Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

“CARCERI E CARCERATI” PRIMA E DOPO IL 1860, NE PARLIAMO CON VINCENZO GIANNONE

Posted by on Apr 18, 2024

“CARCERI E CARCERATI” PRIMA E DOPO IL 1860, NE PARLIAMO CON VINCENZO GIANNONE

Un mantra ossessivo di stampo lombrosiano da 160 anni ci avvolge quando si parla dell’insorgenza brigantesca post unitaria da cui nasce la teoria che i napolitani e siciliani sono geneticamente, morfologicamente e antropologicamente predisposti a delinquere e a commettere crimini di vario genere. La relazione Massari dolosamente costruita su questa tesi razzista e positivista non solo è servita a giustificare il clamoroso fallimento politico, sociale ed economico della nuova Italia che fin dai suoi primi istanti di vita ha fatto nascere una resistenza armata popolare che da Teramo a Mazzara del Vallo non accettava il Regno Italiano appena nato basato sulla sofferenza e sulla pelle degli ex sudditi di Francesco II, ma a preparare la vergognosa e scandalosa “Legge Pica” che mai s’era vista prima nel mondo occidentale. Una popolazione che nella sua storia post impero mai è stata guerrafondaia, mai s’è imbarcata per invadere altri territori e avendo come virtù principali l’accoglienza e la convivenza. Il Regno con Ferdinando II mai nella sua storia aveva avuto una popolazione carceraria cosi bassa e come mai all’improvviso in pochi mesi s’è trovata in una spirale di violenza inaudita riempiendo le carceri come un blob fino a costringere alla divulgazione della suddetta “Legge Pica”?Venerdi 19 aprile alle ore 21 per la rubrica “Incontro con l’autore” ne parleremo con Vincenzo Giannone che presenterà un lavoro saggistico e scientifico inedito

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Il brigantaggio di Francesco Pappalardo

Posted by on Apr 14, 2024

Il brigantaggio di Francesco Pappalardo

Una pagina particolarmente manipolata di storia italiana

Il 6 agosto 1993, nel quadro del convegno su La contrarrevolución legitimista (1688-1876), organizzato dall’Università Complutense di Madrid a San Lorenzo de El Escorial, Francesco Pappalardo ha tenuto una relazione su Il brigantaggio, di cui presentiamo il testo riveduto e annotato.

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IL BRIGANTAGGIO POLITICO di di Ciro Pelliccio

Posted by on Apr 12, 2024

IL BRIGANTAGGIO POLITICO di di Ciro Pelliccio

PRESUPPOSTI E LIMITI DELLA RIVOLUZIONE BORGHESE DEL 1860

Il brigantaggio postunitario presenta delle indubbie peculiarità rispetto alle forme precedenti.

Un primo elemento di differenziazione sostanziale è il forte condizionamento che il fenomeno ha dal crollo del regno, questa volta, a differenza del 1799 e del 1806, irreversibile sotto la spinta di un processo rivoluzionario esterno; un secondo è lo stretto legame che esso ha con il processo d’unificazione guidato dalla destra moderata e le sue profonde ripercussioni sulle strutture politiche e sociali del mezzogiorno, soprattutto quello continentale.

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“Senza tocco di campane” di Giuseppe Gangemi nella lettura di Fernando Di Mieri

Posted by on Mar 18, 2024

“Senza tocco di campane” di Giuseppe Gangemi nella lettura di Fernando Di Mieri

È ora in libreria il terzo volume[i] della trilogia che Giuseppe Gangemi ha dedicato ad un’autentica controstoria di quanto accaduto nel Sud durante il periodo immediatamente postunitario. Nel primo (Stato carnefice o uomo delinquente?) dei due volumi precedenti aveva affrontato il pensiero e l’azione di quel Cesare Lombroso, vero teorico della presunta e antiscientifica atavica inferiorità meridionale, mentre nel secondo (In punta di baionetta) si era occupato delle vittime civili obliate nell’Archivio di Stato di Torino.

In questa terza pubblicazione Gangemi tratta, come recita il sottotitolo, dei civili trucidati e di cui abitualmente si tace. Ovvero, quando proprio non si riesce, si cerca di sminuire nel numero e di gravare nelle responsabilità al punto di precipitare nell’ignominia, pur di tenere ancora credibili certe ricostruzioni artificiose a sostegno di maschere oleografiche della realtà. Un orrore che neanche centosessant’anni, o giù di lì, riescono a far notare neanche ad autori che per altri versi spesso nulla hanno a che fare con l’ideale risorgimentale, ma che proseguono imperterriti un’operazione mistificatrice, mettendo con ciò in discussione il fine stesso del lavoro dello storico, che, almeno a tale distanza temporale, dovrebbe sentirsi più libero di abbandonare le posizioni preconcette ad uso proprio del vincitore.

Giuseppe Gangemi, già docente di Metodologia e Tecniche della Ricerca Sociale presso l’Università di Padova, nel libro che qui presento ancora una volta applica il suo metodo di base, ponendosi dinanzi ai fatti sempre con grande rigore in vista della ricostruzione dei fatti medesimi. Egli non si nasconde alcun riferimento, ma ogni documento sottopone ad una serrata analisi in termini di plausibilità, coerenza con il contesto dei fatti e delle situazioni. E tutto ciò rende testimone vivo quello che sarebbe altrimenti un semplice diario, una scheda d’archivio, una vecchia ricostruzione. Muovendosi su queste linee metodologiche, passando ancora lunghi periodi negli archivi, valorizzando gli spesso negletti ricercatori locali (quelli che con certosina pazienza si recano quotidianamente negli archivi, raccolgono antiche memorie, conoscono luoghi), Gangemi, in circa quattrocento fitte pagine, riesce a ricostruire con altissima plausibilità accadimenti controversi, spesso ribaltando opinioni consolidate nel nostro immaginario o acquisizioni di una storiografia recente che talvolta, pur espressione di accademici,  manco si preoccupa di mantenere quei livelli minimi di scientificità che proprio l’appartenenza al mondo accademico richiederebbe.

La differenza rispetto ad una storiografia ideologizzata risulta evidente e difficilmente contestabile. È bene dire subito quello che va riconosciuto: a proposito degli argomenti toccati, Gangemi ha argomentato tesi che renderanno difficile, e credo per un tempo piuttosto lungo, ad ogni ricercatore non tenerle nella giusta considerazione. Chiunque vorrà parlare dell’azione garibaldina in Sicilia, della strage di Pontelandolfo, delle rivolte siciliane o di quanto ha significato la legge Pica per le popolazioni meridionali interessate (e tanto altro), dovrà necessariamente confrontarsi con quanto Gangemi ha scritto in questo libro.

Non è possibile dar conto di tutta la sua ricchezza documentaria e della sua forza interpretativa, per cui mi limiterò ad esporre il modo di procedere di Gangemi accennando ad un solo caso, la strage di Pontelandolfo (14 agosto 1861 e settimane successive), che, com’è noto, si cerca di diminuire, da parte di accademici di successo e no, nella sua portata di ferocia. Tuttavia, nulla possono contro un’intelligente lettura della documentazione ancora disponibile. È impossibile continuare a sostenere che i civili vittime della violenza sabauda che si abbatte su Pontelandolfo si limitino a tredici (un numero che comunque non avrebbe dovuto esserci), come ostinatamente si vuol insistere da parte di taluni custodi dell’illibatezza risorgimentale. Non possono essere tredici già per intuito, perché quell’azione è la rappresaglia per la morte di quarantadue militari. E, si sa, le rappresaglie non mirano mai a creare solo danni materiali (l’incendio di gran parte del paese), ma devono moltiplicare di un numero variabile quello dei morti subiti. Già questo deve farci guardare con sospetto a certe ricostruzioni, la cui parzialità balza evidente agli occhi. Per procedere adeguatamente e cogliere la verità storica (per quel ch’è possibile) nella varietà dei suoi aspetti è necessario un approccio “sistemico”, che prenda in esame tutte le fonti possibilmente utili e soprattutto non si fermi appena le conclusioni spingono in direzione opposta a quella propria. Allora non ci si può fermare a quanto riferito, ad esempio nel libro parrocchiale dei morti (peraltro già carente), bensì occorre insieme prendere in esame anche i diari di osservatori diretti o di protagonisti della vicenda; gli interventi parlamentari, gli articoli apparsi su autorevoli periodici dell’epoca, gli stati delle anime, le statistiche della popolazione prima e dopo la strage, mettendole anche a confronto con quella di comuni viciniori.

Quando questo lavoro vien fatto, si vede che allora la cifra dei defunti sale, e non di poco. Si giunge allora a risultati di assoluta precisione matematica? Questo non sarà possibile perché vari casi si intrecciano e sono resi molto complessi, ad esempio, dalle considerazioni da farsi a proposito dei morti dovuti alla situazione sociale in cui tanti scampati erano venuti a trovarsi dopo aver perso casa, affetti ed averi. Ad un certo punto subentra la varietà interpretativa delle cause di certi decessi, ma di sicuro una vera ricerca sul piano archivistico generale conferma che il numero delle vittime procurate direttamente da quella tragica giornata del 14 agosto 1861, dalle settimane immediatamente successive e dai tristi eventi che  sempre si accompagnano ai grandi lutti per violenza, diventa impressionante ed è inutile far ricorso a epidemie, della cui realtà troppo si discute perché possano essere accettate acriticamente.

Quella di Pontelandolfo non è stata l’unica strage di civili dovuta al nuovo ordine sabaudo. Gangemi dedica numerose pagine, come già ho anticipato, anche ad altre tragedie procurate, dopo promesse ingannevoli, dal conquistatore. Gli eccidi di Castellammare del Golfo e del Sette e Mezzo palermitano non sono i soli che chiedono di vivere nel nostro ricordo. Da Auletta a Scurcola Marsicana, da Bronte a Montefalcione e così via sono tantissimi i luoghi che hanno assistito alla dura repressione dell’invasore. Tale brutalità riscosse il biasimo di tutta Europa, ma nessuno fece alcunché di concreto per farla cessare, mentre non erano mancati quelli che si erano dati da fare per abbattere la monarchia borbonica. Una monarchia detta feroce, ma che, nel confronto con altri sistemi repressivi e polizieschi, si rivelava, ripeto nel confronto, molto più tollerante. Il Regno del Sud rivelava al momento dell’attacco garibaldino uno spirito rispettoso dei patti, della religione, degli equilibri, che lo rendevano onorato presso ogni Stato, ma proprio questo spirito, insieme con numerosi altri fattori (geopolitici etc.), sarebbero stati esiziali per la sua sorte.

Ancora oggi sentiamo gli effetti della caduta del Regno. Esempi? Appena conseguita l’Unità si impone il problema del rapporto tra dati di fatto e altisonanti dichiarazioni di diritto: non v’è chi non veda che in questo Terzo Millennio tale rapporto è ancora tutto da risolvere. Ancora, a pochissimi lustri dall’Unità comincia la tragedia dell’emigrazione di massa. Esplode la “questione” di un Meridione, che era stato nei secoli luogo di ricchezza e di cultura, eppure neanche oggi, complice il suo stesso notabilato, esso intravede significative risoluzioni.

                                                                                                          Fernando di Mieri


[i] G. Gangemi, Senza tocco di campane. 1860-1870: le vittime civili taciute della Guerra Meridionale, Magenes, 2023.

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“Senza tocco di campane” di Giuseppe Gangemi per la rubrica “Incontro con l’autore”

Posted by on Feb 29, 2024

“Senza tocco di campane” di Giuseppe Gangemi per la rubrica “Incontro con l’autore”

Dopo anni di studi e ricerche e dopo l’uscita di due importanti libri, “In punta di baionetta” e “STATO CARNEFICE O UOMO DELINQUENTE”, il Prof. Giuseppe Gangemi chiude la trilogia con “Senza tocco di Campane” (le vittime civili taciute della guerra meridionale) arricchendo con una scientifica e inedita visione, gli studi sui tanti eventi tragici del primo decennio post-unitario. Il Prof. Gangemi collega tra di loro le tante stragi ed eccidi che si sono susseguite, “al di la e al di qua del faro”, riuscendo a legarle tra di loro nonostante le varie motivazioni che le hanno causate, ha utilizzato con maestria la statistica per spiegare la sparizione di una parte importante della popolazione napolitana e siciliana, ha spiegato come è stata preparata politicamente e giuridicamente la Legge Picae come è stata attuata ma soprattutto ha messo la parola fine sulle vicende di Pontelandolfo e Casalduni smontando pezzo pezzo “il revisionismo del revisionismo” messo in piedi da Carmine Pinto e dalla sua collaboratrice Silvia Sonetti che con ingenuità ed inesperienza ha trattato una vicenda così complessa e oscura, e da molti accademici che disperati cercano di aggrapparsi ai documenti ufficiali dell’esercito italiansavoiardo per cambiare una storia che ormai è scritta sulle pietre . Altro grande merito del Prof. Giuseppe Gangemi è quello di aver dato voce e nobiltà ai tanti ricercatori e studiosi locali che grazie alla loro passione, capacità e applicazione condita da una buona dose di entusiasmo, hanno dimostrato che la nostra storia è universale perchè è l’insieme di tante storie locali che hanno peso ed importanza enorme. Per ascoltare dalla viva voce del Prof. Gangemi i vari aspetti del libro “Senza tocco di Campane” nelle linee generali vi invitiamo a vederci venerdi 1 marzo alle ore 21 per la rubrica “Incontro con l’autore” e per farlo basta cliccare di seguito

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