Alta Terra di Lavoro

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La cacciata del Vescovo Caputo, la reazione del 4 e 5 settembre 1860

Posted by on Nov 7, 2019

La cacciata del Vescovo Caputo, la reazione del 4 e 5 settembre 1860

Il 26 giugno 1860 il Vescovo di Ariano, Monsignor Fra Michele Maria Caputo, invitò in Vescovado i parroci e “le notabilità del paese” per comunicare loro che il giorno precedente Francesco II aveva ripristinato la Costituzione del 1848, e per invitare tutti a considerare con favore “il regimento novello” e ad orientare in tal senso i contadini e il popolo. L’episodio è riferito da Felice Mazza, da Nicola Flammia e dallo stesso vescovo Caputo (1). La notizia e l’appello del Vescovo non suscitarono alcun entusiasmo, anzi furono ascoltati con “indifferenza e freddezza”. In città non ci fu alcuna manifestazione pubblica di giubilo. Il piccolo gruppo di liberali “tollerati” del quale facevano parte il canonico Michele Del Conte, Luigi del Conte, Fedele Carchia, gli avvocati Nicola e Raimondo Albanese, il notaio Puorro e il dott. Raimondo Puorro, il sac. Giuseppe Imbimbo, Domenico de Franza, l’abate Grassi, non si espose. L’unico che innalzò la bandiera tricolore nel suo giardino fu Giuseppe Vitoli da poco rientrato dall’Albania dove si era rifugiato dopo il 1848 per sfuggire alla polizia borbonica. L’iniziativa del Caputo, che segnava l’inizio di una revisione della sua posizione politica, acuì i contrasti con la famiglia Anzani e con tutti i suoi amici, che parteggiavano per i Borboni, senza, peraltro, conquistare il sostegno dei liberali che non avevano fiducia in una conversione avvenuta all’ultimo momento.

Ancora agli inizi di quello stesso anno, infatti, Caputo aveva partecipato al movimento di solidarietà a Pio IX e in difesa del potere temporale. Sicché il contrasto che durava da tempo tra il Vescovo e il Capitolo scoppiò con grande virulenza nel momento in cui, proprio con il ripristino della garanzie costituzionali, si credette, da parte del clero, giunto il momento di poter combattere pubblicamente il prelato. Monsignor Caputo era giunto ad Ariano nel 1858 proveniente da Oppido dove era venuto in collisione con la famiglia Grillo, omologa degli Anzani di Ariano. Il prelato aveva portato con sé, nonostante il divieto Vaticano, il giovane Segretario Vitandrea De Risi la cui presenza rese ancora più incandescente l’atmosfera. Il Capitolo non digerì l’esclusione da quell’ufficio di un sacerdote della Diocesi. Il Vescovo impiegò anche ad Ariano la sua “animosa energia”. Egli si attivò, senza sottrarsi alle polemiche e ai contrasti, per imporre l’autorità della Curia, la preminenza della mensa vescovile sulle parrocchie, il conseguente recupero patrimoniale in nome della integrità della Curia che doveva governare. Cercò di potenziare il seminario che versava in uno stato di decadenza già iniziata sotto il suo predecessore, Monsignor Capezzuti, e aggravatasi nei tre anni di vacanza del titolare, dal 1855 al 1858. Lo fece chiamando all’insegnamento nel Seminario di Ariano due forestieri: Alessandro Novelli ex scolopio e il prof. Nicola del Vecchio un uomo di grande cultura che aveva dismesso l’abito talare. Tutto ciò da una parte limitava il potere dei parroci e il prestigio delle famiglie e dei ceti sociali ai quali appartenevano, dall’altra introduceva elementi di novità che erano mal digeriti dal Capitolo. Né Caputo si preoccupava di diplomatizzare lo scontro.

Attaccò diritto sulla famiglia allora più potente della città accusando il canonico don Nicola Anzani di atti poco conformi alla sua condizione sacerdotale, per cui aveva avuto la necessità di intervenire con la “fermezza apostolica che si addice ad un Vescovo”. La lotta era stata ed era molto aspra. Nicola Flammia, ad oltre trent’anni di distanza, scrisse una pagina di condanna senza appello nei confronti del Vescovo Caputo, lo definì di “natura lupina” (2) e “su 54 vescovi, l’unico riprovevole”. Un giudizio che non corrisponde alla personalità, per quanto complessa e difficile, del Vescovo che giunse ad ottenere riconoscimenti da Garibaldi, da Cavour, da Ricasoli, da Rattazzi, da Mancini di cui fu collaboratore quando questi reggeva il dicastero degli Affari ecclesiastici. Il Mancini gli scrisse una lettera per sollecitargli un intervento a suo favore nelle elezioni politiche nel collegio di Ariano. Gli avvenimenti decisivi dell’estate 1860 favorirono l’opera di demolizione dell’autorità del Vescovo portata avanti dai parroci in tutto l’agro arianese mescolando argomenti politici, religiosi e morali. Il 28 luglio 1860 (il Diario di Mazza annota questo avvenimento in data 25 luglio), alle dieci di sera, una grande folla si accalcò davanti al vescovado chiedendo l’allontanamento del Segretario Andrea de Risi. Questi riuscì a fuggire travestito da gendarme. Il giorno successivo, alla stessa ora, la folla si radunò per chiedere l’allontanamento del Vescovo che dovette fuggire protetto dal sottotenente Galace della Gendarmeria che, scrive Flammia, “lo salvò dalla morte”. Caputo si rifugiò prima a Foggia e poi a Monteleone. E’ chiaro che dietro i due movimenti popolari non poteva non esserci una accorta ed intelligente regia; che continuò nei giorni successivi.

Il 4 agosto circa duecento cittadini arianesi scrissero al Ministro per gli affari ecclesiastici accusando il Vescovo di simonia, di aver aperto le porte del vescovado a donne invereconde, di aver ridotto i fondi delle elemosine. Infine chiedevano che il Vescovo fosse tenuto lontano da Ariano. Il 16 agosto della volontà popolare si fece interprete il Decurionato. Con la sola astensione del Decurione Nicola Luparella, fu approvata una deliberazione nella quale le accuse al Vescovo diventavano ancora più gravi. Gli si attribuiva la nomina di parroci giovanetti inesperti e ignoranti per ricevere i favori delle sorelle e delle cognate; lo si accusava di aver portato il disordine in due conventi di monache; di simonia, di atteggiamenti licenziosi, di manovre intese a sollevare una reazione. Il Decurionato concludeva chiedendo al re e al governo di liberare la Diocesi e la città dalla presenza del Vescovo. Il 18 agosto si riunì il Capitolo che approvò un documento con il quale invitava il Vescovo ad adoperarsi “onde ottenere una traslogazione di Diocesi” e a nominare un Vicario stante il fatto che il popolo arianese piuttosto che accettare un suo ritorno era disposto anche a “prorompere in fatti lagrimevoli”. Votava contro questo documento l’abate Giovanni Putignano asserendo che non tutto il popolo di Ariano era insorto ma solo una parte. Il 22 agosto il Capitolo, di fronte al diniego del Vescovo di accogliere le sue richieste, si riunì e approvò una lunga “Conclusione” che inviò al Re, al Nunzio Apostolico e al Ministro degli Affari Ecclesiastici.

Questo documento è la summa di tutte le accuse; di una gravità inaudita e incredibile. Caputo ne esce crapulone, gaudente, libertino e corruttore di monache e di giovani novizie, avventuriero pronto ad armarsi “come se avesse dovuto entrare coi suoi in una guerra di sterminio”, irrispettoso della clausura delle monache, dispensatore di titoli e di incarichi per simonia, protettore di De Risi che teneva “sempre sul tavolino pistole e armi bianche”, organizzatore di una reazione che solo l’intervento della Gendarmeria aveva sventato il 7 luglio. I quattro documenti ricordati sopra sono riprodotti integralmente in appendice. Da una loro attenta lettura si ricava la sensazione che siano stati scritti da una sola mano. Gli episodi addotti sono sempre gli stessi ma raccontati in un drammatico crescendo. La stessa loro successione non è casuale: prima i cittadini che protestano, poi il Decurionato che si fa carico del problema, quindi il Capitolo che tenta la mediazione, infine l’attacco di estrema virulenza. Tanto virulento che viene legittimamente da chiedersi come mai il “caso” non fosse scoppiato prima. Si è già detto del peso che ebbero le restaurate garanzie costituzionali nella decisione del clero di portare in pubblico la battaglia contro il Vescovo. Ciò, a maggior ragione, valeva per i cittadini. E’ lo stesso Decurionato che scrive: “la generalità fremeva senza che alcuno avesse ardito pronunciarsi apertamente: ma ai primi slanci della pubblica gioia che produsse il nuovo ordine politico” fu facile far partire prima il Segretario e poi il Vescovo.

Ma il Decurionato, a fronte di una condotta come quella che si attribuiva al Caputo, poteva non attendere il “nuovo ordine politico” per denunciarlo alle autorità ecclesiastiche e governative. Credo si possa allora concludere che vi siano evidenti esagerazioni nelle accuse contro il Vescovo e che il Decurionato sia stato fortemente influenzato dal Capitolo, dalla famiglia Anzani che vedeva messo in discussione il suo potere e da spinte politiche diverse ma convergenti nella lotta al prelato. In tutti i documenti c’è l’accenno alle trame reazionarie che intendeva porre in essere. L’obiettivo era quello di discreditarlo sia presso le autorità borboniche sia presso quelle liberali. E questa “doppiezza” gli sarà contestata fino alla morte soprattutto dai borbonici che, addirittura, lo accuseranno di essere stato l’avvelenatore di Ferdinando II. Questa “voce” nacque per un episodio avvenuto ad Ariano. Fa parte dunque della storia della città e pare giusto raccontarlo qui. Un anno prima dei fatti di cui ci stiamo occupando, l’8 gennaio 1859, Ferdinando II partiva da Caserta per recarsi a Manfredonia a ricevere Maria Sofia di Baviera che proprio in quel giorno sposava a Monaco, per procura, l’erede al trono Francesco rappresentato dal principe Luitpoldo.

Dopo essere rimasto una notte ad Avellino, il re fu costretto, il giorno successivo, a fermarsi ad Ariano per una tempesta che “furiosamente irruppe, schiantando alberi annosi, rovesciando tetti e casolari, e nei suoi turbinosi vortici trasportando uomini e cose” (2). Ferdinando II fu ospitato nell’episcopio da M. Caputo. “Il freddo intenso, che aveva ghiacciato le fonti e lastricato di gelo le vie, quasi il fulminava. Benchè robusto ed abituato ai militari esercizi, non poteva muovere né parola, né la persona; la regina gli dette subito dell’elisir e si ristorò e interamente poi, col caldo dei caminetti ed il buon desinare” (3). Nel corso della notte il suo “fedele guardaroba”, Galizia, udì un rumore e, entrato nella stanza del re, lo trovò con la pistola in mano. Ferdinando disse che si era predisposto a sparare contro un assassino che stava per uscire da un varco apertosi nella parete. Galizia chiamò i marinai di scorta; furono esaminate le pareti ma non fu trovato nessun varco. Il re ordinò che i marinai restassero con lui e che non si parlasse con nessuno di quanto era successo. Durante il viaggio la salute di Ferdinando II andò rapidamente aggravandosi e il re dovette essere ricondotto a Caserta ai primi di marzo. Morì il 22 maggio. Il Galizia, dopo il ‘60, raccontando di quel viaggio, affermò che Caputo “aveva preparato la morte del re” facendo nascere, scrive Nisco, la “favola sanfedista di essere stato Ferdinando” avvelenato dal Vescovo di Ariano. Altri, e Nicola Flammia è tra essi, sostennero che, invece, fu Caputo a spacciarsi presso Garibaldi come l’avvelenatore del Borbone. Sembra indubbio che il Caputo avesse uno spiccato intuito politico e che avesse visto per tempo l’avvicinarsi del nuovo corso e la concreta possibilità, questa volta, della liquidazione del regime borbonico. Sicché i filoborbonici di Ariano colsero l’occasione della “evoluzione” delle posizioni politiche del Caputo, non più celate nella riunione del 26 giugno, per scagliargli contro la popolazione.

Quanto ai liberali, alcuni si defilarono e altri “cavalcarono la tigre” considerando i nuovi atteggiamenti del Vescovo solo un episodio di opportunismo e di trasformismo. Le due sommosse del 28 e 29 luglio, con la cacciata del Vescovo, furono fatti di notevole importanza politica. Esse dettero al popolo, provato da secoli di angherie e prepotenze, una immagine distorta del nuovo corso che si annunciava e dei valori della democrazia. Gettarono il germe di un pericoloso anarchismo che esploderà quaranta giorni dopo. Per un altro aspetto esse rappresentarono una innegabile vittoria dei filoborbonici e degli Anzani che avevano ottenuto la nomina di Don Nicola Anzani a provicario della curia. Gli Anzani si confermarono, agli occhi e nella coscienza dei cittadini e dei contadini di Ariano, sempre di più come “quelli che contano” e che addirittura avevano vinto nella lotta contro il Vescovo. Questo accresciuto potere avrebbero esercitato il 4 settembre successivo contro i liberali. E, intanto, continuavano a “cospirare in segreto” (4). In Municipio c’erano ancora acque agitate, in quel mese di agosto. Il Governo, il giorno 6, aveva rinnovato per metà il Decurionato, aveva nominato Sindaco Fedele Carchia, primo eletto Felice Capuano, aggiunto del primo eletto Matteo Ruggiero e secondo eletto Raimondo Albanese. Ma il Sindaco si rifiutò di dare esecutività al decreto per la parte che riguardava la nomina di Ruggiero perché a quel posto avrebbe voluto il dott. Michele Grassi che, a sua volta, ricorse all’Intendente.

Anche Raimondo Albanese era scontento e non prese “possesso della carica” perché non intendeva “mettersi in una carica secondaria”. Il sottointendente fu d’accordo con lui ed espresse all’Intendente l’opinione che “sarebbe stato ottimo per Sindaco” (5). Infine un episodio fin qui sconosciuto. A nome dei decurioni Raimondo Puorro, Luigi Imbimbo, Ettore del Conte, Raffaele Ciardullo, Carlo Pasquale De Filippis, Michele D’Alessandro, Gennaro Sicuranza, Ernesto Purcaro e Nicola Luparella giunse una strana lettera all’Intendente. Lo si informava della pericolosa attività del Sindaco in relazione all’arruolamento nella Guardia Nazionale nella quale il Carchia avrebbe incluso persone con precedenti penali. Chiedevano un suo intervento ad evitare la “guerra civile” perché ciò che faceva il sindaco avrebbe potuto “portare alla città un massagro (sic) a ferro e fuoco” (6). Le firme sono chiaramente apocrife. Addirittura quella di Luparella è scritta Lu Parelli. La lettera è piena di errori che contraddicono una grafia molto ricercata soprattutto nella intestazione; è senza data ma dovette essere scritta nella seconda metà di agosto perché l’Intendente in data 1 settembre chiese al Sottintendente di fare accertamenti. E questi il giorno 3, cioè quando cominciavano già ad arrivare i volontari per costituire il Governo provvisorio, rispose che la lettera era un anonimo, che non aveva potuto fare accertamenti approfonditi ma poteva assicurare che ad Ariano tutto era normale. E invece c’era del vero in quella lettera. La Guardia Nazionale avrà un ruolo negativo nei giorni successivi e getterà qualche ombra anche sul suo comandante, il Maggiore Vitoli che nel gennaio del 1861 scrisse all’Intendente: “La G.N. di qui nei giorni funestissimi della reazione non corrispose al suo nobile mandato e perché di recente formata e perché non armata. Per togliere quest’onta il Generale Carbonelli, il sottindente De Gennaro ed io trovammo opportuno sciogliere la Guardia Nazionale” (6bis).

NOTE

(1) Felice Mazza “Diario Arianese”, ed. Mariano, Ariano 1896, p.166 – N. Flammia “Storia della Citta di Ariano”, tip. Marino, Ariano 1893, p.25 – Caputo: Atti del processo per la reazione del 4 settembre. Deposizione resa al Giud. Ist. di Avellino il 14.12.1860

(2) N. Flammia op. cit. p.183

(3) N. Nisco “Ferdinando II ed il suo regno” , Morano, Napoli 1884 pp.368- 369

(4) N. Flammia op.cit. p.253

(5) Archivio di Stato di Avellino (d’ora in poi : ASA) – Atti Intendenza di P.U., b. 206, f.787.

(6) ASA come nota 5. (6bis) Lettera di Vitoli all’Intendente di Ariano del 26 gennaio 1861 – In Archivio Vitoli – Fondo Cozzo.

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GLI INTERVENTI AL CONVEGNO SUL 1799 E CARD. RUFFO AL CASTELLO PIGNATELLI DI MONTERODUNI

Posted by on Nov 4, 2019

GLI INTERVENTI AL CONVEGNO SUL 1799 E CARD. RUFFO AL CASTELLO PIGNATELLI DI MONTERODUNI

Siamo nel 2019 a 220 dal fatidico anno 1799 dove s’è consumato, con tantissimo spargimento di sangue, un vero e proprio scontro di civiltà tra il mondo della tradizione, che non voleva assolutamente cedere il passo, e il mondo dell’illuminismo e del razionalismo sintetizzato nel giacobinismo.

Se vi era un piccolo numero, ripeto un piccolo numero, di intellettuali sognatori che vedevano nel positivismo e nel progressismo la nuova strada verso la felicità c’era anche uno zoccolo duro della rivoluzione passiva, così definita da Cuoco, composto dalla neo borghesia latifondista, da una parte della vecchia pseudo aristocrazia parassitaria e da una nuova oligarchia notabile che sfruttando l’onda del cambiamento voleva solo arricchirsi attraverso l’esproprio dei beni della Chiesa, del demanio pubblico e dei vecchi feudi senza versare un soldo. 

Anche in questo 2019 l’Ass. Id. Alta Terra di Lavoro ha continuato a presentare il testo di Petromasi  sulla marcia dell’armata Sanfedista guidata dal Card. Ruffo e nel mese di Gennaio dopo averlo presentato in quel di Pignataro Maggiore lo ha fatto al Castello Pignatelli di Monteroduni  tanto bello quanto prestigioso. Di seguito i video degli interventi dello storico Laborino Fernando Riccardi e dell’Accademico Conte Giulio de Jorio Frisari il tutto condito dagli intermezzi teatrali in Lingua Laborina Raimondo Rotondi.   


I VIDEO DEL CONVEGNO

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Nascita dell’Università di Salerno

Posted by on Ott 13, 2019

Nascita dell’Università di Salerno

‘avvio degli Studi nella città di Salerno risale al secolo VIII d.C. grazie alla nascita della celeberrima Scuola medica salernitana, autorevolissima e prestigiosissima istituzione sanitaria che conservò la sua importanza per tutto il medioevo. Oltre all’insegnamento della Medicina, nello Studio salernitano erano impartiti anche gli insegnamenti di Filosofia, Teologia e Diritto.

Secondo alcuni storici, soltanto dopo la seconda metà del IX secolo, con la costituzione del principato longobardo di Salerno, è possibile collocare la nascita di un’istituzione che svolgesse la funzione di formare e laureare medici, con un rapporto di filiazione diretto della tradizione medica salernitana dalla medicina antica, ipotizzando un suggestivo percorso plurisecolare che connette l’antichità greco-romana all’età longobarda e attribuisce a Salerno il primato cronologico, rivendicato dallo Studio bolognese, quale più antico insediamento universitario europeo.

Ottenuto un primo riconoscimento giuridico nelle Costituzioni federiciane di Melfi (1231) e la qualifica di Studium al tempo di Corrado II, la Scuola medica salernitana riceve da Carlo d’Angiò il suo primo statuto (1280) e in seguito vede riconosciuto dalla regina Giovanna il valore legale della licenza rilasciata agli studenti (1359), emancipandosi dal monopolio esercitato fino a quel momento dallo Studio di Napoli, creato da Federico II nel 1224.

La sua vita prosegue tra alterne vicende, seguendo le sorti del Regno di Napoli, fino a quando, nel 1811, Gioacchino Murat, con l’intento di riorganizzare l’istruzione pubblica nel Regno napoletano, decide di chiudere l’Università di Salerno trasformandola in un “Real Liceo”. I Licei erano delle vere e proprie scuole universitarie collocate nelle maggiori città del Regno e dipendevano tutti dall’Università di Napoli. Con la restaurazione borbonica nel Regno delle Due Sicilie questo sistema universitario rimase pressoché invariato, e anzi subito dopo la restaurazione, con decreto del 14 gennaio 1817, Re Ferdinando I di Borbone stabilì che a Salerno, come a Bari, all’Aquila e a Catanzaro, i Reali Licei impartissero gli insegnamenti di diritto e notariato, anatomia e fisiologia, chirurgia ed ostetricia, chimica e farmacia, medicina legale e scienze varie.

Le attività dello Studio Salernitano, durate per secoli, vengono soppresse definitivamente poco dopo l’unità d’Italia con la chiusura nel 1865 del Real Liceo, il cui Convitto divenne il Liceo-Ginnasio “Torquato Tasso”.

Ciò avvenne perché il governo sabaudo del neonato Regno d’Italia allargò la propria organizzazione universitaria a tutti gli stati preunitari in seguito alle proprie annessioni, e naturalmente anche il diverso sistema universitario dell’ex Regno delle Due Sicilie dovette essere completamente riformato e conformato alle nuove politiche nazionali. Bisognerà attendere circa un secolo per veder risorgere un Ateneo a Salerno.

Risale infatti al 1944 la costituzione di un Istituto universitario di Magistero nella città, fortemente voluto da Giovanni Cuomo, il quale divenne statale nel 1968, trasformandosi nella Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Salerno. Nel giro di pochi anni la Facoltà di Magistero venne affiancata da numerose altre che contribuirono, ognuna per la propria parte, alla formazione di un importante polo universitario. Nel 1969 fu istituita la Facoltà di Lettere e Filosofia, nel 1970 la Facoltà di Economia e Commercio, nel 1972 le Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali e di Giurisprudenza, nel 1983 il corso completo di Ingegneria, nel 1991 la Facoltà di Farmacia, nel 1992 quella di Scienze Politiche, nel 1996 quella di Lingue e Letterature Straniere, nel 2006 infine la Facoltà di Medicina e Chirurgia.

I rettori succedutisi alla guida dell’Ateneo sono:

  • Gabriele De Rosa (1969-1974)
  • Nicola Cilento (1974-1977)
  • Aristide Savignano (1977-1978)
  • Luigi Amirante (1978-1980)
  • Vincenzo Buonocore (1980-1987)
  • Roberto Racinaro (1987-1995)
  • Giorgio Donsì (1995-2001)
  • Raimondo Pasquino (2001-2013)
  • Aurelio Tommasetti (in carica dal 1 novembre 2013)

fonte https://web.unisa.it/ateneo/storia/nascita-universita

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ACCADDE OGGI NELLE DUE SICILIE… (1815 – 1861 e oltre…)

Posted by on Ott 1, 2019

ACCADDE OGGI NELLE DUE SICILIE… (1815 – 1861 e oltre…)

(a cura di don Luciano Rotolo, della Fondazione Francesco II delle Due Sicilie)

01 OTTOBRE

1820
• A Napoli si aprono solennemente le sessioni del nuovo Parlamento; la cerimonia si svolge nella chiesa dello Spirito Santo con la presenza di Re Ferdinando I che emette il giuramento; il Presidente del Parlamento pronunzia allora un discorso al quale risponde, in nome del Re, il figlio Duca di Calabria e Vicario Generale del Regno Francesco. Tutta la cerimonia si svolge nella massima sontuosità possibile, compreso anche il corteo reale che passa per le vie della Capitale tra due ali di truppa.

• Il Real Governo costituzionale abolisce la commissione incaricata di revisionare e approvare i libri importati dall’estero.

1821
• Viene eseguita la condanna a morte dei sei carbonari sovversivi, colpevoli dell’assassinio del Cav. Francesco Giampietro, già Direttore di Polizia (nella notte tra il 10 e l’11 febbraio 1821, la vendita carbonara detta “Seguaci di Cristo” aveva decretato l’omicidio del Cav. Giampietro. Un gruppo di carbonari si recò nella sua abitazione e lo strappò dai suoi cari; in strada venne pugnalato con 42 colpi. Sulla sua fronte venne anche inchiodato un sinistro e minaccioso cartello che recitava: numero 1 dei 26).

1822
• In previsione dell’imminente viaggio all’estero di Re Ferdinando I, che sarà accompagnato dal Principe Ruffo, si affida temporaneamente il Ministero degli Esteri al Principe della Scaletta mentre la Presidenza del Governo è assunta dal Cav. Luigi dè Medici.

1829
• S. M. il Re Francesco I, la Regina Maria Isabella, la Real Principessa Maria Cristina (promessa sposa del Re di Spagna Ferdinando VII), il piccolo Real Principe Conte di Trapani con al seguito il Cav. Luigi dè Medici e altre personalità, partono per la Spagna affinchè siano celebrate le nozze reali; il corteo reale in questa giornata passa il confine, raggiungendo Terracina negli Stati Pontifici.

1831
• Un gruppo costituito da 30 persone, radunatasi nel fosso di S. Erasmo appena fuori Palermo, entra nella città tentando di sollevare il popolo contro il Real Governo. La popolazione però non si unisce ma, al contrario, cerca di respingerli; i rivoltosi, visibilmente risentiti, dopo aver ucciso due cittadini e ferito diversi altri, fuggono e si disperdono nelle campagne.

• A Napoli si apre la nuova Società Commerciale Anonima, detta Banca Fruttuaria (che differenza con il triste presente: le ex Due Sicilie oggi non possiedono neanche un istituto bancario…).

1832
• Un Real Decreto di Re Ferdinando II vuole accelerare il corso della giustizia, facilitando le condizioni per la presentazione spontanea in giudizio degli imputati.

1834
• Un Real Decreto stabilisce il prezzo del sale che fino ad allora veniva venduto in forma di monopolio o privativa a Napoli e nel suo territorio; con questa decisione il Sovrano viene incontro ancora una volta ai bisogni della popolazione più bisognosa.

1838
• Continua il viaggio del Re in Sicilia, iniziato il 22 settembre, accompagnato dalla Regina e da diversi Ministri del Real Governo; in questa giornata Ferdinando II lascia Messina per raggiungere Catania.

1841
• La speciale Commissione Militare, istituita dal Real Governo per giudicare gli arrestati e gli imputati della tentata rivolta dello scorso 8 settembre nella città dell’Aquila, mette in stato di accusa 140 individui.

1849
• Papa Pio IX, esule nelle Due Sicilie a motivo della rivoluzione nei suoi Stati e ospite di Re Ferdinando II nella Reggia di Portici, in questa giornata torna nuovamente a Napoli; qui visita il Monastero e la comunità delle monache Benedettine di San Gregorio Armeno, il Monastero e la comunità delle Adoratrici Perpetue a San Giuseppe dè Ruffi e, infine, il Monastero e la comunità religiosa delle Francescane di Donnaregina.

• Il Real Governo ordina la convocazione annuale dei Consigli Distrettuali e Provinciali dei Domini al di qua del Faro.

• Negli Abruzzi, ad Atessa, fa scalpore la notizia della morte, sopraggiunta all’età di cento e uno anni, di una donna chiamata Domenica Alberico.

1859
• Un Real Decreto di Re Francesco II nomina i suoi cugini Luigi M. Ferdinando e Filippo Luigi Maria, figli del Conte di Aquila, “Tenenti di Vascello”.

• Un Real Decreto di Re Francesco II concede la privativa di anni dieci alla Ditta Brioellet e Compagni, che ha inventato un nuovo processo chimico con artificio meccanico di combustione.

• Un Real Decreto di Re Francesco II concede la privativa per anni cinque al sig. Eduardo Pisani, inventore di una nuova macchina atta a macinare le carrube e altre sostanze zuccherose.

1860
• A Isernia, finalmente liberata dai terroristi garibaldini e dai collaborazionisti, si espongono da tutti i balconi le nostre Bandiere Nazionali e si rialzano gli Stemmi Nazionali; vengono quindi arrestati tutti i corrieri e le corrispondenze postali dei terroristi garibaldini; infine si organizza con i contadini un servizio di guardia urbana alla città e si aprono i collegamenti con Capua, dove è presente il nostro Esercito Reale.

• Sempre in Molise, a Guardia, grazie ai cittadini Antonio Lilli e Nicola Onorato, la popolazione insorge al grido di Francesco II contro i terroristi invasori e contro i collaborazionisti; in breve tempo prendono il controllo della città, arrestando il collaborazionista giudice Calapai e altri liberali che vengono tradotti a Isernia per essere giudicati di tradimento.

• All’alba le truppe comandate dal nostro Generale Von Mechel, dopo una faticosa marcia di aggiramento iniziata dalle ore 12:00 del giorno precedente, sbaraglia le avanguardie dei terroristi garibaldini a Valle e a Molino (in questi combattimenti perde anche il figlio Emilio, colpito a morte) e si insinua nel mezzo dello schieramento nemico, costringendo i terroristi a fuggire verso Maddaloni. Alla sua destra il Generale Ruiz, sconfitti i terroristi a La Nunziata e a Castelmorrone, si attesta sulle alture di Caserta Vecchia con circa 3.000 uomini; purtroppo, ed è un grave errore, non comunica la sua presenza al Generale Von Mechel.

• Contemporaneamente D’Orgemont attacca da Capua, conquistando S. Tammaro e investendo S. Maria; Polizzy invece attacca S. Angelo.

• Il terrorista Garibaldi, che si ritiene abbia avuto conoscenza del piano di attacco duosiciliano grazie a una spia traditrice, con sicurezza lascia sguarnite le retrovie di Caserta e concentra le truppe, comprese le riserve, proprio lì dove sa che più forte sarà l’attacco nel tentativo di sfondare le linee; il risultato è quello di impiegare per ore fino al pomeriggio le nostre truppe in combattimento, sfiancandole e bloccando la loro offensiva.

• Nelle periferie di Napoli, alla notizia che Re Francesco II sta guidando un offensiva militare, si registrano diverse rivolte contro i terroristi garibaldini e i loro collaborazionisti.

• Il nostro Generale Von Mechel, completamente isolato e senza notizie dal resto delle altre forze in campo, con gli uomini stanchissimi per le marce e per i combattimenti, si attesta sulle sue posizioni con 5.000 uomini. L’ordine del Comandante in Capo Gen. Ritucci prevedeva che avesse dovuto avanzare dalla destra dei garibaldini, accerchiandoli alle spalle, ma la suddetta mancanza di comunicazioni gli ispira prudenza; non sa che davanti a lui le posizioni dei terroristi sono praticamente vuote e che diversi garibaldini si sono sbandati, fuggendo verso Napoli, credendo di essere stati sconfitti.

• Alle ore 03:00 il terrorista Garibaldi, prevedendo l’offensiva del nostro Reale Esercito (purtroppo si sospetta che qualche spia gli abbia trasmesso il piano), si reca in ferrovia da Napoli a S. Maria di Capua e da lì, in carrozza giunge a S. Angelo quando la battaglia è già iniziata.
Una fucilata uccide il suo cocchiere mentre alcuni nostri militari, nel tentativo di ucciderlo, colpiscono a morte un suo ufficiale che lo scorta; ma il terrorista, protetto sicuramente dalle forze del male, si salva purtroppo anche in questa occasione…
L’offensiva del nostro Real Esercito è forte e accesa, coinvolgendo tutta la linea del fronte: da Piedimonte al fiume Volturno, da Maddaloni a Caserta e a S. Maria.
Tra i soldati sono presenti anche Re Francesco II, suo fratello Alfonso Conte di Caserta e suo zio il Conte di Trapani.
Con i nostri soldati ci sono anche diverse bande di contadini e di cittadini che vogliono difendere la Patria dall’invasore.
Si combatte per ben tredici ore accanitamente.

• Purtroppo nel pomeriggio le nostre forze ricevono l’ordine di ripiegare. Alle ore 17:00 il Comandante in Capo Gen. Ritucci, non avendo notizie delle truppe di Von Mechel e con gran parte delle truppe ancora fresche e non impegnate, ritiene di sospendere i combattimenti, facendo rientrare i soldati a Capua.
Ritucci crede di dover riprendere i combattimenti l’indomani, con le truppe fresche e riposate: sarà invece un errore fatale!
Re Francesco II, presente coraggiosamente nella mischia sin dalla mattina, è fortemente contrario a questa scelta ma non può e non vuole creare una crisi nello Stato Maggiore nel mezzo di una offensiva militare…

• Il nostro Real Esercito in questa giornata perde circa 1500 uomini sul campo su 33.000 impiegati nella battaglia; i garibaldini, su 20.000 uomini impiegati, registrano 506 morti, 1328 feriti, 1389 dispersi e sei pezzi di artiglieria abbandonati. Purtroppo la vittoria è per i terroristi di Garibaldi.

• Il terrorista Garibaldi fa arrivare nella notte, tramite ferrovia, sulla linea del fronte due battaglioni di soldati piemontesi, sbarcati a Napoli il giorno precedente. Questi soldati stranieri vengono immediatamente inviati di fronte alle posizioni di Von Mechel, che erano praticamente sguarnite. Approfittando delle truppe duosiciliane fatte rientrare a Capua dal Generale Ritucci, Garibaldi fa trasportare i suoi terroristi, sempre tramite ferrovia, da S. Maria a Caserta dove sta affluendo un altro reggimento piemontese, al comando del Colonnello Corte. Il grave errore di Ritucci permette ai terroristi, coadiuvati dai piemontesi presenti senza alcuna dichiarazione di guerra, di riorganizzarsi per il giorno seguente!

1861
• A Malta si ritrovano numerosi legittimisti europei, reclutati dal Comitato Borbonico di Marsiglia, per programmare uno sbarco di uomini chiamati a ricongiungersi e a dare aiuto a Borjes; sono previsti sbarchi di combattenti non solo da Malta ma anche da Tunisi e dalle isole Jonie. Un banchiere di Marsiglia ha finanziato tutta l’operazione, donando 5.000 franchi.

1862
• A Palermo si verificano dei fatti incresciosi che, ancora una volta, dimostrano quanto sia ignobile e senza alcun principio morale il governo dei savoja e della loro nuova italia. In questa giornata, infatti, nell’antica Capitale dell’isola vengono accoltellate in luoghi diversi ben 13 persone.
Uno degli accoltellatori viene arrestato e confessa di aver compiuto il suo crimine su ordine di un “guardapiazza” (cioè un mafioso): bisognava colpire a caso e alla cieca; in cambio aveva avuto del denaro proveniente dal Principe Raimondo Trigona di S. Elia, Senatore e molto vicino al re piemontese Vittorio Emanuele II.
In conclusione le indagini dimostrano che questi omicidi e accoltellamenti avevano lo scopo di sconvolgere l’ordine pubblico, per giustificare una forte repressione militare che avrebbe cercato di eliminare tutti gli elementi ancora fedeli all’antica Patria duosiciliana.
Naturalmente i risultati di questa indagine non vengono resi pubblici e il reggente della Questura di Palermo, il bergamasco Giovanni Bolis (amico del terrorista La Farina), provvede a chiuderla immediatamente.

1863
• A Ginosa una colonna mobile di cavalleggeri piemontesi e di collaborazioniste guardie nazionali circondano un gruppo di patrioti combattenti, comandati da Coppolone e Pizzichicchio; i nostri combattenti però, pur perdendo 25 cavalli, riescono a sfuggire alla cattura, nascondendosi nelle paludi del bosco della Rita.

1869
• Re Francesco II rientra a Roma; il governo piemontese (autoproclamatosi italiano nel 1861) tramite l’Imperatore francese Napoleone III, gli fa pervenire la proposta di una restituzione dei suoi beni personali in cambio della sua rinuncia al Trono delle Due Sicilie; Re Francesco II scrive la sua formidabile risposta: “l’onore non è in vendita”!

1870
• A Napoli scoppiano dei tumulti e delle violente manifestazioni in seguito alla decisione presa dal Sindaco della città, Paolo Emilio Imbriani, di mutare via Toledo in via Roma, dopo la conquista della capitale papale avvenuta il 20 settembre del 1870.

segnalato da

Carmela Napoletano

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LA CARROZZA REALE SOTTRATTA A NAPOLI (…e fosse solo quella…)

Posted by on Ago 27, 2019

LA CARROZZA REALE SOTTRATTA A NAPOLI (…e fosse solo quella…)

Nel 1838, all’apice del suo dinamismo e della sua giovinezza, Ferdinando II fece costruire una stupenda carrozza dal mastro artigiano di palazzo Reale, Salvatore Emmanuele, per le decorazioni del pittore Raimondo Pionica. Fu usata tutti gli anni per portare il re alla festa di Piedigrotta, come per altri importanti avvenimenti fra i quali, dopo la sua prematura morte, il trasporto del nuovo re Francesco II al Duomo per la cerimonia della consacrazione, nel 1859.
Con l’invasione piemontese gli sportelli furono privati dell’originale stemma borbonico, sostituito da quello sabaudo secondo una pratica antistorica ed aggressiva assai diffusa in quel periodo.
Dopo il 1862 fu più volte utilizzata dai Savoia e trasferita a Firenze, palazzo Pitti, dove tuttora si trova.
Straordinaria dal punto di vista estetico la brillantezza cromatica dell’alternanza fra argento e dorato come fra rosso e bianco perlaceo dell’interno.
Nel 1988 un magnifico ritratto equestre di Rubens raffigurante il principe Giovan Carlo Doria, unica opera del grande fiammingo conservata a Napoli, Capodimonte, fu sottratto alla città per essere portato al museo genovese di palazzo Spinola, con il pretesto che era stato dipinto per un mecenate appartenente alla nota famiglia d’origine ligure, e senza tenere in alcun conto che fra l’inizio dell’Ottocento e la Seconda Guerra Mondiale era stato conservato a palazzo d’Angri allo Spirito Santo, dove vivevano gli ultimi discendenti collaterali della famiglia, napoletani da secoli.
Ora, seguendo lo stesso principio in un caso forse ancora più evidente, questa carrozza dovrebbe ritornare a Napoli: ma pare che chi la detenga faccia orecchio da mercante e il ministero se ne frega.
Morale della favola: in questa Italietta togliere al Sud è sempre stato facile, restituire è mooolto difficile!

Francesco De Martino

carrozza reale
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