Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

1799, l’Invasione

Posted by on Nov 16, 2019

1799, l’Invasione

La Capitale era divisa in sei circoscrizioni, rette da Eletti/Magistrati, che costituivano la “Città”: cinque aristocratiche comprendevano gran parte della nobiltà; uno popolare comprendeva la borghesia napoletana ed aveva diritto di rappresentare tutti i Comuni del Reame…………………………………..

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Ancora verità sul 1799

Posted by on Nov 4, 2019

Ancora verità sul 1799

MEGLIO NEOBORBONICI CHE NEOGIACOBINI
Vi riportiamo l’interessante dibattito storico-culturale tra il Prof. Gennaro De Crescenzo e la dott.ssa Antonella Orefice. Una inevitabile “resa dei conti” su quella storiografia faziosa e menzognera, intrisa di quell’ideologia giacobina che per secoli ha fatto passare come fonte di progresso e di civiltà, una delle più sanguinose e devastanti dominazioni straniere.

IL MATTINO e il 1799

Premesse, analisi, proposte.Meglio neoborbonici che neogiacobini

Antonella Orefice ha pubblicato un libro in cui si rivelerebbero in due paesini molisani “gli eccidi ordinati dai Borbone” (titolo a tutta pagina su Il Mattino del 14/6 con nota storiografica articolata che abbiamo inviato allo stesso giornale e allegata a queste premesse, in attesa di “eventuale” pubblicazione). Orefice è stata assistente di Maria Antonietta Macciocchi, comunista di posizioni maoiste che scrisse anche un libro dedicato alla de Fonseca e sintetizzato (Corriere della Sera, 8 gennaio 1999) nel libretto dell’opera allestita al San Carlo (contestata dai neoborbonici) per il bicentenario del 1799: “sono sicura -scriveva la Macciocchi- che è stata Eleonora a salvarmi dalle SS nel 1943… lasciai Napoli per Parigi ma credo che anche in questa scelta vi fosse l’influsso astrale di Eleonora…”. Una forma di cultura “neogiacobina” anche più estremizzata di qualsiasi forma di “neoborbonismo”… Lasciando da parte alcune perplessità sulla attendibilità di queste affermazioni e sulla scientificità della storia scritta dalla Macciocchi, riportiamo un post pubblicato poche ore fa dalla sua ex assistente che ha firmato il libro recensito a tutta pagina da Il Mattino: “Ecco chi sono i Borboni che tanto rimpiangi! ESULTA POPOLO LAZZARO…. ! (Ma noi SIAMO ANCORA QUA……….. La Nostra Repubblica è VIVA!)”.Inevitabili alcune lettere di protesta che pare siano pervenute alla Orefice che se ne lamenta sempre sul suo profilo (e che non condividiamo solo se sono in qualche modo offensive e minacciose). Più di un dubbio, però, ci assale sulla imparzialità di questo nuovo libro, probabile frutto del comprensibile entusiasmo di chi non è esattamente e sistematicamente di casa negli archivi. E più di un dubbio ci assale anche sul distacco (quasi un odio, diremmo) che i giacobini del 1799 avvertivano contro quel “popolo lazzaro” (massacrato dai franco-giacobini con non meno di 60.000 caduti!) che si ribellò eroicamente a quella invasione: tenuto conto che la cultura ufficiale ha formato sulla base delle idee giacobine/liberali schiere di classi dirigenti locali e nazionali, ci assale ancora un altro dubbio che si lega al distacco che viviamo da queste parti tra governanti e governati. Distanti e contro il popolo (di Napoli e del Sud) nel 1799. Distanti e contro il popolo (di Napoli e del Sud) oggi. A dimostrazione della “pacatezza” e della sobrietà di intellettuali e giornalisti locali, l’autore dell’articolo, in un post appena pubblicato mette sullo stesso piano “neoborbonici e neofascisti” (“tra neofascisti e neoborbonici.. stiamo proprio messi male!”)…E se la scommessa del futuro fosse, invece, proprio una classe dirigente finalmente e veramente radicata, rispettosa di tradizioni e identità, fiera e autenticamente napoletana e meridionale? E’ questo, da circa 20 anni, l’obiettivo neoborbonico: una scommessa paradossalmente davvero nuova se consideriamo i fallimenti delle classi dirigenti monopolisticamente formate dalla cultura ufficiale giacobina, liberale, antiborbonica e antinapoletana. Il successo e la diffusione (con la conseguente e facile rabbia degli “avversari”) delle nostre iniziative delle nostre idee ci fanno ben sperare…Il solito 1799 e le stragi giacobine (davvero) dimenticateAnche per Mazzini i giacobini erano traditori…  Caro direttore, Napoli è davvero uno strano paese: da oltre 200 anni prevale in maniera monopolistica una lettura parziale e unilaterale di certe storie (in testa quella del 1799 fino a quelle “risorgimentali”) eppure la stessa cultura ufficiale che detiene quel monopolio continua a lamentarsi perché qualcuno ha “osato”, in questi anni, raccontare altre storie. In questo caso, Mario Avagliano, recensendo il nuovo libro di Antonella Orefice su alcune stragi (“dimenticate”) del Molise durante la rivoluzione napoletana, cita i soliti esuli che tante colpe hanno avuto nella creazione di un mito negativo e ancora attuale di Napoli o che -nel caso di Settembrini- furono costretti a rivedere molte delle loro tesi dopo l’Unità. Sempre i Borbone, poi, per l’articolista, avrebbero affidato a Ruffo “il compito della repressione” e così Ruffo avrebbe “occupato Napoli nel giugno del 1799 macchiandosi di efferati delitti, con mercenari albanesi, contadini del luogo e avanzi di galera”… Peccato, però, che quei mercenari fossero 50 (sui complessivi 80.000 volontari della sua armata) e che il Cardinale non aveva avuto il compito di “reprimere” ma di “liberare” il Regno da un’invasione straniera favorita da pochi giacobini locali (“una minoranza impercettibile” li definì Luigi Blanch) così come Napoli non fu di certo “occupata” da Ruffo (o dai Borbone), visto che era già “dei” Borbone che legittimamente vi regnavano. E di certo, del resto, in nessuna guerra (tanto più in una guerra contro l’esercito più potente del mondo) nessuno ha mai chiesto il curriculum di chi combatte. La Orefice ha scritto questo libro lasciando parlare “i documenti: quelli veri, quelli scomodi” contro chi in questi anni avrebbe “santificato i briganti e definito traditori i patrioti del 1799”. Solo che da oltre due secoli si tirano fuori sempre gli stessi documenti e non quelli che raccontano le stragi (quelle sì e quelle davvero dimenticate) compiute dai franco-giacobini ai danni della parte napoletana-cristiana-borbonica: oltre ottomila (in tre giorni) nella capitale e “oltre sessantamila i napoletani passati a fil di spada” in appena cinque mesi di repubblica: “Napoli non era altro che un immenso campo di carneficine, incendi, spavento e morte “ (memorie del generale Thiebault). Fu Giuseppe Mazzini, del resto, il primo a definire traditori quei patrioti che “avevano aperto le porte della città agli stranieri invasori… il Popolo napoletano  era disposto a morire combattendo non per superstizione, come più volte si è detto, ma per un sentimento nazionale, per un’idea di Patria che vi pulsava al di sotto” (manoscritto, Museo Centrale-Risorgimento). Si ricordano, allora, le fucilazioni molisane ma non i massacri e le devastazioni  sempre molisane di Isernia (oltre 1500 morti) o quelli di Mercogliano, Caserta, Ceglie, Carbonara, Bacoli, Benevento, Briano, Cetara, Collettara, Fondi, Gensano, Casamari, Itri, Massa, Nola, Pomigliano, Pagani  (e l’elenco sarebbe troppo lungo). Fu una guerra di invasione in alcune occasioni divenuta una sanguinosa e (a partire dai Borbone) non voluta guerra civile. Solo che in qualsiasi altro posto del mondo si  ricorderebbero i difensori della propria patria o almeno “anche” loro (si pensi alla celebrazione che il grande Goya ha fatto dei popolani spagnoli antifrancesi) e dalle nostre parti si scrive ancora con una rabbia e una parzialità oggettivamente eccessive di “massacri ordinati dai Borbone” o di “orde sanfediste” lasciando spazio ad una cultura ufficiale sempre poco attenta alle nostre tradizioni e alle nostre radici (anche borboniche e cristiane, al contrario di quanto pensano alcuni intellettuali): la stessa cultura ufficiale che, se solo guardiamo alla formazione delle nostre classi dirigenti, non ha prodotto risultati così positivi…

Napoli, prof. Gennaro De CrescenzoMovimento Neoborbonico“Parlamento delle Due Sicilie”

fonte http://pocobello.blogspot.com/2013/06/ancora-verita-sul-1799.html

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1799-1999 Repubblica Napoletana e Insorgenza antigiacobina

Posted by on Ott 29, 2019

1799-1999 Repubblica Napoletana e Insorgenza antigiacobina

1. Appunti di storia dell’Insorgenza / 9

Pubblichiamo la trascrizione — rivista dall’autore e annotata redazionalmente — dei due interventi che Francesco Pappalardo ha svolto in occasione della tavola rotonda 1799-1999 Repubblica Napoletana e Insorgenza antigiacobina. Fra modernizzazione politica e rivendicazione dell’identità del 27 marzo 1999 a Milano, di cui riportiamo più sotto una breve cronaca.

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Hitler non inventò nulla che non fosse stato fatto prima dai Savoia

Posted by on Giu 30, 2019

Hitler non inventò nulla che non fosse stato fatto prima dai Savoia

Hitler non inventò nulla che non fosse stato fatto prima dai Savoia

(dal PeriodicoDueSicilie 11/1998)

Quando il comitato di redazione di Nazione Napoletana – Edizione Nord – decise di fare questo inserto, le indicazioni per RIN, l’autore di questo pezzo, furono quelle di fare una ricerca sulla Fortezza delle Fenestrelle, dove vennero rinchiusi i prigionieri Napolitani nel 1860. In realtà ne è venuto fuori qualcosa di diverso e, piú che delle Fenestrelle, l’inserto parla delle terribili sofferenze che sono state inferte ai nostri soldati dall’aggressore piemontese.

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1799: PROVE TECNICHE D’ANNESSIONE 1860: Unità d’Italia scontro tra Massonerie

Posted by on Giu 24, 2019

1799: PROVE TECNICHE D’ANNESSIONE  1860: Unità d’Italia scontro tra Massonerie

Fu una breve stagione, quella della “Primavera Napoletana”. 

Il termine “Rivoluzione”, giunse a Roma nel 1798, insieme alle truppe francesi.

S’insinuò nelle strade, tra i nobili palazzi di Napoli; deflagrando il 17 gennaio 1799.

I giacobini presero d’assalto il Castello di Sant’Elmo, che domina la città da un colle.

Il 21, con un Decreto del Generale Championnet, fu istituito un Governo Provvisorio; era nata ufficialmente, la Repubblica Napoletana.

Dal suddetto Castello, in quattro giorni, caddero sotto le palle di cannone, circa ottomila napoletani e “eroici Lazzari” come riconobbe lo stesso Championnet, ad opera di giacobini locali, e francesi.

Senza l’ausilio dei traditori locali, “il potente esercito francese, non avrebbe mai avuto la meglio, sulla resistenza popolare”, ammise Thiebault nelle sue “Memorie”.

Nel 1734 i Borbone erano diventati Re di Napoli, e avevano manifestato la ferma volontà di creare uno Stato autonomo, indipendente, improntato sui valori tradizionali, cristiani e popolari.

In breve, la Capitale del Regno divenne uno dei più importanti centri produttivi internazionali, grazie anche ai porti.

 La città, e il suo entroterra, erano in piena esplosione economica e demografica.

 Pregevoli fabbriche di tessuti e ceramiche (ancora oggi, esistenti!), di lavorazione delle corde e delle vele per la navigazione, ne decretarono la supremazia commerciale, e culturale a livello internazionale.

Sul destino del Regno di Napoli e in generale sull’Europa, però, spirava già il vento “illuminato” della Rivoluzione pronta a piantare “alberi della libertà” ovunque arrivasse.

La “Primavera Napoletana” arrivò, e piantò i suoi “alberi della libertà” in ogni piazza della Capitale.

Furono mesi febbrili, il “cittadino” sostituì il nobile, vennero promulgate leggi che garantivano le libertà individuali, i diritti feudali abrogati.

Per spezzare la resistenza del popolo napoletano che abbatteva in continuazione gli “alberi della libertà” (odiato simbolo di invasione e violenza), i francesi emanarono oltre 1500 sentenze capitali.

Una “Primavera” a tinte vermiglie.

Il Generale Thiebault si vantò che la “Campagna Napoletana” era costata la vita a oltre sessantamila napoletani, in cinque mesi di Repubblica.

La Rivoluzione del 1799 con tutta evidenza, dimostrò d’essere: anti cristiana, anti napoletana, anti borbonica.

La Repubblica ebbe vita breve; il 13 giugno il Cardinale Ruffo e la sua Armata Sanfedista, piombarono su Castel Sant’Elmo annientando l’ultima resistenza repubblicana.

A posto degli “alberi della libertà”, furono messe le forche, dalle quali penzolarono un centinaio di repubblichini, subito dopo il ritorno dei Borbone sul Trono.

Poco più tardi, al pennone della “Minerva” penzolava il corpo dell’ammiraglio Francesco Caracciolo, affiliato alla Loggia Massonica “Perfetta Unione”.

L’ ammiraglio, aveva tradito il suo Re, e la sua Nazione. Il codice militare penale, comminò la pena di morte.

Quell’estate furono eseguite altre sentenze di morte, a carico di: Gennaro Serra Duca di Cassano, Michele Natale Vescovo di Vico Equense, Domenico Cirillo; tutti Massoni, appartenenti alla Loggia “Officina Vittoria” di Napoli, ideatori della Repubblica.

I Moti che seguirono, e la stessa Unificazione, furono ideati, finanziati, e realizzati dalla Massoneria internazionale con l’avallo della Massoneria locale.

La storiografia ufficiale è scritta da coloro che sono usciti vincitori da quelle vicende.

I Massoni infatti, rivendicano con orgoglio di essere stati i padri della “Patria”.

Dal Massone Caracciolo, al Massone Garibaldi. I nemici restano gli stessi di allora.

1860: MASSONERIA E CHIESA

Accertato che, l’élite repubblicana napoletana fu ispirata dagli ideali massonici; di contro, il popolo per ripristinare lo status giuridico monarchico, costituì l’Esercito della Santa Fede, con a capo il calabrese Cardinale Ruffo Fabrizio.

La Massoneria incise (e incide) molto sul destino della Nazione; dalla Napoli e Milano settecentesca, fino all’unità d’Italia.

Un “attore” semisconosciuto (a torto, visto il ruolo decisivo) della Libera Muratoria italiana tale, Friederich Munter teologo luterano Massone di origine tedesca, affiliato all’Ordine degli Illuminati una società segreta fondata nel 1776 in Baviera, agì da agente segreto con il ruolo di “sobillatore”.

Si trattava di un’organizzazione massonica filo-rivoluzionaria segreta, propugnatrice di ideali politico-sociali estremisti, che promuovevano su scala internazionale, piani eversivi, finalizzati a rovesciare governi monarchici e le religioni, con l’obiettivo di instaurare un nuovo ordine internazionale.

Fu (anche) un conflitto tra Massoneria e Chiesa.

Nella seconda metà del settecento, era molto attiva la Massoneria napoletana, la più cospicua e vivace d’Italia; ebbe un ruolo di prim’ordine nel Regno di Ferdinando IV di Borbone (ereditato dal padre nel 1759). Nel 1768 il giovane sovrano sposò Maria Carolina d’Asburgo Lorena, proprio quando i Fratelli napoletani cominciavano a tradire gli ideali della Massoneria locale, cristiana e legittimista.

Gli stessi ideali che animavano Raimondo de’ Sangro, volti al miglioramento dell’individuo; progressi che avrebbero influenzato anche il Governo.

La Massoneria napoletana, si immischiò nella politica dando il via ad un laboratorio di idee per l’ammodernamento dei comparti statali, a modello delle massonerie straniere di Francia, Inghilterra, Olanda.    

Gaetano Filangieri, Francesco Mario Pagano, Francescantonio Grimaldi, si affiliarono alle varie Logge; pure la Regina si attorniò di uomini legati alla Massoneria, per arruolarli nella formazione di un partito di Corte filo-austriaco, al fine di estromettere dal Governo il Primo Ministro Bernardo Tanucci.

Friederich Munter morì nel 1830 durante i Moti Carbonari italiani; aveva guidato e assistito le evoluzioni della Massoneria napoletana e napoleonica, fino alla Restaurazione.

Recentemente, lo studioso napoletano Ruggiero Ferrara di Castiglione, professore universitario appartenente al Grande Oriente, ha donato alla biblioteca del GOI, tutto il carteggio di Munter con i Massoni del Sud Italia, che va dal 1786 al 1820.

Corrispondenza che testimonia la mutazione genetica ed ideologica, della Massoneria Napoletana, dimentica delle sue origini cristiane e legittimiste.

Dimentica, degli obiettivi di miglioramento spirituale e individuale, manifestati ed eternati dalla nobile pietra della Cappella di Sansevero, nel cuore di Napoli.

Foriera delle sciagure e del rovesciamento definitivo del Regno delle Due Sicilie 61 anni dopo (1799/1860).

Al netto, di tale argomentazioni, non è ardito concludere che ci fu uno scontro tra la Massoneria Repubblicana (internazionale) e la Massoneria Monarchica borbonica; con esiti letali per la seconda.

Si ringrazia per le fonti: Napoli Capitale Morale di Angelo Forgione (Magenes, 2017), Associazione culturale Neoborbonica.

Lucia Di Rubbio

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