Posted by altaterradilavoro on Gen 14, 2019
Maria
Sofia, forte del suo temperamento tedesco, malgrado la giovanissima età, capì
subito che la politica del Regno era nelle mani di Maria Teresa, che godeva dell’appoggio della Corte e del partito
filoaustriaco. La regina madre, infatti, aveva esercitato tutta la sua
influenza sul marito, pur essendo Ferdinando autoritario e deciso, e pensò di
continuare l’opera di soggezione con il nuovo re, di cui conosceva il carattere
timido e remissivo.
Le sue
mire furono subito contrastate dal fiero orgoglio della Wittelsbach, che si
mise subito in urto con la suocera e rivendicò con fermezza il suo ruolo di
regina, avendo capito che Francesco non aveva alcuna competenza in fatto di
politica e di affari di Stato.
Fu Maria
Sofia, infatti, a convincere il marito, subito dopo l’incoronazione, a
concedere l’amnistia ai detenuti politici per gli avvenimenti del ’48 e a
ordinare l’abolizione della schedatura di tutti quei cittadini in fama di
essere liberali. In pratica, gli affari di Stato passarono nelle mani della regina
malgrado l’ostilità della Corte tutta schierata a favore della vedova di
Ferdinando.
Maria
Sofia rivelò subito un carattere forte e deciso, idee molto chiare ed un
coraggio impensabile in una fanciulla appena diciottenne. La prima occasione in
cui la regina dimostrò appieno il suo temperamento avvenne circa un mese dopo
la sua incoronazione, quando a Napoli scoppiò la rivolta dei mercenari
svizzeri.
Ferdinando
II, molto consapevole ed esperto di arti militari, aveva infatti creato nel suo
esercito quattro reggimenti di mercenari svizzeri coraggiosi, forti e bene
addestrati al combattimento, costituivano l’orgoglio del re e rappresentavano
la punta di diamante dell’esercito borbonico. Quando la Svizzera decise di
abolire il mercenariato, che costituiva un residuo anacronistico degli eserciti
dell’età moderna, il governo elvetico ordinò a tutti i mercenari svizzeri di
togliere dalle loro uniformi i simboli cantonali, minacciandoli di privarli
della cittadinanza.
Questi
soldati avevano sempre goduto della protezione e della benevolenza di re
Ferdinando, che li considerava fedelissimi ed esperti nell’arte della guerra.
Pertanto accusarono il nuovo re di avere ignorato i loro diritti e di non
averli saputi difendere adeguatamente dai provvedimenti del governo svizzero.
La
rivolta dei mercenari scoppiò la sera del 7 luglio e si estese rapidamente con
violenza in tutta Napoli: furono incendiati negozi, infrante a fucilate le
finestre delle abitazioni, distrutte alcune carrozze nobiliari; intorno alla
mezzanotte i rivoltosi si piazzarono dinanzi alla reggia di Capodimonte, dove
soggiornava la famiglia reale.
La paura
fu grandissima: la regina madre, presa dal panico, raccolse i figli e si
preparò alla fuga; Francesco si chiuse in preghiera nella stanza della madre.
Solo Maria Sofia dimostrò il suo coraggio ed il suo forte temperamento: si
affacciò dalla terrazza e cominciò ad inveire in tedesco contro i rivoltosi,
ordinando subito dopo ad un ufficiale della scorta reale di trattare con i
mercenari in rivolta.
La piena
fermezza della giovane regina e il suo fiero comportamento ebbero l’effetto di
placare gli animi e sedare la rivolta. Purtroppo, però, mentre i rivoltosi
stavano per allontanarsi, giunse sul posto un reggimento di mercenari rimasti
fedeli alla Corona e fu scontro a fuoco violentissimo, con morti e feriti da
ambo le parti.
Qualche
giorno dopo questi avvenimenti giunse dalla Curia Pontificia la notizia che il
Papa aveva proclamato “venerabile” la regina Maria Cristina.
Francesco considerò questo fatto quale un celeste intervento della madre in
occasione dei drammatici avvenimenti di quei giorni.
Dopo la
vittoria della coalizione franco-piemontese a Magenta, erano scoppiati a Napoli
alcuni focolai insurrezionali rapidamente soffocati. Maria Sofia aveva percepito
il campanello di allarme e, sebbene fosse ancora estranea alla politica del
Regno ed agli affari di Stato, capì che al timone del governo napoletano
occorreva un uomo forte, fedele e deciso.
Nel
Paese si erano andati delineando, da tempo, due partiti, non sempre chiaramente
identificabili sul terreno dell’ideologia: uno era quello austriaco, legato
alla burocrazia militare, alla nobiltà, all’alto clero; l’altro raccoglieva
quella parte della borghesia più illuminata, vagamente liberale, riformista con
presupposti costituzionali.
La
regina Maria Sofia si era schierata a capo del secondo movimento, avendo
intuito che la salvezza del Regno andava riposta in un processo di
svecchiamento e di rinnovamento delle vecchie strutture burocratiche, atto a
favorire il ricambio di una classe dirigente non più all’altezza del nuovo
tempo che si andava profilando in Italia e in tutta Europa.
Con
un’azione sottile di convincimento, Maria Sofia convinse il marito a sottrarsi
all’egemonia della regina madre, favorevole al partito austriaco, e lo indusse
a nominare a capo del governo il principe Carlo Filangeri di Satriano.
La giovane regina aveva mostrato
subito una grande simpatia per il Filangeri e lo considerava un politico
accorto, deciso e soprattutto fedelissimo alla causa dei Borbone.
La scelta del principe di Satriano quale primo ministro fu fortemente
osteggiata dalla regina madre Maria Teresa, ma il re, confortato dall’appoggio
della moglie, fu deciso nel suo orientamento politico anche perché sapeva che
Filangeri era a favore di una Costituzione ed aveva in mente l’idea di favorire
una distensione dei rapporti con Francia e Inghilterra, tradizionalmente ostili
alle Due Sicilie.
Maria
Sofia, inoltre, diffidava fortemente dei Savoia e con uno straordinario intuito
aveva messo in guardia il marito affinché non si fidasse dei cugini sabaudi.
Intuito che in seguito si rivelerà confermato dai drammatici avvenimenti che
porteranno al crollo del Regno. Purtroppo, il mite Francesco era convinto che
la sorte del Regno fosse nelle mani di Dio e della sua “Santa madre”.
Questo
convincimento gli fece perdere l’unica grande occasione di salvezza del suo
trono: infatti Cavour, che aveva abilmente tessuto l’alleanza antiaustriaca con
Napoleone III, dopo avere soddisfatto le sue mire espansionistiche nella
pianura padana ed in Toscana, mirava ad un progetto politico di ampio respiro:
la formazione in Italia di tre grandi Stati: il Piemonte sabaudo al nord, lo
Stato Pontificio al centro, le Due Sicilie al sud. Nel progetto erano previste
garanzie costituzionali, riforme liberali e amnistia per gli esuli politici.
Il piano
dello statista piemontese prevedeva, però, una parziale soppressione del
territorio della Chiesa, con il territorio di Perugia ed Ancona che sarebbe
stato annesso al Regno di Napoli. Le trattative furono condotte dal conte di
Salmour, un francese abilissimo nelle trattative diplomatiche.
Il
principe Filangeri aderì al progetto pur con qualche perplessità. Maria Sofia
ci pensò a lungo e ne discusse favorevolmente con il primo ministro, ma fu
Francesco a respingere con sdegno il progetto: non avrebbe mai accettato di
sottrarre del territorio alla Santa Chiesa. I suoi scrupoli religiosi non gli
permettevano di mettersi in urto con Pio IX, che lo aveva sempre protetto (e
che lo proteggerà, in seguito, nella disgrazia). Il fallimento delle trattative
determinò le dimissioni del principe di Satriano, ma la regina lo convinse a
riprendere le redini del governo in un momento che si presentava
particolarmente difficile per la Corona.
Filangeri
ritirò le dimissioni e, su consiglio della regina, preparò una bozza di
Costituzione; il primo ministro, confortato da eminenti giuristi napoletani
(Napoli aveva allora le più prestigiose scuole giuridiche d’Italia), portò a
termine il suo lavoro in tutta segretezza per evitare reazioni da parte del
partito austriaco, egemonizzato dall’ex regina.
Malgrado
ciò l’austriaca ebbe sentore della stesura della nuova Costituzione e, con
l’appoggio dell’alta burocrazia militare, dell’aristocrazia e dell’alto clero,
organizzò un complotto per destituire Francesco e porre sul trono il suo
primogenito: Luigi conte di Trani. Un vero e proprio colpo di Stato!
Ma
l’abilissima Maria Sofia venne a conoscenza della congiura contro il legittimo
re e, con l’aiuto del Filangeri, portò a Francesco le prove del complotto,
chiedendo, infuriata, l’esilio della intrigante suocera e la messa al bando dei
fratellastri.
Francesco,
terrorizzato dal prendere un simile provvedimento, non ebbe la forza di
ascoltare il consiglio della moglie, anche perché la matrigna gli giurò,
falsamente, che le accuse contro di lei erano volgari menzogne e che mai ella
avrebbe avuto in animo di tramare contro il legittimo re delle Due Sicilie.
Francesco, nella sua infinità bontà le credette e sopportò con rassegnazione
l’ira della moglie, che giustamente lo accusava di essere un inetto e incapace
a reggere il trono.
Il
principe di Satriano, questa volta, presentò le sue dimissioni irrevocabili e
si ritirò definitivamente dalla politica. Al suo posto il re chiamò il principe
di Cassano, un reazionario e persecutore dei liberali. Il partito austriaco
aveva trionfato! Il successivo crollo del Regno pone le sue premesse proprio in
questo iniziale tradimento nei confronti di un re onesto e leale come Francesco
II.
Nel frattempo Cavour ordiva la sua
rete di corruzione che avrebbe minato alle fondamenta la già traballante
mo-narchia borbonica.
Consapevole della debolezza del re di Napoli e dell’infedeltà della sua Corte,
lo statista piemontese reperì una forte somma di denaro (gli storici parlano di
4.800.000 ducati) da appoggiare con fedi di credito al Banco di Napoli.
Con
questo denaro vennero corrotti generali, ammiragli, funzionari dello Stato; fu
corrotto lo stesso ministro di Polizia, Liborio Romano, e lo zio di Francesco,
fratello del padre, Leopoldo conte di Siracusa. Il Piemonte, con la tacita
complicità dell’Inghilterra, organizzò l’aggressione al libero e sovrano Regno
delle Due Sicilie, affidandone l’esecuzione a Garibaldi.
L’invasione
del Regno di Napoli, infatti, doveva apparire agli occhi della comunità
internazionale come l’iniziativa autonoma di un’avventuriero, poiché il
Piemonte temeva la reazione della Santa Alleanza, Austria in testa.
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Posted by altaterradilavoro on Gen 13, 2019
“Femme hèroique qui,
reine soldat, avait fait elle meme son coup de feu sur les remparts de Gaete”.
Così Marcel Proust ne “La prisonnière”, canta della regina soldato, la diciannovenne Maria Sofia di
Borbone, che sugli spalti di Gaeta non esitò a sostituire un artigliere ferito
a morte, continuando il fuoco contro gli assedianti piemontesi.
Il mito dell’eroina di Gaeta non è stato mai
offuscato dal passare del tempo, anche se i testi di storia hanno ignorato o
addirittura vituperato la figura, la personalità e il comportamento eroico
dell’ultima regina delle Due Sicilie. Gabriele D’Annunzio definì Maria Sofia
“l’aquiletta bavara che rampogna”, intendendo con queste parole
disprezzare la regina che si oppose con tutto il suo coraggio all’usurpazione
sabauda del Regno delle Due Sicilie.
Maria Sofia, infatti, tentò di riconquistare
sino all’ultimo della sua vita quella patria meridionale che lei, tedesca di
nascita, aveva fatto sua e profondamente amata.
Maria Sofia era figlia di Massimiliano e
Ludovica di Wittelsbach; Massimiliano duca in Baviera, mentre Ludovica, sua
moglie, era una delle nove figlie del re.
“….Quando giunse anche per Maria Sofia
il tempo del matrimonio, la ragazza aveva diciassette anni; la duchessa
Ludovica, forte del buon esito del matrimonio dell’altra figlia, si adoperò per
trovare anche per Maria Sofia una testa coronata. In Germania i partiti
disponibili erano scarsi e poco ragguardevoli; per un momento la duchessa madre
pensò al principe ereditario di Baviera, il futuro Ludwig II, omosessuale e
pazzo, che per le sue stravaganti follie avrebbe portato in seguito il Regno al
collasso politico ed economico.
Per fortuna di Maria Sofia l’evento non si
concretizzò mai, per cui Ludovica, con l’aiuto della Corte di Monaco, iniziò a
scandagliare, con opportune iniziative diplomatiche, i migliori partiti delle
case regnanti d’Europa. La risposta non tardò a venire: le comunicarono che il giovane
principe ereditario delle Due Sicilie, un regno immerso nel sole del bacino del
Mediterraneo, era pronto a convolare a nozze.
Maria Sofia, pur non conoscendo il futuro
sposo, fu infantilmente entusiasta della prospettiva di poggiare sul suo capo una
corona di regina, e immaginò il suo futuro sposo bello e aitante come il marito
della amata sorella.
La giovane Wittelsbach sognò quindi di vivere
la stessa favola di Elisabetta e del suo principe azzurro.
Il duca Max, che trascorreva le sue vacanze, come
al solito, all’estero, le inviò un telegramma con cui sconsigliava questa
unione: evidentemente dal suo frequente vagabondare in Europa non aveva tratto
buone informazioni sul principe ereditario delle Due Sicilie.
Le trattative matrimoniali furono condotte dal
conte Carlo Ludolf, ambasciatore di re Ferdinando II, e dallo stesso zio di
Maria Sofia, il re di Baviera. Re Massimiliano aveva già preso tutte le
informazioni possibili sulla vita, le abitudini, il comportamento del giovane
Francesco, duca di Calabria.
D’altra parte si sapeva in tutta Europa che
l’erede al trono di Napoli aveva ricevuto un’educazione confessionale, che
preferiva gli studi di teologia piuttosto che le iniziative politiche, che non
amava le donne, la caccia, le feste e gli altri svaghi di corte; preferiva la
preghiera, la meditazione, tutto l’opposto del suo sanguigno genitore.
Francesco nutriva una particolare devozione per
la madre, Maria Cristina di Savoia, detta “la Santa” dai Napoletani
per la sua vita ascetica e di preghiera, ben lontana dalle attività della
rumorosa e festaiola Corte Borbonica.
La regina era morta a ventiquattro anni subito
dopo il parto, lasciando il figlio privo per sempre dell’amore di madre. Questo
avvenimento aveva fortemente inciso sul carattere chiuso, mite e remissivo di
Francesco, e lo aveva spinto più ad una vita di meditazione e di pensiero che
ad un’attività politica consapevole degna di un principe ereditario.
Anche
il padre Ferdinando II, conoscendo il debole carattere dell’erede al trono, non
si era occupato della sua educazione come del resto aveva fatto nei confronti
degli altri figli avuti dal secondo matrimonio con l’arciduchessa Maria Teresa
d’Asburgo.
Ferdinando amava moltissimo i suoi figli, ma alla stregua di un buon padre di
famiglia borghese e non con la responsabilità di un sovrano di una delle più
antiche dinastie d’Europa.
Di conseguenza Francesco, pur essendo l’erede
al trono, era rimasto lontano dalla politica: il padre gli aveva inculcato
l’idea che il Regno era sicuro e tranquillo, in quanto i suoi confini stavano
fra l’“acqua santa” (lo Stato Pontificio) a nord e l’“acqua salata” a
sud (le coste e la Sicilia).
I
rapporti fra le Due Sicilie ed il papato erano ottimi. Pio IX aveva una
particolare predilezione per il re di Napoli, memore della generosa ospitalità
del sovrano negli anni del suo esilio da Roma.
Le nozze tra Francesco di Borbone e Maria Sofia furono celebrate per procura, a
Monaco, l’8 gennaio 1859; la sposa giunse a Bari a bordo della fregata
borbonica Fulminante la mattina del 3 febbraio. Quando la fregata entrò nel
porto, tutte le navi alla fonda la salutarono con salve di cannone, mentre
sulle banchine una folla impressionante salutava e batteva le mani.
Le strade di Bari erano coperte da bandiere e
le campane di tutte le chiese suonarono a stormo. Sulla banchina principale del
porto dieci carrozze ospitavano tutta la famiglia reale venuta a rendere
omaggio alla futura regina di Napoli.
Maria Sofia, dall’alto del ponte, osservava con
trepidazione la città festante cercando di scorgere, fra quella marea di gente,
il suo giovane marito. Francesco era già salito a bordo della lancia reale, con
la regina madre e tutto il seguito. Mancava solo re Ferdinando, che era rimasto
in carrozza perché già colpito dal male che di lì a poco lo avrebbe condotto
alla tomba. Francesco indossava l’uniforme di colonnello degli ussari, mentre
Maria Sofia sfoggiava uno splendido abito di velluto cremisi appena coperto
dalla pelliccia di zibellino.
La fanciulla apparve a Francesco in tutto lo
splendore della sua bellezza: occhi turchini, brillanti, i lunghi capelli neri
sciolti sulle spalle, il portamento fiero ed elegante. L’avvenenza della sposa
fece aumentare la timidezza congenita del giovane principe, che si limitò ad un
«Bonjour, Marie» e ad un compassato baciamano.
Nel tardo pomeriggio avvenne la cerimonia
religiosa nel palazzo reale della città. Maria Sofia si adornò con i gioielli
più fastosi della Corona di Napoli, portati appositamente dalla capitale per
ordine di Ferdinando II. La benedizione nuziale fu impartita dall’arcivescovo
di Bari, che lesse anche la speciale benedizione di Pio IX. Le navi nel porto
spararono a salve e le bande suonarono l’inno di Paisiello.
Il 7 marzo la famiglia reale fece ritorno a
Napoli a bordo della fregata Fulminante e raggiunse in carrozza la splendida
reggia di Caserta. Frattanto, nel Regno di Piemonte e Sardegna, Cavour, forte
dell’alleanza con Napoleone III, si preparava ad una nuova guerra con
l’Austria; il 29 aprile 1859 le truppe franco-piemontesi penetravano nel
Lombardo-Veneto.
Aveva inizio la seconda guerra dei Savoia
contro l’impero asburgico (definita dagli storici “Seconda Guerra
d’Indipendenza”), guerra di espansione militare e territoriale nella vasta
pianura padana, indispensabile per l’economia e lo sviluppo del piccolo
Piemonte chiuso nella morsa fra le Alpi e il mare.
Ferdinando II, malgrado la malattia che si era
fortemente aggravata, seguì con apprensione le fasi della guerra, dimostrando
un’aperta ostilità verso i parenti piemontesi e raccomandando al figlio di
tenersi cara l’alleanza con lo Stato Pontificio e di non fidarsi mai dei cugini
Savoia, che egli definiva «Piemontesi falsi e cortesi».
Mai raccomandazione fu più profetica! Il re
morì il 22 maggio 1859 a quarantanove anni.
Un anno prima dello sbarco di Garibaldi, Francesco II salì sul trono di Napoli a ventitré anni e Maria Sofia si ritrovò regina a diciotto anni.
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