIA E IL MASSACRO DEL SUD, Antonio Ciano, Grandmelò
L’IMBROGLIO NAZIONALE, Aldo Servidio, Guida Editore
LA CONQUISTA DEL SUD, Carlo Alianello, Rusconi Editore
L’eredità della priora, Carlo Alianello, Feltrinelli, 1963
I LAGER DEI SAVOIA, Fulvio Izzo, Controcorrente, Napoli
DUE SICILIE, 1830 – 1880, Antonio Pagano, Capone, Lecce
I NAPOLITANI AL COSPETTO DELLE NAZIONI CIVILI di Giacinto de Sivo
STUDI SUL MEZZOGIORNO REPUBBLICANO di Luca Bussotti
LA RAZZA MALEDETTA di Vito Teti
II RISORGIMENTO VISTO DALL’ALTRA SPONDA di Cesare Bertoletti
IL BRIGANTAGGIO IN IMMAGINI di Carlo Palestina
Brigantaggio lealismo repressione nel Mezzogiorno 1860-1870 (Catalogo Macchiaroli, 1985)
Cattivi esempi – Storie dimenticate dell’Italia “perbene” (Mario Pacelli)

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Giacomo Savarese di Roberto Maria Selvaggi

Posted by on Lug 28, 2019

Giacomo Savarese di Roberto Maria Selvaggi

La storiografia risorgimentale non si è limitata nel tempo a cancellare la memoria storica meridionale ma, per il timore di lasciare dello spazio e delle radici su cui potesse riprendere vita il ricordo di un tempo in cui la metà del nostro paese fu autonoma e prospera, ha dimenticato anche quei personaggi che, pur critici del centralismo borbonico e della mancanza di autonomia amministrativa e rappresentativa, di fronte alla rozza e violenta unificazione ed alla sistematica denigrazione delle istituzioni preesistenti, si ribellarono e levarono alta la protesta, per quanto fu loro possibile, contro lo stato di cose in cui versò il sud dopo il 1861.

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La grande marina mercantile e militare napoletana

Posted by on Lug 18, 2019

La grande marina mercantile e militare napoletana

Il primato delle Due Sicilie sul Mediterraneo si concretizzò

Nella terza flotta al mondo per tonnellaggio e traffici,

rafforzato dalla grande tradizione delle scuole marinare

e da un’industria cantieristica all’avanguardia

Tra le vie del quartiere Flaminio di Roma che portano i nomi di illustri giuristi ve n’è una intitolata al sardo Domenico Alberto Azuni. Essa è situata proprio accanto al Ministero della Marina, quasi a voler ricordare le benemerenze, vere o presunte, del giurista sardo nel Diritto Internazionale Marittimo.

 Non ne esiste invece nessuna intitolata a Michele De Jorio, giurista napoletano autore del primo codice di diritto marittimo, il “Codice Ferdinandeo”.

In una rarissima lettera di Bartolomeo Pagano, nel 1798, il Codice Azuni viene definito “uno sfacciato plagio del Codice Ferdinandeo”; sfacciato perché in molte parti banalmente copiato di sana pianta.

Il Regno delle Due Sicilie fu il terzo paese d’Europa anche nel campo navale: è bene ricordarlo.

Il resto d’Italia viveva stretto tra terraferma e legami stretti con altre realtà statuali, il Lombardo-Veneto gravitava nell’orbita austriaca, pur avendo porti importanti come Venezia e Trieste, ed il piccolo Piemonte vivacchiava di angusti commerci col porto di Genova.

Il Regno del Sud era il più grande e più abitato stato della penisola, con poli di commercio marittimo di importanza internazionale come le Puglie ed i suoi porti di Bari, Brindisi, Gallipoli e Manfredonia.

Intorno a Napoli ferveva la più grande industria navale italiana, e non a caso il primo vapore europeo a solcare il mare, il Ferdinando I, fu qui costruito.

Ebbene anche questo è successivamente stato negato.

In una relazione ufficiale piemontese del 1890 si millantava il primato di un piroscafo sardo che iniziò a navigare su un fiume, e non sul mare, il 6 novembre 1819.

Jules Millenet scriverà nel1834: “In un’epoca in cui la Francia non possedeva alcun battello a vapore, e dove questo sistema di navigazione non era stato ancora adottato in Inghilterra, se non sui fiumi e sui golfi, si costruiva a Napoli il primo bastimento a vapore che abbia attraversato il mediterraneo”.

Dal 1815 al 1830 ebbe il monopolio della navigazione a vapore la “Amministrazione Privilegiata dei Pacchetti a vapore delle Due Sicilie”, società di proprietà del principe di Bufera prima e della Società Sicari, Benucci e Pizzardi, poi.

Ferdinando II decise di abolire il monopolio con un decreto, che accordava anche esenzioni fiscali e facilitazioni “a chiunque, suddito o straniero che, stabilitosi nel Regno, costruisse nei cantieri dello stesso battelli a vapore per destinarli alla marina mercantile delle Due Sicilie”.

Nacquero così tante compagnie di navigazione: nel 1839 Vincenzo Florio fondava l’Amministrazione dei Pacchetti a vapore siciliani, nel 1841 nasceva la Compagnia Andrea De Martino e soci, poi l’Amministrazione Napoletana, la Giglio delle Onde e la Calabro Sicula.

E nel 1853 ancora un primato: il palermitano Salvatore de Pace costituiva infatti la Società Sicula Transatlantica, e con il piroscafo Sicilia iniziava i viaggi periodici con l’America, con scalo a Napoli e Gibilterra, e raggiungendo New York in 26 giorni.

Quelli furono però solo viaggi di affare e di piacere, solo dopo l’unità divennero quella vera e propria tragedia che fu l’esodo di milioni di meridionali verso la speranza di un futuro diverso.

Nel 1860 tutta la flotta mercantile iniziò lo stesso declino che accomunò l’ex Regno delle Due Sicilie.

La società Rubattino di Genova, per intenderci quella che fornì il naviglio a Garibaldi, fu spudoratamente agevolata e nel giro di venti anni divorò la flotta Florio, ed altrettanto accadde per gli altri, che mano a mano scomparirono.

La Marina Militare napoletana era anch’essa tra le migliori del mondo.

Aveva combattuto molto poco, salvo che nella Campagna di Sicilia del 1849, ed era dotata di navi moderne con equipaggi di prim’ordine, fedeli alla patria ed al re, ma non fu altrettanto onorata nei suoi ufficiali.

Il conte d’Aquila, fratello di Ferdinando II, Comandante Generale della marina, non fu mai uomo di polso e lasciò sempre fare agli altri, non nascondendo spesso atteggiamenti frondisti nei confronti dello stesso re.

Solo alla fine, nell’estate del 1860, capì quel che sarebbe accaduto e tentò senza successo di riprendere le redini della situazione, per ristabilire un governo autenticamente nazionale che non facesse da battistrada a Garibaldi e a quel che ne seguì.

Il lavoro di corruzione operato sugli ufficiali di marina fu incessante e continuo, e portò come inevitabile conseguenza al dissolvimento dell’arma nelle vicende finali del Regno: a parte alcuni uomini, come gli ammiragli Lettieri e Del Re ed i comandanti Pasca e Flores, il grosso passò più o meno apertamente al nemico fin dal maggio 1860.

Ma dal punto di vista tecnico e marinaresco i napoletani non furono secondi a nessuno: la piccola marina sarda sembrava una flottiglia di pescherecci disastrati a confronto con quella delle Due Sicilie.

La cantieristica napoletana, oltre a costruire tutto il naviglio interno, eseguiva lavori per mezza Europa.

Il 14 agosto 1852 fu inaugurato a Napoli il bacino di raddobbo per le grandi riparazioni, con una spesa di 300000 ducati, unico del mediterraneo.

Intorno al polo cantieristico, grazie alla ferrovia costruita appositamente per unire la capitale con le realtà industriali, nacquero altre industrie private, oltre Pietrarsa, che prosperarono anche grazie a quel polo, aggiungendo agli oltre 2000 addetti di Castellammare ed ai 4000 di Pietrarsa quelli della Zino & Henry, della Guppy & Co., dello stabilimento Pattison ed altri ancora.

Per non parlare del ferro utilizzato, tutto, proveniente dalle fonderie pubbliche e private della Calabria.

Con l’arrivo dei “liberatori” tutte queste industrie furono sistematicamente portate al fallimento, con decine di migliaia di persone gettate in mezzo ad una strada, come testimoniato dalle prime rivolte operaie represse nel sangue, e cancellando per di più anche il ricordo di tale operosità e ricchezza e iniziando quella serie di luoghi comuni relativi al Sud povero, mafioso ed incapace di iniziative imprenditoriali.

Proprio dove oggi sorge un anonimo museo ferroviario morirono, falciati dal fuoco dei bersaglieri, degli operai che chiedevano solo pane e lavoro, perché non avevano ancora capito di avere perso, oltre a quello, anche la propria dignità di uomini liberi.

Roberto Maria Selvaggi

fonte http://www.adsic.it/2001/12/19/la-grande-marina-mercantile-e-militare-napoletana/#more-77

Da “Il SUD Quotidiano” del 20/12/97

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