Posted by altaterradilavoro on Feb 13, 2019
Il fiammingo John Crombez, leader del Partito Socialista Differente, ha detto che si dovrebbe «impedire ad alcune persone, almeno per un periodo, di avere figli», facendo l’esempio dei tossicodipendenti. Il suo pensiero, che oggi purtroppo va riscuotendo consenso crescente, si inserisce nella cultura eugenetica che rifiuta Dio, pretendendo di stabilire chi deve nascere e vivere e chi no.
La strada per la contraccezione obbligatoria, decisa cioè dall’autorità statale, è aperta. La proposta proviene dal Belgio e ad avanzarla è il politico fiammingo e leader del Partito Socialista Differente, John Crombez, che parlando alla rivista Humo ha detto che si dovrebbe «impedire ad alcune persone, almeno per un periodo, di avere figli». In tempi normali sarebbe stato preso per folle, un folle isolato, ma con la cultura antinatalista ed eugenetica oggi così diffusa Crombez non ha avuto difficoltà a ricevere – in mezzo ad alcune stroncature – anche consensi.
Intanto va osservato che le sue dichiarazioni hanno comunque un certo peso, essendo il presidente di un partito che attraverso i suoi 18 eletti al Parlamento fiammingo ne occupa il 14.5% dei seggi. E poi va detto che nonostante qualche presa di distanza interna al suo gruppo politico, oggi all’opposizione, Crombez ha trovato una sponda in esponenti di partiti al governo (di centrodestra) come Patrick Vankrunkelsven dei Liberali e Democratici Fiamminghi Aperti, e come Valerie Van Peel e Sarah Smeyers della Nuova Alleanza Fiamminga. La Smeyers, riferisce Life Site News, si è in realtà lamentata delle critiche precedentemente ricevute dall’ala giovanile del partito di Crombez, perché già lei poche settimane prima aveva proposto di imporre la contraccezione alle famiglie povere, e ha osservato che le idee del quarantacinquenne politico di sinistra vanno perfino oltre. Ma in sostanza il pensiero di fondo è lo stesso, la contraccezione obbligatoria per (falsa) “compassione”.
Ecco le parole di Crombez all’intervistatore di Humo: «Se tu ascolti i lavoratori che ti raccontano la storia di bambini nati con un’overdose, perché hanno ricevuto troppa sporcizia attraverso il cordone ombelicale, non hai più alcun dubbio. Questi bambini si ritrovano a doversi disintossicare in un’incubatrice urlando di dolore. Alcuni tossicodipendenti hanno portato tre bambini nel mondo. La società non può più accettarlo». Secondo il politico fiammingo, per «proteggere» i bambini, «certe persone dovrebbero essere fermate, temporaneamente, dall’avere figli». Se avesse proposto, intanto, un’opera culturale di sensibilizzazione e prevenzione rispetto all’uso delle droghe sarebbe stato troppo controcorrente (avete presente la cultura della cannabis libera, no?)… Il pensiero di Crombez prende forma dalla sua esperienza personale, vissuta già dall’adolescenza, a contatto con fanciulli provenienti da famiglie disagiate che al compimento della maggiore età vengono perlopiù lasciati senza aiuto dal settore pubblico.
Ma l’esperienza da lui vissuta non giustifica affatto la sua visione perché è proprio il modo di affrontare le situazioni di sofferenza a essere decisivo, potendo ognuno di noi scegliere in breve se farsi carico di quel dolore, unendolo al sacrificio redentivo di Cristo e tentando di portarvi sollievo con la propria vita, o illudersi di eliminare quello stesso dolore dalla terra selezionando – perché di questo si tratta – chi deve nascere e chi no. Illudendosi di eliminare la sofferenza terrena (conseguenza del peccato originale) impedendo la nascita del sofferente, che poi spesso vive una vita più piena e ricca di chi ha in apparenza tutto. E chi, poi, dovrebbe stabilire i criteri di “selezione”? Sembra di rivivere la realtà distopica rappresentata in un film di 22 anni fa, Gattaca, del regista Andrew Niccol, nel quale la società si trova divisa tra “validi” e “non validi”: i primi dal patrimonio genetico perfetto e determinato artificialmente prima del concepimento, i secondi – marginalizzati – concepiti in modo naturale.
Del resto basta guardarsi attorno e leggere le cronache – tra fecondazione artificiale, selezione dei gameti, uteri affittati, aborto, infanticidio ed eutanasia dei disabili (anche per imposizione, l’abbiamo visto negli Usa con Terry Schiavo, in Italia con Eluana Englaro, nel Regno Unito con Charlie, Alfie e Isaiah, e lo stiamo vedendo in Francia con Vincent Lambert) e non solo – per rendersi conto che la realtà si avvicina e a volte supera la fantasia. La realtà che viviamo è contaminata appunto dall’eugenetica, teorizzata compiutamente dall’inglese Francis Galton nel XIX secolo, presto diffusasi in tutto il Nord Europa e “sbarcata” negli Stati Uniti, dove ha avuto tra le sue massime rappresentanti la razzista Margaret Sanger, fondatrice di ciò che è oggi un colosso dell’aborto, Planned Parenthood (nome che significa, guarda un po’, “Genitorialità Pianificata”, la stessa genitorialità che vuole pianificare Crombez con la sua contraccezione obbligatoria), e contemporanea di quell’Adolf Hitler che per la cultura progressista sembra l’unico responsabile della storia degli eccidi di disabili. No, purtroppo è in “buona” compagnia.
Solo che il progressismo è molto più raffinato («con i guanti bianchi», per usare le parole di papa Francesco sull’argomento) visto che il pensiero eugenetico ha continuato a prosperare ovunque, con la complicità di agenzie dell’Onu ed élite mondialiste, mutando linguaggio e facendo passare per cosa normale – giusto per fare un esempio – le diverse tecniche di diagnosi prenatale che sono all’origine di un numero incalcolabile di aborti selettivi.
Chiaro che alla base di questa idea c’è l’ancestrale rifiuto di Dio da parte di chi pensa di salvarsi e salvare il mondo da sé e stabilire, indipendentemente dalla legge divina, ciò che è bene e ciò che è male. Infatti, alla domanda dell’intervistatore di Humo, che chiedeva a Crombez se la contraccezione obbligatoria fosse possibile in una «società cristiana», Crombez ha risposto: «L’aborto e l’eutanasia non sono consentiti oggi? È tempo per un dibattito: la miseria è troppo grande. Non un solo buon cristiano può chiudere un occhio su questo». In verità un buon cristiano non può chiudere un occhio sulla cultura della morte insita nel pensiero e nelle associazioni fatte da Crombez, che elimina dal suo orizzonte la vita eterna e con essa la speranza: è questa cultura mortifera che il cristiano deve combattere, a partire dal ricordare che è la stessa contraccezione a essere contraria al disegno divino.
Ermes Dovico
fonte http://lanuovabq.it/it/contraccezione-obbligatoria-la-folle-idea-dal-belgio
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Posted by altaterradilavoro on Feb 2, 2019
Ho appena
letto il nuovo msg [in cui si parla di un recente testo che
minimizzerebbe l’entità degli eccidi di Pontelandolfo e Casalduni – N d. R.]
della rete delle Due Sicilie, ecco come zittire il “grande studioso”
!!!
E’ inutile
citare uno storico contemporaneo per smentire un altro storico (o presunti
tali), se non conoscessi le fonti dell’evento storico in questione, penserei “‘a
parola mia, contra ‘a toia, chissà addò stà a’ verità!”
Ma a me risulta, benché non
abbia mai scritto alcun libro di storia, che la storia la si fa consultando i
documenti dell’epoca che vogliamo trattare, valutandone preventivamente
l’attendibilità. Qui riporto alcune testimonianze dirette degli eccidi di
Pontelandolfo e Casaladuni. Sottolineo che Melegari, Negri e Margolfo
avevano tutto l’interesse a minimizzare l’accaduto, ma se pure avessero
raccontato la verità oggettiva, il nostro “Polibio” avrebbe scritto
una marea di menzogne, giacché il bersagliere Margolfo ammette: “subito
incominciato a fucilare preti e uomini, quanti capitava, indi il
soldato saccheggiava”.
Nemmeno
un prete fu ucciso ? Caro Polibio redivivo, credo proprio che il nostro
abbia personalmente fucilato almeno un prete… in fondo lo
ammette candidamente !!!
“Briganti arrendetevi”
Anonimo (Carlo Melagari), Edizioni Osanna Venosa, 1996, pp. 22-33.
[…] “quando si parlava e
si leggeva sui giornali che gli abitanti di Casalduni e Pontelandolfo, unitisi
a 400 briganti, dopo le più crudeli sevizie, avevano infamemente massacrato
una mezza compagnia e ufficiali del 36°reggimento di linea.”
[…] “Persuaso che nulla
poteva accadere d’importante, alla sera mi recai all’adiacente teatro San
Carlo, prevenendo il capitano più anziano che, in caso di bisogno, mi avesse
fatto chiamare. …e mi compiacevo di poter assistere ad un magnifico
spettacolo, come se ne soleva rappresentare in questo gran teatro; la numerosa
e buona orchestra cominciava ad accordare gli strumenti, quando, volgendo lo
sguardo al fondo della platea, vidi un tenente del battaglione che, alzando la
destra, indicava volere parlarmi. Lasciata la poltrona, l’incontrai nel
vestibolo: “ II generale Cialdini, mi disse, la vuole subito al Comando”.
[…] “Accorsi e trovai
invece il generale Piola-Caselli, che, un poco contrariato per il mio ritardo,
mi riceve con queste parole: « Ella avrà senza dubbio udito parlare del
doloroso ed infame fatto di Casalduni e Pontelandolfo; orbene, il generale
Cialdini non ordina, ma desidera che di quei due paesi non rimanga più pietra
sopra pietra… Ella è autorizzata a ricorrere a qualunque mezzo, e non
dimentichi che il generale desidera che siano vendicati quei poveri soldati,
infliggendo la più severa punizione a quei due paesi. Ha ella ben capito?“
“Generale,
risposi io, so benissimo come si devono interpretare i desiderii del generale
Cialdini: ho fatto la campagna della Crimea e quella del 1859 sotto i suoi ordini,
e so per prova come egli sia uso a comandare e ad essere ubbidito”. Ciò detto
m’accomiatai e ritornai al teatro, ove potei ancora godere di due atti degli
Ugonotti e del grande ballo“[…]
“Spuntava
appena il giorno che il battaglione si trovava schierato di fronte a Casalduni.
Immantinenti ordinai di circondare il paese, posto in basso, e di aprire il
fuoco di fila fino al mio segnale di cessate-il-fuoco; quindi d’entrare,
baionetta in canna, di corsa, compagnia per compagnia per i diversi sbocchi,
onde concentrarsi sulla piazza del paese vicino alla chiesa. Le campane
suonavano tristemente a stormo, pochi colpi di fucile partivano dai campanili
e dai terrazzi…. Fui sorpreso di trovare le vie deserte ed un silenzio
sepolcrale nelle case. I briganti e gli abitanti, avvertiti dell’avvicinarsi
dei bersaglieri….
Era giunto finalmente il
momento di vendicare i nostri compagni d’armi, era giunto oramai il momento del
tremendo castigo. Chiamati a me gli
ufficiali delle tre compagnie che si trovavano riunite sulla piazza, ove
s’ergeva anche la casa del Sindaco, ordinai loro di far atterrare le porte e di
appiccare il fuoco alle case, a cominciare da quella del Sindaco. In breve
dense nubi di fumo s’elevavano al cielo e l’incendio divampava in diverse parti
del paese.
Nella casa del Sindaco già
le fiamme, irrompendo dai vani del pian terreno, a guisa di serpenti s’allungavano
ed invadevano il piano superiore. Alcuni bersaglieri, udendo strepiti e
nitriti, entrati nella scuderia ne tiravano fuori due cavalli furiosi dallo
spavento; altri, saliti al primo piano, buttavano giù dalle finestre bandiere
borboniche, uniformi, razioni di pane, armi, e fra queste i fucili con le
cinghie bianche insanguinate appartenenti ai poveri soldati sopraffatti a
tradimento e trucidati barbaramente.”
[…] “ L’incendio
continuava l’opera sua di distruzione e da una casa si propagava facilmente
all’altra “[…]
Abstracts,
presi dal web, tratti da: L’invenzione dell’Italia unita di Roberto
Martucci
[…] “All’alba del
14 agosto 1861 i soldati, che nel frattempo hanno
preso posizione sulle alture circostanti, ricevono l’ordine di aprirsi a
ventaglio per investire da più lati l’abitato, con i suoi cinquemila abitanti
immersi nel sonno. Come ci conferma il diario del bersagliere Margolfo,
i soldati avevano ricevuto l’ ordine di “entrare nel comune di Pontelandolfo,
fucilare gli abitanti, meno i figli, le donne e gli infermi ed incendiarlo”
[…]
[…]
«Entrammo nel paese –
scrive il bersagliere Margolfo – subito incominciato a fucilare preti e
uomini, quanti capitava, indi il soldato saccheggiava».
Come non
manca di ricordare, assaporandone empio il ricordo, l’ufficiale Angiolo De Witt
che, pur non essendo presente ai fatti, ricostruisce la strage
grazie al racconto dei commilitoni:
“Allora fu fiera
rappresaglia di sangue che si posò con tutti i suoi orrori su quella colpevole
popolazione. I diversi manipoli di bersaglieri fecero a forza snidare dalle
case gli impauriti reazionari dell’ieri, e quando dei mucchi di quei cafoni
erano costretti dalle baionette di scendere per la via, ivi giunti vi
trovavano delle mezze squadre di soldati che facevano una scarica a
bruciapelo su di loro.
Molti mordevano il terreno;
altri rimasero incolumi, i feriti rimanevano ivi abbandonati alla ventura, ed i
superstiti erano obbligati di prendere ogni specie di strame per incendiare con
quello le loro stesse catapecchie.
Questa scena di terrore
guerresco duro una intiera giornata; il gastigo fu tremendo, ma fu più
tremenda la colpa. Donne oltraggiate, malgrado lo spavento e il terrore
che saetta dagli occhi, subiscono violenza da molti, pensando, forse, di averne
salva la vita fino a che, pietosa, una baionetta mette fine ai loro giorni.
Alle vecchie, solenni negli abiti neri, si strappano dalle orecchie i monili:
poi per tutte un gesto di morte, rapida per le più fortunate, lunga e straziante
per le altre.
Nella mozione che gli fu
impedito di svolgere alla Camera, Marzio Proto, duca di Maddaloni,
aggiunge particolari agghiaccianti; vi sono donne che, temendo lo stupro,
preferiscono rimanere nelle case in fiamme: Nei vortici di fiamme che divoravano
il vecchio ed adusto Pontelandolfo udivansi alcune voci di donne cantanti
litanie e miserere.
Certi Uffiziali si
avanzarono verso l’abituro onde veniva quel suono, ed apersero l’uscio, e
videro cinque donne che scapigliate e ginocchioni stavano attorno
di un tavolo su cui era una Croce con molti ceri ivi
accesi. Volevano; ma quelle gridando: Indietro… maledetti! indietro…
non ci toccate, lasciateci morire incontaminate, si ritrassero tutte in
un cantuccio, e tosto profondò il piano superiore e furono peste le loro ossa,
e la fiamma consumò le innocenti. “
Il
legittimista Giacinto De Sivo si dirà incapace di descrivere «lo
spavento tra la morte e le fiamme di quella città infelice, bruttata da
italici rigeneratori» che «impotenti co’ tedeschi, con gli inermi
son prodi».
Qualora i
giudizi espressi da un borbonico possano risultare ancora oggi sospetti,
proviamo a leggere cosa scrive nel suo diario inedito, con una prosa zoppicante
ma efficace, il bersagliere Margolfo:
«quale desolazione, non si
poteva stare d’intorno per il gran calore: e quale rumore facevano quei
poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti e chi sotto le
rovine delle case»
Ma questa
partecipazione al dolore è quasi certamente frutto di una rielaborazione
successiva, dato che, quasi a voler sottolineare l’estraneità dei soldati
al loro massacro di donne, bambini, vegliardi, Carlo Margolfo sente di dover
aggiungere: «noi invece durante l’incendio avevamo di tutto: pollastri,
pane, vino e capponi, niente mancava», a parte 1’appetito, distrutto «per
la gran stanchezza della marcia di 13 ore»
I
morti? La strage non ha una contabilità ufficiale, ma considerato
che Pontelandolfo e Casalduni nell’insieme contavano circa 12.000
abitanti, non ci sbaglieremmo di molto ipotizzando che
le vite stroncate siano state parecchie centinaia, forse anche un paio di
migliaia.
Il
tenente Gaetano Negri parlò dell’eccidio in una lettera indirizzata al padre:
“Probabilmente anche i
giornali nostri avranno parlato degli orrori di Ponte Landolfo. Gli abitanti di
questo villaggio commisero il più nero
tradimento e degli atti di mostruosa barbarie; ma la punizione che gli
venne inflitta, quantunque meritata, non fu per questo meno
barbara. Un battaglione di bersaglieri entrò nel paese, uccise quanti vi
erano rimasti, saccheggiò tutte le case e poi mise il fuoco al
villaggio intero, che venne completamente distrutto. La stessa sorte
toccò a Casaldone i cui abitanti si etano riuniti a quelli di Ponte Landolfo.”
Lo
storico legittimista Giacinto De Sivo, pochi anni dopo i fatti, scrive: “quattrocento
piemontesi da San Lupo, con seguito di mascalzoni, guidati da quel tristo del
Jacobelli, credendo sorprendere la popolazione, entrarono da
più parti in Casalduni, sparando all’aria, spaventando quei pochi
di vecchi e donne e fanciulli rimasti. Un Tommaso Lucente da Sepino […]
precedeva i soldati, indicando le case da ardere, prima quella del
sindaco Ursini.
In ogni parte sacco,
lascivia, incendi; nudi i cittadini fuggivano dalle fiamme; chi
bastonato era, chi ammazzato.
Un Lorenzo
d’Urso, là venuto per faccende, fattosi sull’uscio a salutare i soldati,
è spento; e poi la casa col cadavere sono arsi. Il vecchio arciprete fugge
in camicia, e ne more indi a poco. Un malato, rizzandosi sul
letto per ispavento è ucciso.
Ugual ruina che a Ponte
Landolfo, ma meno sangue, perché quasi, deserto il luogo, e più pochi gli
assassini. Stigmatizzata dal «Times» di Londra in una corrispondenza del
settembre 1861, denunciata con parole roventi alle cancellerie europee da
Pietro Calà d’Ulloa duca di Lauria, ministro di Francesco II nell’esilio
romano, della strage non si sarebbe mai saputo nulla – vista la mancata
iscrizione all’ordine del giorno dell’interpellanza Proto
de120 novembre – se la questione non fosse stata sollevata alla
Camera dei deputati da Giuseppe Ferrari.
Prende la parola il 2
dicembre 1861… :
Nel turbinio degli
avvenimenti […] la confusione giunge a tal punto che io a Napoli non
poteva sapere come Ponte Landolfo, una città di 5.000 abitanti fosse stata
trattata. Io ho dovuto intraprendere un viaggio per verificare il fatto cogli
occhi miei. Ma io non potrò mai esprimere i sentimenti che mi agitarono in
presenza di quella città incendiata. Mi avanzo con pochi amici, e non vedo
alcuno; pochi paesani ci guardano incerti; sopravviene il sindaco; sorprendiamo
qualche abitante incatenato alla sua casa rovinata dall’amore della terra, e ci
inoltriamo in mezzo a vie abbandonate. A destra, a sinistra le mura erano vuote
e annerite, si era dato il fuoco ai mobili ammucchiati nelle stanze terrene e
la fiamma aveva divorato il tetto; dalle finestre vedevasi il cielo. Qua e là
incontravasi un mucchio di sassi crollati; poi mi fu vietato il progredire; gli
edifizi puntellati minacciavano di cadere ad ogni istante.
L’implacabile
Giuseppe Ferrarii, impolitico e indignato, non aveva tregua e con
pathos infinito rievocava una tragedia paradigmatica:
E quando Volli vedere più
addentro lo spettacolo ce1ato delle afflizioni domestiche, mi trassero dinanzi
il signor Rinaldi, e fui atterrito. Pallido era, alto e distinto della persona,
nobile il volto; ma gli occhi semispenti lo rivelavano colpito da calamità
superiore ad ogni umana consolazione.
Appena osai mormorare che
non così s’intendeva da noi la libertà italiana.
Nulla io chiedo, disse
egli, e noi ammutimmo tutti. Aveva due figli, l’uno avvocato, l’altro
negoziante, ed entrambi avevano vagheggiato da lontano la libertà del Piemonte,
ed all’udire che approssimavansi i piemontesi, che così chiamasi nel paese la
truppa italiana, correvano ad incontrarli. Mentre la truppa procede
militarmente, i saccomanni la seguono, la straripano, l’oltrepassano, e i due
Rinaldi sono presi, forzati a riscattarsi, poi, dopo tolto il danaro,
condannati ad istantanea fucilazione.
L’uno di essi cade morto;
l’altro viveva ancora con nove palle nel corpo; e un capitano
gittavasi a ginocchio dinanzi ai fucilatori per implorare pietà; ma il
Dio della guerra non ascoltava parole umane e l’infelice periva sotto il decimo
colpo tirato alla baionetta.
Rinaldi possedeva due case,
e l’una di esse spariva tra le fiamme, e appena gli uffiziali potevano spegnere
l’incendio che divorava l’altra casa. Rinaldi possedeva altre ricchezze, e gli
erano rapite; aveva altro… e qui devo tacermi, come tacevano
dinanzi a lui tutti i suoi conterranei. Quante scene d’orrore!
Qui due vecchie
periscono nell’incendio; là alcuni sono fucilati, giustamente, se
volete, ma sono fucilati; gli orecchini sono strappati alle donne;
i saccomanni frugano ogni angolo; il generale, l’uffiziale non possono essere
dappertutto: si è in mezzo alle fiamme, si sente la voce terribile:
piastre! piastre! e da lontano si vede l’incendio di Casalduni, come se
l’orizzonte dell’esterminazione non dovesse avere limite
Su quelle
ed altre efferatezze, un alto magistrato, Pietro Calà d’Ulloa, già consigliere
della Corte suprema di Napoli, poi a Gaeta e a Roma con Francesco II,
avrebbe cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica europea, chiosando un
lungo elenco di abusi con un richiamo alle vecchie e nuove pratiche coloniali: «non
facevan le stesse cose gli inglesi in India, i francesi in Algeria, non avevano
agito con la medesima accortezza gli spagnoli nel Messico e nel Perù contro i
barbari.”
Cordialmente
FDV
P. S.
Ci avete fatto caso? Melegari ha l’ordine di massacrare degli inermi mentre stava al San Carlo, dove poi ritorna subito dopo, come se niente fosse. Eppure qualcuno mi accusa di delirare, quando sostengo che certi personaggi hanno profanato la nostra Terra e i monumenti a loro dedicati, e continuano a farlo !!!
fonte https://www.eleaml.org/sud/briganti/polibio_redivivo.html
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