Posted by altaterradilavoro on Nov 12, 2019
Nei primi anni del 1800, nel Regno delle Due Sicilie, l’educazione dei ragazzi era quasi sempre affidata alla Chiesa, che da secoli svolgeva questo delicato ed importante compito.
Dopo l’istruzione primaria, della durata di tre anni, seguiva l’apprendimento di un mestiere.
I giovani figli dei contadini, per necessità, venivano da subito impegnati nei lavori agricoli e quindi erano pochi quelli che frequentavano la scuola primaria.
Pochissimi
erano poi, e quasi tutti figli di famiglie nobili, quelli che continuavano gli
studi, sia perché erano i soli che se lo potevano permettere, sia perché erano
i soli che potevano accedere, con un’adeguata preparazione, a governare la cosa
pubblica.
Pure gli
studi superiori erano affidati, quasi sempre, alla Chiesa.
Anche se
il sistema di educazione borbonico non era né popolare e né proprio brillante,
bisogna però riconoscere che, in quei tempi, assicurò al Regno un livello
culturale qualitativamente più elevato rispetto agli altri paesi europei.
Infatti,
nel censimento del 1751, Napoli era la prima nelle accademie di scienze e
lettere: i meridionali Gaetano Filangieri, Antonio Genovesi, Giambattista Vico,
Francesco Lomonaco, Pietro Giannone e tanti altri, fecero scuola in Europa.
Poi, si
svolse a Napoli, dal 20 settembre al 5 ottobre 1845, il congresso degli
scienziati e nel 1856, nell’Esposizione Internazionale di Parigi, il Regno
delle Due Sicilie ricevette il Premio come terzo Paese più industrializzato del
mondo, dopo l’Inghilterra e la Francia.
Tutto questo grazie ai principali
settori industriali dell’epoca che erano la cantieristica navale, quella
tessile e quella estrattiva. Degli stati preunitari del Nord, neanche l’ombra.
In precedenza, nel periodo dell’occupazione francese (1806 – 1815), Giuseppe
Bonaparte e Gioacchino Murat tentarono, senza successo, di introdurre
l’istruzione pubblica di tipo laico.
Nel 1848, il ministro della P. I. del
regno delle due Sicilie, Paolo Emilio Imbriani, dopo aver disposto che la
nomina e la vigilanza degli insegnanti fosse assegnata ad una commissione
provinciale, introdusse l’obbligatoria dell’istruzione primaria per ambo i
sessi (decreto del 19 aprile 1848).
Nel breve periodo in cui
ricoprì l’incarico, il ministro, consapevole della portata politica – sociale
del problema dell’istruzione e dell’alto tasso di analfabetismo che impediva la
partecipazione delle masse alla vita governativa e ostacolava l’esercizio dei
diritti civili anche di alcuni strati borghesi, abolì il decreto del gennaio
1843, sottraendo così l’istruzione primaria al controllo dei vescovi,
sottoponendola alle dipendenze del ministero.
Nella
circolare, annessa al decreto, sollecitava i sovraintendenti locali affinché si
adoperassero a diffondere l’istruzione elementare, anche nelle classi più
povere.
Con l’annessione forzata, del 1860,
del Regno delle Due Sicilie a quello dei Savoia, il sistema scolastico
meridionale cambiò totalmente in quanto venne applicata la legge Casati
(ministro, dal 19 luglio 1859 al 21 gennaio 1960, della Pubblica Istruzione nel
governo Lamarmora), già in vigore dal 13 novembre del 1859 nel Regno di
Sardegna.
La Legge, studiata per la realtà
scolastica piemontese e lombarda, venne estesa gradualmente all’intero Paese,
dopo la proclamazione del Regno d’Italia.
La
riforma, tendente a configurare un sistema in cui lo Stato doveva gestisce
l’istruzione con la presenza delle scuole private, affrontò anche la “questione
analfabetismo”, più elevato nelle regioni meridionali per i motivi detti in
precedenza.
Con la Legge Casati l’Istruzione
elementare venne divisa in due gradi:
1) Grado inferiore di 2 anni, istituito in ogni Comune, con frequenza obbligatoria
e gratuita per quanti non ricorrevano all’istruzione “paterna”. L’iscrizione
avveniva a 6 anni compiuti con un numero di allievi per classe oscillante tra
70 e 100.
2) Grado superiore di 2 anni, istituito in tutte le
città in cui già esistevano istituti di istruzione pubblica e in tutti i Comuni
di oltre 4000 abitanti.
Inoltre:
– I maestri dovevano essere muniti di una patente di idoneità ottenuta per
esame e di un attestato di moralità rilasciato dal Sindaco.
– La responsabilità per l’istruzione elementare era
affidata ai comuni, ai quali veniva peraltro vietato di istituire una
tassazione di scopo.
I Comuni
del Sud, che avevano seri problemi di cassa, si ritrovarono quindi in
difficoltà nel garantire lo svolgimento delle lezioni.
Inoltre,
era fatta in modo da mantenere e perpetuare le differenze sociali, infatti essa
prevedeva:
– Una scuola di “serie A” che dal ginnasio – liceo avviava all’università, a
cui poteva accedere solo l’aristocrazia e la nuova borghesia liberale;
– Una scuola di “serie B” destinata alla piccola
borghesia, con i rami tecnico e normale, da cui derivarono poi l’istituto
tecnico e l’istituto magistrale;
– Una scuola di “serie C” destinata alle classi umili, che forniva un apprendistato di lavoro.
In conclusione, la Legge Casati che poteva essere una buona base di partenza per creare un sistema scolastico di “tipo pubblico – laico”, come tutte le altre leggi, essendo stata semplicemente estesa ed imposta dai Savoia ai popoli annessi, senza la minima considerazione per il loro passato e le loro peculiarità culturali, fallì nel Regno delle Due Sicilie.
Più tardi Gaetano Salvemini scriveva su La Voce: “Le scuole e tutti gli altri servizi pubblici nel Sud sono nati per motivi esclusivamente elettorali, hanno avuto fin dall’inizio personale volgare e ignorante, fornito di titoli esclusivamente elettorali”.
Francesco Antonio Cefalì
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Posted by altaterradilavoro on Giu 24, 2019
Fu una breve stagione,
quella della “Primavera Napoletana”.
Il termine “Rivoluzione”,
giunse a Roma nel 1798, insieme alle truppe francesi.
S’insinuò nelle strade,
tra i nobili palazzi di Napoli; deflagrando il 17 gennaio 1799.
I giacobini presero
d’assalto il Castello di Sant’Elmo, che domina la città da un colle.
Il 21, con un Decreto del
Generale Championnet, fu istituito un Governo Provvisorio; era nata
ufficialmente, la Repubblica Napoletana.
Dal suddetto Castello, in
quattro giorni, caddero sotto le palle di cannone, circa ottomila napoletani e
“eroici Lazzari” come riconobbe lo stesso Championnet, ad opera di giacobini
locali, e francesi.
Senza l’ausilio dei
traditori locali, “il potente esercito francese, non avrebbe mai avuto la
meglio, sulla resistenza popolare”, ammise Thiebault nelle sue “Memorie”.
Nel 1734 i Borbone erano
diventati Re di Napoli, e avevano manifestato la ferma volontà di creare uno
Stato autonomo, indipendente, improntato sui valori tradizionali, cristiani e
popolari.
In breve, la Capitale del
Regno divenne uno dei più importanti centri produttivi internazionali, grazie
anche ai porti.
La città, e il suo entroterra, erano in piena
esplosione economica e demografica.
Pregevoli fabbriche di tessuti e ceramiche
(ancora oggi, esistenti!), di lavorazione delle corde e delle vele per la
navigazione, ne decretarono la supremazia commerciale, e culturale a livello
internazionale.
Sul destino del Regno di
Napoli e in generale sull’Europa, però, spirava già il vento “illuminato” della
Rivoluzione pronta a piantare “alberi della libertà” ovunque arrivasse.
La “Primavera Napoletana”
arrivò, e piantò i suoi “alberi della libertà” in ogni piazza della Capitale.
Furono mesi febbrili, il
“cittadino” sostituì il nobile, vennero promulgate leggi che garantivano le
libertà individuali, i diritti feudali abrogati.
Per spezzare la resistenza
del popolo napoletano che abbatteva in continuazione gli “alberi della libertà”
(odiato simbolo di invasione e violenza), i francesi emanarono oltre 1500
sentenze capitali.
Una “Primavera” a tinte
vermiglie.
Il Generale Thiebault si
vantò che la “Campagna Napoletana” era costata la vita a oltre sessantamila
napoletani, in cinque mesi di Repubblica.
La Rivoluzione del 1799
con tutta evidenza, dimostrò d’essere: anti cristiana, anti napoletana, anti
borbonica.
La Repubblica ebbe vita
breve; il 13 giugno il Cardinale Ruffo e la sua Armata Sanfedista, piombarono
su Castel Sant’Elmo annientando l’ultima resistenza repubblicana.
A posto degli “alberi
della libertà”, furono messe le forche, dalle quali penzolarono un centinaio di
repubblichini, subito dopo il ritorno dei Borbone sul Trono.
Poco più tardi, al pennone
della “Minerva” penzolava il corpo dell’ammiraglio Francesco Caracciolo,
affiliato alla Loggia Massonica “Perfetta Unione”.
L’ ammiraglio, aveva
tradito il suo Re, e la sua Nazione. Il codice militare penale, comminò la pena
di morte.
Quell’estate furono
eseguite altre sentenze di morte, a carico di: Gennaro Serra Duca di Cassano,
Michele Natale Vescovo di Vico Equense, Domenico Cirillo; tutti Massoni,
appartenenti alla Loggia “Officina Vittoria” di Napoli, ideatori della
Repubblica.
I Moti che seguirono, e la
stessa Unificazione, furono ideati, finanziati, e realizzati dalla Massoneria
internazionale con l’avallo della Massoneria locale.
La storiografia ufficiale
è scritta da coloro che sono usciti vincitori da quelle vicende.
I Massoni infatti,
rivendicano con orgoglio di essere stati i padri della “Patria”.
Dal Massone Caracciolo, al
Massone Garibaldi. I nemici restano gli stessi di allora.
1860: MASSONERIA E CHIESA
Accertato che, l’élite
repubblicana napoletana fu ispirata dagli ideali massonici; di contro, il
popolo per ripristinare lo status giuridico monarchico, costituì l’Esercito
della Santa Fede, con a capo il calabrese Cardinale Ruffo Fabrizio.
La Massoneria incise (e
incide) molto sul destino della Nazione; dalla Napoli e Milano settecentesca,
fino all’unità d’Italia.
Un “attore”
semisconosciuto (a torto, visto il ruolo decisivo) della Libera Muratoria
italiana tale, Friederich Munter teologo luterano Massone di origine tedesca, affiliato
all’Ordine degli Illuminati una società segreta fondata nel 1776 in Baviera,
agì da agente segreto con il ruolo di “sobillatore”.
Si trattava di
un’organizzazione massonica filo-rivoluzionaria segreta, propugnatrice di
ideali politico-sociali estremisti, che promuovevano su scala internazionale,
piani eversivi, finalizzati a rovesciare governi monarchici e le religioni, con
l’obiettivo di instaurare un nuovo ordine internazionale.
Fu (anche) un conflitto
tra Massoneria e Chiesa.
Nella seconda metà del
settecento, era molto attiva la Massoneria napoletana, la più cospicua e vivace
d’Italia; ebbe un ruolo di prim’ordine nel Regno di Ferdinando IV di Borbone
(ereditato dal padre nel 1759). Nel 1768 il giovane sovrano sposò Maria
Carolina d’Asburgo Lorena, proprio quando i Fratelli napoletani cominciavano a
tradire gli ideali della Massoneria locale, cristiana e legittimista.
Gli stessi ideali che
animavano Raimondo de’ Sangro, volti al miglioramento dell’individuo; progressi
che avrebbero influenzato anche il Governo.
La Massoneria napoletana, si
immischiò nella politica dando il via ad un laboratorio di idee per l’ammodernamento
dei comparti statali, a modello delle massonerie straniere di Francia,
Inghilterra, Olanda.
Gaetano Filangieri,
Francesco Mario Pagano, Francescantonio Grimaldi, si affiliarono alle varie
Logge; pure la Regina si attorniò di uomini legati alla Massoneria, per
arruolarli nella formazione di un partito di Corte filo-austriaco, al fine di
estromettere dal Governo il Primo Ministro Bernardo Tanucci.
Friederich Munter morì nel
1830 durante i Moti Carbonari italiani; aveva guidato e assistito le evoluzioni
della Massoneria napoletana e napoleonica, fino alla Restaurazione.
Recentemente, lo studioso
napoletano Ruggiero Ferrara di Castiglione, professore universitario appartenente
al Grande Oriente, ha donato alla biblioteca del GOI, tutto il carteggio di
Munter con i Massoni del Sud Italia, che va dal 1786 al 1820.
Corrispondenza che
testimonia la mutazione genetica ed ideologica, della Massoneria Napoletana,
dimentica delle sue origini cristiane e legittimiste.
Dimentica, degli obiettivi
di miglioramento spirituale e individuale, manifestati ed eternati dalla nobile
pietra della Cappella di Sansevero, nel cuore di Napoli.
Foriera delle sciagure e
del rovesciamento definitivo del Regno delle Due Sicilie 61 anni dopo (1799/1860).
Al netto, di tale
argomentazioni, non è ardito concludere che ci fu uno scontro tra la Massoneria
Repubblicana (internazionale) e la Massoneria Monarchica borbonica; con esiti
letali per la seconda.
Si ringrazia per le fonti: Napoli Capitale Morale di Angelo Forgione (Magenes, 2017), Associazione culturale Neoborbonica.
Lucia Di Rubbio
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