Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Arte, cultura, scienza e l’istruzione pubblica nel Regno di Napoli

Posted by on Apr 25, 2020

Arte, cultura, scienza e l’istruzione pubblica nel Regno di Napoli

Nel Settecento, sotto l’impulso dei sovrani meridionali che ne incentivarono fattivamente lo sviluppo, si assistette alla rinascita culturale delle Due Sicilie; il rigoglioso fiorire di studi filosofici, giuridici e scientifici si fregiò di illustri personalità le cui opere furono tradotte in diverse lingue, solo per citarne alcuni ricordiamo: Giovanbattista Vico, considerato una delle più grandi menti di tutti i tempi, Gaetano Filangieri, la cui “Scienza della legislazione” era tenuta sulla sua scrivania da Napoleone Bonaparte che non esitò a dichiarare “Questo giovane è stato il maestro di tutti noi” ; Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani, Giacomo Della Porta, Pietro Giannone, Mario Pagano.

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DELLE ISTITUZIONI GOVERNATIVE DE’ BORBONI ANTERIORI E POSTERIORI ALLA OCCUPAZIONE MILITARE DI NAPOLI

Posted by on Feb 17, 2020

DELLE ISTITUZIONI GOVERNATIVE DE’ BORBONI ANTERIORI E POSTERIORI ALLA OCCUPAZIONE MILITARE DI NAPOLI

Ci hanno alcuni che smaniosamente invaghiti di ogni istituzione, di ogni forma, di ogni nuova foggia venuta o che venga tuttodì dallo straniero, si fanno ad ingiuriare al paese nativo, a screditare le patrie istituzioni, e con riprovevole divisamente magnificano i fotti e le opere d’oltremonti e d’oltremare, né sanno vedere ne” civili ordinamenti ed in tutte le cose del viver sociale, se non i risultamenti ed il frutto delle istituzioni o recate dagli stranieri, o da essi tolte a presta ed imitate.

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IL SISTEMA SCOLASTICO NEL REGNO DELLE DUE SICILIE PRIMA E SUBITO DOPO L’UNITA’

Posted by on Nov 12, 2019

IL SISTEMA SCOLASTICO NEL REGNO DELLE DUE SICILIE PRIMA E SUBITO DOPO L’UNITA’

Nei primi anni del 1800, nel Regno delle Due Sicilie, l’educazione dei ragazzi era quasi sempre affidata alla Chiesa, che da secoli svolgeva questo delicato ed importante compito.
    Dopo l’istruzione primaria, della durata di tre anni, seguiva l’apprendimento di un mestiere.
    I giovani figli dei contadini, per necessità, venivano da subito impegnati nei lavori agricoli e quindi erano pochi quelli che frequentavano la scuola primaria.

    Pochissimi erano poi, e quasi tutti figli di famiglie nobili, quelli che continuavano gli studi, sia perché erano i soli che se lo potevano permettere, sia perché erano i soli che potevano accedere, con un’adeguata preparazione, a governare la cosa pubblica.

    Pure gli studi superiori erano affidati, quasi sempre, alla Chiesa.

    Anche se il sistema di educazione borbonico non era né popolare e né proprio brillante, bisogna però riconoscere che, in quei tempi, assicurò al Regno un livello culturale qualitativamente più elevato rispetto agli altri paesi europei.

    Infatti, nel censimento del 1751, Napoli era la prima nelle accademie di scienze e lettere: i meridionali Gaetano Filangieri, Antonio Genovesi, Giambattista Vico, Francesco Lomonaco, Pietro Giannone e tanti altri, fecero scuola in Europa.

    Poi, si svolse a Napoli, dal 20 settembre al 5 ottobre 1845, il congresso degli scienziati e nel 1856, nell’Esposizione Internazionale di Parigi, il Regno delle Due Sicilie ricevette il Premio come terzo Paese più industrializzato del mondo, dopo l’Inghilterra e la Francia.
    Tutto questo grazie ai principali settori industriali dell’epoca che erano la cantieristica navale, quella tessile e quella estrattiva. Degli stati preunitari del Nord, neanche l’ombra.
In precedenza, nel periodo dell’occupazione francese (1806 – 1815), Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat tentarono, senza successo, di introdurre l’istruzione pubblica di tipo laico.
    Nel 1848, il ministro della P. I. del regno delle due Sicilie, Paolo Emilio Imbriani, dopo aver disposto che la nomina e la vigilanza degli insegnanti fosse assegnata ad una commissione provinciale, introdusse l’obbligatoria dell’istruzione primaria per ambo i sessi (decreto del 19 aprile 1848). 

    Nel breve periodo in cui ricoprì l’incarico, il ministro, consapevole della portata politica – sociale del problema dell’istruzione e dell’alto tasso di analfabetismo che impediva la partecipazione delle masse alla vita governativa e ostacolava l’esercizio dei diritti civili anche di alcuni strati borghesi, abolì il decreto del gennaio 1843, sottraendo così l’istruzione primaria al controllo dei vescovi, sottoponendola alle dipendenze del ministero.     

    Nella circolare, annessa al decreto, sollecitava i sovraintendenti locali affinché si adoperassero a diffondere l’istruzione elementare, anche nelle classi più povere.
    Con l’annessione forzata, del 1860, del Regno delle Due Sicilie a quello dei Savoia, il sistema scolastico meridionale cambiò totalmente in quanto venne applicata la legge Casati (ministro, dal 19 luglio 1859 al 21 gennaio 1960, della Pubblica Istruzione nel governo Lamarmora), già in vigore dal 13 novembre del 1859 nel Regno di Sardegna.
     La Legge, studiata per la realtà scolastica piemontese e lombarda, venne estesa gradualmente all’intero Paese, dopo la proclamazione del Regno d’Italia.

     La riforma, tendente a configurare un sistema in cui lo Stato doveva gestisce l’istruzione con la presenza delle scuole private, affrontò anche la “questione analfabetismo”, più elevato nelle regioni meridionali per i motivi detti in precedenza.
     Con la Legge Casati l’Istruzione elementare venne divisa in due gradi: 
1) Grado inferiore di 2 anni, istituito in ogni Comune, con frequenza obbligatoria e gratuita per quanti non ricorrevano all’istruzione “paterna”. L’iscrizione avveniva a 6 anni compiuti con un numero di allievi per classe oscillante tra 70 e 100. 

2) Grado superiore di 2 anni, istituito in tutte le città in cui già esistevano istituti di istruzione pubblica e in tutti i Comuni di oltre 4000 abitanti.

    Inoltre:
– I maestri dovevano essere muniti di una patente di idoneità ottenuta per esame e di un attestato di moralità rilasciato dal Sindaco.

– La responsabilità per l’istruzione elementare era affidata ai comuni, ai quali veniva peraltro vietato di istituire una tassazione di scopo.

    I Comuni del Sud, che avevano seri problemi di cassa, si ritrovarono quindi in difficoltà nel garantire lo svolgimento delle lezioni.

    Inoltre, era fatta in modo da mantenere e perpetuare le differenze sociali, infatti essa prevedeva:
– Una scuola di “serie A” che dal ginnasio – liceo avviava all’università, a cui poteva accedere solo l’aristocrazia e la nuova borghesia liberale;

– Una scuola di “serie B” destinata alla piccola borghesia, con i rami tecnico e normale, da cui derivarono poi l’istituto tecnico e l’istituto magistrale;

– Una scuola di “serie C” destinata alle classi umili, che forniva un apprendistato di lavoro. 
In conclusione, la Legge Casati che poteva essere una buona base di partenza per creare un sistema scolastico di “tipo pubblico – laico”, come tutte le altre leggi, essendo stata semplicemente estesa ed imposta dai Savoia ai popoli annessi, senza la minima considerazione per il loro passato e le loro peculiarità culturali, fallì nel Regno delle Due Sicilie.
   Più tardi Gaetano Salvemini scriveva su La Voce: “Le scuole e tutti gli altri servizi pubblici nel Sud sono nati per motivi esclusivamente elettorali, hanno avuto fin dall’inizio personale volgare e ignorante, fornito di titoli esclusivamente elettorali”.

Francesco Antonio Cefalì

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La Filadelfia italiana

Posted by on Giu 26, 2019

La Filadelfia italiana

L’Italia è una terra ad alto rischio sismico. Gli ultimi eventi, sui quali è inutile soffermarsi, poiché voi tutti sapete a cosa mi riferisco, ce lo hanno tristemente ricordato. Nella storia della nostra Penisola molti sono i fenomeni tellurici riportati dalle fonti. Ogni secolo ha affrontato le conseguenze secondo le proprie conoscenze e secondo i propri convincimenti. Un caso particolare ce lo offre il Settecento, il secolo dei lumi.

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1799: PROVE TECNICHE D’ANNESSIONE 1860: Unità d’Italia scontro tra Massonerie

Posted by on Giu 24, 2019

1799: PROVE TECNICHE D’ANNESSIONE  1860: Unità d’Italia scontro tra Massonerie

Fu una breve stagione, quella della “Primavera Napoletana”. 

Il termine “Rivoluzione”, giunse a Roma nel 1798, insieme alle truppe francesi.

S’insinuò nelle strade, tra i nobili palazzi di Napoli; deflagrando il 17 gennaio 1799.

I giacobini presero d’assalto il Castello di Sant’Elmo, che domina la città da un colle.

Il 21, con un Decreto del Generale Championnet, fu istituito un Governo Provvisorio; era nata ufficialmente, la Repubblica Napoletana.

Dal suddetto Castello, in quattro giorni, caddero sotto le palle di cannone, circa ottomila napoletani e “eroici Lazzari” come riconobbe lo stesso Championnet, ad opera di giacobini locali, e francesi.

Senza l’ausilio dei traditori locali, “il potente esercito francese, non avrebbe mai avuto la meglio, sulla resistenza popolare”, ammise Thiebault nelle sue “Memorie”.

Nel 1734 i Borbone erano diventati Re di Napoli, e avevano manifestato la ferma volontà di creare uno Stato autonomo, indipendente, improntato sui valori tradizionali, cristiani e popolari.

In breve, la Capitale del Regno divenne uno dei più importanti centri produttivi internazionali, grazie anche ai porti.

 La città, e il suo entroterra, erano in piena esplosione economica e demografica.

 Pregevoli fabbriche di tessuti e ceramiche (ancora oggi, esistenti!), di lavorazione delle corde e delle vele per la navigazione, ne decretarono la supremazia commerciale, e culturale a livello internazionale.

Sul destino del Regno di Napoli e in generale sull’Europa, però, spirava già il vento “illuminato” della Rivoluzione pronta a piantare “alberi della libertà” ovunque arrivasse.

La “Primavera Napoletana” arrivò, e piantò i suoi “alberi della libertà” in ogni piazza della Capitale.

Furono mesi febbrili, il “cittadino” sostituì il nobile, vennero promulgate leggi che garantivano le libertà individuali, i diritti feudali abrogati.

Per spezzare la resistenza del popolo napoletano che abbatteva in continuazione gli “alberi della libertà” (odiato simbolo di invasione e violenza), i francesi emanarono oltre 1500 sentenze capitali.

Una “Primavera” a tinte vermiglie.

Il Generale Thiebault si vantò che la “Campagna Napoletana” era costata la vita a oltre sessantamila napoletani, in cinque mesi di Repubblica.

La Rivoluzione del 1799 con tutta evidenza, dimostrò d’essere: anti cristiana, anti napoletana, anti borbonica.

La Repubblica ebbe vita breve; il 13 giugno il Cardinale Ruffo e la sua Armata Sanfedista, piombarono su Castel Sant’Elmo annientando l’ultima resistenza repubblicana.

A posto degli “alberi della libertà”, furono messe le forche, dalle quali penzolarono un centinaio di repubblichini, subito dopo il ritorno dei Borbone sul Trono.

Poco più tardi, al pennone della “Minerva” penzolava il corpo dell’ammiraglio Francesco Caracciolo, affiliato alla Loggia Massonica “Perfetta Unione”.

L’ ammiraglio, aveva tradito il suo Re, e la sua Nazione. Il codice militare penale, comminò la pena di morte.

Quell’estate furono eseguite altre sentenze di morte, a carico di: Gennaro Serra Duca di Cassano, Michele Natale Vescovo di Vico Equense, Domenico Cirillo; tutti Massoni, appartenenti alla Loggia “Officina Vittoria” di Napoli, ideatori della Repubblica.

I Moti che seguirono, e la stessa Unificazione, furono ideati, finanziati, e realizzati dalla Massoneria internazionale con l’avallo della Massoneria locale.

La storiografia ufficiale è scritta da coloro che sono usciti vincitori da quelle vicende.

I Massoni infatti, rivendicano con orgoglio di essere stati i padri della “Patria”.

Dal Massone Caracciolo, al Massone Garibaldi. I nemici restano gli stessi di allora.

1860: MASSONERIA E CHIESA

Accertato che, l’élite repubblicana napoletana fu ispirata dagli ideali massonici; di contro, il popolo per ripristinare lo status giuridico monarchico, costituì l’Esercito della Santa Fede, con a capo il calabrese Cardinale Ruffo Fabrizio.

La Massoneria incise (e incide) molto sul destino della Nazione; dalla Napoli e Milano settecentesca, fino all’unità d’Italia.

Un “attore” semisconosciuto (a torto, visto il ruolo decisivo) della Libera Muratoria italiana tale, Friederich Munter teologo luterano Massone di origine tedesca, affiliato all’Ordine degli Illuminati una società segreta fondata nel 1776 in Baviera, agì da agente segreto con il ruolo di “sobillatore”.

Si trattava di un’organizzazione massonica filo-rivoluzionaria segreta, propugnatrice di ideali politico-sociali estremisti, che promuovevano su scala internazionale, piani eversivi, finalizzati a rovesciare governi monarchici e le religioni, con l’obiettivo di instaurare un nuovo ordine internazionale.

Fu (anche) un conflitto tra Massoneria e Chiesa.

Nella seconda metà del settecento, era molto attiva la Massoneria napoletana, la più cospicua e vivace d’Italia; ebbe un ruolo di prim’ordine nel Regno di Ferdinando IV di Borbone (ereditato dal padre nel 1759). Nel 1768 il giovane sovrano sposò Maria Carolina d’Asburgo Lorena, proprio quando i Fratelli napoletani cominciavano a tradire gli ideali della Massoneria locale, cristiana e legittimista.

Gli stessi ideali che animavano Raimondo de’ Sangro, volti al miglioramento dell’individuo; progressi che avrebbero influenzato anche il Governo.

La Massoneria napoletana, si immischiò nella politica dando il via ad un laboratorio di idee per l’ammodernamento dei comparti statali, a modello delle massonerie straniere di Francia, Inghilterra, Olanda.    

Gaetano Filangieri, Francesco Mario Pagano, Francescantonio Grimaldi, si affiliarono alle varie Logge; pure la Regina si attorniò di uomini legati alla Massoneria, per arruolarli nella formazione di un partito di Corte filo-austriaco, al fine di estromettere dal Governo il Primo Ministro Bernardo Tanucci.

Friederich Munter morì nel 1830 durante i Moti Carbonari italiani; aveva guidato e assistito le evoluzioni della Massoneria napoletana e napoleonica, fino alla Restaurazione.

Recentemente, lo studioso napoletano Ruggiero Ferrara di Castiglione, professore universitario appartenente al Grande Oriente, ha donato alla biblioteca del GOI, tutto il carteggio di Munter con i Massoni del Sud Italia, che va dal 1786 al 1820.

Corrispondenza che testimonia la mutazione genetica ed ideologica, della Massoneria Napoletana, dimentica delle sue origini cristiane e legittimiste.

Dimentica, degli obiettivi di miglioramento spirituale e individuale, manifestati ed eternati dalla nobile pietra della Cappella di Sansevero, nel cuore di Napoli.

Foriera delle sciagure e del rovesciamento definitivo del Regno delle Due Sicilie 61 anni dopo (1799/1860).

Al netto, di tale argomentazioni, non è ardito concludere che ci fu uno scontro tra la Massoneria Repubblicana (internazionale) e la Massoneria Monarchica borbonica; con esiti letali per la seconda.

Si ringrazia per le fonti: Napoli Capitale Morale di Angelo Forgione (Magenes, 2017), Associazione culturale Neoborbonica.

Lucia Di Rubbio

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