Alta Terra di Lavoro

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DA LOMBROSO AD OGGI, 160 ANNI DI MORTIFICAZIONI

Posted by on Mag 21, 2020

DA LOMBROSO AD OGGI, 160 ANNI DI MORTIFICAZIONI

In questa foto possiamo “ammirare” a sinistra Cesare Ezechiele Lombroso, (medico e antropologo, da taluni studiosi definito addiritura il padre della moderna criminologia ma nella realtà dei fatti un ciarlatano), a destra, invece, Vittorio Feltri (giornalista e “comparsista” in tv).
Cosa hanno in comune? Una errata e “razzista” concezione dei meridionali

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LOMBROSO, IL MUSEO ITALIANO DEGLI ORRORI SUL NOSTRO POPOLO

Posted by on Set 6, 2019

LOMBROSO, IL MUSEO ITALIANO DEGLI ORRORI SUL NOSTRO POPOLO

La Suprema Corte ha sentenziato che l’origine del razzismo contro il meridionale, la teoria lombrosiana e il teschio del brigante Villella resteranno nel museo della vergogna.

Sono finite mestamente , intrise nella rabbia e nella malinconia, le speranze di veder restituito, il cranio del brigante calabrese Giuseppe Villella, al comune di Motta Santa Lucia, da sempre supportato dal Comitato No Lombroso. Battaglia portata coraggiosamente avanti affinché si fosse potuta dare degna sepoltura ,che restituisse un briciolo di dignità, ad un nostro conterraneo al quale , menti poco pensanti e ancor meno umane , hanno macabramente sostituito col suo teschio, un fermacarte , nel museo degli orrori:

684 crani di meridionali, 27 resti scheletrici umani, 183 cervelli, migliaia di fotografie di criminali, folli e prostitute, folcloristici abiti da “briganti” esposti in bella mostra nelle nove sale del museo, sono solo una parte del triste inventario del “Museo della vergogna”, una galleria degli orrori progettata da un medico veronese, Cesare Lombroso, al quale Torino e lo Stato Italiano hanno tributato, nel 2011, in occasione dei 150 anni dall’unità d’Italia, anche l’onore di un Museo.
Vi chiederete: ma un Museo è un luogo della storia perché allora opporsi a quello lombrosiano?
Perché con la legittimazione dello Stato e, dopo il 18 agosto con la definitiva sentenza, a quest’aberrante teoria, c’è racchiusa la motivazione dell’imperitura “Questione Meridionale”. 
Analizzando uno dei suoi tanti “ trofei “di guerra, quale appunto il teschio del brigante calabrese Villella, il veronese Lombroso trasse una sua folle teoria : chi possedeva la fossetta occipitale interna , così come aveva riscontrato nel povero Brigante, era un essere inferiore alla stregua di un animale e con forte predisposizione a delinquere. Caratteristica riscontrata frequentemente, per lo scienziato, nelle “genti del Sud” 
Le sue teorie razziste divennero molto pericolose quando vennero utilizzate e poste al servizio di uno Stato Italiano che del Sud non conosceva nulla e servirono a sostenere e a giustificare “scientificamente” ed ignobilmente la violenza della criminale Legge Pica, atta e reprimere il fenomeno del brigantaggio. Fu supportato, in questo da vili traditori della nostra Terra, dai cosiddetti “antropologi positivisti”, tra i quali : Niceforo Alfredo , Giuseppe Sergi, siciliani e Pasquale Rossi, cosentino , che uniti alle teorie del capostipite saranno alla radice di un pregiudizio fortemente antimeridionale. Pregiudizio che negli anni, dall’Unità d’Italia in poi, strumentalmente, ha alimentato anche l’azione di qualche movimento politico e di tante politiche governative contro la nostra Terra tradita, in più, anche da politici autoctoni svenduti e senza amore . Teorie che influenzarono la consuetudine, negli Stati Uniti , agli inizi del Novecento, di distinguere i milioni di emigrati (quasi tutti dal Sud) in “razze”, tant’è vero che a Ellis Island, l’isola dove sbarcavano gli emigrati, si divisero gli italiani del nord in “bianchi” mentre gli italiani del sud in ”Bianchi scuri”di razza inferiore. Ed ancora, delle loro raccapriccianti teorie se ne servirono altri popoli per “giustificare” l’olocausto e le leggi razziali durante il Terzo Reich teorizzando appunto l’inferiorità della razza. 
Non faccia meraviglia, quindi, la “levata di scudi” di tante persone, del Sud o di altre latitudini, nel chiederne la chiusura non per obliare la Storia ma perché dedicare un museo a Lombroso è come dedicare un campo di concentramento alla memoria di Josef Mengele. E così come alcune leggi del Medioevo sancivano che se due persone fossero state sospettate di un reato, delle due si sarebbe dovuta considerare colpevole la più deforme, Lombroso volle convincere che la costituzione fisica sia la più potente causa di criminalità.

Quella per Villella è una battaglia simbolica. Lui, semplice bracciante con un passato di ladro di ricotte e che, invece, la criminosa legge Pica del 1863, volle trasformare in un pericoloso brigante nemico del nuovo Stato costituito, dell’usurpatore sabaudo, fu rinchiuso, dopo un sommario processo, nel carcere di Vigevano, morì poco dopo di tifo, tosse e diarrea scorbutica.
Per l’Università “quel” teschio è un bene culturale, «la prova che la scienza procede anche per errori». Ed ha, anzi, rilanciato: “Attualmente il museo Lombroso ha 50 mila visitatori l’anno, un buon numero. Abbiamo, addirittura un progetto di espansione” 
E che ne è della violazione della normativa vigente in materia di trattamento e conservazione dei resti umani e di tutela del sentimento di pietà verso i defunti?
E che ne è della solidarietà degli altri Comuni meridionali, se la maggior parte non ha neanche aderito al Comitato NO LOMBROSO ?
Si possono continuare ad accettare teorie criminali che sostengono una inferiorità razziale dei “meridionali dolicocefali, con cranio allungato, quindi pigri, ipocondriaci, in contrapposizione ai nordici brachicefali con cranio quadrato, con più materia encefalica, quindi iperattivi ed efficienti”?
“E’ noto quale ideologia sia stata diffusa in forma capillare dai propagandisti della borghesia nelle classi settentrionali: il Mezzogiorno è la palla di piombo che impedisce i più rapidi progressi allo sviluppo civile dell’Italia; i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori, dei semibarbari o dei barbari completi, per destino naturale” così denunciava Antonio Gramsci nel 1926 e, ad oggi non è cambiato nulla e la Questione Meridionale conserva il suo substrato razzista e la sentenza nr 21407 della Corte Suprema lo dimostra e che sancisce che in questa diatriba vincono le ragioni dell’Università di Torino ( che di fatto gestisce il Museo), perché “ l’interesse scientifico deve prevalere”, nonostante le aberranti teorie lombrosiane siano state ampiamente sconfessate, illo tempore, da luminari della Scienza, riducendo Cesare Lombroso ad un losco e grottesco personaggio dalle ambizioni fallite. Ora non resta che rimetterci all’iter presso la “Corte Europea dei diritti dell’uomo”, nella speranza che almeno un senso, uno solo, di stare in questa Europa, lo diano.

Patrizia Stabile per il Roma del 5 settembre 2019
Comitato No Lombroso

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“I meridionali? Sono biologicamente inferiori”, i danni di Lombroso

Posted by on Dic 20, 2018

“I meridionali? Sono biologicamente inferiori”, i danni di Lombroso

Corpi di reato e disegni di “mattoidi”. Pipe e tabacchiere costruite da detenuti. Il pezzo più pregiato della sua collezione privata, raccolta tra campagne nel meridione, carceri e manicomi, Cesare Lombroso però lo teneva in bella vista sulla scrivania, come fermacarte. E poco importa che qualcuno la ritenesse un’abitudine un po’ macabra.

Al teschio del detenuto Giuseppe Villella da Motta Santa Lucia, in Calabria, il medico veronese doveva la scintilla della sua principale scoperta; tra esami e misurazioni, era stata proprio l’autopsia su quel cranio, e su nessun altro, a indurlo a concludere che delinquenti si nasce, e c’è poco da fare.

Tutta colpa di uno scherzo dell’anatomia: uno spazio pianeggiante dove i manuali indicavano una sporgenza. Battezzata “fossetta occipitale mediana”, l’anomalia fu eretta da Lombroso, in un saggio del 1876, a segno del destino dell’uomo delinquente. E Villella – “tristissimo uomo d’anni 69, contadino, ipocrita, astuto, taciturno, ostentatore di pratiche religiose, di cute oscura, tutto stortillato, che cammina a sghembo e aveva torcicollo non so bene se a destra o a sinistra” – a suo prototipo scientifico.

A centotrentasei anni di distanza da quella teoria e, soprattutto, a più di un secolo dalla sonora bocciatura della comunità scientifica mondiale che respinse, tra un misto di disprezzo e derisione, gli studi di Lombroso, la testa del calabrese oggi è in vetrina nel museo universitario “Lombroso” di Torino, riallestito nel 2009 con l’intera collezione privata dello studioso. Chi avesse voglia di dargli un’occhiata, però, dovrà affrettarsi.

Su istanza del Comune di Motta Santa Lucia, supportato dal comitato tecnico-scientifico “No Lombroso”, il 3 ottobre scorso il tribunale di Lamezia Terme ha infatti condannato l’università di Torino alla restituzione del cranio al paese calabrese d’origine, nonchè al pagamento delle spese di trasporto e tumulazione. Una querelle giudiziaria surreale? Non esattamente, a guardarci bene dentro.

È noto quale ideologia sia stata diffusa in forma capillare dai propagandisti della borghesia nelle classi settentrionali: il Mezzogiorno è la palla di piombo che impedisce i più rapidi progressi allo sviluppo civile dell’Italia; i meridionali sono biologicamente degli esseri inferiori dei semibarbari o dei barbari completi, per destino naturale”. Antonio Gramsci, nel 1926, non parla esplicitamente di Lombroso. Non ne ha bisogno.

Era universalmente noto l’appassionato contributo che il veronese, e i suoi seguaci più fedeli (Niceforo, in primis), avevano dato, nella fase post unitaria, alla creazione e diffusione di un’idea del Sud come luogo irredimibile. La questione meridionale? Il malumore dei contadini calabresi, lucani, siciliani, campani? Il brigantaggio? Un problema di strutture anatomiche, di atavismo criminale.

Altro che ragioni storiche, economiche e sociali, altro che terre da distribuire ai contadini: al Sud sono concentrate troppe “fossette occipitali mediane”, ci vive una “razza maledetta” che si può affrontare solo con i tribunali militari e la legge “Pica”.

È in quegli anni, e grazie a Lombroso, che la “diversità” del Meridione entra e si fissa nell’immaginario della neonata nazione italiana nel segno dell’inferiorità antropologica e dell’incomprensione culturale. Errori di valutazione che porteranno, per esempio, a ritenere collegati fenomeni storicamente e geograficamente distinti come brigantaggio e ’ndrangheta, cancellando le ragioni “politiche” del primo e nobilitando pericolosamente l’immagine della seconda. 

Non era di certo un picciotto, e forse non era neppure un brigante, Giuseppe Villella. Entrato nel carcere di Vigevano nel 1863, in cella sopravvisse pochi mesi: morì di tisi in ospedale, offrendo il suo corpo “stortillato” al bisturi e al compasso di Lombroso, titolare della cattedra di psichiatria all’Università di Pavia, che, riconoscente per l’illuminazione ricevuta, sottrasse il suo cranio e lo unì alla raccolta privata di mirabilia.

Da bambino, nei campi di Motta Santa Lucia, nel Lametino, Giuseppe aveva visto passare, trionfanti sui Borboni, i francesi di Bonaparte e, da adulto, arrivare i piemontesi. E tra i vecchi vincoli che si disfacevano e i nuovi, non meno duri, a cui abituarsi, da contadino analfabeta e un po’ straccione non riusciva mai a capire a che santo convenisse votarsi. Una sensazione piuttosto diffusa, di quei tempi e da quelle parti. Lo condannarono per sospetto brigantaggio.

Secondo la legge Pica per essere qualificato brigante, e trasferito automaticamente nelle carceri settentrionali, bastava essere parente di briganti, o essere trovato armato in un gruppo di tre persone. Di certo non c’è canzone o poesia che ne abbia cantato le gesta o resoconti storici che ne segnalino il nome.

Nell’archivio di Stato di Catanzaro si ricorda un Giuseppe Villella fu Pietro condannato nel 1844 per aver rubato a un ricco possidente 5 ricotte, due forme di cacio e due pani. Se si tratta del nostro, insomma, fu di quei briganti un po’ pezzenti e senza seguito, più impegnati a rubare galline che a combattere i piemontesi. Ma a dargli, post mortem, fama perenne ci pensò Lombroso. 

Il Comune di Motta Santa Lucia da anni si batte perché il teschio del concittadino Villella Giuseppe possa essere restituito al paese natale (…) per un riscatto morale della città perché il teschio del Villella non è il simbolo dell’inferiorità meridionale (…) e la sua esposizione viola il sentimento di pietà per i defunti”.Per il giudice Gustavo Danise del Tribunale di Lamezia Terme il comune d’origine del cittadino italiano Giuseppe Villella ha ragioni sacrosante.

Quelle non scritte riguardano la pietas infranta dalla sepoltura negata. Quelle scritte nelle leggi di polizia mortuaria parlano altrettanto forte e chiaro: quel cranio è stato illegittimamente conservato da Lombroso, e illegittimamente è ora esposto dall’Università di Torino. Tanto più che, rigettata da un secolo la teoria di Lombroso, mancano ragioni scientifiche che ne giustifichino possesso ed esposizione.

Dunque, va restituito al comune calabrese, come hanno chiesto il sindaco di Motta Santa Lucia Amedeo Colacino e il comitato “No Lombroso”, impegnato da anni in una campagna contro un museo ritenuto “osceno, inumano e razzista”, cui hanno aderito associazioni e Comuni da tutta Italia (molti quelli lombardi).

Nel frattempo a Motta Santa Lucia ci si prepara a seppellire le vecchie ossa solcate dagli strumenti di Lombroso. E con esse, qualcuno si augura anche l’origine di un pregiudizio ostinato. In un gesto simbolico di riconciliazione tra due mondi che proprio sulla fossetta del cranio di Villella cominciarono a non comprendersi. 

fonte https://www.linkiesta.it/it/article/2012/11/11/i-meridionali-sono-biologicamente-inferiori-i-danni-di-lombroso/10267/

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