Alta Terra di Lavoro

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La grande cultura nel Regno delle Due Sicilie: Giovan Battista Vico, per esempio

Posted by on Nov 18, 2019

La grande cultura nel Regno delle Due Sicilie: Giovan Battista Vico, per esempio

Ma non è il solo grande nome: tanti i personaggi che, fra ‘700 e ‘800, portarono il Regno delle Due Sicilia a competere nel campo dell cultura con le maggiori potenze dell’epoca: Vincenzo Bellini nella musica, Pugliesi, Landolina e Mangiameli nelle scienze; Tranchina nella medicina; Malvastra nel diritto romano; Bivona nella botanica; Ferdinando Lucchesi Palli nell’economia; Tarallo, Bertini, Morso, nelle opere storiche, scienze e musica, Gaetano Filangeri, Filippo Iuvara, Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani, Giacomo Della Porta, Pietro Giannone, Mario Pagano e così via
di Giovanni Maduli
vice presidente del Parlamento delle Due Sicilie-Parlamento del Sud (Associazione culturale), e componente della Confederazione Siculo-Napolitana

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IL SISTEMA SCOLASTICO NEL REGNO DELLE DUE SICILIE PRIMA E SUBITO DOPO L’UNITA’

Posted by on Nov 12, 2019

IL SISTEMA SCOLASTICO NEL REGNO DELLE DUE SICILIE PRIMA E SUBITO DOPO L’UNITA’

Nei primi anni del 1800, nel Regno delle Due Sicilie, l’educazione dei ragazzi era quasi sempre affidata alla Chiesa, che da secoli svolgeva questo delicato ed importante compito.
    Dopo l’istruzione primaria, della durata di tre anni, seguiva l’apprendimento di un mestiere.
    I giovani figli dei contadini, per necessità, venivano da subito impegnati nei lavori agricoli e quindi erano pochi quelli che frequentavano la scuola primaria.

    Pochissimi erano poi, e quasi tutti figli di famiglie nobili, quelli che continuavano gli studi, sia perché erano i soli che se lo potevano permettere, sia perché erano i soli che potevano accedere, con un’adeguata preparazione, a governare la cosa pubblica.

    Pure gli studi superiori erano affidati, quasi sempre, alla Chiesa.

    Anche se il sistema di educazione borbonico non era né popolare e né proprio brillante, bisogna però riconoscere che, in quei tempi, assicurò al Regno un livello culturale qualitativamente più elevato rispetto agli altri paesi europei.

    Infatti, nel censimento del 1751, Napoli era la prima nelle accademie di scienze e lettere: i meridionali Gaetano Filangieri, Antonio Genovesi, Giambattista Vico, Francesco Lomonaco, Pietro Giannone e tanti altri, fecero scuola in Europa.

    Poi, si svolse a Napoli, dal 20 settembre al 5 ottobre 1845, il congresso degli scienziati e nel 1856, nell’Esposizione Internazionale di Parigi, il Regno delle Due Sicilie ricevette il Premio come terzo Paese più industrializzato del mondo, dopo l’Inghilterra e la Francia.
    Tutto questo grazie ai principali settori industriali dell’epoca che erano la cantieristica navale, quella tessile e quella estrattiva. Degli stati preunitari del Nord, neanche l’ombra.
In precedenza, nel periodo dell’occupazione francese (1806 – 1815), Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat tentarono, senza successo, di introdurre l’istruzione pubblica di tipo laico.
    Nel 1848, il ministro della P. I. del regno delle due Sicilie, Paolo Emilio Imbriani, dopo aver disposto che la nomina e la vigilanza degli insegnanti fosse assegnata ad una commissione provinciale, introdusse l’obbligatoria dell’istruzione primaria per ambo i sessi (decreto del 19 aprile 1848). 

    Nel breve periodo in cui ricoprì l’incarico, il ministro, consapevole della portata politica – sociale del problema dell’istruzione e dell’alto tasso di analfabetismo che impediva la partecipazione delle masse alla vita governativa e ostacolava l’esercizio dei diritti civili anche di alcuni strati borghesi, abolì il decreto del gennaio 1843, sottraendo così l’istruzione primaria al controllo dei vescovi, sottoponendola alle dipendenze del ministero.     

    Nella circolare, annessa al decreto, sollecitava i sovraintendenti locali affinché si adoperassero a diffondere l’istruzione elementare, anche nelle classi più povere.
    Con l’annessione forzata, del 1860, del Regno delle Due Sicilie a quello dei Savoia, il sistema scolastico meridionale cambiò totalmente in quanto venne applicata la legge Casati (ministro, dal 19 luglio 1859 al 21 gennaio 1960, della Pubblica Istruzione nel governo Lamarmora), già in vigore dal 13 novembre del 1859 nel Regno di Sardegna.
     La Legge, studiata per la realtà scolastica piemontese e lombarda, venne estesa gradualmente all’intero Paese, dopo la proclamazione del Regno d’Italia.

     La riforma, tendente a configurare un sistema in cui lo Stato doveva gestisce l’istruzione con la presenza delle scuole private, affrontò anche la “questione analfabetismo”, più elevato nelle regioni meridionali per i motivi detti in precedenza.
     Con la Legge Casati l’Istruzione elementare venne divisa in due gradi: 
1) Grado inferiore di 2 anni, istituito in ogni Comune, con frequenza obbligatoria e gratuita per quanti non ricorrevano all’istruzione “paterna”. L’iscrizione avveniva a 6 anni compiuti con un numero di allievi per classe oscillante tra 70 e 100. 

2) Grado superiore di 2 anni, istituito in tutte le città in cui già esistevano istituti di istruzione pubblica e in tutti i Comuni di oltre 4000 abitanti.

    Inoltre:
– I maestri dovevano essere muniti di una patente di idoneità ottenuta per esame e di un attestato di moralità rilasciato dal Sindaco.

– La responsabilità per l’istruzione elementare era affidata ai comuni, ai quali veniva peraltro vietato di istituire una tassazione di scopo.

    I Comuni del Sud, che avevano seri problemi di cassa, si ritrovarono quindi in difficoltà nel garantire lo svolgimento delle lezioni.

    Inoltre, era fatta in modo da mantenere e perpetuare le differenze sociali, infatti essa prevedeva:
– Una scuola di “serie A” che dal ginnasio – liceo avviava all’università, a cui poteva accedere solo l’aristocrazia e la nuova borghesia liberale;

– Una scuola di “serie B” destinata alla piccola borghesia, con i rami tecnico e normale, da cui derivarono poi l’istituto tecnico e l’istituto magistrale;

– Una scuola di “serie C” destinata alle classi umili, che forniva un apprendistato di lavoro. 
In conclusione, la Legge Casati che poteva essere una buona base di partenza per creare un sistema scolastico di “tipo pubblico – laico”, come tutte le altre leggi, essendo stata semplicemente estesa ed imposta dai Savoia ai popoli annessi, senza la minima considerazione per il loro passato e le loro peculiarità culturali, fallì nel Regno delle Due Sicilie.
   Più tardi Gaetano Salvemini scriveva su La Voce: “Le scuole e tutti gli altri servizi pubblici nel Sud sono nati per motivi esclusivamente elettorali, hanno avuto fin dall’inizio personale volgare e ignorante, fornito di titoli esclusivamente elettorali”.

Francesco Antonio Cefalì

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Conclusioni della fine del Regno delle Due Sicilie

Posted by on Nov 6, 2019

Conclusioni della fine del Regno delle Due Sicilie

L’invasione piemontese del pacifico Stato delle Due Sicilie fu ben più di una semplice sconfitta militare e si può affermare che essa ha tanto inciso sulla nostra vita sociale ed economica che ancora oggi viviamo nell’atmosfera creata da quell’evento, dal quale sono nati tutti i nostri mali presenti. Gli effetti di una sconfitta militare, infatti, per quanto terribili, col tempo vengono sanati se il territorio e la popolazione non vengono annessi a quelli del vincitore. Per le Due Sicilie, invece, a causa della particolare posizione geografica, senza soluzione di continuità territoriale con il resto della penisola italiana, l’annessione ha prodotto effetti così devastanti che la coscienza del popolo stesso ne è stata alterata. La storia più che millenaria del Sud, ricca di immense glorie e di immani tragedie, prima dell’occupazione piemontese era stata la storia di un popolo che non aveva mai perso, nel bene e nel male, la propria identità nazionale. E’ stata, dunque, questa perdita, causata dalla forzata unione con gli altri popoli della penisola; il più grave danno inferto al Popolo Duosiciliano. Il Regno delle Due Sicilie proprio nel 1860 si stava trasformando in un grande Stato moderno. C’erano tutte le premesse, perché allora era una tra le più progredite nazioni d’Europa, ma la delittuosa opera delle sette che governavano la Francia e l’Inghilterra e la sete di conquista savoiarda ne distrussero i beni e le tradizioni, compiendo un vero e proprio genocidio umano e spirituale. Come fu precisato da Lemkin, che definì per primo il concetto di genocidio, esso “non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione…. esso intende designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali…… Obiettivi di un piano siffatto sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali della religione e della vita economica dei gruppi nazionali e la distruzione della sicurezza personale, della libertà, della salute, della dignità e persino delle vite degli individui… non a causa delle loro qualità individuali ma in quanto membri del gruppo nazionale”. Si dice, inoltre, che vi sono due metodi per cancellare l’identità di un popolo: il primo, quello di distruggere la sua memoria storica; il secondo, quello di sradicarlo dalla propria terra per mischiarlo con altre etnie. Noi Duosiciliani abbiamo subito entrambi i soprusi, ma fortunatamente, per la nostra storia di quasi tremila anni, il nostro inconscio collettivo ci ha salvati in parte dalla distruzione della nostra identità nazionale. La principale causa del crollo delle Due Sicilie va, senza dubbio, inquadrata nel marciume generato dalla corruzione massonica. Esso era dappertutto: nelle articolazioni statali, nell’esercito, nella magistratura, nell’alto clero (fatta salva gran parte dell’episcopato), nella corte del Re, vera tana di serpenti velenosi. Infatti, come ha esattamente analizzato Eduardo Spagnuolo: “addebitare ai piemontesi le colpe del nostro disastro e’ vero solo in parte e contrasta anche con i documenti dell’epoca. La responsabilità della perdita della nostra indipendenza e della nostra rovina è per intero della classe dirigente duosiciliana, che si fece corrompere in ogni senso. Non a caso le bande guerrigliere più motivate, come quella del generale Crocco e del sergente Romano, si muovevano per colpire, innanzitutto, i collaborazionisti e gli ascari delle guardie nazionali”. L’opposizione armata, tuttavia, fu soltanto un aspetto della più vasta resistenza all’invasione piemontese, perché la resistenza si sviluppò per anni in modo civile. Numerose furono le proteste della magistratura e dei militari, le resistenze passive dei dipendenti pubblici e i rifiuti della classe colta a partecipare alle cariche pubbliche. Moltissime le manifestazioni di malcontento della popolazione, soprattutto nell’astensione alla partecipazione ai suffragi elettorali, e la diffusione, ad ogni livello, della stampa legittimista clandestina contro l’occupazione piemontese. Mai, nella sua storia, lo Stato delle Due Sicilie aveva subito una così atroce invasione. Quante ricchezze, inoltre, furono distrutte insensatamente, che avrebbero potuto fare veramente grande l’Italia. L’economia dell’Italia meridionale, poi, ebbe un crollo verticale non solo perchè il centro propulsore fu spostato al Nord, che ne venne privilegiato, ma anche perché la concezione dogmatica del liberoscambismo imposto dal Piemonte, impedì in seguito di porvi dei ripari. Il miope colonialismo dei piemontesi, come poi si rivelò l’occupazione dei “liberatori“, divenne una vera e propria tragedia, che dura ancora ai nostri giorni e che solo il conciliante e forte temperamento della gente del Sud ha impedito che divenisse una catastrofe irreversibile. Gli abitanti delle Due Sicilie furono usati, prima come carne da cannone per le altre guerre coloniali dei Savoia, poi come mercato per i prodotti delle industrie del Nord e come serbatoio di voti per quei ciechi politici meridionali, spesso solo servi sciocchi delle lobby del cosiddetto “triangolo industriale”. La classe dirigente meridionale, inoltre, allo scopo di conservare piccoli vantaggi domestici, ha fiancheggiato sempre tutti i governi che si sono avvicendati in Italia dall’inizio dell’occupazione, governi che pur definendosi “italiani”, hanno curato solo e sempre gli interessi di alcuni, i quali per questo mantengono eterna la ” questione meridionale“. Il Popolo delle Due Sicilie, in tutta la sua lunghissima storia, non ha mai fatto una guerra d’aggressione contro altre genti. Ha dovuto, invece, sempre difendersi dalle aggressioni degli altri popoli, che lo hanno assalito con le armi o con le menzogne. Ancora oggi dal Nord dell’Italia, per una congenita ignoranza, alimentata continuamente dalla propaganda risorgimentale avallata dallo Stato “italiano”, siamo ancora puerilmente aggrediti con violenze verbali, con luoghi comuni sui “meridionali”. Nella considerazione di tutti gli avvenimenti succedutisi dopo il 1860 fino ad oggi si può senza dubbio affermare che proprio a causa di quel violento movimento nato nel Nord, il cosiddetto “risorgimento”, si originò un processo autodistruttivo, che, passando attraverso continue guerre, per lo più suggestivamente etichettate, culminò nel fascismo, che, con la sua fine, ridusse a una sciatta repubblica tutta la penisola italiana, così ricca di valori prima del “risorgimento”. I Duosiciliani veraci, tuttavia, sanno di far parte di un paesaggio unico e inconfondibile, sanno che il loro animo immutabile e viscerale, proprio per questo, dovunque si troveranno, si porteranno sempre dietro questa loro contraddizione: quella di essere diventati forzatamente “italiani”.

fonte http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Storia/RegnoDueSicilie/Storia%20Regno%20DueSicilie.htm#sioni

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