Alta Terra di Lavoro

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La laurea facile? Comincia con i garibaldini come ‘premio’ per la conquista del Regno delle Due Sicilie

Posted by on Ott 11, 2019

La laurea facile? Comincia con i garibaldini come ‘premio’ per la conquista del Regno delle Due Sicilie

I ‘diplomifici’ da Garibaldi ai nostri giorni. Non ci dobbiamo meravigliare se oggi la laurea regalata ai potenti e ai figli dei potenti è una pratica molto diffusa. ‘Scavando’ tra i documenti dell’impresa del ‘mille’, Ignazio Coppola ha scoperto che tante giovani ‘camicie rosse’, a Napoli, diventarono ingegneri e matematici per meriti sul campo… Lauree facili in cambio della partecipazione alla colonizzazione del Sud

Lauree facili, lauree regalate e lauree comprate Scandali all’ordine del giorno del cerchio magico leghista che qualche anno fa hanno riempito ignominiosamente e boccaccescamente, con buona pace del popolo padano, le cronache di tutte le testate giornalistiche e televisive nazionali e non solo. Questo delle lauree e dei titoli di studio “facilitati” è indubbiamente una prerogativa di molti politici del Nord e riguarda anche quelli non solamente di pura “razza” padana. Altro che “barbari sognanti”, come amano definirsi certi leghisti, sarebbe più giusto appunto che costoro, alla costante ricerca di lauree da comprare, si fregiassero del “titolo”, questo sì, di “barbari ignoranti”.

Tutto questo, infatti, è la risultante di una sottocultura e scarsa preparazione che evidentemente caratterizza molti politici settentrionali. Mediocrità culturale che, non garantendo loro la sicurezza e la consapevolezza della acquisizione di un titolo di studio “regolamentare”, li spinge a cercare scorciatoie e pratiche poco ortodosse per ottenerlo.

Emblematico, in tal senso, il caso dell’ex ministro alla “pubblica (d)’istruzione” Mariastella Gelmini che, nel 2001, conseguì a Reggio Calabria, perché nella sua Brescia, a causa della propria scarsa preparazione era, per sua stessa ammissione, per lei impossibile ottenere, l’abilitazione alla professione di avvocato. Per poi passare all’ex senatore leghista Claudio Regis, che si fregiava di una laurea in ingegneria che non aveva mai conseguito. Millanteria che gli aveva permesso, con apposito decreto dell’allora governo Berlusconi, di accedere indebitamente alla prestigiosa carica di vice commissario dell’ENEA. Scoperto e denunziato si era poi dovuto dimettere.

E per giungere infine alle boccaccesche vicende per cui tempo addietro, con i soldi dei contribuenti, i dirigenti del partito di Salvini, permeati da alto senso morale ed etico, oltre che comprare lingotti e diamanti, facevano incetta di lauree e diplomi a destra e a manca. Così la laurea, comprata a Tirana del “Trota”, al secolo Renzo Bossi e quelle di Rosi Mauro e del suo gigolò e “guardia del corpo” (nel senso più letterale della parola), Pietro Moscagiuro.

Tutti costoro possono però rivendicare, a buon diritto, e di conseguenza trovare una parziale giustificazione che questa prerogativa di comprare ed ottenere facili lauree e diplomi compiacenti era una caratteristica dei loro antenati “padani” e garibaldini che 156 fa conquistarono, invasero e depredarono il Regno delle Due Sicilie.

A ben vedere, infatti, questa delle lauree facili ha una radice ben lontana agli albori dell’Unità d’Italia e nel contesto della stessa spedizione dei Mille ad alcuni dei quali, per meriti di guerra, come vedremo, vennero regalati, a suo tempo, da cattedratici compiacenti con disponibilità e irrisoria facilità, qualificati titoli accademici.

E’ singolare e significativo a proposito quanto avvenne, ad esempio, a Giuseppe Rebuschini, un garibaldino originario di Dongo, studente in ingegneria che, come tanti lombardi costituiva la colonia “padana” più numerosa al seguito di Garibaldi alla conquista del Sud. Al culmine dell’impresa dei Mille, dopo la battaglia di Capua, il giovane Rebuschini, che allora aveva 21 anni, il 6 ottobre del 1860 così testualmente scriveva ai propri genitori:

”Carissimi, sono a darvi una notizia che se non vi farà stare di sasso, sono certo però che vi farà aprire tanto di bocca dalla meraviglia. Per dirla in breve, sapete cosa è successo? Da un’ora sono nientemeno che dottore in matematica. Ecco che voi vorreste quasi dubitare, ma fortunatamente è proprio così. Sì, o signor Gerolamo, sì, signora Maddalena, il vostro quartogenito, battezzato nella chiesa parrocchiale di Dongo coi bellissimi nomi di Giuseppe Gaspare Ferdinando presentemente aiutante maggiore e diciamolo pure aspirante al gradi di capitano, oggi, giorno 6 ottobre 1860, nella Regia Università di Napoli riceve il diploma di Ingegnare-Architetto. Ma come, direte voi, senza attestati, né certificato alcuno? Il come non lo so neppure io.

“Io so solamente che ieri, colpito da luminosa idea di diventare dottore – prosegue il giovane Rebuschini – in men che non si dica, mi recai all’Università e mi presentai al Rettore. Signor Rettore, dissi io, io ero laureando in matematica. La prima spedizione in Sicilia venne a togliermi dai severi calcoli per gettarmi framezzo alle armi. Ora desidererei assicurarmi quella interrotta carriera e però vorrei prendere la laurea. Fosse la camicia rossa, fosse lo squadrone, fatto sta che il signor Rettore mi fece un bellissimo sorriso e senz’altro domandare di documenti, mi stabilì l’esame a questa mattina alle otto. All’ora stabilita, io fui lì, feci un simulacro di esame ed appena terminata questa lettera, andrò a prendere il diploma previo beninteso lo sborso di ducati 15 quale tassa di laurea. Così non mi restano che gli esami di pratica per essere un ingegnare in perfetta regola. Vedete bene che, senza contare un centinaio d franchi, sono perlomeno un paio d’anni risparmiati”.

La lettera del giovane Rebuschini è la lampante testimonianza di come con il “fascino” della camicia rossa si potesse ottenere facilmente a buon prezzo un dottorato d’ingegneria. Del resto, da quanto ci è dato di sapere in quei frangenti della spedizione garibaldina, il Rebuschini non fu il solo ad esser beneficato e gratificato con molta generosità e facilità del titolo accademico. Analoga benevola sorte toccò per meriti di guerra e di riconoscimento, come atto dovuto alle camice rosse, agli increduli studenti Giuseppe Peroni originario di Soresina (Cremona) e al pavese Arturo Termanini anch’essi nominati ingegneri con analoghe e “spicce” procedure dal Rettore dell’Università di Napoli.

Alla luce da quanto documentalmente provato possiamo parzialmente consolarci per il fatto che il malcostume delle lauree facili e regalate non è un fenomeno esclusivo dei nostri giorni, di cui hanno beneficiato a suo tempo Claudio Regis, Renzo Bossi, Francesco Belsito, Rosi Mauro, il suo amico Piero Moscagiuro e tanti altri, ma ha le sue profonde origini e le sue ben salde radici al tempo delle camice rosse, dell’impresa dei Mille e agli albori dell’Unità d’Italia.

Purtroppo dopo 156 anni nulla è cambiato

fonte https://www.inuovivespri.it/2017/07/01/la-laurea-facile-comincia-con-i-garibaldini-come-premio-per-la-conquista-del-regno-delle-due-sicilie/

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Garibaldi e le banche del Regno

Posted by on Set 6, 2019

Garibaldi e le banche del Regno

da “Time Sicilia “…..di Ignazio Coppola

Sulla ‘gloriosa’ spedizione dei Mille in Sicilia ci hanno raccontato un sacco di menzogne. Non solo non ci fu nulla di ‘eroico’, ma Garibaldi svuotò le ‘casse’ del Banco di Sicilia (depredando 5 milioni di ducati corrispondente a 82 milioni di Euro dei nostri giorni) e poi le ‘casse del Banco di Napoli (depredando 6 milioni di ducati equivalenti a 90 milioni degli attuali Euro). Tutti soldi portati ai Savoia.
E noi ancora oggi ricordiamo questo bandito di passo!

11 Maggio 1860, esattamente 156 anni fa, con lo sbarco di Garibaldi a Marsala inizia la invasione del Sud e la sistematica colonizzazione della Sicilia. Uno sbarco che come tutto il resto della spedizione dei Mille, da Calatafimi alla presa di Palermo, sarà un’indegna sceneggiata caratterizzata da squallidi episodi che in termini militari si usano definire di “intelligenza con il nemico”.

E di intelligenza con il nemico, a differenza di quanto da sempre ci è stato propinato dalla storiografia ufficiale, è macchiato ed inficiato lo sbarco dei garibaldini a Marsala. Basta rivisitare obbiettivamente le cronache dello sbarco indisturbato della camice rosse di quel lontano giorno alle ore 13,00 del 11 maggio 1861 per rendersi conto dell’accordo sottobanco tra Garibaldini e gli ufficiali della marina borbonica che avrebbero dovuto ostacolare e non lo fecero, se non in ritardo ed a sbarco avvenuto, e tutto questo con la complicità degli inglesi che avevano un forte radicamento economico a Marsala con una notevole presenza di loro bastimenti ancorati in quel porto.

Non a caso, da parte di Garibaldi, essendo tutto, con chiare complicità, preparato a dovere, si scelse di sbarcare a Marsala. Le due navi il Piemonte ed il Lombardo – precedentemente prese a Genova non requisendole manu militari (come falsamente viene raccontato dalla storiografia ufficiale), ma pagate attraverso una fidejussione di 500 mila lire (una somma enorme per quei tempi) dagli industriali fratelli Antongini alla società Rubattino – entrano senza colpo ferire nel porto di Marsala, come anzidetto, alle ore 13,00 iniziando, indisturbate, a sbarcare il loro contingentamento mentre le navi della marina borbonica, la corvetta a vapore Stromboli e la fregata a vela Partenope, al comando del capitano Guglielmo Acton che si erano lanciate, con colpevole e sospetto ritardo, all’inseguimento del Piemonte e del Lombardo giungendo in vista del porto di Marsala alle ore 14 pomeridiane rimanevano, restando a guardare, inattive ed assistendo allo sbarco.

Restare a guardare. Un bel modo davvero per impedire un ‘aggressione armata al territorio sovrano delle Due Sicilie Tutto andava svolgendosi secondo il programma da parte del comandante Acton ossia di dichiarata e manifesta complicità ed “intelligenza con il nemico”.

Guglielmo Acton, successivamente ricompensato da tale vergognoso comportamento e tradimento, diverrà ufficiale di grado superiore della marina-italo piemontese. Il tradimento alla fine paga.

Ecco quanto scrive al proposito il capitano Marryat, ufficiale della marina inglese, presente e testimone degli avvenimenti di quel giorno, in un suo rapporto che lo si può considerare un vero e proprio atto di accusa nei confronti dell’incomprensibile atteggiamento di Acton:

“L’altro vapore era però arenato (si tratta del Lombardo che Bixio aveva mandato a schiantarsi contro il molo) quando i legni napoletani furono a portata con i loro cannoni. I parapetti erano già calati ed i legni a posto. Noi aspettavamo e seguivamo – prosegue Marryat nel suo rapporto – con ansietà per vedere il risultato della prima scarica (che ovviamente non ci fu). Invece di cominciare il fuoco, abbassarono un battello e lo mandarono verso i vapori sardi, ma – a nostra sorpresa – ecco che il vapore napoletano spinge la sua macchina verso l’Intrepido (una nave inglese), anziché impedire più oltre lo sbarco della spedizione”.

Di una chiarezza disarmante il rapporto di Muryat sulla espressa volontà di Acton – che ritardò il suo intervento – di non volere ostacolare lo sbarco dei garibaldini giunti sani e salvi a terra e senza un graffio.

Solo alcune ore dopo, a sbarco avvenuto e dopo che l’ultimo garibaldino avrà messo piede sul molo di Marsala ed assicuratosi che non vi fossero più ostacoli di sorta allo sbarco degli invasori, Guglielmo Acton si deciderà – troppo tardi, bontà sua – a fare fuoco. Risultato, molti dei colpi finirono in mare, uno uccise un cane che fu l’unica e sola povera vittima di quella giornata e altri ferirono di striscio due garibaldini.

dimostrazione della sua intelligenza e complicità con il nemico dopo il finto cannoneggiamento, il comandante Acton non si preoccupò minimamente di fare sbarcare gli equipaggi delle sue navi per combattere ed inseguire i garibaldini che poterono così entrare a Marsala indisturbati. Con questo atto di ignavia e di tradimento iniziava in Sicilia l’impresa dei Mille.

Le battaglie-farsa caratterizzate da tradimenti e corruzioni si ripeteranno poi a Calatafimi e più avanti nella presa di Palermo. Protagonisti, i generali Landi a Calatafimi e Lanza a Palermo.

Entrato a Marsala, Garibaldi troverà, tranne il console inglese Collins e qualche rappresentante della stessa colonia inglese presente in quella città, una popolazione ostile ed avversa alla sua venuta. Altro che accoglienze trionfali che falsamente riportano i testi della storiografia ufficiale e scolastica.

Ecco quanto scrive Giuseppe Bandi, uno dei maggiori protagonisti dell’impresa garibaldina nel suo libro I Mille a proposito della fredda accoglienza ricevuta dalle camice rosse a Marsala da parte della popolazione locale:

“Appena entrato in città, qualche curioso mi si fè incontro, che udendomi gridare: ‘Viva l’italia e Vittorio Emanuele’, spalancò tanto d’occhi e tanto di bocca e poi tirò di lungo. Le strade erano quasi deserte. Finestre ed usci cominciavano a serrarsi in gran fretta, come suole nei momenti di scompiglio, quando la gente perde la tramontana. Tre o quattro poveracci mi si accostarono stendendo la mano e chiamandomi eccellenza, non altrimenti che io fossi giunto in città, per mio diporto, ed avessi la borsa piena per le opere di misericordia. Si sarebbe detto che quella gente, colta così di sorpresa, non avesse capito un’acca del grande avvenimento che si compiva in quel giorno”.

(Purtroppo i siciliani e i meridionali lo capiranno molto bene sulla loro pelle negli anni a venire e sino ai nostri giorni).
Questa l’autorevole è testimonianza dello scrittore e ufficiale dell’esercito garibaldino, Giuseppe Bandi, sulle “entusiastiche” accoglienze dei cittadini di Marsala all’ingresso di Garibaldi nella loro città. Garibaldi, nella sua breve sosta a Marsala, incontrandosi poi con il Sindaco ed i decurioni della città non perderà tempo a pretendere che gli consegnassero il denaro contenuto nelle ‘casse’ comunali.

La stessa cosa farà poi depredando ed appropriandosi indebitamente del denaro contenuto nelle ‘casse’ del Banco di Sicilia a Palermo: 5 milioni di ducati (corrispondente a 82 milioni di Euro dei nostri giorni). Giunto a Napoli fece altrettanto con il Banco di Napoli, impossessandosi di 6 milioni di ducati (equivalenti a 90 milioni degli attuali Euro) depositati nella capitale del Regno delle Due Sicilie.

Così, con questi atti di pirateria e con il saccheggio e la spoliazione sistematica del Sud iniziava la predatoria spedizione dei Mille tanta cara e tanto celebrata dalle menzogne dei nostri storiografi e dai nostri risorgimentalisti.

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Schegge di storia 6/ Quando all’indomani dell’unificazione i Savoia scipparono alla Sicilia una cifra enorme con la Manomorta

Posted by on Lug 4, 2019

Schegge di storia 6/ Quando all’indomani dell’unificazione i Savoia scipparono alla Sicilia una cifra enorme con la Manomorta

Questa rubrica – curata da Giovanni Maduli – ci racconta, attraverso scritti e testimonianze, la storia del popolo del Sud che si ribellava all’occupazione da parte dei piemontesi dopo la ‘presunta’ unificazione italiana. Sono testimonianze incredibili di un genocidio che ancora oggi viene tenuto nascosto. Oggi parliamo della rivolta di Misilmeri nel 1866. Poi dei ‘precursori’ del PD (i 600 milioni di lire scippati alla Sicilia all’indomani dell’Unificazione con l’operazione Manomorta). E della mafia che in Sicilia diventa Stato nel 1860 

di Giovanni Maduli
componente della Confederazione Siculo-Napolitana e vice presidente del Parlamento delle Due Sicilie-Parlamento del Sud®, Associazione culturale

Continuando l’excursus di testimonianze relative al periodo post unitario che difficilmente possono essere soggette a “interpretazioni” o “valutazioni” diverse da ciò che effettivamente sono e denunciano, verifichiamo che:

“Altri centri che insorsero in quei giorni (1866 n.d.r.) furono Villabate (dove persero la vita in un’imboscata 4 militi) e nuovamente Bagheria che innalzò la bandiera borbonica e dove furono uccisi tre Carabinieri, fra cui uno che si era rifiutato di rinnegare il Regno d’Italia.

Ancora più cruenti furono le rivolte a Misilmeri, paese situato a 11 chilometri da Palermo, che insorse la sera del 15.

Squadre armate, più organizzate, agli ordini di Domenico Giordano e Gian Battista Plescia, formate da latitanti e renitenti alla leva, entrarono in città accolte dal popolo, con illuminazione serale e la formazione di un Comitato politico e insurrezionale. Le campane suonavano a festa e fu corale l’appoggio agli insorti del clero locale. Fu assaltato il deposito della disciolta Guardia Nazionale, sequestrati oltre 500 fucili, munizioni, duemila misilmeresi si spinsero verso la caserma dei Carabinieri dove pure si erano rifugiati le Guardie di Pubblica Sicurezza. I rivoltosi chiesero la resa ma il maresciallo Grimaldi e il Brigadiere di P.S. De Lupis resistettero fino all’ultima cartuccia, oltre il mezzogiorno del 18”.

– Tommaso RomanoSicilia 1860 – 1870, una storia da riscrivere, ed. ISSPE, pag. 133

“In Sicilia, i due terzi delle terre esistenti erano di proprietà delle corporazioni, delle congregazioni religiose, dei conventi e della Manomorta, che davano lavoro e occupazione a decine di migliaia di famiglie siciliane. La confisca di questi terreni e la loro nazionalizzazione permise allo Stato italiano di mettere all’asta in Sicilia ben 250.000 ettari. Una superficie enorme di terreni fu, così, trasferita dal clero ai latifondisti. Con l’intervento coercitivo della mafia, i contadini, che dovevano essere i legittimi destinatari di queste terre come promesso a più riprese da Garibaldi prima e dal nuovo Governo italiano dopo, furono esclusi dalla possibilità di partecipare alle aste, i banditori sottoposti a intimidazioni, così che pochi potenti compratori stabilirono degli accordi segreti, che eliminarono la concorrenza mantenendo i prezzi a livelli bassissimi. Il ricavo della vendita all’asta di tali terre, anche se a prezzi stracciati, permise al nuovo Stato italiano di incamerare nelle proprie casse ben 600 milioni di lire, una cifra enorme per quell’epoca che, aggiunta ai ducati d’oro rastrellati da Garibaldi alla zecca di Palermo e trasferiti in Piemonte, permise di coprire i costi delle guerre del Risorgimento e i debiti che i piemontesi avevano contratto nelle guerre contro l’Austria, così da portare in pareggio il primo bilancio dello Stato italiano.

La Sicilia, ancora una volta rapinata del suo, di tutto questo non ne ebbe nessun ritorno in termini di investimenti, di migliorie o di servizi. Con l’aggravante che i terreni acquistati dai grandi proprietari, che avevano appena i soldi per l’acquisto ma non per le migliorie fondiarie, finirono in gran parte abbandonati e incolti. Le decine di migliaia di famiglie che prima lavoravano tali terre, si ritrovarono improvvisamente senza lavoro, 15.000 unità nella sola Palermo, e furono costrette a emigrare. Fu così che iniziarono i grandi flussi migratori dalla Sicilia verso le Americhe e verso altri Stati europei”.

– Ignazio Coppola, Risorgimento e risarcimento – La Sicilia tradita, CNA Edizioni, pag. 97.

“Si potrebbe dire, forzando solo un poco i termini della realtà storica, che lo Stato unitario, almeno per quanto riguarda il comportamento della gran parte della classe politica, nacque in Sicilia nell’ambito di una strategia politica di tipo mafioso. Se si fa eccezione per i pochi autentici liberali dell’isola e per i patrioti formati dal mazzinianesimo, la maggioranza dell’estabilishment dell’isola dalla svolta unitaria nazionale attendeva una libertà equivalente alla possibilità di gestire in proprio, con minori intromissioni dall’esterno, gli affari siciliani. Ma anche gli autentici liberali e l’intero movimento garibaldino, per avere successo, dovettero tenere conto del senso e dei caratteri particolari di quell’attesa. E soprattutto dovettero accettare le speciali forze ‘popolari’ dalle quali essa era sostenuta ed alimentata”.

– Giuseppe Carlo MarinoStoria della mafia, Newton Compton, pag. 36.

fonte https://www.inuovivespri.it/2019/05/18/schegge-di-storia-6-quando-allindomani-dellunificazione-i-savoia-scipparono-alla-sicilia-una-cifra-enorme-con-la-manomorta/

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COMUNICAZIONE DI SERVIZIO

Posted by on Mag 8, 2017

COMUNICAZIONE DI SERVIZIO

La nostra attività divulgativa si basa su articoli scritti in originale da chi ci segue e di altri presi, in maggioranza, dalla rete rispettando rigorosamente le fonti e la stessa cosa è stata fatta qualche giorno fa quando è stato pubblicato l’articolo Garibaldi e Anita…. scritto dal sig. Ignazio Coppola su il sito inuovivespri.it

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