Alta Terra di Lavoro

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LA VOCE DELL’ERGASTOLO DI CARMINE CROCCO

Posted by on Mar 27, 2019

LA VOCE DELL’ERGASTOLO DI CARMINE CROCCO

Dagli archivi polverosi – sconosciuti ai più., accademici compresi – un altro brandello di storia negata. Grazie al nostro infaticabile collaboratore, Nino Gernone, pubblichiamo una intervista a Crocco effettuata durante una “gita scientifica” dal prof. Ottolenghi al carcere dfi Portoferrajo e inserita  da Romolo Ribolla nella sua pubblicazione del 1903. Nel testo è contenuta anche la firma di Carmine Crocco.

Donatello (Crocco) n. 2351

Due guardie conducono nel cortile innanzi a noi un uomo vecchio, che mal si regge in piedi ma che tuttavia cerca di avanzarsi con una certa energia.

Il prof. Ottolenghi gli va incontro e ci presenta Carmine Donatello di anni settantasei, da Rionero in Vulture che sparse tanto terrore verso il 6°, sotto il nome di Croccoe che condannato nel 1872 a morte dalla Corte di Assise e poi graziato, sta orai scontando il trentottesimo anno della sua pena.

Ecco i reati pei quali fu condannato: associazione al delinquere contro le persone e contro le proprietà; formazione di bande armate nelle quali esercitò comando; furto qualificato, tre grassazioni con omicidi; quattro grassazioni semplici; nove assassinii; nove omicidi volontari; quattro ribellioni; dodici estorsioni; numero non ben determinate di saccheggi; due attentati per cambiamento di forma di Governo dal 1860 al 1864.

Ha il tipo etnico del suo paese esagerato nelle proporzioni: la sezione cranica e meno sviluppata della facciale: il segmento anteriore e sfuggente. Forte sporgenza delle ossa zigomatiche e della mandibola asimmetria notevole della faccia a destra. Segmento superiore frontale sfuggente: glabella prominente. La mandibola e sviluppata, specie nella parte mediana, il naso grosso, gibboso e deviato a sinistra.Orecchie ad ansa, specie quella di destra.

Il professore gli domanda:

— Come state?

— Male — risponde il vecchio uomo con voce poco intelligibile.

— Quanto tempo siete stato brigante?

— Circa sei anni, due col passato Governo borbonico e quattro con questo.

— Che banda avevate?

— Di duemila uomini perfino!

— Che professione facevate?

— Quella di Abele, fratello di Caino.

— Come?…

— Il pastore, insomma…

— Quanti anni avevate quando vi deste al brigantaggio?

— Cominciai a darmi alla macchia poco dopo l’epoca della leva.

— Quanti anni sono che siete in carcere?

— Trentotto al 6 di agosto.

— Come fu che da soldato diventaste brigante?

— Per una supplica: mia madre morì nel manicomio di Aversa; io avevo quattro fratellini e sei sorelle tutti più piccoli di me, tutte creature…

Il brigante a questo punto interrompe il suo discorsa perché è scoppiato in un dirotto pianto.

Il professore lo invita a mettersi in capo il berretto, ma non c ‘è verso di persuaderlo. Crocco rimanere a capo scoperto.

— Presentai una prima supplica a Ferdinando II perché raccogliesse quelle cre4ature in un luogo qualunque. Non ebbi risposta. Ne mandai una seconda: nulla; allora un giorno dissi al Re, che avevo spesso occasione di avvicinare essendo soldato: o provvedi per quelle creature o ti darà da fa’! Perquesta minaccia mi fu inflitto un mese di prigione.

Appena uscito disertai, uccisi due gendarmi e mi diedi alla macchia.

Nello stesso tempo che il Crocco s’è commosso al ricordo della famiglia, quando ha raccontato delle sue minacce e della prima vendetta i suoi occhi hanno lampeggiato, nella sua voce, prima fioca, e nel suo gesto c’era qualcosa che rivelava 1’antica fierezza. — Crocco continua:

Nel ’60 si fece la rivoluzione e noi briganti ci unimmo al Governo provvisorio.

Il prefetto del Governo venuto da Torino mi invitò a presentarmi: ma io non accettai per paura che mi facessero subire un processo e mi diedi di nuovo alla macchia.

I nemici d’Italia che stavano con occhi aperti, mi avevano proposto di muovere una reazione contro il Governo provvisorio perché sarebbe riuscito facile fare 1’insurrezione; ma io alzai un giorno bandiera bianca e lasciai la partita politica per darmi di nuovo alla macchia.

— E meglio 1′ insurrezione politica o la macchia?

— La politica!

— Durante 1′ insurrezione quanti uomini voi comandavate?

— Duemila e settecento.

— Ma quando vi deste alla macchia erano molto meno i vostri sottoposti?

— Dai quattro ai sette.

— Quanti omicidi avete commesso?

— Mi accusano di molti, ma io non ne ho commessi che due.

— Come allora si dice che siete reo di tanti delitti pei quali foste dai giudici condannato?

— Perché io ero il capo e davo gli ordini di ammazzare, ma non uccidevo di mia mano. Quando era decisa la vendetta verso qualcuno, si faceva un piccolo consiglio; il tale, per esempio, non ha voluto mandare quel poco che gli chiedevamo: ebbene ammazzatelo, dicevo io! Se poi non potevano uccidere chi era stato condannato, quello non doveva pero piùuscire di casa!

— Che concetto avevate di Vittorio Emanuele II?

— Fu un grande eroe che fece 1′ Italia; egli caccio gli stranieri, non troppa gente in casa tua portare perché ilmondo e pieno di malizia ed ognuno cerca ciò che gli bisogna: cosa vogliono da noi questi Tedeschi?

— Dunque voi preferite il Governo che successe al Borbone?

— Si, e gli sono anche riconoscente, perché mi ha fatto del bene,mi ha graziato della condanna a morte.

— Avete saputo della morte del Re Umberto? Che impressione vi ha fatto?

Io ho pianto, davvero ho pianto di cuore; se non avessero ammazzato quell’innocente uomo, forse io morivo a casa mia, ai 6 di agosto diquest’anno avrei finita la pena; ucciso Umberto, Vittorio Emanuele III non può aver l’animo di sposto a far grazie; se a me avessero ucciso il padre, io non avrei certo pensato a far del bene, ma a vendicarmi: tutti i condannati hanno detto lo stesso.

— Cosa pensate dei regicidi?

— Gente da poco.

— Sentiste mai parlare di socialismo, di anarchia?

— Si, da qualche condannato stupido che pro fessa queste idee, ed io mi ci sonoappiccicato (ho avuto diverbio, questione). E una cosa impossibile pensare all’anarchia; anche Sparta, Tebe, Corinto, Atene furono sotto 1′ anarchia, e che vantaggi ne ebbero?

— Come, sotto l’anarchia?

— Si, avevano tre giorni 1’anno di anarchiacompleta.

— La vita del brigante e brutta?

— E una vita indipendente.

— Ma ammazzare gli altri?

— Il brigante è come laserpe, se non la stuzzichi non ti morde.

— Trovate giusto che l’esercito freni il brigantaggio?

— Si: il brigante che ammazza un soldato, piange; piange pensando che e tin uomo che lascia la madre, i figli…

Qui il Crocco scoppia nuovamente in un pianto.

— Come credete che si potrebbe frenare il brigantaggio?

— Colla clemenza.
— Quindi bisognerebbe perdonare i briganti?

— Si.

— Ma quando rubano, estorcono?

— Non si ruba, non si estorce in mezzo alla strada e noi teniamo in odio quello che lo fa.

— Vi capito mai di incontrare chi lo facesse nella vostra banda?

— Si, ma allora noi abbiamo fatto si che il birbante cadesse in mano della legge.

— Ma tra i briganti c’ e sempre di questa canaglia!

— Noi li esperimentavamo e se non la pensavano come noi, si diceva: « Non ti uccidiamo perché sei una carogna», e lo mandavamo via.

— Il carcere credete sia utile per frenare ilbrigantaggio?

— Eh! ci si rassegna; nessuno si lamenta della sua condizione, ci si rassegna: ho peccato, devo scontare!

— Credete che dopo una lunga condanna si esca emendati?

— Qualche imbecille c’ e sempre che rifà del male.

— Ma la maggior parte?

— Esce corretta ed emendata.

— Voi riconoscete di aver fatto del male?

— Senza dubbio, ho fatto del male alla società, ma io facevo per difendere la mia vita; per essa avrei dato fuoco a tutto il mondo.
— Lo avreste fatto: e lo rifareste?

— Eh! chi lo sa? Ora 1’animo mio si commuove per 1′ onore che ho avuto, nella mia vecchiaia, di vedere tutti questi signori; non me lo sarei mai aspettato!

— Che ne dite della camorra?

— E la cosa più cattiva del mondo; in essa c’ e un sacco di mascalzoni, di miserabili; i camorristi sono come gli anarchici, cospirano sempre, ma sono schiacciati.

— La mafia la conoscete?

— La paragono allo spurgo del mio naso: il mafioso è uno sporcaccione.

— Quale sarebbe il vostro desiderio?

— Di morire dove sono nato.

— Da giovane eravate religioso?

— All’eccesso.

— Ma il sentimento religioso non vi ha mai frenato nella colpa?

— Quando si è nella furia non si rispetta più niente; ma sempre per difendere la propria vita!

— In carcere vi ha giovato la religione?

— Si, ma senza corona! la mia religione e qui (accennando al cuore).

— Facevate vita libertina, vi piacevano le donne?

— Sì, quando l”e trovavo non le lasciavo, ma non amavo molto né le donne, néil vino.

— Che cosa vi faceva più orrore?

— La morte, 1′ uccisione.

— Che preferivate dunque?

— Amici no; un po’ di pane di granturco e basta.

— Avevate con voi nella vostra banda qualche donna?

— No, quando si trovavano si faceva come il beccafico: si beccava e via.

— Avevano stima di voi le popolazioni della Calabria?

— Pel bene che ho fatto si; quando passavo io tutti mi venivano appresso sicuri, io andavo avanti e dicevo: se volete esser sicuri venite dietro di me: perché io ero astuto, con uno strattagemma ero capace di andare in mezzo all’esercito nemico senza farmi. riconoscere.

— Avete saputo della guerra d’Africa? Sareste voi andato volentieri a combattere laggiù?

— Si, sarei andato anche in una fornace.

— Conosceste Garibaldi?

— Personalmente no.

— Che ne pensate di lui?

— Era un uomo audace. Quello che ha fatto Garibaldi io l’ho tutto qui nel cervello e lo ricordo minutamente.

— Se voi foste stato capo di un esercito come vi sareste comportato?

— Avrei fatto il mio dovere.

Preghiamo il brigante di apporre la sua firma in un foglio che. gli presentiamo, ed egli messosi gli occhiali, lentamente scrive il suo nome, cognome e patria.

Congedato da noi, egli di nuovo colle lacrime agli occhi ci ringrazia della visita, dicendo: “Io sono vecchio, a momenti morirò; vale più questo onore che mi avete fatto che tutti gli onori del mondo!”

ALL’ILLUSTRE

COMM. ALESSANDRO DORIA

D1RETTORE  GENERALE  DELLE  CARCERI

CHE INTRAVEDENDO I NUOVI ORIZZONTI DELLE DISCIPLINE CARCERARIE, NELLA SCIENZA E NELL’AMMINISTRAZIONE SEGUE  LE NOBILI TRADIZIONI DELL’ILLUSTRE  SENATORE MARTINO BELTRANI-SCALIA, QUESTA RELAZIONE DI UNA GITA SCIENTIFICA AI PENITENZIARI DI PORTOLONGONE E PORTOFERRAIO

DEDICA L’AUTORE

Dal Laboratorio di Medicina legale della R. University di Siena, l’Ottobre del 1902.

PREFAZIONE

Da  parecchi anni gli Insegnanti di Medicina legate hanno la lodevole consuetudine di con durre le loro scolaresche a visitare qualche stabilimento penale.


Queste gite, che una volta si limitavano ad una rapida visita dei locali e più rapida rivista dei .condannati, sono andate gradatamente perfezionandosi, essendo orientate più all’esame dei delinquenti che dei locali ed inspirate più alla ricerca scientifica che alla pura curiosità che nei più desta la vista dei luoghi di pena e dei reclusi.


Tali visite agli stabilimenti carcerari, per la grande forza di persuasione che sempre esercitarono i fatti quando sono direttamente osservati, di quando non vengono che riferiti, divennero sempre più istruttive, più convincenti dei lunghi  studi teorici nei manuali di psichiatria forense e di antropologia criminale.


La Scuola di Siena negli anni trascorsi visitò ripetutamente il manicomio dell’Ambrosiana e gli stabilimenti penali di Volterra e San Gemignano.

L’ampia messe annualmente raccolta in queste gite scientifiche e dimostrata dalle pubblicazioni che le ricordano.


Quest’anno il prof. Ottolenghi, aderendo anche al desiderio  espresso  dai suoi studenti, pensò di spingersi fino  alla  vicina /sola d’ Elba per visitarvi gli stabilimenti di Portolongone e Portoferrajo, il primo dei quali comprende uno dei nostri più rinomati ergastoli. La gita si riprometteva quindi di essere tra le più interessanti per la medicina legale, dato il genere degli stabilimenti ed i tipi. di delinquenti da studiare.


L’esito superò infatti ogni nostra aspettativa. Veramente lusingato dell’incarico avuto dal prof. Ottolenghi, mi proverò di esporre qui una breve relazione sull’importante gita, persuaso che i fatti osservati e che tanto ci colpirono  non potranno a meno di interessare tutti coloro i quali non sono indifferenti ai grandi quesiti scientifici e sociali che sono connessi allo studio dei carcerati e degli stabilimenti carcerari.


Le case penali, che una volta erano impenetrabili tombe di vivi, sono, come più volte ci venne ripetendo il prof. Ottolenghi nel suo insegnamento,


il tavolo anatomico degli istituti giudiziari e penitenziari.


Quanti errori ci vengono esse rivelando!


E’ necessario che su quanta in queste case di pena e dato osservare venga richiamata l’attenzione degli studiosi, dei legislatori e dei filantropi, tanto più ora che dalle stesse autorità carcerarie opportunamente e invocato lo studio dei delinquenti negli stabilimenti.


Mentre siamo lieti di rinnovare qui pubblicamente i nostri ringraziamenti al prof Ottolenghi, che ci guidò nell’ interessante viaggio e ci illustrò i tipi più notevoli, in modo da far vibrare per qualche ora innanzi a noi quei reietti dalla società, ci sentiamo in dovere di dichiararci profondamente grati all’onorevole Direzione generale delle carceri che tale visita autorizzò, ed a tutti del personale direttivo degli stabilimenti di Portolongone e Portoferrajo i quali, interpretando con intendimenti moderni i regolamenti carcerari ed aiutandoci colla loro conoscenza pratica, ci fornirono le prime e più necessarie condizioni perchè questa gita riuscisse interessante ed istruttiva.

ROMOLO RlBOLLA

_______________

(i) Rivista di Discipline carcerarie, 1901.

fonte https://www.eleaml.org/sud/crocco/voci_dall_ergastolo_crocco.html






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18 giugno, così morì il capobrigante Carmine Crocco

Posted by on Giu 22, 2017

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Era il 18 giugno. Centododici anni fa. Il 18 giugno del 1905 alle ore 8,20 del mattino. Nel malsano carcere di Portoferraio sull’isola d’Elba, il direttore comunicò che “Crocco Carmine, pastore, celibe, possidente di qualche cosa, cattolico e residente a Rionero in Basilicata era morto di astenia senile”.

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Posted by on Ott 29, 2024

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Ci sono vicende che hanno fortemente influenzato la condizione, tutt’ora persistente, di un Paese “a due marce” come il nostro. Prima fra queste proprio l’Unità d’Italia, che ha esacerbato nelle popolazioni del sud l’ostilità nei confronti di un nord che fu a tutti gli effetti invasore. La storia, quando non è narrata dai vincitori, cambia però direzione, restituendoci un racconto diverso, che tiene conto anche del punto di vista di quelli che hanno lottato, seppur invano, contro l’annessione a uno stato percepito allora come tiranno. Intorno al 1860 in Italia c’era una guerra, non regolamentata da leggi internazionali, senza regole né trincee, combattuta da militari e da civili, gente del popolo, sud contro nord. La guerra dei briganti, battezzata da alcuni “la guerra dei cafoni”, forse la prima guerra civile italiana.

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Il cinema ha avuto una massima influenza su tutta la gioventù e sui popoli interessati a rilassarsi, a scoprire e a conoscere molte novità e molti argomenti fondamentali di loro intererre. La Tivù è il motore dell’evoluzione del cinema e, soprattutto, della radio, attirando attenzione tutte le masse che vorrebbero ascoltare e leggere, anche se dovranno rendersi conto se quello che ascoltano e leggono corrispondano alle loro esigenze e realtà.

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