Alta Terra di Lavoro

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Due Sicilie: chi difende il busto di Cialdini

Posted by on Mar 5, 2019

Due Sicilie: chi difende il busto di Cialdini

Con una intera pagina messa a disposizione dall’edizione di Napoli del quotidiano “la Repubblica” (23.2.2019), il presidente della Società Napoletana di Storia Patria, Renata De Lorenzo e diverse associazioni di docenti universitari di Storia attaccano la Camera di Commercio di Napoli per la decisione di spostare il busto del generale piemontese Enrico Cialdini (1811-1892), responsabile del bombardamento di Gaeta durante l’assedio del 1860-61, dei massacri di Pontelandolfo e Casalduni (14 Agosto 1861) e di migliaia di fucilazioni, saccheggi e distruzioni di paesi del Sud durante la repressione dell’insurrezione definita brigantaggio successiva all’unificazione.

Il salone di rappresentanza dell’Ente, nel Palazzo della Borsa, ospita un grande busto in marmo di Cialdini, che la Giunta della Camera di Commercio, su proposta del vicepresidente vicario Fabrizio Luongo, ha deciso all’unanimità di spostare in altro luogo. “A noi piacerebbe  – ha detto Fabrizio Luongosostituirlo col volto di Angelina Romano, bimba di 9 anni che Cialdini fece fucilare” (“la Repubblica-Napoli”, 23.2.2019).

Diverse città del Sud tra le quali Palermo, Catania, Barletta e Lametia Terme, hanno cambiato negli anni scorsi la denominazione di strade e piazze intitolate all’autore delle stragi di civili meridionali. Anche Mestre ha deciso di cambiare il nome del piazzale che porta il nome del generale piemontese, mentre Vicenza ha cambiato la denominazione della piazza intitolata al colonnello vicentino Pier Eleonoro Negri, luogotenente di Cialdini che guidò i bersaglieri nella strage di Pontelandolfo, e l’ha ridenominata Piazza Pontelandolfo.

A Napoli, invece il tentativo di spostare un simbolo della violenza con la quale l’unificazione fu imposta all’ex Regno delle Due Sicilie provoca la mobilitazione della stampa radical-chic, delle vestali del Risorgimento, di giornalisti e docenti dietro i quali si muovono i poteri forti che presidiano la narrazione mitica dell’unificazione.

Secondo la De Lorenzoi comportamenti dei Gruppi dirigenti locali” sono da “contestualizzare in base ad una valutazione del clima complessivo che dettò scelte a suo tempo condivise”.

Gli atti di Cialdini e dei suoi uomini, quindi, non andrebbero valutati per il loro contenuto oggettivo (il massacro di inermi, donne, bambini) ma giustificati dall’ideologia dominante (il liberalismo risorgimentale) e dal consenso politico che esso raccoglieva tra i “gruppi dirigenti”.

Per la De Lorenzo, peraltro, i massacri di Pontelandolfo e Casalduni sono solo “presunti eccidi”, anche se perfino il socialista Giuliano Amato, presidente del Comitato per le celebrazioni per i 150 anni dell’unificazione, chiese ufficialmente scusa, a nome dello Stato italiano, ai discendenti delle vittime dei massacri.

Il presidente della Società Napoletana di Storia Patria, il cui metodo di ricerca storica è lo stesso degli autori delle fiction televisive, aggiunge che “la repressione del brigantaggio ebbe manifestazioni crudeli da entrambe le parti in lotta (…) con episodi di cannibalismo [sic!] e altre aberrazioni” da parte di questi ultimi, e mette sullo stesso piano “la distruzione del villaggio di Bosco”, ordinata dopo i moti liberali del 1828 dal Governo Borbonico, che avvenne – come scrive il liberale Luigi Settembrini – quando il villaggio era “già vuoto di abitanti”, e le stragi di civili inermi compiute dai piemontesi, per concludere che è su questa base che “la Società Napoletana di Storia Patria si è espressa contro una visione del passato che stravolge gli spazi e il loro portato simbolico, disancorandoli dalle motivazioni che le hanno plasmate.

Torna il concetto che “la motivazione” può giustificare un atto, indipendentemente dal suo contenuto. Con la stessa logica (la tesi dell’“accerchiamento delle potenze capitalistiche”) sono stati giustificate dai comunisti le epurazioni di massa di Stalin, lo sterminio dei kulaki, i Gulag sovietici… Quanto al “portato simbolico”, bisogna effettivamente chiedersi, se i contadini arsi vivi insieme alle loro donne ed ai bambini, nel Beneventano, non siano il simbolo migliore dell’unificazione italiana.

Contro lo spostamento del busto di Cialdini, la De Lorenzo ha promosso anche un appello di docenti universitari di Storia, ospitato senza alcuna replica da “la Repubblica-Napoli” (23.2.2019).

Negli ultimi anni – scrivono i docenti universitari – si sono moltiplicati i segnali di una certa conflittualità nella produzione di memorie collettive “ e citano “l’istituzione di una giornata della memoria per le vittime meridionali dell’Unità d’Italia. Quanto alla decisione della Camera di Commercio di spostare il busto di Cialdini, si tratterebbe di un episodio di “bonifica storica.

Le “memorie collettive” si producono, secondo questi docenti di Storia, e “negli ultimi anni” la loro “produzione“ sarebbe diventata “conflittuale. Forse vogliono dire che una nuova generazione di studiosi, in gran parte non accademici, ha cominciato, sulla base di fatti e documenti storici e non di costruzioni ideologiche, a mettere in discussione il “rito antico ed accettato” del Risorgimento del quale sono i guardiani.

Renata De Lorenzo è un’allieva del prof. Alfonso Scirocco (1924-2009), titolare della cattedra di Storia del Risorgimento all’Università Federico II, poi collaboratrice di Giuseppe Galasso. Il suo libro su Murat, personaggio del quale il presidente di Storia Patria è un’ammiratrice, è stato presentato in anteprima a Roma, l’8 luglio 2011, nella sede del Grande Oriente d’Italia, nel corso di una serata conclusa dal “Gran MaestroGustavo Raffi.

Le cattedre di “Storia del Risorgimento” furono create nelle Università italiane per costruire la memoria storica di un evento che vide come protagonisti gruppi ristrettissimi in ciascuno degli Stati pre-unitari dell’Italia. Un bilancio della loro attività può essere fatto guardando alla produzione. In occasione dei 150 anni dell’unificazione (2011), dalla parte risorgimentalista non è stato prodotto nessun contributo scientifico di rilievo, mentre la divulgazione ha sfornato biografie di personaggi risorgimentali firmate da giornalisti e compilatori, saccheggiando la bibliografia già esistente, mentre gli studiosi critici del Risorgimento hanno prodotto contributi originali corredati da documenti. Basti citare gli studi di Antonella Grippo, Angela Pellicciari, Gennaro De Crescenzo.

Ma perché i cultori della leggenda risorgimentale non producono nulla di serio? Perché se ci si mettesse a studiare davvero che cosa fu quello che è stato definito Risorgimento, emergerebbero non solo le stragi, di meridionali di cui Pontelandolofo e Casalduni sono solo un esempio, ma anche la totale mancanza di legittimazione dei suoi “gruppi dirigenti. Come si svolsero i plebisciti, non solo nel Regno delle Due Sicilie, ma nel Granducato di Toscana, nelle Legazioni Pontificie, in Veneto? Da dove provenivano i “patrioti” e quali legami avevano con le sette, con potenze straniere come l’Inghilterra? Che ruolo ebbero la camorra e la mafia nella gestione dell’ordine pubblico a Napoli e nell’avanzata di Garibaldi in Sicilia?

A queste ed altre domande è pericoloso rispondere. Si incrinerebbe definitivamente la ricostruzione affabulatoria dell’unificazione italiana. Meglio continuare a difendere i busti di Cialdini e di altri “eroi” del Risorgimento come lui, per impedire che vengano trasferiti in appositi Musei storici con targhette che rechino scritto: “criminale di guerra. (LN132/19)

Lettera Napoletana

fonte http://www.editorialeilgiglio.it/due-sicilie-chi-difende-il-busto-di-cialdini/

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Togliere la statua del generale Cialdini stravolge la storia

Posted by on Mar 3, 2019

Togliere la statua del generale Cialdini stravolge la storia

L’amico e nostro associato Lucio Castrese Schiano, ci invia un articolo di una storica italiana nata a Napoli che pubblichiamo integralmente senza nessun commento perché si commenta da solo. Due cose che mi vengono in mente “versiamo tante tasse per pagare un simile personaggio”? “Benedetto Croce non si sta rigirando nella tomba”? Credo che nemmeno lui avrebbe pensato di aver creato simili disastri!!!

Senza risposta è rimasta una mia richiesta via pec, in quanto storica e presidente della Società napoletana di storia patria, al presidente della Camera di commercio di Napoli di un confronto e di un dibattito pubblico sulla delibera di togliere dalla sede della Camera di Commercio il busto del generale Enrico Cialdini, in quanto responsabile dei presunti eccidi di Pontelandolfo e Casalduni.

La decisione è stata presa senza affrontare un problema fondamentale per chi gestisce un’istituzione con antiche radici nella vita cittadina, fornita di un’importante biblioteca e di un archivio: perché gruppi imprenditoriali della Napoli di secondo Ottocento ritennero di dover fare un omaggio al generale e a Camillo Benso conte di Cavour, il cui busto è collocato nella stessa sede?

L’opportunità di tornare sul tema, già oggetto nei mesi passati di interventi che suggerivano di contestualizzare i comportamenti dei gruppi dirigenti locali in base a una valutazione del clima complessivo che dettò scelte a suo tempo condivise (Carmine Pinto, Luigi Mascilli Migliorini, Paolo Macry, Giancristiano Desiderio) si lega alla presa di posizione delle maggiori Società degli Storici in merito all’attività di “bonifica storica” di cui la decisione della Camera di commercio è una testimonianza ulteriore.

Estrapolare personaggi e eventi dalla propria epoca, per renderli invece funzionali a problemi e questioni del presente, è un procedimento diffuso, che banalizza la complessità dei problemi affrontati.

La legge n. 680 del 6 luglio 1862 stabilì in tutto il Regno italiano le Camere di commercio e di arti, con lo scopo di valorizzare le potenzialità e il mondo produttivo locali. Rispetto alla Camera di Napoli, creata da Giuseppe Bonaparte il 10 marzo 1808, che fu sciolta, quella creata nel 1862 ebbe 21 componenti, tra cui banchieri, assicuratori, armatori.

In una memoria dei suoi consiglieri del 6 ottobre 1888, rivolta ai consiglieri del Comune di Napoli in merito all’edificazione della nuova Borsa, argomento a lungo dibattuto negli anni precedenti, si ricordava l’opera del generale Cialdini, nel 1861 Luogotenente del re per le province meridionali, che aveva allora deciso di accantonare il compenso datogli dallo Stato per questo ruolo, vincolandolo alla costruzione di una nuova sede della Borsa.

Si trattava di una cifra consistente, corrispondente a 212,500 lire dell’epoca (divenute con gli interessi 1.300 lire nel 1893). Il generale esprimeva in tal modo una decisa fiducia nel futuro della città, mentre erano in atto il taglio dell’istmo di Suez, la costruzione di ferrovie e strade, i lavori nel Porto.

Chiedeva che a realizzazione avvenuta fosse posta nelle nuova sede la statua di Cavour. La cifra iniziale, incrementata con contributi del Comune, della Provincia, del Banco di Napoli, e di altri enti, non fu utilizzata che 31 anni dopo, a causa della lunghezza delle procedure per attuare il “nobile pensiero del generale Cialdini”.

Dopo falliti tentativi di collocare la costruzione in piazza Municipio, con la disponibilità di suoli durante le operazioni del Risanamento dopo il colera del 1884, il Collegio camerale, d’intesa con l’amministrazione comunale, sottoscrisse il contratto con i banchieri finanziatori dell’opera.

I componenti della Camera, nella estenuante attività per la costruzione dell’edificio, si ritenevano “mandatarii del generale Cialdini nella esecuzione di una nobile idea… e depositarii della munificenza di lui”.

L’edificio fu quindi inaugurato nell’ottobre 1889 dal ministro Salandra e i visitatori rimasero impressionati dalla “cura architettonica” dell’edificio, “opera notevole della Napoli di allora” (La Camera di commercio di Napoli e il Palazzo della Borsa, Napoli 1987, ma si rimanda ai lavori fondamentali di Giuseppe Russo e di Giancarlo Alisio).

Cura architettonica che verrebbe profondamente alterata dalla rimozione del busto del generale; nell’edificio, costruito su progetto e direzione dei lavori dell’architetto Guerra e dell’ingegnere Ferrara, tra il 1893 e il 1898, i due busti in marmo di Cialdini e Cavour furono eseguiti dagli artisti scultori professori Raffaele Belliazzi (famoso in Europa, lavorò alla statua di Carlo III sulla facciata del Palazzo Reale) e Achille D’Orsi (artista in contatto con i maggiori esponenti della scultura del tempo), in perfetta sintonia con stucchi, marmi e dipinti della sala. In occasione dell’inaugurazione i componenti della giunta della Camera, la stampa e la società cittadine ricordarono con grande riconoscenza il lascito iniziale di Cialdini.

Il clima è evidentemente cambiato e Cialdini fu anche un generale particolarmente duro nella repressione del brigantaggio, che ebbe manifestazioni crudeli da entrambi le parti in lotta, con la distruzione di interi villaggi a opera dei briganti stessi, assalto alle case dei notabili, episodi di cannibalismo e altre aberrazioni.

Va ricordato che egli era essenzialmente un militare, educato, come i suoi colleghi napoletani, nelle scuole ad hoc, che prevedevano, di fronte alla “guerra per bande”, misure radicali, attuate nelle guerre europee ottocentesche e non a caso praticate dalla dinastia borbonica nel 1828 con la distruzione del villaggio di Bosco e nel 1848-49 contro Messina.

Re borbonici pronti ad uccidere i propri sudditi con modalità identiche a quelle degli ufficiali “piemontesi”- italiani.

In base a questa serie di valutazioni la Società napoletana di storia patria, cui competono anche i pareri sulla toponomastica, si è espressa contro una visione del passato che stravolge gli spazi e il loro portato simbolico, disancorandoli dalle motivazioni che li hanno plasmati, sulla base di sollecitazioni di parte.

Una domanda infine: non esiste un vincolo delle Soprintendenze per la tutela del patrimonio storico-artistico?

Può un Consiglio di amministrazione non tener conto delle leggi dello Stato e gestire, durante un mandato a scadenza, ciò che gli è stato affidato, ignorando competenze e normative che hanno un valore più radicato e ampio di un decisionismo occasionale?

Riportato sul n. 122 del Nuovo Monitore Napolitano

ps= vorrei ricordare alla gentile Sig.ra che da tempo cerchiamo di avere un dibattito pubblico sul 1799 senza avere nessuna risposta, alla faccia della democrazia che loro tanto esaltano

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Il Generale Enrico Cialdini fu solo un criminale di guerra non un eroe

Posted by on Set 25, 2018

Il Generale Enrico Cialdini fu solo un criminale di guerra non un eroe

Il 25 aprile del 1861, Carlo Melegari, bersagliere di Sua Maestà Vittorio Emanuele II, fu promosso Maggiore e prese il comando del 18° battaglione di stanza a Borgo San Donnino. Dopo due mesi di dure esercitazioni in montagna, il neo promosso maggiore ebbe ordine dal Comando della Divisione di Piacenza di partire per Napoli agli ordini del luogotenente Generale Cialdini.

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