Alta Terra di Lavoro

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L’UT PIA REALE A SAN LEUCIO CON ISTITUTO RICERCA STORICA DUE SICILIE

Posted by on Mag 29, 2019

L’UT PIA REALE A SAN LEUCIO CON ISTITUTO RICERCA STORICA DUE SICILIE

COMUNICATO STAMPA

Caserta – “Nessun uomo, nessuna famiglia, nessuna città, nessuno Regno può sussistere, e prosperare senza il timor santo di Dio. Dunque la principal cosa, che Io impongo a voi, è l’esatta osservanza della sua santissima Legge.”

Con queste parole comincia lo Statuto che il Re  di Napoli Ferdinando IV volle dare alla Real Colonia di San Leucio: un utopia, un sogno, una città modello, Ferdinandopoli, che il Sovrano tramutò in realtà. Una siffatta città ideale, divenuta sito per la lavorazione su scala industriale della seta, necessitava di un codice di leggi contenente i principi fondamentali che avrebbero dovuto guidare la comunità e favorirne il florido sviluppo. Fu così che nel 1789 nacque lo Statuto di San Leucio o Codice Leuciano, un chiaro esempio di norme ispirate ad ideali di uguaglianza sociale e di solidarietà.

A questo esempio più unico che raro di Utopia “Reale”(nella duplice accezione “del Re” ed “effettiva”), a duecentotrenta anni dalla sua firma, è dedicato il convegno che l’Istituto di Ricerca Storica delle Due Sicilie terrà proprio nel Belvedere di San Leucio  sabato 1 giugno p.v. alle ore 17,00.

A fianco dell’Istituto prestigiose istituzioni: in primis la Pro Loco Real Sito di San Leucio con il suo presidente Domenico Villano, l’Associazione Corteo Storico con il suo presidente Donato Scialla, ma anche la Società di Storia Patria di Terra di Lavoro il cui presidente Avv. Alberto Zaza d’Aulisio sarà uno dei relatori, l’Associazione Nazionale dei Cavalieri Costantiniano ed il suo presidente il Marchese Avv. Giuliano Buccino Grimaldi, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Santa Maria C.V. con il suo presidente avv. Adolfo Russo.

Riconoscendo l’importanza dell’evento, la Regione Campania, il Comune di Caserta, il Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, la Real Casa di Borbone delle Due Sicilie, l’Associazioni Due Sicilie e l’Associazione Culturale Prometeo hanno volentieri concesso il loro patrocinio ed il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati ha concesso tre crediti formativi agli iscritti che parteciperanno.

Oltre all’avvocato Zaza, gli altri due importanti relatori saranno il dr. Fernando Riccardi, presidente dell’Istituto ed il dr. Giuliano Capecelatro di Morrone, storico del diritto.

Siamo certi che anche quest’ultimo evento organizzato dall’Istituto si aggiungerà  ai  successi passati tra cui ricordiamo la presentazione sul libro dedicato al Principe Alfonso di Borbone, Conte di Caserta (2014) presso l’allora Jolly Hotel, il convegno su la Regina Maria Sofia a Napoli (2015), la celebrazione Eucaristica (2016) alla Vaccheria in onore della Beata Regina consorte del Regno delle Due Sicilie Maria Cristina di Savoia officiata da S.A.R. il M. Rev. Don Alessandro di Borbone delle Due Sicilie, i convegni sul cardinale Riario Sforza (2017) a Roma nel Palazzo della Cancelleria Apostolica ed a Napoli in Castel Capuano.

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LA VERA MODERNITA’ E’ IL PASSATO

Posted by on Mar 12, 2019

LA VERA MODERNITA’ E’ IL PASSATO

Non c’è nulla di più moderno che rivolgersi al passato. Niente di nostalgico, né di retrivo. Anzi. Appena si scrosta, sia pure di poco, la cortina fumogena di una martellante propaganda, le scoperte sono persino sorprendenti. Nel 1890 i Liberisti del Settentrione, fortemente unitari, chiesero ed ottennero il protezionismo.

Il pretesto fu l’importazione nell’allora Regno d’Italia di gelsi cinesi a basso costo?! Gli stessi ambienti contrari al sano protezionismo attuato dai Borbone (applicarono una politica Keynesiana “ante-litteram”) per favorire lo sviluppo del Sud al riparo dall’invasione di merci estere, si convertirono a tale pratica, applicandola peraltro in modo tale da soffocare del tutto l’economia del Sud. La fiorente agricoltura fu completamente rovinata. Oggi chi chiede il protezionismo contro le merci cinesi?

Il più grande e moderno opificio nell’Italia pre-unitaria? A Pietrarsa, nel Napoletano (mille addetti, settemila nell’indotto). Il Sud, nel settore tecnologico era all’avanguardia!

La buona finanza? Nel Sud. Il Regno aveva finanze solide, garantita da un vasto risparmio e da un’adeguata riserva presso il Banco di Napoli, Istituto di emissione. Le finanze piemontesi, per il malgoverno e le continue guerre, erano alla bancarotta.

I coraggiosi e gli impavidi?

Francesco II e Maria Sofia delle Due Sicilie non fuggirono davanti agli invasori, ma difesero l’onore della dinastia e dei meridionali a Gaeta.

I Sabaudi invasero militarmente il Sud, senza dichiarazione di guerra. Il diritto bellico degli antichi romani, nostri avi, indicava tali ipotesi (e le guerre civili) col termine “latrocinium” (brigantaggio): chi furono, dunque, i veri “briganti”?

Le truppe piemontesi, per reprimere il moto, non esitarono a compiere massacri di massa, fucilazioni senza un giudizio, l’incendio di centinaia di ,villaggi, il genocidio dei soldati fatti prigionieri dopo la resa di Francesco II (Furono rinchiusi in lager lombardi e piemontesi da cui pochi uscirono vivi).

I giornali inglesi del tempo affermarono che in soli due mesi, dall’ottobre al dicembre 1861, i bersaglieri passarono per le armi quasi novemila resistenti.

Franco Molfese elenca trecentoottantotto bande di guerriglieri composte da ex ufficiali, da ex soldati borbonici, da ex garibaldini disillusi, da contadini ed artigiani, ognuna delle quali contava da quindici a centocinquanta uomini.

Basterà fare una media per capire che non si trattò di brigantaggio, bensì di una resistenza armata ben più impegnativa della guerra partigiana del 1944/45.

Ciò, senza contare i fiancheggiatori. Per domarla, il Piemonte impegnò parecchie divisioni, per un totale di centoventimila uomini, più di quanti ne schierò sul fronte veneto nella guerra contro l’Austria del 1866.

Antonio Gramsci, insigne intellettuale, era di origine meridionale. Le sue analisi e il suo pensiero, in particolare contro il fascismo e lo stalinismo, s’inquadrano nella sua complessa personalità che ben conosceva le problematiche meridionali (il nonno, Don Gennaro, fu capitano della Guardia Borbonica).

Giuseppe Garibaldi comprese ben presto la reale situazione. Nel 1868 scriveva:

“…gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Sono convinto di non aver fatto male, nonostante ciò, non rifarei oggi la via dell’Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato odio…”.

Anita Garibaldi, pronipote del generale, ha dichiarato nel 1966: “…Garibaldi capì a che razza di persone stava consegnando l’Italia”.

Si prefigurò le conseguenze dannose dell’insediamento della gretta classe dirigente sabauda nel Regno delle Due Sicilie…

Napoli era la seconda città d’Europa per importanza culturale dopo Parigi: al Sud c’era lavoro, industria e cultura…I fatti gli hanno dato, purtroppo, ragione.

I Sabaudi hanno saccheggiato le immense ricchezze del Banco di Napoli e del Banco di Sicilia… Da quei saccheggi cominciò la povertà del Sud…”

Quindi ha aggiunto: “…dopo il risorgimento, l’Italia venne distrutta dai funzionarietti e dai burocrati piemontesi che calarono da Torino…”

Piero Ottone, già direttore de “Il Corriere della Sera”, ha recentemente scritto: “…ho espresso, nel passato, il parere che sarebbe stato meglio se l’Italia fosse stata unificata dai Borbone piuttosto che dai Savoia… la dinastia napoletana era più cosmopolita di quella piemontese e Napoli era città, già nell’ottocento, di più largo respiro di Torino…

Basta osservare il risultato e quel che è successo”.

E’ singolare che un autorevole “nordista” (e non solo) sia pervenuto a tali clamorose conclusioni, mentre troppi meridionali (anche quelli mandati a guerreggiare con le scarpe di cartone nei fronti più lontani) ancora si abbeverano a miti del tutto inesistenti.

Giorgio Ciccotti

Unione Autonomista Alto Sagittario – Scanno

fonte https://www.eleaml.org/sud/den_spada/vera_modernita.html

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L’ultimo Borbone, un re in balia dei “traditori

Posted by on Gen 28, 2019

L’ultimo Borbone, un re in balia dei “traditori

Francesco II lasciò ingenuamente Napoli nel 1860 facilitando, senza volerlo, la conquista dei garibaldini

Il 13 novembre 1860 Pio IX scrive a Francesco II di Borbone, re delle Due Sicilie: “Ho fatto tutto quello che per mia parte era possibile per sostenere in Vostra Maestà la causa della giustizia, e tanto più volentieri l’ho fatto in quanto che ho veduto la Maestà Vostra tradita da uomini cattivi o inetti o deboli […] ho detto tradito perché è verità”. Salito al trono a 23 anni all’improvvisa morte del padre, Francesco è completamente digiuno dell’arte di governo. Cattolico devoto, il re è animato da buonissimi sentimenti ma l’inesperienza e la buona fede lo rendono facile preda della congiura massonica che lo avvolge come in una spirale. Succede così che segue i consigli sciagurati del ministro dell’interno, il massone Liborio Romano segretamente alleato di Garibaldi. Questi lo convince a lasciare Napoli senza combattere facendo appello all’attaccamento alla città, all’amore per il popolo e per la religione cattolica. Ecco il testo della lettera che Liborio Romano indirizza a Francesco II il 20 agosto 1860. Dopo aver accennato ai “segreti disegni della Provvidenza”, alla malvagità degli uomini e alla sfiducia che si è infiltrata nell’esercito e nella marina, il ministro scrive: “La lotta, è certo, farebbe scorrere fiumi di sangue”. Anche ammessa una vittoria momentanea continua – si tratterebbe di “una delle vittorie malaugurate, peggiore di mille disfatte; vittoria acquistata a prezzo del sangue, di uccisioni e di rovine […] Dopo aver rigettato, secondo che ci ispira l’onestà della coscienza, il partito della resistenza, del conflitto e della guerra civile, quale sarà il partito saggio, onesto, umano e degno del discendente di Enrico?”. Il “saggio” consiglio che Liborio Romano offre al re è di allontanarsi da Napoli, invocare a giudice l’Europa, ed aspettare “dal tempo e dalla giustizia di Dio il ritorno della fiducia, ed il trionfo dei suoi diritti legittimi”. Accade l’incredibile: Francesco II lascia la capitale senza opporre resistenza per risparmiare ai napoletani la guerra e a Napoli la distruzione. Ecco il manifesto che indirizza ai sudditi immediatamente prima della partenza: “Una guerra ingiusta e contro la ragione delle genti ha invaso i miei Stati, nonostante che io fossi in pace con tutte le potenze europee”. Il corpo diplomatico conosce il mio amore per

Napoli e il mio desiderio di “guarentirla dalle rovine e dalla guerra, salvare i suoi abitanti e le loro proprietà, i sacri templi, i monumenti, gli stabilimenti pubblici, le collezioni di arte, e tutto quello che forma il patrimonio della sua civiltà e della sua grandezza, e che appartenendo alle generazioni future è superiore alle passioni di un tempo. Discendente di una Dinastia che per 126 anni regnò in queste contrade […] i miei affetti sono qui. Io sono Napoletano, né potrei senza grave rammarico dirigere parole di addio ai miei amatissimi popoli, ai miei compatrioti. Qualunque sarà il mio destino, prospero od avverso, serberò sempre per essi forti ed amorevoli rimembranze. Raccomando loro la concordia, la pace, la santità dei doveri cittadini. Che uno smodato zelo per la mia corona non diventi face di turbolenze”. Il sovrano lascia Napoli il 6 settembre e si ritira a Gaeta dove tenta una valorosa quanto inutile difesa, sostenuto dall’eroismo della moglie Maria Sofia e dall’attaccamento dell’esercito. L’8 dicembre 1860, il giorno dell’Immacolata, Francesco II invia ai popoli delle due Sicilie un manifesto per ricordare ancora una volta le iniquità che ha subite: “Il mondo intero l’ha visto; per non versare sangue, ho preferito rischiar la mia corona. I traditori, pagati dal nemico straniero, sedevano nel mio consiglio, a fianco dei miei fedeli servitori; nella sincerità del mio cuore, non potevo credere al tradimento […] In mezzo a continue cospirazioni, non ho fatto versare una sola goccia di sangue, e si è accusata la mia condotta di debolezza. Se l’amore più tenero per i sudditi, se la confidenza naturale della gioventù nella onestà altrui, se l’orrore istintivo del sangue meritano tal nome, sì, io certo sono stato debole. Al momento in cui la rovina dei miei nemici era sicura, ho fermato il braccio dei miei generali, per non consumare la distruzione di Palermo. Ho preferito abbandonare Napoli, la mia cara capitale, senza esser cacciato da voi, per non esporla agli orrori d’un bombardamento”. “Ho creduto in buona fede che il re del Piemonte, che si diceva mio fratello e mio amico, che si protestava disapprovare l’invasione di Garibaldi […] non avrebbe rotto tutti i trattati e violate tutte le leggi per invadere tutti i miei stati in piena pace, senza motivi né dichiarazioni di guerra”. Oltre che dai numerosi massoni presenti a corte e nei vertici dell’esercito, Francesco II è tradito dal cugino Vittorio Emanuele, “re galantuomo”, che ne invade il regno il 15 ottobre 1860. L’ordine che l’esercito sabaudo riporta è quello che Francesco descrive nel proclama appena citato: “Le finanze non guari sì fiorenti, sono completamente ruinate, l’amministrazione è un caos, la sicurezza individuale non esiste. Le prigioni sono piene di sospetti, in luogo della libertà, lo stato d’assedio regna nelle province e un generale straniero pubblica la legge marziale decretando le fucilazioni istantanee per tutti quelli dei miei sudditi che non s’inchinano innanzi alla bandiera di Sardegna […] Uomini che non hanno mai visto questa parte d’Italia […] costituiscono il vostro governo […] le Due Sicilie sono state dichiarate province d’un regno lontano. Napoli e Palermo saranno governate da Prefetti venuti da Torino.

Angela Pellicciari

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