Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

1861. Il regno delle Due Sicilie è annesso al Piemonte. Inizia la resistenza (prima parte)

Posted by on Set 24, 2019

1861. Il regno delle Due Sicilie è annesso al Piemonte. Inizia la resistenza (prima parte)

Iniziamo con le scansioni odierne ad aggiungere dei passi interessanti tratti dal volume di Antonio Pagano, Due Sicilie 1830/1880. Anche questa è Storia, forse “leggermente” diversa da quella insegnata nelle scuole italiane. Gennaio Il 1°, a Gaeta, Francesco II e Maria Sofia ricevono i tradizionali auguri per il nuovo anno dagli ufficiali in alta uniforme.

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Il cantiere navale di Castellammare di Stabia

Posted by on Ago 22, 2019

Il cantiere navale di Castellammare di Stabia

Nascita, attività e declino del più antico cantiere d’Italia

Fin dalla fine del 1500 nella zona di Castellammare di Stabia erano presenti numerosi cantieri navali artigianali, già dotati di forme organizzative del lavoro ed in grado di realizzare imbarcazioni più complesse delle semplici barche da pescatori, quest’ultime costruite un po’ dappertutto lungo le coste italiane. Lo sviluppo di tale concentrazione manifatturiera fu favorita dall’abbondanza di materia prima nei vicini boschi demaniali, e consolidò la competenza dei maestri d’ascia stabiesi, che si tramandavano il mestiere da padre in figlio.


Nel 1780 il ministro di Ferdinando IV, Giovanni Edoardo Acton, a conclusione dell’indagine per individuare il sito dove far nascere il grande e moderno cantiere in grado di dotare la Regia Flotta di nuove navi, identificò in Castellammare la località dai requisiti ottimali. I boschi di proprietà demaniale di Quisisana, alle pendici del Monte Faito, garantivano legname, le acque minerali permettevano un trattamento del legno altrove impossibile, i collegamenti con Napoli avvenivano su una strada larga e comoda, la consolidata competenza dei maestri d’ascia stabiesi assicurava disponibilità di maestranze qualificate. La realizzazione del Real Cantiere di Castellammare fu approvatada Ferdinando IV di Borbone, e completata nel 1783 previa l’abolizione del convento dei Carmelitani che sorgeva sul luogo.

Divenne in breve il maggiore stabilimento navale d’Italia per grandezza, con 1.800 operai. Accanto alle maestranze qualificate costituita dagli stabiesi, furono utilizzati  per i lavori più pesanti dei galeotti. La materia prima era era conservata in enormi magazzini; le abbondanti acque minerali erano convogliate in grandi vasche e servivano a tenere a mollo il legname per accelerarne il processo di stagionatura. Aveva uno scalo stabile per la costruzione di vascelli e due provvisori adibiti alla costruzione di corvette [1]. Nel 1843 fu impiantata una macchina a 10 argani per tirare a secco le navi da manutenere o riparare.

Così descrive il cantiere un osservatore del tempo [Achille Gigante, “Viaggi artistici per le Due Sicilie“, Napoli, 1845]: “Esso fu qui stabilito da Re Ferdinando IV, fin da’ primi anni del suo regno, occupandovi un vasto spazio di terreno, nonché l’abolito monasterio de’ Padri Carmelitani. Di buone fabbriche il sussidiò quel principe e di utensili e  macchine necessarie quali a quei tempi poteansi desiderare. Oggidì è il primo arsenale del regno, e tale che fa invidia a quelli di parecchie regioni d’Europa. Sonovi in esso vari magazzini di deposito, e conserve d’acqua per mettere a mollo il legname, e sale per i lavori, e ferriere, e macchine ed argani, secondo che dagli ultimi progressi della scienza sono addimantati, e mercè dei quali abbiamo noialtri veduto con poco di forza e di gente tirare a secco un vascello nel più breve spazio di tempo“ [era il Capri di 1700 tonnellate, il cui alaggio impegnò agli argani, in turni successivi, 2400 uomini: la grandiosità dell’impresa fu immortalata in un acquerello].

Il cantiere iniziò l’attività produttiva con la corvetta Stabia, varata il 13 maggio 1786, seguita, il 16 agosto, dalla Partenope, e procedette a ritmo serrato con molte altre costruzioni.

Le invasioni napoleoniche determinarono un periodo di limitata attività. Sotto Gioacchino Murat, furono costruiti i vascelli Capri (1810) e Gioacchino (1811), le fregate poi rinominate Amalia e Cristina ed impostato il Vesuvio, da 3.530 tonnellate e 84 cannoni. Il vascello fu fatto completare da Ferdinando IV, che dal 1816 aveva assunto il titolo di Ferdinando I delle Due Sicilie, e fu per lungo tempo la nave ammiraglia della flotta napoletana.

“Ieri alle 10 della mattina fu varato nel Cantiere di Castellammare il nuovo Real Vascello di linea il Vesuvio. L’operazione eseguita alla presenza delle LL.AA.RR.. il Duca di Calabria ed il Principe di Salerno non potea riuscire più felice. In men di mezz’ora tutti i lavori preparatorii vennero terminati, ed il Vascello fu varato in tre minuti incirca fra gli applausi de’ circostanti, ed al suono festevole della banda della real Marina.” [2]

Cominciò quindi l’era della navigazione a vapore, e la prima nave a vapore costruita da uno Stato italiano fu il Ferdinando I, realizzato nel cantiere di Stanislao Filosa al Ponte di Vigliena, presso Napoli, varato il 24 giugno 1818.

Con Francesco I furono costruite, in questo periodo, la fregata Isabella (50 cannoni) nel 1827, il brigantino da 18 cannoni Principe Carlo e la nave reale Francesco I nel 1828.

Con l’ascesa al trono di Ferdinando II, ci fu un ampliamento e rimodernamento del cantiere e si portò avanti lo sviluppo su larga scala del vapore. Furono realizzati i rimorchi a vapore Eolo, Furia ed Etna (1838), i cavafondi a vapore Finanza, Tantalo ed Erebo, gli avvisi Argonauta e Delfino (vapore, 26 maggio 1843), la fregata Regina (convertita a vapore, 27 settembre 1840), le piro-fregate da 10 cannoni (a ruota)  Ercole (24 ottobre 1843), Archimede (3 ottobre 1844), Carlo III (1845), Sannita (7 agosto 1846) ed Ettore Fieramosca (14 novembre 1850), la prima nave a possedere una macchina da 300 cavalli costruita a Pietrarsa. Il 5 giugno 1850 fu varato il vascello Monarca da 70 cannoni, la più grande nave da guerra costruita in Italia, convertita, dieci anni dopo, ad  elica. Seguirono altre unità, tra cui gli avvisi Maria Teresa (18 luglio 1854) e Sirena (9 novembre 1859) rispettivamente da 4 e 6 cannoni; i cavafanghi Vulcano e Finanza detto il Nuovo nel 1855, e la fregata Torquato Tasso (10 cannoni, 28 maggio 1856). Le motrici provenivano non solo dalla Reale fabbrica di Pietrarsa, ma anche da stabilimenti privati come la Zino.

Con Francesco II, il 18 gennaio 1860 fu varata la Borbone, fregata ad elica di 3680 tonnellate, che chiuse l’era dei pesanti vascelli di legno a poppa tonda, potenti ma non molto veloci. La Borbone era lunga m 68 e larga m 15. L’apparato motore, realizzato negli stabilimenti di Pietrarsa erogava 457 cavalli per la motrice alternativa a grifo oscillante. Aveva due ponti a batteria coperti, tre alberi a vele quadre. La fregata era armata con 8 cannoni rigati da 160, per la prima volta usati nella Marina napoletana, 12 cannoni lisci da 72, 26 pezzi da 68 e 4 cannoni da 8 in bronzo, su affusto. Il suo equipaggio era composto da 24 ufficiali e 635 sottufficiali e comuni. La gemella Farnese non fu completata a causa dell’invasione piemontese del 1860.

Con i Borbone fu realizzato dal Cantiere di Castellammare, dal 1840 al 1860, naviglio per un totale di oltre 43.000 tonnellate.

Il cantiere di Castellammare di Stabia, al momento della conquista piemontese, stava attrezzandosi per la lavorazione di scafi in ferro. Dopo la caduta del Regno delle Due Sicilie, il cantiere riuscì per alcuni anni a mantenere una posizione di primaria importanza nelle costruzioni navali italiane. Passiamo in rassegna alcune delle realizzazioni più significative.

Il Cantiere oggi

Castellammare fu, come abbiamo visto, il cantiere dell’Amerigo Vespucci (che ancora oggi desta stupore e meraviglia, quando si presenta nei porti di tutto il mondo durante le crociere dei cadetti di Marina), del battiscafo Trieste (1953) e di centinaia di altre belle navi.

Privato fin dal 1970 del settore progettazione e della selezione degli acquisti esterni, lo stabilimento di Castellammare è oggi di proprietà della FINCANTIERI – Cantieri navali Italiani S.p.A. Si estende su circa 236.000 mq. dei quali 78.000 mq. coperti, non ha bacino galleggiante, ma uno scalo di 234 m, largo 32 m. Dispone di quattro gru, ognuna con capacità di sollevamento di 200 tonnellate. Vi lavorano 450 operai circa.

Il Cantiere oggi

Castellammare fu, come abbiamo visto, il cantiere dell’Amerigo Vespucci (che ancora oggi desta stupore e meraviglia, quando si presenta nei porti di tutto il mondo durante le crociere dei cadetti di Marina), del battiscafo Trieste (1953) e di centinaia di altre belle navi.

Privato fin dal 1970 del settore progettazione e della selezione degli acquisti esterni, lo stabilimento di Castellammare è oggi di proprietà della FINCANTIERI – Cantieri navali Italiani S.p.A. Si estende su circa 236.000 mq. dei quali 78.000 mq. coperti, non ha bacino galleggiante, ma uno scalo di 234 m, largo 32 m. Dispone di quattro gru, ognuna con capacità di sollevamento di 200 tonnellate. Vi lavorano 450 operai circa.

Costruisce navi cisterna e rinfusiere, nonché cruise ferries (Bithia e Janas), car-carriers.

Alfonso Grasso

fonte http://www.ilportaledelsud.org/castellammare.htm

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Il martirio della famiglia Reale di Francia

Posted by on Gen 31, 2019

Il martirio della famiglia Reale di Francia

(di Cristina Siccardi) Il 21 gennaio scorso, con diverse sante Messe in Francia e non solo, si è celebrato l’anniversario della decapitazione di re Luigi XVI. Nulla può la propaganda di fronte alle pagine di Storia. La persecuzione perpetrata nei confronti dei cattolici Reali di Francia è Storia: è scritta nelle cronache, nelle memorie, nei documenti d’archivio, nelle testimonianze, nei libri.

Ciò che la famiglia reale visse sotto la Rivoluzione francese, genitrice di persecuzione e di mostruosità, appartiene a quelle vicende che nessuno può cancellare, anche se non vengono raccontate e insegnate perché nemiche di quei principi che pervadono ancora la Francia e l’Europa di oggi. Gli esponenti della Rivoluzione francese avviarono la scristianizzazione nel Continente a colpi ideologici di “libertà” e di ghigliottina. La vulgata bara, le fonti sono pietra viva.

Pietra viva come i racconti di Madame Royale, ovvero Maria Teresa Carlotta di Borbone-Francia (Versailles, 19 dicembre 1778 – Frohsdorf, 19 ottobre 1851), figlia primogenita di Luigi XVI di Borbone-Francia e di Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena, duchessa d’Angoulême, delfina di Francia (per alcuni minuti nel 1830 anche Regina di Francia), contessa di Marnes in esilio. Nelle sue Memorie ella parla della prigionia della sua famiglia incarcerata nella Torre del Tempio: «[…] si aveva avuto la crudeltà di lasciar solo il mio povero fratello; barbarie inaudita; […] Abbandonare così un infelice fanciullo di otto anni […] senza altro soccorso che un cattivo campanello che egli non suonava mai, tanto aveva terrore della gente che avrebbe chiamato, preferendo mancare di tutto, che domandare la più piccola cosa ai suoi persecutori. Egli stava in un letto che non era mai stato rifatto da più di sei mesi e che egli non aveva più la forza di rifare; le pulci e le cimici lo coprivano; la biancheria e la sua persona ne erano piene. […] Le sue feci restavano nella camera, e nessuno le aveva tolte in questo periodo. La sua finestra, chiusa a catenaccio, e con sbarre, non veniva mai aperta e non si poteva restare in quella camera per l’odore infetto» (Racconto degli avvenimenti accaduti al Tempio dal 13-8-1792- alla morte del Delfino Luigi XVII, Casa Editrice Ceschina, Milano 1964, pp. 95-96). Il fratello era Luigi Carlo Borbone (Versailles, 27 marzo 1785 – Parigi, 8 giugno 1795). Dalla morte di suo padre nel 1793, fu considerato re di Francia e di Navarra con il nome di Luigi XVII dai monarchici francesi e dalle corti europee. Venne murato vivo nel Tempio in condizioni disumane, sotto il controllo degli aguzzini per oltre due anni che lo lasciarono in una cella putrida, piena di topi, di insetti e di parassiti, con poca luce di giorno e buio completo di notte. Malnutrito e malato, morì all’età di dieci anni.

La famiglia reale di Francia venne catturata nella notte del 6 ottobre 1789, quando un’orda inferocita ed avvinazzata di 20 mila persone, armate di fucili, sciabole, forche e bastoni da Parigi si diresse a Versailles, invadendo il castello. Mentre si verificavano scene orribili di violenza, con massacri, teste decapitate e portate sui picchetti come trofei, Luigi XVI e i suoi congiunti vennero trasportati a Parigi fra le urla, le minacce e le imprecazioni. La famiglia venne imprigionata nel palazzo delle Tuileries. Mentre tutti i principi e le principesse cercarono di fuggire fuori dalla capitale e dalla Francia, la sorella del Re, Elisabeth Philippine Marie-Helene de Bourbon, chiamata Madame Elisabeth, rimase al proprio posto, vicino al fratello, alla cognata, al piccolo Delfino di Francia e alla nipotina Carlotta, assolvendo la propria missione di consolatrice.

Dopo umiliazioni indicibili e sofferenze inaudite, Maria Antonietta venne decapitata il 16 ottobre

  1. La sua ultima lettera, conosciuta come Testamento (scolpito nel marmo nero e a caratteri dorati nella Chapelle expiatoire di Parigi, in piazza Luigi XVI, al 29 di rue Pasquier, nell’VIII arrondissement), fu indirizzata alla cognata Elisabetta: «È a voi, sorella mia, che scrivo per l’ultima volta; sono condannata non ad una morte infamante, perché tale è soltanto per i criminali, ma a raggiungere vostro fratello». E dopo averla pregata di essere la seconda madre dei suoi orfani, si accommiatò con queste parole: «Addio, mia buona e tenera sorella; speriamo che questa vi giunga! Pensate sempre a me; vi bacio con tutto il cuore, insieme con quei poveri e cari bambini!». La lettera non fu recapitata. Persuasa che l’irreligione e l’immoralità attirassero sul Paese i castighi di Dio, Elisabetta considerava il Sacro Cuore di Gesù come il solo rimedio per le sofferenze del popolo e la salvezza della nazione. Compose vari atti di consacrazione della Francia al Divin Cuore e fu anche molto devota al Sacro Cuore di Maria Santissima.

I persecutori dell’ordine e della Chiesa di Cristo non potevano tollerare il titolo di Rex Christianissimus di Luigi XVI, né che egli fosse stato unto con l’olio sacro nella cattedrale di Reims e lo assassinarono. Lo fecero salire sul patibolo il 21 gennaio 1793. Il corteo che lo condusse dalla Torre del Tempio alla Place de la Révolution (oggi Concorde), avanzò fra due linee di guardie armate di fucili e di picche, tra gli insulti dei sanculotti ubriachi. Il suo confessore, l’irlandese padre Edgeworth de Firmont, gli sussurrò all’orecchio: «Sire, in questo supremo oltraggio io non vedo altro che un ulteriore tratto di somiglianza fra Voi e Nostro Signore Gesù Cristo, che sarà la vostra ricompensa». Presentandosi al boia Sanson, il Re gli porse le mani e se le fece legare: «Fate ciò che volete!». Poi avanzando verso il patibolo: «Perdono gli autori della mia morte…». Allora lanciò un proclama alla piazza affollata: «Figli di Francia! Io muoio innocente! Perdono gli autori della mia morte, e chiedo a Dio che il sangue oggi versato non ricada mai sulla Francia. Quanto a voi, o popolo sfortunato…»,. Il generale Santerre, comandante della truppa schierata sulla piazza, temendo una reazione positiva della gente per il sovrano, levò la spada e ordinò di riprendere il rullio dei tamburi per coprire la voce del Re. La lama della ghigliottina cadde sul collo di Luigi XVI. Sanson prese per i capelli la sua testa gocciolante di sangue e la mostrò al popolo silenzioso.

Papa Pio VI, profondamente ferito da quella barbarie – che aveva abolito «la più prestigiosa forma di governo, quella monarchica» – parlerà di «martirio» del «cristianissimo re Luigi XVI», inflitto in odio alla religione cattolica, nell’allocuzione Quare lacrymae del 17 giugno 1793. Il Papa paragona il martirio di Luigi XVI a quello di Maria Stuarda: «Sappiamo da Sant’Agostino che “non è il supplizio che fa il martire, ma la causa”. […] Pertanto per dichiarare un vero martirio è sufficiente che il persecutore, per procurare la morte, sia mosso dall’odio contro la Fede, anche se l’occasione della morte provenisse da altri motivi, che, a causa delle circostanze, non appartengono alla fede” […] E chi mai potrebbe mettere in dubbio che quel Re fu messo a morte per odio contro la Fede e oltraggio ai dogmi del Cattolicesimo». (https://w2.vatican.va/content/pius-vi/it/documents/allocuzione-quare-lacrymae-17-giugno-1793.html).

Condotta al patibolo il 10 maggio 1794, Elisabetta, che contava 30 anni e aveva vissuto in virtù, consacrandosi in cuor suo a Dio all’età di 15, non soltanto non si coprì gli occhi di fronte alla carneficina, ma rimase sorridente e orante fino alla fine. Ad alta voce chiamò, una ad una, le vittime che venivano ghigliottinate senza pietà, invitandole ad aver fede in Dio e, se donne, le abbracciava oppure le salutava con un sorriso. Poi toccò a lei. E quando il biondo capo cadde, aggiungendo sangue su sangue, la piazza ammutolì. Nel novembre 2017 è stata introdotta la sua causa di beatificazione.

Cristina Siccardi

fonte https://www.corrispondenzaromana.it/il-martirio-della-famiglia-reale-di-francia/

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Elenco vittime di Mafia, i nostri martiri-eroi

Posted by on Nov 23, 2018

Elenco vittime di Mafia, i nostri martiri-eroi

“loro” dicono che al Sud non ci ribelliamo alla mafia… ma sono 153 anni che lo facciamo!! Riportiamo, in questo articolo, l’elenco delle centinaia e centinaia di uomini e donne uccise dalla bestia mafiosa, sono tutti (tranne alcuni che ci onoriamo di ricordare in questo elenco) cosiddetti “meridionali”..un elenco da leggere con commozione e in silenzio ma allo stesso tempo un elenco che ci riempie di orgoglio e voglia di continuare a COMBATTERE!

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