Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

BRIGANTI e GARIBALDINI SORA CAPOLUOGO 1900

Posted by on Feb 28, 2019

BRIGANTI e GARIBALDINI SORA CAPOLUOGO 1900

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L’ultimo Duca di Sora Antonio II si è spento a Roma nel Palazzo”SORA”, il 26 aprile 1805. I successori “Nominali” son stati il XVI Duca di Sora, Luigi Maria di Antonio 11 (1767-1841), il XVII Duca, Antonio III di Luigi (1808-1883) ed il XVIII Duca, Rodolfo Boncompagni Ludovisi di Antonio III, nato nel 1832. Il 10 agosto 1802 il vescovo Agostino Colaianni ha traslato le spoglie di San Giuliano Martire dalla Chiesa di Santo Spirito alla Cattedrale di Santa Maria, ove riposano nella seconda cappella della navata destra.

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Il ballerino pazzo : grandezza e decadenza di Nijinskij di Alfredo Saccoccio

Posted by on Feb 19, 2019

Il ballerino pazzo : grandezza e decadenza di Nijinskij di Alfredo Saccoccio

   La signorina Romola de Pulsky, figlia della prima attrice d’Ungheria, era , a diciotto anni, bella ed imprudente: imprudente come molte ragazze di anteguerra, quando i cappelli avevano la piuma pendula, il tennis rappresentava un’audacia e il tango uno scandalo. Francis de Miomandre, Marcel Proust, Debussy e Marie Laurencin inventavano proprio allora il Mito della Fanciulla e ce la mostravano in fiore, in giardino, in amaca, o con capelli di lino, ma sempre imprudentissima.

   Romola ebbe l’imprudenza di innamorarsi: e di un uomo impossibile. Nel 1912 capitarono a Budapest il “Ballets” Djagilev, delizia dell’Europa intellettuale d’allora. Il re di Spagna, d’Annunzio, Cocteau, Paquin, i Potenti, i Poeti, sognavano solo coreografia e del resto, per venti anni, il nome dei “Ballets” rappresentò la gloria, lo snobismo e la fantasia.

    L’organizzatore teatrale Sergej Pavlovic  Djagilev aveva raccolto i migliori ballerini della Scuola Imperiale di Pietroburgo, fondata dal marsigliese Petipas nel 1847, scuola di severità ed eleganza inaudite, dove portentosi bambini venivano educati, con rigidità militare, alle piroette.  Diagilev diede a questi meravigliosi strumenti una cornice adatta al gusto del 1909, presentandoli a Parigi, che immediatamente li portò alle stelle.

Tutto il mondo fece eco a Parigi e Romola fece come tutto il mondo.

Andò a teatro ogni sera. Con lei, la città perdeva la testa per i russi amabili e distanti, socievoli, ma chiusi nel loro cerchio quasi magico, fra granduchi, vecchi maestri di ballo, quinte e musiche. Una luce artificiale e raggiante li isolava. I buoni ungheresi   guardavano attoniti Anna Pavlova, così impennacchiata d’oro che la sua testa piegava  all’indietro. Kessinskaia portava gli smeraldi dell’Imperatore; i nomi splendevano: “Après midi d’un Faune”, “Le Spectre de la Rose”, “Prince Igor”. Gli arcieri persiani crudelmente marciavano sui ritmi di Borodin e “Sheherazade” ebbe cornice cinese. E Vasha Nijinskij volava.

                                              * * *

   Vasha era nato a Kiev, il 28 febbraio 188°, da genitori polacchi, ballerini randagi, perfettissimi. Fu battezzato da cattolico, a Varsavia.- Ebbe un fratello, Stanislao, che morì pazzo; una sorella, la Nijinska, grande danzatrice, grande coreografa, e se ne conosce l’opera migliore, il “Sogno di una notte di Mezza Estate”, film di Reiinhardt. I genitori gli morirono presto. La sua vita di scolaro diligente ed eccezionale fu un po’ vuota, scialba, fino al giorno in cui incontrò Sergej Pavlovic Djagilev, che lo amò e che gli diede bei ruoli, belle vesti e l’intelligenza che animò i suoi balzi. Forse gli portò  via l’anima, come si usa nei patti con il Demonio, ma Vasha sembrava contento. Ballava, sorrideva e leggeva Tolstoi.

   Di lui Romola non sapeva nulla. Sergej Pavlovic Djagilev, gelosissimo, lo faceva seguire sempre dal cosacco Vassili,, costringendolo ad una solitudine che forse non gli pesava, occupato, com’era, in allenamenti e in trionfi. E Romola non capì che bisognava lasciarlo a questa vita opaca e trasognata: lo amava.

   Ella ottenne di conoscerlo e non poté parlargli perché Vasha parlava solo il russo e il polacco. Lui stesso, l’indomani, mostrò di non riconoscerla, mentre lei, fra il pubblico, lo guardava adorante e tenace. Tanto tenace da farle abbandonare casa, madre, patria, carriera. Romola segue il Balletto Russo a Vienna. Là seduce il vecchio maestro Cecchetti, si fa appoggiare da critici musicali e da personaggi politici, fingendo di ignorare Nijinskij per non insospettire Djagilev e finalmente ottiene di venir scritturata, come semplice comparsa, nel Balletto.

   Da Vienna a Parigi, da Parigi a Londra, la ragazza viaggiò con i russi, felice, quando, in un corridoio di treno o di teatro, Nijinskij le sorrideva distratto e gentile. Disperata per settimane di solitudine, quando Dijgilev custodiva  Vasha come un allegorico drago. Finalmente una “Tournée” in Sud America: le parve un sogno. Dijgilev restava in Europa e la sua assenza le dava una possibilità di fortuna.

    I giorni di navigazione passano. Romola inutilmente sfoggia, con civetteria, bellissimi abiti. Nijinskij si allena, tace, non la guarda. La nave, carica di danzatori  favolosi, di quinte dorate, si avvicina a Rio de Janeiro: Romola dispera., ma il barone Gunzburg, un bonaccione di quelli che, scherzando, vivono all’ombra dei prodigi, un amico che parla il russo come l’ungherese, improvvisamente le dice: “Romola, Nijinskij domanda se lo vuoi sposare”.

   Romola si crede vittima di un giuoco. Ne piange, finché Nijinskij stesso, con mimica alata, la convince e due giorni dopo si sposano nella chiesa cattolica più grave e spagnolesca, poiché lo sposo vuole un matrimonio solenne, che piaccia al suo cuore primitivo. I veli sono bianchi, i paramenti scarlatti,, le musiche gravi. Sembra, a Romola sposa,, di essere finalmente ammessa nel cerchio misterioso della danza. Davanti ad un prete straniero, in terra lontana, si unisce ad uno che non le ha mai parlato.

 * * *

Karsavina, la prima ballerina, è l’interprete fra i due, che lentamente, con l’aiuto di manuali russo-ungheresi, fanno conoscenza. Vasha racconta di averla amata dal loro primo incontro. Avranno una casa in Russia, un bambino che si chiamerà Vladislav.

   Quante cose devono dirsi ! Vasha parla di Djagilev  che lo dominò, di Tolstoi che ora lo domina e gli sembrano due angeli quasi ugualmente potenti, uno bianco ed uno nero, il Bene ed il Male, intenti a disputarsi la sua anima. Romola, stupita, scopre un marito insospettato, tenero, religioso. E’ tanto contenta che neppure si allarma quando lo vede perdersi in strani sogni di purezza difficile, inumana. Ha altro da pensare, deve godere il suo bene, deve preparare il corredo per Vladislav, che presto nascerà.

   Questi nasce a Vienna. Non  Vladislav, ma soltanto Kyra. Nijinskij adora la sua bambina. Sogna di farne una prima ballerina, la chiama “Son Amabilité”. Quando Djagilev, con un rancore di vecchia donna abbandonata, lo scaccia dal Balletto, Nijinskij sorride, indifferente e tranquillo. Il giugno è dolce, a Vienna. Nel giardino della clinica Vasha si allena davanti a Kyra, che placida ride in braccio alla mamma. Le campane suonano nel cielo chiaro, perché a Serajevo è stato ucciso un arciduca.

   Romola vuole andare a Budapest, per mostrare Kyra alla nonna. imprudente ! La guerra li trova là, russi, nemici, prigionieri. La suocera si rivela bisbetica, litigiosa, e tormenta la piccola famiglia danzante, obbligata a vivere nella sua casa, ma Romola è felice lo stesso. Kyra impara a parlare e Vasha, sempre più splendido, mangia spinaci, legge Tolstoi, pensa agli anacoreti e agli eremiti.

   Ma il re di Spagna, il Papa, gli Impresari ed i Granduchi, chiedono la libertà per Nijinskij. Offrono, in cambio, dieci prigionieri, fra cui un generale. Si tenta di farlo evadere. Djagilev stesso, ansioso, lotta da New York con tutta la potenza neutrale del Metropolitan, che ha ingaggiato il Balletto. E mentre Vasha si viene staccando dal mondo, ne viene ripreso: accolti come sovrani, i tre profughi raggiungono Vienna, Parigi, New York. Djagilev li aspetta allo sbarco.

   E’ difficile, ma vogliono tornare quelli di prima, anche se Nijinskij è sposato, padre di famiglia, misteriosamente ascetico; anche se il pittore Bakst è prigioniero, Strauss  è boicottato, Tamara Karsavina incinta e Strawinsky chiuso in Svizzera; anche se in Europa si combatte. Ecco “Le Spectre de la Rose”: onde di valzer, fanciulle velate di bianco, chiaro di luna, scenari Biedermeier: Nijinskij si innalza, ricade “comme un roi qui descend”, dice Claude, e con un solo balzo attraversa la scena.

                                                              ***

   Romola ritrova l’atmosfera gloriosamente pazzesca che sempre aveva accompagnato Nijinskij. E’ di nuovo il cerchio magico, il Balletto da cui la donna si sente esclusa. Ella ne dà la colpa a Djagilev, lo provoca chiedendogli del denaro arretrato, lo offende, e quello, che la detesta, rompe il contratto. Vasha, quieto, sorride, porta Kyra a passeggio, per la vasta America sconosciuta. Sorride sempre. Tornano ed in Spagna studiano i “fandangos”, le ispirazioni di Argentina e l’Escorial. Due amici filosofi, eccessivamente sporchi ed inquietanti, si installano nella loro casa. Di chi parleranno, esaltati ed infelici? Di Tolstoi, si capisce. Romola dispera e, per salvarsi, immagina la sua imprudenza più grande : mette accanto a Vasha la bellissima ed innamorata “Duquesa” di  X., cugina del re di Spagna.

   Non serve. Dall’avventura, Vasha esce con un desiderio umiliato di purezza, con un’avversione verso la moglie, che ha permessa, aiutata la sua colpa. Ballerà ancora, ad intervalli, nell’America del Sud, in sale private. Più volentieri si chiuderà, con Romola e Kyra, in una casetta solitaria di Saint Moritz, tra la neve. Qui sapranno, finalmente, che la guerra è finita. Per l’ultima volta, in una sala dell’Hotel Suvretta, Vasha compare dinanzi a un pubblico ansioso. Lo accompagna Romola e la pianista Berta Asseo, che nulla sanno dei progetti di lui. Immobile, Vasha guarda i suoi spettatori, tenendoli, per ore, in attesa, mentre inutilmente Romola gli fa cenni disperati. Berta Asseo accenna le melodie che per anni furono le sue. Egli non vede, non sente, è perduto. Finalmente, incrocia sul pavimento una striscia di velluo bianco e una di velluto nero e annuncia di voler ballare la pace e la guerra. E balla come fino allora non aveva mai ballato.

   E’ pazzo ? Romola lo pensa, rabbrividendo, ogni tanto. Quando, con una spinta, fa cadere lei, che tiene Kyra al collo, dall’alto di una scala. Forse è solo uno scatto di cattivo umore. Le chiede  teneramente perdono. O quando lo incontra, per le vie del paese, vestito di bianco, copn una grande croce al collo, seguito da un gruppo di ragazzacci. Forse è solo la prova di un balletto nuovo: egli stesso lo spiega con eloquenza. Vasha gioca, ogni giorno, con stravaganze di cui è il primo a sorridere, alternando lucidità assoluta ad assolute nebbia, sempre parlando di pace, di Dio. Finché, un giorno, il domestico, esitante, racconta a Romola di aver servito, in Sils Maria, un uomo che poi impazzì. SI chiamava Federico Nietzsche e si comportava proprio come il signor padrone.

   Romola non vuol credere; si illude parlando di esaurimento, di crisi. Deve salvarlo. Con un’imprudenza, questa volta eroica, desidera, come una redenzione, un figlio. Non lo avrà: un grande medico svizzero, consultato, le dirà, invece, la certezza della fine di Vasha. Egli è pazzo. Forse la sua infanzia fu troppo dura, forse somiglia al fratello. Più ancora, la sua lotta, continua, fra il bene e il male, fra le complicate colpe di Djagilev e la terrificante purezza di Tolstoi, gli hanno bruciato il cuore, il cervello.

   Assorto in danze che non danzerà, in pitture che nessuno comprende, Vasha è chiuso nella casa di salute Kreutzlingen, sul lago di Costanza.

                                                  *  * *

     Messa in collegio Kyra, Romola restò sola. Chi la conobbe, in quel tempo, la dice bellissima, opaca, taciturna. Abitava nell’Albergo Suvretta, aveva meravigliose mani, perle meravigliose e il più malinconico e distratto sorriso del mondo. Sentiva di aver perso, si lasciava andare. Poiché il medico dell’albergo, il dottor M., piccolo, brutto, uomo ammogliato, e con due bambini, si era innamorato di lei, Romola non fu capace di resistere a questo amore ed ebbe figli dal dottore. La moglie di lui si stancò di soffrire in silenzio: il dottore tentò di suicidarsi. Romola restava  distante, quasi annoiata.

   Un ultimo tentativo di dare la ragione a Nijinskij Romola lo tentò nel 1927, quando i medici consigliarono di rimettere il pazzo in presenza di quello che era stato il suo mondo. Tutto il Balletto Russo si riunisce, a Parigi, nel teatro Sarah Bernhardt, come in uno di quei  finali che le dissonanze di Debussy splendidamente ritmavano. Eccoli, si son fatti fotografare, gli eroi del grande Balletto, che esercitò un’azione incalcolabile, per circa un decennio, sull’arte e sul gusto musicale, teatrale, pittorico di Parigi e d’Europa, e ci si chiede perché. Decoratori, ballerini e Dijgilev, che  fra due anni morirà, stanchissimo, in una pensioncina del Lido di Venezia, con il suo viso di demonio disperato.  E Tamara Karsavina, sfiorita, diritta sulle punte dei piedi, con una grazia frivola e commovente, di farfalla moribonda. E Serge Lifar, adolescente, nelle luccicanti vesti di Petruska. In mezzo a loro, sta Vasha. Gli altri lo fissano con un riso largo, indulgente e falso. Vogliono dargli, si capisce, l’illusione che tutto sia come prima e certo Djagilevf, tra il lampeggiare del magnesio, chiede, teneramente imperioso: “Vasha, ritorna con noi, il Balletto ha bisogno di te ”. Ma quello che fu il Principe, il Fauno, il Sogno,  che porta un colletto troppo largo, un abito da impiegatuccio, china la testa, con rassegnata malizia sorride. “Sergio, non posso più, perché sono pazzo”.

                                                               * * *

   Che pensava, intanto, esclusa, ancora una volta,  dal loro gruppo e dal Balletto,  l’imprudente , l’intrusa, la stanchissima Romola ?

   Passano gli anni, musiche e balletti nuovi corrono il mondo. Lifar imita Mary Wigman; la scuola di Isadora prima, quella di Dalcroze poi, hanno mutato il gusto delle folle. Scenarista, impresaria, scrittrice di memorie, Romola cerca guadagni divenuti difficili. Forse altri  uomini piccoli e brutti stanno accanto a lei, che fu compagna del più bello, del meno umano. Però la sua vita temeraria, sprecata, ci sembra ancora buona, purificata da un amore inutile, ma superiore ad ogni dignità, ad ogni delusione. Abbiamo letto, un giorno, fra gli annunci vari del “Times”, un appello umile e supplichevole di donna, che per mantenere al manicomio il marito pazzo chiedeva, come una mendicante, l’ elemosina. E questa donna era Romola Nijinskij.

Alfredo Saccoccio

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Il primo Festival di Sanremo si chiamava Festival Napoletano

Posted by on Gen 23, 2019

Il primo Festival di Sanremo si chiamava Festival Napoletano

Il Festival di Sanremo ha segnato il punto di partenza, ma anche di arrivo, per la maggior parte dei cantanti e musicisti italiani che volevano fare della musica il loro pane quotidiano. Dal mitico Lucio Dalla alla giovanissima Mimì Bertè (Mia Martini), sono stati tantissimi i nomi dei cantanti annunciati al Festival della canzone italiana. Ma siamo sicuri che il Festival di Sanremo non abbia origini un po’ più meridionali?

Molto probabilmente i nonni napoletani ricorderanno con orgoglio la locandina del Festival Napoletano al Casinò Municipale di Sanremo che si svolse dal 24 dicembre 1931 al primo gennaio 1932. Il Festival Napoletano fu organizzato da un gruppo di poeti e musicisti provenienti da Napoli, con a capo Ernesto Murolo (padre di Roberto) ed Ernesto Tagliaferri, con lo scopo di esportare la canzone napoletana oltre i confini campani e del Sud, sperando vivamente di rilanciare questa musica in tutto il mondo.

Ernesto Murolo fu il direttore artistico, Ernesto Tagliaferri si occupò di dirigere l’orchestra ed i commenti musicali; i cantanti in gara erano delle voci già molto apprezzate. L’orchestra era unica (e non cambiava mai) e le canzoni in gara non erano inedite come oggi. Nella prima edizione del Festival Napoletano del 1932 le canzoni presentate erano la maggior parte una specie di tormentoni dell’epoca, ascoltate svariate volte ai festival minori ,come ad esempio quello di Piedigrotta, oppure anche dei grandi classici; chiaramente non mancava qualche pezzo nuovo scritto dal duo Murolo- Tagliaferri. I cantanti erano soliti danzare su delle coreografie in compagnia dei figuranti, spesso coreografie di danze popolari come la tarantella o la tammurriata.

Grazie alle sue importanti amicizie, Murolo riuscì a formare un nutrito cast di big canori, tra cui spiccavano i nomi di Nicola Maldacea, re indiscusso della macchietta e del Cafè Chantant; si racconta che fosse ossessionato dal gioco e che in quell’ occasione perse in poche ore alla roulette tutto suo il gettone d’ingaggio; Ada Bruges, una popstar italiana dell’epoca, proveniente da una trionfale tournèe americana; la ventiquattrenne Milly, una delle prime a fare il proprio debutto con la celluloide, Giorgio Schottler, famoso, in particolar modo, per aver duettato con Enrico Caruso; Ferdinando Rubino, un artista moderno, poiché si alternava tra musica, cinema e teatro; Vittorio Parisi, futuro insegnante di canto di Sergio Bruni. Fra i nomi illustri della sezione giovanile, invece, non si possono dimenticare Carlo Buti e Carmencita.

Oltre all’ottimo gruppo di cantanti, la direzione artistica si servì dell’intervento di sedici ballerini di tarantella, nonché del noto attore teatrale Salvatore De Muta, l’ultimo grande Pulcinella, che, insieme a sua moglie Rosa, recitarono dei brani di Pulcinella e Colombina. Napule ca se ne vaper certi versi un titolo alquanto profetico, chiuse la serata finale del Festival, tra gli applausi di un pubblico commosso.

L’edizione successiva si svolse a Lugano per poi tornare direttamente nel 1952 dopo la guerra con il nome di Festival di Napoli ( modificato in Festival della Canzone Napoletana, per ragioni televisive) ed andò addirittura in onda sulla Rai fino agli anni ’70. Un anno prima ci fu il debutto ufficiale del Festival di Sanremo.

Di seguito la lista dei cantanti in gara alla prima edizione del Festival Napoletano con le loro canzoni:

‘A frangesa                                    (Costa)                Ada Bruges

‘A pacchianella d’Uttaiano   (Capurro-Giannelli)      Carmencita

‘A surrentina                        (G.B. & E. De Curtis)     Milly – Armando Falconi

Adduormete cu’ mme         (Murolo-Tagliaferri)      Carlo Buti

Ammore canta                    (Murolo-Tagliaferri)      Vittorio Parisi

E ddoie catene                    (Murolo-Tagliaferri)      Carmencita

Funiculì funiculà                  (Turco-Denza)               Ferdinando Rubino

Int’a n’ora Dio lavora          (Murolo-Tagliaferri)       Clara Loredano – Pina Gioia – Lola Verbana

Lariulà                                 (Di Giacomo-Costa)       In coro tutto il cast

Marechiaro                         (Di Giacomo-Tosti)         Vittorio Parisi

Muntevergine                    (Cinquegrana-Valente)   Mario Pasqualillo – Ferdinando Rubino – Alfredo Sivoli

Napule                              (Murolo-Tagliaferri)         In coro tutto il cast

Napule ca se ne va           (Murolo-Tagliaferri)         Alfredo Sivoli

‘Nbraccio a mme              (Murolo-Tagliaferri)         Ferdinando Rubino

‘O cunto ‘e Mariarosa       (Murolo-Tagliaferri)         Ada Bruges

‘O paese d”o sole             (Bovio-D’Annibale)          In coro tutto il cast

‘O sole mio                       (Capurro-Di Capua)         Mario Massa

Paraviso e fuoco eterno   (Murolo-Tagliaferri)        Mario Pasqualillo

Serenatella amara            (Bovio-D’Annibale)         Giorgio Schottler

Torna a Surriento              (G.B. & E. De Curtis)        Vittorio Parisi – Ferdinando Rubino

Totonno ‘e Quagliarella    (Capurro)                        Arturo Gigliati

Ve chiammate                   (Murolo-Valente)           Nicola Maldacea – Milly

Voce ‘e chitarre                 (Murolo-Tagliaferri)         Clara Loredano

Disegno di Emanuel D. Picciano

fonte https://www.storienapoli.it/2018/08/04/il-primo-festival-di-sanremo-si-chiamava-festival-napoletano/

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Insorgenza: vecchie e nuove prospettive

Posted by on Dic 17, 2018

Insorgenza: vecchie e nuove prospettive

1. La questione delle insorgenze


Da qualche tempo – all’incirca una quindicina di anni – il tema delle «insorgenze anti-giacobine» – è questa la terminologia più ricorrente, benché imprecisa (1) – è uscito dalle nebbie di un immeritato oblio ed è riuscito a conquistarsi un po’ di spazio nei canali dell’informazione ed anche, anche se in misura limitata, negli studi.

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CENNI SUL BRIGANTAGGIO RICORDI DI UN ANTICO BERSAGLIERE

Posted by on Dic 3, 2018

CENNI SUL BRIGANTAGGIO  RICORDI DI UN ANTICO BERSAGLIERE

Al Lettore, Nel pubblicare questo piccolo mio lavoro non ho avuto altro scopo tranne quello di ricordare in qualche modo alla giovine generazione quei giorni funesti e pericolosi attraversati dall’Italia, quando ad un tempo, guerreggiando contro lo straniero e rovesciando troni, al grido dì Vittorio Emanuele Re d’Italia agognava all’unificazione della Patria. Senza note, ho scritto ciò che è rimasto più impresso nella mia mente, per cui spero essere perdonato se dopo tanti anni fossi incorso in qualche errore di cronologia, ed avessi errato talvolta nell’apprezzare le cose accadute. Giudichi benignamente il Lettore l’opera mia e riponga nella memoria quegli aneddoti, che per quanto interessanti ed istruttivi, la storia troppo spesso trascura. Se questo riuscirò ad ottenere sarà largo compenso alla per me non poca fatica.

L’Autore.

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