Posted by altaterradilavoro on Nov 12, 2019
Giuseppe
Capecelatro (1744-1836), ritratto da Carlo Brulleau, ca 1833-1835, Tretyakov
Gallery, Moskau. Fonte
«Allein man muß viel beobachten ehe man entscheidet, und muß auch auf die Traditionen unsrer Vorfahren achten. Wie viele Erzählungen der Griechen und Römer sind bis jetzt für Mährchen gehalten worden! und doch bestätigt die Erfahrung von Tag zu Tag ihre Wahrheit mehr, zur Beschämung der Neuern welche sie so vorschnell verwarfen.»
Taranto 1778 – 1799
Queste sono le parole di un uomo a cui probabilmente si deve la sopravvivenza della gran parte dei reperti di bisso marino ancora esistenti. Giuseppe Capecelatro (o Capece-Latro) (1744-1836) fu una personalità straordinaria e moderna. Proveniva dalla vecchia nobiltà napoletana, era molto istruito, avvocato e uomo dell’Illuminismo, sensibile alla condizione degli strati più bassi. Molto apprezzato dalla gente comune e dai poveri, fu nominato Arcivescovo di Taranto.
Nonostante Swinburne descriva nel 1783 la difficile situazione economica di Taranto, intravede un lume di speranza nella persona del Capecelatro, che rinuncia alla carriera ecclesiastica per porsi a servizio della sua comunità: «…ma c’è ragion di credere che questi disagi saranno eliminati dagli sforzi patriottici e assennati dell’attuale arcivescovo Monsignor Giuseppe Capecelatro che ha abbandonato la via dell’ambizione color porpora per dedicare la sua vita e il suo ingegno al benessere del gregge e al miglioramento del suo paese nativo.»
Nella lavorazione del bisso Capecelatro vede l’opportunità di migliorare lo stile di vita dei Tarantini. «Dies Muschelthier ist an der calabrischen Küste so häufig, dass der Erzbischof mehrere Arbeiter zum Reinigen und Weben dieses Stoffes in Tarent angestellt hat, welche Arbeiten liefern, die bekannter zu seyn verdienten.» (von der Recke 1815). Egli è responsabile sia del marketing che delle vendite!
Nel 1780, due anni dopo la sua elezione ad Arcivescovo, pubblica il libro Spiegazione delle conchiglie che si trovano nel piccolo mare di Taranto. Il testo è dedicato alla Zarina Caterina II di Russia. L’intermediario è il Tarantino Giovanni Paisiello (1740-1816), direttore d’orchestra alla corte di San Pietroburgo. Insieme ai diversi gusci della Pinna nobilis nonché insieme ai guanti, il sapere sul bisso marino giunge così sino alla corte della Russia – con un impatto notevole (Sada 1983).
Nel Maggio dell’ anno 1792, Friedrich Leopold Graf zu Stolberg (1750-1819), giurista e scrittore berlinese, è ospite dell’ arcivescovo Capecelatro a Taranto. «A margine, simpatico e significativo è l’episodio ricordato da Stolberg: la donna invitata dal Capecelatro per spiegargli tutti i passaggi della lavorazione, si inorgoglisce e si commuove per l’interesse e gli apprezzamenti manifestati dallo straniero. Il giorno dopo Stolberg con sorpresa, riceve in dono dalla donna un paio di guanti, segno tangibile della sua riconoscenza. Sebbene di umili origini e forse analfabeta, la sconosciuta tarantina ha dato prova di grande dignità e garbo tanto da colpire la sensibilità di Stolberg il quale ha avvertito la necessità di tramandarci l’episodio.» (Girelli Renzulli 2000) Questi guanti si trovano oggi nella collezione zoologica del’ Università di Rostock in Germania.
Nel 1797 il re di Napoli Ferdinando IV e la regina Maria Carolina visitano Taranto. Sono ospiti dall’ arcivescovo nella sua villa Santa Lucia. Ritorneranno con «alcuni berrettini di bisso» (Vacca 1966).
Nei tumulti del 1799 Capecelatro è stato arrestato, condotto a Napoli e condannato a dieci anni di prigione. Probabilmente attraverso la mediazione della suddetta regina Maria Carolina, è stato rilasciato nel 1801. Non è mai tornato a Taranto.
Napoli 1801 – 1836
A Napoli, Capecelatro vive al secondo piano del Palazzo Sessa che era stato abitato precedentemente dall’ ambasciatore britannico, Sir William Hamilton e sua moglie Emma. Anche Emma Hamilton era stata omaggiata dal suo futuro amante, Lord Nelson, di guanti di seta di mare: «On 18 March 1804, Nelson, on board the Victory, while blockading the French off Toulon, sent Emma Hamilton … a pair of curious gloves; they are made only in Sardinia of the beards of mussles. I have ordered a muff: they tell me they are very scarce, and for that reason I wish you to have them.» (Appleby 1997)
Nelle lettere che Capecelatro scambiava con il vicario Antonio Tanza di Taranto troviamo citati diversi ordini di oggetti in bisso marino: nel1802 «una camisciola di lanapinna ed un paio di calzette dell’istesso genere» per un marchese Taccone; nel 1804 quattro paia di guanti da uomo e due paia di guanti da donna «di lanapesce» e dodici «berrettini sfioccati» (?); nel 1805 sei paia di guanti da uomo e quattro da donna «di lanapinna» e dodici paia di guanti da uomo «di lanapinna travagliati con qualche maggiore delicatezza» e sei paia di guanti lunghi pder il corto di San Pietroburgo (Vacca, 1966).
Wilhelm von Humboldt (1767-1835) è stato ambasciatore di Prussia presso la Santa Sede a Roma negli anni 1802-1808. Nella sua corrispondenza con Carl August von Struensee, ministro delle Finanze di Prussia, troviamo il bisso marino menzionato più volte. Il 18 Febbraio del 1803, von Humboldt ha risposto alla richiesta Struensee con l’invio di una Pinna: «…und der Pinna marina werde ich mir alle mögliche Mühe geben, und wenn Er mir nur ein Paar Monate Zeit lassen wollen, hoff ich Ihre Befehle genau erfüllen zu können». Il 12 Marzo del 1803, si ritorna nuovamente sullo stesso argomento: «Pinna marina aus Neapel angefordert…». Il giorno di Natale, parla dei suoi ripetuti sforzi a favore della Pinna marina. Il 31 Marzo del 1804 parla di una spedizione di 3 libbri di Pinna marina – una quantità impressionante. È probabile che Capecelatro, con il quale aveva uno scambio di lettere, sia il suo contatto a Napoli.
Nel 1808, Capecelatro diviene ministro dell’Interno per Gioacchino Murat, re di Napoli dal 1808 a l1815, e fratello di Napoleone. «Il più amabile di tutti i verscovi e arcivescovi», così è stato descritto da un’ammiratrice; era brillante come imprenditore e networker. Così narra Gustavo III, re di Svezia: «Lorsqu’on vient à Naples, il faut y voir Pompei, le Vésuve, et l’archevêque de Tarente.» Aveva una fitta corrispondenza con quasi tutti gli studiosi e scrittori del suo tempo: con Goethe, Herder, Kotzebue, Germaine de Staël, Lamartine, Walter Scott, re Ludovico I di Baviera, e molti altri. Con Anna Amalia di Sassonia-Weimar (1739-1807) era legato da una profonda amicizia.
Nel 1808 il filologo e bibliotecario tedesco Johann Simon Karl Morgenstern (1770-1852) è in visita Napoli – presso Capecelatro. «Er fand hier die bekannte würdige Frau Etatsräthin Brun mit ihrer Tochter. …. Beym Abschiede schenkte der Erzbischof der Mad. Brun und Ida meergrüne Handschuhe, die aus den Fasern einer bey Tarent haufigen Seemuschel (pinna marina) gearbeitet werden.» (Morgenstern 1813)
La baronessa tedesca Elisa von der Recke (1754-1833) pubblica in 1815 il suo diario di un viaggio attraverso parte di Germania e Italia negli anni 1804-1806. Descrive una giornata nella sede estiva del arcivescovo di Portici, vicino a Napoli: «Der Erzbischof machte mir bei dieser Gelegenheit ein Geschenk mit einem Paar Handschuh von brauner Farbe, deren seidenartigen Stoff ich nicht kannte; er heißt Byssus, und findet sich an einem Muschelthiere des Meeres, Pinna Marina genannt. Er fordert eine Behandlung wie die Baumwolle, bedarf jedoch eines kleinen Zusatzes von Seide, um verarbeitet zu werden. Dies Muschelthier ist an der calabrischen Küste so häufig, dass der Erzbischof mehrere Arbeiter zum Reinigen und Weben dieses Stoffes in Tarent angestellt hat, welche Arbeiten liefern, die bekannter zu seyn verdienten. Leider ist der Erzbischof der einzige Mann von Geist und thätiger Kraft in der Gegend!» (von der Recke 1815) Allegato troviamo una nota del arcivescovo: «Schreiben des Herrn Erzbischofs von Tarent Don Giuseppe Capece-Latro, auf Veranlassung mehrerer Anfragen aus vielen Ländern Europa’s, über die Natur der Tarentinischen Steckmuschel und die Art ihre Wolle zu verarbeiten» (pdf).
La biblioteca personale dell’ Arcivescovo, si trova presso la Biblioteca Arcivescovile Mons. G. Capecelatro a Taranto, le lettere da e per Capecelatro invece si trovano nella biblioteca della Società di Storia Patria di Napoli, a Napoli. Probabilmente in questi luoghi si potrebbero trovare altre informazioni riguardanti il bisso marino, e forse ulteriori tracce di altri reperti.
Ulteriori fonti: Lorentz 1833, Croce 1927, Solito 1998
fonte http://www.muschelseide.ch/it/geschichte/neuzeit/giuseppe-capecelatro.html
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Posted by altaterradilavoro on Ott 7, 2019
DAL CAMPO DI PRIGIONIA DI FENESTRELLE I PRIMI NOMI DEI SOLDATI NAPOLETANI MORTI DURANTE LA FORZATA DETENZIONE
tratto da OpenOfficeWriter
Il nostro primo studio sui campi di prigionia
per soldati Napolitani, apparso sulla rivista L’Alfiere, diede origine ad un piú
ampio saggio di Fulvio Izzo sull’argomento (I Lager dei Savoia).
Le due ricerche, integrandosi, sono state alla
base di una nuova messa a fuoco dell’ultima storia militare del Sud
indipendente.
Indro Montanelli negò l’esistenza dei campi di
concentramento al Nord per soldati meridionali durante le fasi costitutive
dell’unità d’Italia; ma, la sua, fu una difesa aprioristica e settaria del
principio risorgimentale perché se avesse avuto voglia di documentarsi, ed i
nostri studi offrivano la bibliografia inoppugnabile, avrebbe potuto consultare
i Carteggi di Cavour, base di partenza per conoscere il problema. Bastava
limitarsi al solo volume dedicato all’indice dei precedenti 15 volumi, per
trovare a pag. 188 il titolo “prigionieri di guerra Napoletani” con l’indicazione
di ben 19 dispacci riportati nel terzo volume “La liberazione del
Mezzogiorno” dove si parla diffusamente dei soldati del Sud e del loro
triste destino.
Piú autorevoli studiosi della materia hanno
invece accolte le nostre ricerche con maggior serietà ed il prof. Roberto
Martucci, storico dell’Università di Macerata, ha scritto con coraggio:
“il silenzio della piú consolidata riflessione storiografica
sull’argomento appena evocato, consentirebbe di ipotizzare l’inesistenza o la
non rilevanza del fenomeno dei prigionieri nelle guerre risorgimentali, anche a
causa della stessa brevità degli eventi bellici di quella fase storica,
generalmente limitati a poche settimane di conflitto”.
Impressione che risulta rafforzata dalla
lettura di testi coevi quali quelli del borbonico Giacinto De Sivo, che dedica
poche righe alla questione, o del liberale Nicola Nisco che in proposito tace.
Meraviglia di piú il silenzio conservato dal giornalista e politico liberale
Raffaele De Cesare, che ha scritto a pochi decenni dagli avvenimenti, sulla
base di testimonianze dirette integrate da un’interessante bibliografia, senza
tuttavia prestare la minima attenzione al problema.
Il fatto poi che neppure il compiuto affresco
legittimista di Sir Harold Acton, tracciato in anni a noi piú vicini, si
riferisca al tema crepuscolare della prigionia, sembrerebbe autorizzare una
presa di distanza dalle poche righe con cui padre Buttà tentò a suo tempo di
sfidare l’oblio dei posteri”.
La questione assume però contorni del tutto
differenti se, abbandonato l’alveo della ricostruzione storiografica, proviamo
ad interrogare quell’inesplorato e vasto microcosmo costituito dall’imponente
Carteggio del conte di Cavour.
Occultati tra migliaia di dispacci troviamo,
infatti, una ventina di documenti che evocano a grandi linee una questione non
marginale, suggerendo approfondimenti archivistici tali da riempire una pagina
restata finora bianca nella storia militare dell’unificazione italiana.
Essi aprono anche interessanti prospettive di
ricerca riguardo alle relazioni interpersonali tra settentrionali e meridionali
e all’uso di alcuni stereotipi divenuti di uso frequente nei decenni
postunitari, per qualificare gli appartenenti ai ceti piú umili del cessato
Regno delle Due Sicilie.
Sottoscriviamo le parole dello storico con una
riserva: la conoscenza del problema relativo alla prigionia dei soldati
Napolitani colmerà certamente “una pagina restata finora bianca nella
storia militare dell’unificazione italiana” ma andrà a formare, principalmente,
il capitolo ricostruito a peritura vergogna di una classe politica e di una
dinastia che unificarono in quel modo, “col ferro e col fuoco”, Stati
di tradizione italiana di gran lunga superiore a quella del Piemonte.
Tornando ai nostri studi dobbiamo registrare un
passo in avanti della ricerca, divenuta ormai un tema caro a tanti studiosi che
si sentono eredi, oltre che discendenti, del cessato Regno delle Due Sicilie.
Il passo in avanti riguarda la situazione del campo di concentramento di
Fenestrelle.
Questo luogo, situato a quasi duemila metri di
altezza, sulle montagne piemontesi, divenne la base di raggruppamento dei
soldati borbonici piú ostinati: quelli, per intenderci, che non vollero finire
il servizio militare obbligatorio nell’esercito sabaudo, quelli che si
dichiararono apertamente fedeli al Re Francesco II, quelli che giurarono aperta
resistenza ai piemontesi.
Il luogo non era nuovo a situazioni del genere
perché già Napoleone se ne era servito per detenervi i prigionieri politici ed
un illustre Napoletano, don Vincenzo Baccher, il padre degli eroici fratelli
realisti fucilati dalla repubblica partenopea il 13 giugno del 1799, vi aveva
passato 9 anni, dal 1806 al 1815, tornando a Napoli alla venerabile età di 82
anni.
A Fenestrelle, quindi, giunsero i primi
“terroni” ed in questo luogo molti di essi cessarono di vivere. Il
numero di coloro che trovarono la morte non è certo perché le cronache locali
parlano di migliaia di soldati prigionieri morti ma non registrati. I loro
corpi venivano gettati, “per motivi igienici”, nella calce viva
collocata in una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva all’ingresso
del Forte. Il personale addetto alla fortezza conferma ancora oggi l’esistenza
della vasca.
Ma a Fenestrelle funzionava anche un ospedale
da campo dove furono ricoverati alcuni prigionieri. Coloro che morirono
nell’ospedale vennero annotati nel libro dei morti di Fenestrelle e la
Provvidenza ha permesso che alcune annate del libro parrocchiale dei morti si
sia potuto consultare, anche se molto velocemente.
Il dottor Antonio Pagano, accompagnato dal dott
Piergiorgio Tiscar, discendente del maggiore don Raffaele Tiscar de los Rios,
capitolato a Civitella del Tronto, recatosi il 22 maggio scorso a Fenestrelle
in sopralluogo per organizzare la commemorazione dei nostri prigionieri che si
terrà sabato 24 giugno, ha visionato il libro dei morti ed ha stilato
velocemente l’elenco che ora si pubblica.
I registri del 1860 e del 1861 sono scritti in
francese ed i nostri soldati vengono definiti “prigionieri di guerra
napoletani”.
I registri del 1862, del 1863, del 1864 e del
1865 sono scritti in italiano e definiscono i prigionieri morti “soldati
cacciatori franchi”.
Mancano all’appello i registri dal 1866 al 1870
perché prestati ad uno studioso di Torino. Avremmo modo, in futuro, di colmare
la lacuna e correggere eventuali errori di trascrizione
Elenchiamo ora i nomi dei nostri Caduti con
religiosa emozione al fine di restituire alla loro memoria, dopo 140 anni, gli
onori ed il rispetto che meritano per il sacrificio sopportato.
ANNO 1860
1. Garloschini Pietro, m. 1.10, di Montesacco (?)
2. Conte Francesco, m. 11.11, di Isernia, anni 24
3. Leonardo Valente, m. 23.11, di Carpinosa, anni 23
4. Palatucci Salvatore, m. 30.11, di Napoli, anni 26
5. Suchese (?) Francesco, m. 30.11, di Napoli
ANNO 1861
1. Scopettino Matteo, m. 24.8, di Chieti, anni 22
2. Miggo Salvatore, m. 7.10, di Galatina (Lecce) anni 24
ANNO 1862
1. Donofrio Carmine, m. 16.1, di Villamagna (Chieti) , anni
27
2. Caviglioli Marco, m. 29.1, di Cosciano (?)
3. Palmieri Biagio, m. 5.2, di Teano, anni 23
4. Visconti Domenico, m. 16.4, di Cosenza, anni 28
5. Mulinazzi Francesco, m. 20.7, di Benevento, anni 24
6. Gentile Rocco, m. 24.7, di Avellino, anni 25
7. Leo Vincenzo, m. 18.9, di Veroli (Frosinone), anni 26
8. Lombardi Nicola, m. 25.9, di Modigliano (?)
9. Vettori Antonio, m. 7.11, di Amantea, anni 26
ANNO 1863
1. Mazzacane Cristoforo, m. 18.2, di (?)
2. Pripicchio Raffaele, m. 21.3, di Paola, anni 23
3. Giampietro Giovanni, m. 9.5, di Moliterno, anni 28
4. Milotta Giuseppe, m. 23.5, di Sala, anni 24
5. Spadari Ruggero, m. 25.5, di Barletta, anni 24
6. Serbo Tommaso, m. 17.8, di Triolo – Gareffa (?), anni 26
7. Gaeta Giordano, m. 11.10, di Pellizzano (Salerno), anni
32
8. Gorace Domenico, m. 15.12, di Palma, anni 32
9. Grossetti Angelo, m. 23.12, di Mura (Vestone), anni 25
ANNO 1864
1. Masareca Giuseppe, m. 20.1, di Basilicata, anni 22
2. Morino Santo, m. 29.1, di Mussano (Lecce), anni 26
3. Pastorini Andrea, m. 16.2, di Maregno (?), anni 27
4. Montis Salvatore, m. 24.4, di Tramalza (?)
5. Palermo Giovanni, m. 12.5, di Atripalda, anni 32
6. Cirillo Salvatore, m. 17.5, di Boscotrecase (Napoli), anni
32
7. Pellegrini Massimiliano, m. 11.6, di Colorno (?), anni 26
8. Mossetti Antonio, m. 5.7, di Montalbano Jonico, anni 22
9. Di Giacomo Pasquale, m. 8.7, di Sessa Aurunca, anni
23
10. Giannetto Antonio, m. 19.7, di Zarca (?), anni 30
11. Davarone Francesco, m. 25.7, di Avellino, anni 26
12. Carpinone Cosimo, m. 4.11, di Fossaceca, anni 31
13. Bononato Carmelo, m. 17.11, di Belvedere, anni 27
14. Melloni Antonio, m. 20.11, di Sersini (?), anni 24
ANNO 1865
1. Laise Nunziato, m. 25.1, di Cetrara, anni 24
2. Barese Sebastiano, m. 30.1, di Montecuso, anni 26
3. Catania Angelo, m. 11.2, di Ischitella, anni 22
4. Pessina Luigi, m. 21.2, di Gragnano, anni 27
5. Mossuto Giuseppe, m. 1.4, di Moriale, anni 25
6. Guaimaro Mariano, m. 8.4, di Sala Consilina, anni 30
7. Torrese Andrea, m. 11.5, di Avenza, anni 21
8. Colacitti Salvatore, m. 15.5, Montepaone, anni 24
9. Santoro Giuseppe, m. 20.5, di Sattaraco (?), anni 27
10. Tarzia Pietro, m. 31.5, di Valle d’Olmo, anni 24
11. Palmese Tommaso, m. 6.9, di Saviano, anni 24
12. Ferri Marco, m. 11.10, di Venafro, anni 24
Elenco compilato a Fenestrelle
Il giovedí 25 maggio 2000, alle ore 12,30, da:
– Antonio Pagano
– Pier Giorgio Tiscar
Questi soldati del Sud finirono i loro giorni
in terra straniera ed ostile, certamente con il commosso ricordo e la
struggente nostalgia della Patria lontana.
Erano poco piú che ragazzi: il piú giovane
aveva 22 anni, il piú vecchio 32.
Se non fossero stati relegati a Fenestrelle
probabilmente sarebbero divenuti “briganti” e, forse, anche per
questo motivo, furono relegati a Fenestrelle, fortezza del liberale piemonte,
dove, entrando, su un muro è ancora visibile l’iscrizione: “OGNUNO VALE
NON IN QUANTO E’ MA IN QUANTO PRODUCE” . Motto antesignano del piú celebre
e sinistro slogan che si poteva leggere nei lager nazisti: “ARBEIT MACHT
FREI”.
Non deve destare meraviglia l’abbinamento
perché la guerra del risorgimento, come ha giustamente osservato di recente
Ulderico Nisticò, fu una guerra ideologica. E la guerra ideologica non può che
concludersi con lo sterminio del “nemico”.
FRANCESCO MAURIZIO DI GIOVINE
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