Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

I Borbone e i cani: storie di una lunga passione

Posted by on Nov 23, 2020

I Borbone e i cani: storie di una lunga passione

Oggi la caccia è un tema controverso. Viaggiando indietro nel tempo, sappiamo che essa era ad appannaggio della casta guerriera e che, in seguito, divenne una manifestazione importante del potere regale. Dunque andiamo, a scoprire la storia della passione per la caccia dei Borbone.

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TORNA “LA PASSIONE”, RAPPRESENTAZIONE SACRA A SAN GREGORIO ARMENO CON UNA LAUDA DUECENTESCA IN SAN PAOLO MAGGIORE

Posted by on Apr 9, 2019

TORNA “LA PASSIONE”, RAPPRESENTAZIONE SACRA A SAN GREGORIO ARMENO CON UNA LAUDA DUECENTESCA IN SAN PAOLO MAGGIORE

Torna il fascino della grande musica sacra al Centro Antico di Napoli.

Un importante appuntamento con la Musica Sacra antica e con la devozione popolare quello di sabato 13 aprile 2019 dalle ore 19 nella suggestiva Basilica di San Paolo Maggiore, nel cuore del Centro Antico di Napoli, grazie alla gentile concessione del Rettore p. Carmine Mazza e dei padri Teatini dell’Ordine dei Chierici Regolari, si esegue “La Passione” nelle intonazioni del Laudario 91 di Cortona del XIII secolo nella trascrizione di Ferdinando Liuzzi e rielaborato da Gianmichele D’Errico.

<<“La Passione” – dichiara Gianmichele D’Errico- che si ripropone nel Centro Antico di Napoli, vuole essere un omaggio alla Lauda, la madre della melodia italiana che, dal lontano XIII secolo, con la sua semplicità e spontaneità, sarà uno dei princìpi permanenti dell’estetica musicale italiana. Nata come prima forma di canto sacro in volgare, la Lauda riflette l’istintivo entusiasmo religioso del popolo attraverso un canto privo di raffinatezze intellettuali ma ricchissimo d’invenzioni poetiche e musicali>>.

Il grande concerto, con ingresso gratuito fino ad esaurimento posti, vedrà la presenza di importanti voci già affermate in ambito nazionale come il Soprano Maria Antonucci ed il Tenore Michele Sacco ed inoltre, saranno 45 i coristi della prestigiosa “Polifonica Agorà” che, insieme ai maestri dell’Ensamble “Liryca Nova”, con la direzione di Gianmichele D’Errico, animeranno le maestose volte della imponente Basilica voluta da San Gaetano Thiene sui resti dell’antico Tempio dei Dioscuri, risalente alla fondazione di Neapolis nel VI secolo a.C.

Prima del concerto, informa Giuseppe Serroni, Presidente dell’Associazione “I Sedili di Napoli-Onlus” che collabora all’organizzazione del grande evento musicale, la religiosità popolare che si manifesta già nel periodo pasquale grazie alla presenza tradizionale delle “Staurite” che continuano a preservare i legami con la Tradizione culturale partenopea concorrendo alla tenuta della coesione sociale attraverso le numerose “Paranze di Vattienti”, si rinnoverà con una sacra rappresentazione della Via Crucis: attori in costume da soldato romano accompagneranno un ulteriore attore nelle vesti di un Gesù sofferente, nella rievocazione della via dolorosa verso il suo sacrificio, lungo tutta Via San Gregorio Armeno. La breve ma intensa rappresentazione, si muoverà intorno alle 18:30, da Piazzetta dell’Olmo e, percorrendo la famosa strada dell’Arte Presepiale, raggiungerà la Basilica di San Paolo Maggiore, per dare subito dopo il via al grande concerto di Musica Sacra.

L’evento è moralmente patrocinato dal Comune di Napoli, Assessorato alla Cultura

L’Ufficio Stampa “I Sedili di Napoli-Onlus”

Associazione I Sedili di Napoli – ONLUS

80134 Napoli, Via Sedile di Porto, 33

il Presidente

Giuseppe Serroni

isedilidinapoli@libero.it

isedilidinapoli@pec.it

+39 366 10 31 409

Ufficio stampa:

ufficiostampa@sedilidinapoli.com

Sito web: www.sedilidinapoli.com

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Medea: la follia di una tradita che tradì per passione

Posted by on Gen 3, 2019

Medea: la follia di una tradita che tradì per passione

Medea rappresenta l’archetipo della donna sedotta e abbandonata nella letteratura occidentale. Lei che per scappare con il Greco Giasone si consegnò allo straniero, uccidendendo il fratello e il padre, una volta abbandonata, arriverà ad uccidere l’amate del marito, il padre di lei e persino i suoi due figli.

Medea rappresenta l’archetipo della donna sedotta e abbandonata nella letteratura occidentale. Giunto nella Colchide con gli argonauti per impadronirsi del Vello d’oro, Giasone riesce nell’impresa solo grazie all’aiuto di Medea, figlia del re della regione e maga dal grande potere. La donna s’innamora del greco, scappa con lui ed arriva a fare a pezzi il fratello Apsirto e a spargerne i pezzi in mare, pur di ostacolare e frenare l’inseguimento del padre. Giasone approda così a Jolco con il Vello d’oro insieme agli argonauti e a Medea e lo consegna allo zio Pelia che, però, si rifiuta di concedergli il trono, come promesso.

Medea allora aiuta ancora l’amato, dona una pozione ai figli di Pelia con il pretesto di far ringiovanire il padre, ma, in realtà, con lo scopo di ucciderlo tra atroci sofferenze. Morto Pelia, Giasone e Medea sono banditi dalla città e si rifugiano a Corinto dove si sposano e hanno due figli. Passati alcuni anni, il re di Corinto Creonte offre la figlia in sposa a Giasone, che accetta per divenire il successore al trono. Medea mette allora in atto la sua vendetta. Dona alla futura sposa un mantello intriso di veleno a causa del quale muoiono sia la donna che il padre di lei. Infine, Medea uccide i due figli.

Da sempre la figura ha affascinato divenendo uno dei personaggi femminili più celebri. Il tragediografo Euripide (485 a. C. – 409 a. C.) non la rappresenta più solo come una maga dalle azioni disumane, ma anche come un’eroina cosciente del proprio proposito omicida e bramosa di attuarlo con lucida consapevolezza. Lo scrittore ellenistico Apollonio Rodio (295 a. C.- 215 a. C.) e l’autore romano Valerio Flacco (45 d. C.- 90 d. C.) si soffermano molto sul conflitto psicologico della donna, lacerata tra i doveri nei confronti della patria e del padre e l’amore sorto per lo straniero Giasone approdato nella terra della Colchide. Nel poeta latino i conflitti psicologici sono complicati da turbamenti religiosi.

Nelle Heroides di Ovidio la donna si muove all’interno di un retroterra elegiaco per approdare, infine, ad una dimensione eroica, che sfocia nella vendetta e nell’omicidio. L’esordio della lettera indulge all’ironia: Esule, senza mezzi, disprezzata, Medea scrive al novello sposo, o forse non hai tempo libero dagli impegni del regno? Eppure mi ricordo: io, regina di Colchide, tralasciai i miei impegni, quando chiedesti che la mia arte ti venisse in aiuto!

La donna si dispiace di non essere morta prima di aver conosciuto Giasone, di essersi innamorata dei suoi capelli biondi, della sua eleganza e della sua facondia. Si dispiace di aver aiutato Giasone impedendogli di morire mentre affrontava i tori dalle teste fiammeggianti. Erano i tori di Marte, pericolosi ben più che per le corna: «Il loro terribile alito era di fuoco, gli zoccoli tutti di bronzo e di bronzo erano ricoperte le narici, anch’esse annerite dal loro fiato. Giasone riuscì ad affrontare questa ed altre prove insuperabili grazie alle arti magiche di Medea».

Vanta, così, i propri meriti di fronte al marito, per averlo accolto quando giunse come forestiero nella Colchide, bello, dallo sguardo ammaliante. Lo accusa di essere un traditore, che si è avvalso della propria facondia e della bocca menzognera: «La sorte ti ha dato il potere di decidere della mia salvezza, e la vita e la morte sono in mano tua. […] Se mi salverai, avrai una gloria maggiore. Ti prego, per le sventure che mi aspettano, dalle quali tu mi puoi sollevare, per la tua stirpe e la divinità del tuo avo che tutto vede, per il triplice volto e per i sacri misteri di Diana e per gli altri dei, se la tua gente ne possiede: o fanciulla, abbi pietà di me, abbi pietà dei miei uomini, fa’ sì che, per il tuo aiuto, io divenga tuo per sempre! E se per caso non disdegni un marito greco […], il mio spirito vitale si dissolva nell’aria leggera, prima che un’altra donna, che non sia tu, divenga sposa nel mio talamo. Sia testimone Giunone, preposta alle cerimonie coniugali e la dea, nel cui tempio di marmo ci troviamo!»   

Medea venne sedotta dall’arte suasoria del giovane greco, che giurava eterna fedeltà fino alla morte. Fu lei ad aiutarlo, non certo la nuova futura sposa che lui attende. Medea tradì il padre, il regno, la patria. Alzò la mano contro il fratello compiendo un’azione che ora nella lettera non ha il coraggio di ricordare. La sua «verginità divenne conquista di un predone straniero». Medea si augura ora che lei e il marito espiino entrambi le proprie colpe morendo in mezzo al mare. La maga alterna alle maledizioni scagliate contro Giasone i dolci ricordi del matrimonio. Toni nostalgici ed elegiaci si mescolano con propositi di vendetta, che diverranno «il sacrificio d’espiazione» per l’assassinio del fratello.

Medea si vede ora sola, abbandonata dallo sposo che era divenuto il suo unico affetto significativo, assoluto, in nome del cuore sacrificare ed offrire tutto il resto. Si sente abbandonata anche dalle arti magiche, ha perso perfino il sonno. Ora «una rivale abbraccia le membra» che lei ha salvato ed è sempre la rivale «a cogliere il frutto» della fatica di Medea. Quando i pensieri della maga confluiscono tutti sulla nuova sposa di Giasone, il desiderio di vendetta sembra dominare definitivamente: «Rida pure, lei, e gioisca dei miei difetti. Rida, […] piangerà e sarà bruciata da fiamme che supereranno le mie. Finché ci saranno ferro e fuoco ed essenze velenose, nessun nemico di Medea resterà impunito».

Ma non è così. Il furor non è divenuto ancora assoluto. Un ultimo assalto può essere lanciato contro il marito, ricordandogli i figli, l’importanza di mantenere vicino a loro la madre e non una matrigna che non vorrà loro bene. Prega con infinite suppliche Giasone di restituirle il letto nuziale, di conservare il giuramento fattole, di restituirle l’aiuto che lei gli ha offerto tempo addietro. Vanta la propria superiorità eroica come un orgoglio insuperabile: «La mia dote sei tu, salvo, la mia dote è la gioventù greca. Va’ ora, disonesto, fa’ il confronto con le ricchezze di Sisifo! Che tu viva, che abbia una sposa ed un suocero potente, il fatto stesso che tu possa essere ingrato, persino questo, è merito mio».

Medea conclude cosciente che «l’ira genera enormi minacce» e che la sua mente sta progettando un’azione scellerata e spropositata. La donna sta alludendo all’omicidio dei figli attraverso il quale rinnegherà la carne della propria carne.

Giovanni Fighera

fonte http://lanuovabq.it/it/medea-la-follia-di-una-tradita-che-tradi-per-passione

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Catullo: voler bene è molto più che una mera passione

Posted by on Ott 9, 2018

Catullo: voler bene è molto più che una mera passione

Nei versi di Catullo l’amore non è divinizzato, ma, in qualche modo, è idolatrato come sentimento assoluto, cui sacrificare tutto e in nome del quale vivere tutti gli istanti. L’eros diventa, così, invito a godere, ad assaporare fino in fondo la gioia dei sensi. Ma quando l’amore è morto, lo è per sempre e va seppellito. Non c’è eternità.

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