in questo breve periodo di pausa dal lavoro, mi sono dedicato a studiare il pensiero di Don Massimo Cuofano attraverso l’analisi di alcuni suoi discorsi. Don Massimo, pur avendo una cultura molto profonda, non parlava da cattedratico, parlava a braccio, rendendo i suoi interventi interessanti sia per i significati che per le grandi emozioni che ci trasmetteva. Vi propongo la sbobinatura del potente e, nello stesso tempo, dolcissimo discorso che, nel 2012, Don Massimo tenne a Pontelandolfo per commemorare il vile eccidio del 14 agosto 1861. Buona estate.
Il trucco dei Giacobini
fin dal 1789 e quello di far passare come “libero pensiero” quello
che è il loro vero cavallo di battaglia, la dittatura del “pensiero
unico”. Un megafono autorevole di questa ideologia “gnostica” è
certamente Radio Radicale che in questi giorni sta conducendo una legittima
battaglia sulla propria sopravvivenza che potrebbe essere una nobile lotta che
tutti dovremmo sostenere a cominciare da me. Dopo aver ascoltato la
trasmissione del 16 di maggio a cura di Alessandro Barbano in cui veniva
denigrata la legge contro l’aborto che stanno approvando in uno degli stati
degli U.S.A. e a seguire veniva derisa la tesi dei neoborbonici, è il termine
che viene usato dagli “gnostici giacobini” quando ci vogliono deridere, sui
drammatici fatti di Pontelandolfo.
A questo punto dico che sono a favore di continuare a finanziare con i soldi pubblici Radio Radicale, anzi aumenterei i finanziamenti, ma a condizione che tutti devono avere lo stesso spazio, gli abortisti come i no-abortisti, i risorgimentali come gli identitari in nome della reale libertà di stampa e del vero libero pensiero che deve diventare l’humus del libero arbitrio. Non vi informo su quanto detto nella trasmissione e chi vorrà farlo può ascoltare gli ultimi 9 min. del programma in cui vengono toccati i suddetti temi e se qualcuno pensa che è una mia esagerazione lo invito a denunciarla
Qualche
domenica fa, passeggiando per il centro di Sant’Agata dei Goti, mi incuriosì il
testo di una locandina che faceva mostra di sé nelle vetrine di quasi tutti i
negozi del paese invitando alla presentazione di un libro il cui autore era un
certo Giancristiano Desiderio.
L’incontro, infarcito dalla presenza di tanto illustri quanto
altrettanto sconosciuti storici c’era stato solo il giorno prima e… quanto mi
rammaricai di non aver potuto parteciparvi! Gli argomenti mi stuzzicavano ma…
ormai era fatta. Per una riflessione, però, sono ancora in tempo.
Innanzitutto, già dalle parole del manifesto era chiaro che
l’autore fosse un paladino dei piemontesi, degli invasori. Era lampante che
egli appartenesse allo stesso filone: un diretto discendente di coloro che
applaudirono gli stessi i savoiardi, cioè gli invasori di cui sopra. Lo strano, però, era il fatto che il Corriere del Mezzogiorno, diretta
emanazione del Corrierone nazionale, dedicasse
ben un’intera pagina a quel libro! Un testo, oltretutto, edito da una casa
editrice “minore”, oltre che meridionale. La spiegazione non poteva essere che
una sola, lapalissiana: era un affare, diciamo così, di… “famiglia”. Già,
perché non bisogna dimenticare che il Corriere
della Sera, fondato da un ex garibaldino, nel corso della sua storia è
stato sempre in… odore (odore?) di massoneria. Motivo per il quale un
malpensante come me ha immediatamente dedotto che autore… editore… recensore… e
quotidiano siano tutti affratellati,
insomma facciano parte tutti della stessa famiglia liberal massonica…
A
prescindere da queste considerazioni “formali”, sono – però – alcune
affermazioni dell’articolo che turbano: il
fatto di sangue più atroce di quell’agosto ci fu il giorno 11, quando i soldati
furono uccisi da prigionieri e disarmati… Quella subìta dai militari
sabaudi sì che fu una vera e propria strage mentre a Pontelandolfo, invece, i
morti furono “solamente” tredici (di cui “solo” dieci pontelandolfesi furono
uccisi, gli altri tre morirono intrappolati
nell’incendio (per autocombustione?!?) della
propria abitazione… e dunque non fu
una strage…
Probabilmente
l’esimio (!) autore del saggio sarà a conoscenza di una codificazione a noi
ignota che fissa la definizione di strage a partire solo da un certo numero di
morti.
È
bene aggiungere anche che i bravi bersaglieri, di ritorno da Pontelandolfo
fucilarono diligentemente altri sette cittadini di un paese vicino, Fragneto
Monforte, e siamo a venti. Che ne dici, Gian…Cristiano, questo numero ti va
bene per definire quell’azione dei piemontesi una strage?!?!
Forse,
solo su una cosa, egli ha ragione: quando accusa chi, con una certa faciloneria,
se non addirittura imperdonabile superficialità, riporta gli avvenimenti
gonfiando notevolmente numeri e dati. Da qui, l’accusa ai filoborbonici di
costruire su questi “falsi dati” i loro
miti positivi… È, infatti, grazie a costoro, a questi neo “vati” (che hanno
avuto la fortuna di inserirsi in un contesto ideologico nel momento più
propizio, appropriandosi di lavori altrui ed elaborandoli a loro piacere, senza
i dovuti, necessari riscontri e, soprattutto, ben guardandosi dal citarne le
fonti) che la nostra revisione storica offre il fianco, venendo accusata di
falso e diventando, così, vulnerabile e facilmente attaccabile. E si rischia non
solo di buttare al vento tutto il lavoro fatto da anni ma, soprattutto, si
rischia di seppellire di nuovo i martiri di Pontelandolfo, di Casalduni, di
Fragneto Monforte e di tanti altri posti sotto la tossica polvere della
storiografia ufficiale.
Nell’agosto del 1861, a pochi mesi dalla nascita ufficiale dello Stato Unitario, si verificò un evento, nelle terre del Beneventano, rimasto quasi del tutto sotto silenzio per circa 150 anni: la cosiddetta strage di Pontelandolfo e Casalduni. Sono, queste, due piccole cittadine del Sannio; Pontelandolfo è oggi probabilmente maggiormente conosciuta e famosa per i festeggiamenti del Carnevale, festeggiamenti che culminano con il noto gioco della ruzzola.
Ho appena letto il nuovo msg [in cui si parla di un recente testo che minimizzerebbe l’entità degli eccidi di Pontelandolfo e Casalduni – N d. R.] della rete delle Due Sicilie, ecco come zittire il “grande studioso” !!!
E’ inutile citare uno storico contemporaneo per smentire un altro storico (o presunti tali), se non conoscessi le fonti dell’evento storico in questione, penserei “‘a parola mia, contra ‘a toia, chissà addò stà a’ verità!”