Posted by altaterradilavoro on Dic 31, 2019
Se questo testo ha un difetto, per noi, è il periodo di tempo a cui e’ dedicato. Peccato che non tratti un periodo più lungo. Ci sono dei testi di parte borbonica che meritano di essere conosciuti e presi in considerazione nel ricostruire la storia del regno delle Due Sicilie.
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Posted by altaterradilavoro on Dic 13, 2019
Nel 1130, notte di Natale, con una fastosa cerimonia Re Ruggero II sancì a Palermo la nascita del Regno di Sicilia. Da quella notte, tutto il Sud della penisola italiana, dagli Abruzzi alla Sicilia, fu unificato nel primo vero Stato come nazione indipendente con capitale Palermo.
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Posted by altaterradilavoro on Feb 24, 2019
La storia militare del Regno di Napoli differisce sensibilmente da
quella del resto della penisola, in relazione ad una cultura sostanzialmente
differente ma anche grazie all’opera dottrinale fornita da teorici come il
Pignatelli, il Colletta, il Capecelatro e non ultimo il marchese di Martignano
Giuseppe Palmieri, la cui opera “Riflessioni critiche sull’arte della
guerra” valsero all’autore le lodi di, nientedimeno che,
Federico II di Prussia.
Grandi imprese compirono le armate napoletane al
seguito di Carlo V, specialmente durante la Battaglia di Pavia, dove epiche
furono le gesta di un’armata partenopea, agli ordini del marchese di
Sant’Angelo. Dopo aver ingaggiato un furioso corpo a corpo col sovrano francese
Francesco I, il marchese rimase ucciso nello scontro, suscitando l’ira dei suoi
cavalieri che, con una violenta carica, aggredirono l’avanguardia nemica,
disperdendola e catturando un cospicuo numero di prigionieri. Un’altra prova di
forza di notevole valore, sempre al seguito di Carlo V, avvenne durante la
battaglia di Muhlberg, avvenuta il 24 aprile 1547, contro le armate
protestanti, decisa proprio grazie all’intervento della cavalleria napoletana,
che passò il fiume l’Elba guadandolo, aggirando così lo schieramento avversario
e cogliendolo di sorpresa.
Successivamente le armate napoletane, inquadrate in
otto reggimenti nelle armate spagnole, presero parte alla Guerra dei
Trent’Anni, nella guerra contro il Portogallo nel 1701 ed in quella di
Successione Spagnola contro il Re Sole Luigi XIV. In tale periodo non va
trascurata l’opera dottrinale del salentino Giovan Battista Martena, autore di
un trattato sull’utilizzo dell’artiglieria sui teatri bellici. Anche sotto la
dominazione austriaca gli eserciti napoletani dettero il loro apporto militare
al fianco dei nuovi dominatori tuttavia, durante la Guerra di Successione
Polacca, quando le armate franco – spagnole di Carlo III di Borbone, infante di
Spagna e Duca di Parma, Piacenza e Guastalla, giunsero a Napoli, la stragrande
maggioranza dei soldati napoletani si schierò al suo fianco, contribuendo in
maniera determinante alla vittoria nella Battaglia di Bitonto, che sancì la
ritrovata indipendenza del Regno sotto lo scettro del Borbone.
Carlo
di Borbone portò dalla Spagna circa la metà di uomini di quello che sarebbe
divenuto in seguito il suo esercito, circa 35 mila cui se ne aggiunsero altri
20 mila dopo breve tempo. In particolar modo rinforzò l’arma di artiglieria,
ancora piuttosto povera nel Regno di Napoli, limitata a sole 300 unità
ripartite fra gli addetti alla fonderia di Napoli, ai Magazzini delle polveri
di Castel dell’Ovo, al laboratorio munizioni sulla via per Chiatamone, alla
Scuola ed ai bombardieri delle fortezze e dei presidi dislocati lungo le coste,
a difesa da eventuali sbarchi pirateschi. Il nuovo esercito si articolava
dunque in reggimenti spagnoli, affiancati da reparti svizzeri, irlandesi e
corsi.
L’opera del Borbone, fortemente influenzato dalla
dottrina spagnola ma, in parte, anche da quella francese, fu diretta
all’eliminazione di tutto ciò che potesse ricordare la dominazione asburgica. I
regolamenti e l’organizzazione delle armate si richiamavano chiaramente a
quelli spagnoli. Nel 1735 Carlo confermò le regole di arruolamento già in
vigore all’epoca del vice regno spagnolo mentre, cinque anni più tardi istituì
dodici reggimenti provinciali, articolati su due battaglioni, con i quali
intendeva, in un certo qual modo, omogeneizzare le truppe locali con quelle straniere.
Le uniformi dei due battaglioni, costituenti ogni reggimento, variavano in
relazione al colore dei pantaloni. Il secondo battaglione, infatti, li portava
dello stesso colore del panciotto.
Lasciata Napoli per sedere sul trono di Spagna, il regno passò nelle mani del figlio Ferdinando IV, allora ancora troppo giovane. Il Tanucci, reggente del giovane sovrano, nel 1765 scioglieva i dodici reggimenti provinciali, sostituendoli con sei di nuova concezione mentre, dopo il 1780, il ministro Giovanni Acton riorganizzava e rimodernava l’esercito, eliminando l’influenza spagnola e definendo il colore delle uniformi, successivamente sancito nel regolamento dell’8 aprile 1791. Questo prevedeva una giacca blu per la fanteria, mentre quella della cavalleria era celeste o verde, con calzoni di pelle giallo chiaro.
Cosimo Enrico Marseglia
https://napolitania.myblog.it/2013/10/29/gli-eserciti-del-regno-di-napoli-1a-parte-5744067/
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Posted by altaterradilavoro on Lug 20, 2018
Dalle coste del verde colle, sul quale sorgono, ombreggiate dagli ampi oliveti, le pittoresche mura dell’antico castello, che nel 1229 resistette all’impeto dell’esercito papale[2], – sull’erte pendici, tagliate da strade, da viottoli e da abitazioni, che furono il quarterio sancti Iohannis, feudo di un milite nei tempi normanni[3] e giù, fin nella pianura, irrigata dal serpeggiante Torano, si aggruppano e si distendono i molteplici e svariati edifici di Piedimonte d’Alife, la terra più popolata, più florida, più animata, della valle alifana del Volturno.
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Posted by altaterradilavoro on Nov 10, 2017
La storia militare del Regno di Napoli differisce sensibilmente da quella del resto della penisola, in relazione ad una cultura sostanzialmente differente ma anche grazie all’opera dottrinale fornita da teorici come il Pignatelli, il Colletta, il Capecelatro e non ultimo il marchese di Martignano Giuseppe Palmieri, la cui opera “Riflessioni critiche sull’arte della guerra” valsero all’autore le lodi di, nientedimeno che, Federico II di Prussia.
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