Alta Terra di Lavoro

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Le province siculo-partenopee nel Regno d’Italia (V)

Posted by on Ago 21, 2019

Le province siculo-partenopee nel Regno d’Italia (V)

Parte quinta: L’Età Giolittiana (1898-1921)

L’impronta di Giovanni Giolitti nella politica italiana è stata innegabilmente importante, tanto che questo periodo politico passò alla storia come “Età Giolittiana”. Furono gli anni delle concentrazioni industriali, delle formazioni delle masse popolari socialiste e cattoliche, dell’attività coloniale italiana in Eritrea, Libia e Dodecaneso, delle rivolte per il pane e della nascita del Partito Fascista.

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UNITA’ D’ITALIA: FU VERA GLORIA?

Posted by on Ago 9, 2019

UNITA’ D’ITALIA: FU VERA GLORIA?

Il 19 gennaio 2006 e il 21 gennaio 2011 Angela Pellicciari ha tenuto a Staggia Senese due incontri sul tema dell’Unità d’Italia e del cosiddetto Risorgimento. In entrambe le occasioni la sala era gremita di persone che hanno ascoltato in silenzio con molta attenzione le tesi della professoressa che ha ribaltato la visione dolce che ci è stata insegnata sui libri di scuola e in televisione.

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OMELIA PER I MARTIRI DELLA TRADIZIONE E PER I CADUTI NAPOLETANI

Posted by on Lug 5, 2019

OMELIA PER I MARTIRI DELLA TRADIZIONE E PER I CADUTI NAPOLETANI

Messa per i Martiri della Tradizione e i Caduti Napoletani

Chiesa di San Giacomo nella Fortezza di Civitella del Tronto

30 marzo 2003

Omelia di  Mons. Ignacio Barreiro  

Nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.

Siamo radunati in questa storica chiesa di San Giacomo per offrire il Santo Sacrificio della Messa in suffragio delle anime dei martiri della Tradizione e dei Caduti Napoletani.

Non dobbiamo dimenticare che questi due ultimi secoli sono stati tempi di martiri. L’insurrezione contro la verità che ha visto il suo inizio nella Germania del cinquecento arriva al suo logico traguardo nella rivoluzione in Francia, e dilaga per tutta l’Europa e l’America in pochi anni.

Conoscete bene tutti gli efferati crimini compiuti nel Regno delle Due Sicilie dai Giacobini e dall’esercito Napoleonico d’occupazione. Ricordate come le truppe rivoluzionarie hanno reagito con particolare crudeltà contro l’eroica resistenza del popolo nella Calabria.

La bufera rivoluzionaria che si scaglia contro questo Regno è purtroppo soltanto una parte di una concertata offensiva che si lancia contro le diverse società tradizionali in gran parte del mondo Cristiano alla fine del settecento e all’inizio dell’ottocento.  I diversi moti rivoluzionari che si scagliano contro le autorità legittime nell’America sono parte di questa stessa cospirazione. L’aggressione armata che segna la fine temporanea di questo Regno è veramente una continuazione di quella rivoluzione, perché come ben sapete è stata ispirata dagli stessi falsi principi.

Ciò che è più grave e in più di una forma apre le porte alla rivoluzione è quando questi errori sono accettati da una porzione influente della società, come vediamo nel Settecento e nei tempi che precedono l’aggressione.

Le persecuzioni contro i cristiani sono continuate nel secolo che è appena terminato. Il ventesimo secolo è stato il secolo dei martiri. Molto probabilmente in questo secolo che si è appena concluso, sono stati uccisi in odio alla fede più cristiani che in tutto il resto della storia della Chiesa.

I primi casi clamorosi in questo secolo è stato il massacro di oltre un milione e mezzo di Cristiani Armeni da parte dei Turchi, nel corso della prima guerra mondiale.

Con l’inizio della Rivoluzione Comunista saranno sterminati milioni di Cristiani in Russia, in una persecuzione che prosegue anche adesso nei paesi che continuano ad essere sottomessi al giogo della stella rossa.

Ricordate anche l’orribile persecuzione della Chiesa in Messico e in Spagna, frutto di un’alleanza fra la massoneria e la sinistra internazionale. Lì vediamo come il liberalismo e il comunismo diventano alleati nella loro lotta contro la Chiesa, perché ambedue sono figli della stessa rivoluzione. Va fatta memoria anche delle migliaia di Cattolici morti sotto il regime Nazional Socialista.

Questa persecuzione continua ad essere in atto in tutto il mondo. Oltre che nei paesi comunisti, come la Cina Continentale, la Chiesa oggi soffre persecuzioni in tanti paesi dominati dagli islamici come il Sudan e l’Indonesia.

In altri paesi islamici sebbene la persecuzione non sia abitualmente sanguinosa, vediamo come i cristiani siano discriminati e trattati come persone di seconda classe. Nella terra dove è nato il Signore vediamo anche come lo stato d’Israele discrimini i cristiani.

A tutti questi morti dobbiamo anche aggiungere la cifra clamorosa dei milioni di bambini trucidati dall’omicidio dell’aborto nel ventre delle loro madri. Dobbiamo anche considerare i milioni di esseri umani uccisi anche da altre pratiche immorali come la pillola del giorno dopo, o da mezzi chiamati in forma ingannevole contraccettivi ma che in realtà causano aborti e da tante altre forme di pratiche immorali come la fecondazione artificiale. All’olocausto dei bambini dobbiamo aggiungere tutte le persone che sono uccise dall’eutanasia, che adesso è stata legalizzata sia in Olanda che in Belgio. È particolarmente doloroso che un paese che è considerato Cattolico come il Belgio abbia legalizzato questa forma d’omicidio.

Tutte le persecuzioni sono accomunate da un odio verso la verità che ha radici tanto antiche quanto la ribellione di Satana contro Dio e il primo peccato dei nostri primi genitori.

Il primo giugno del 1877, il Beato Pio IX, rivolgendosi ad un gruppo di pellegrini francesi, ricordò loro: “Il demonio è stato il primo rivoluzionario del mondo… ma la rivoluzione finisce sempre col trionfo dell’ordine che presto o tardi risorge.”  

Sebbene le radici siano vecchie, è chiaramente dimostrabile che l’accanimento contro la verità ha subito un cambiamento qualitativo in questi ultimi secoli. Questo cambiamento si deve soprattutto ad una progressiva decristianizzazione della società che ha avuto la sua origine nell’autunno del Medioevo, quando gli uomini cercarono di rendersi indipendenti dalla verità pronunciando lo stesso “non servirò” che fu dichiarato all’inizio della storia dal principe dei demoni.

Questo cambiamento qualitativo dell’aggressione contro la verità è conseguenza di un processo che cerca la definitiva eliminazione del soprannaturale e del trascendente dalla storia.

Sebbene constatiamo con dolore come la rivoluzione continui a progredire, allo stesso tempo dobbiamo essere sicuri che sarà sconfitta perché é profondamente contraria alla natura dell’uomo che è aperta a Dio, e poiché nulla di anti-naturale può durare, come afferma in molte occasioni San Tommaso d’Aquino, la chiusura dell’uomo a Dio non potrà durare. Siamo sicuri che la verità regnerà, perché abbiamo piena fiducia che Dio mai sarà sconfitto e il trionfo finale della rivoluzione sarebbe una sconfitta per Dio.

Nel vangelo d’oggi vediamo come Gesù Cristo leva gli occhi e vede una gran folla affamata che viene da Lui. Il Signore è profondamente sensibile ai bisogni spirituali e materiali degli uomini. Qui lo vediamo assumere l’iniziativa per saziare la fame della folla che lo seguiva. Con questo miracolo Gesù c’insegna ad avere fiducia in lui e nella sua Provvidenza davanti alle difficoltà della vita e in particolare oggi, contro i mali che soffriamo per il dilagarsi della rivoluzione.

Il racconto di questo miracolo inizia con le medesime parole con le quali i Vangeli sinottici e san Paolo riferiscono l’istituzione dell’Eucaristia. Tale coincidenza sta ad indicare che il miracolo, oltre ad essere una prova della compassione di Cristo verso i nostri bisogni materiali, è un chiaro annuncio della Santa Eucaristia. Nell’Eucaristia Cristo è diventato il nostro pane, il pane vivo disceso dal cielo per nutrimento delle anime nostre.

Quando serviamo il ricordo di tutto quello che i nostri hanno sofferto nella difesa della tradizione questo potrebbe essere causa di un certo scoraggiamento, ancora di più se vediamo come stanno andando le cose. In realtà il Signore non ci abbandona mai, se non siamo noi i primi a lasciarlo. Soltanto si nasconde, e nasconde anche l’opera che Egli fa in beneficio nostro per metterci alla prova. Allora è il momento d’attendere con piena fiducia, perché il suo aiuto mai ci mancherà. Quest’aiuto non ci mancherà mai, ma saremo in grado di sperimentarlo solo nella misura in cui cercheremo di vivere con fedeltà.

Le nostre risorse sono poche in confronto ai mezzi apparentemente sconfinati della rivoluzione, ma nel miracolo della moltiplicazione dei pani abbiamo un chiaro messaggio di Cristo che ci conforta dicendoci che se noi collochiamo a disposizione di Dio le nostre povertà, forse Egli le farà crescere come ha moltiplicato i cinque pani e i due pesci. Pochi minuti fa vedendo come il giovane Riccardo, nella sua debole condizione di salute, reggeva con le sue mani la bandiera delle Due Sicilie, con piena coscienza e volontà, vedo in questo un segno profetico che il Regno forse un giorno tornerà.

Diciamo mille volte che Cristo non ci lascia mai soli nella nostra peregrinazione sulla terra, ma purtroppo allo stesso tempo non aggiungiamo abbastanza, che il principale luogo dove Cristo sta con noi è nella Santa Eucaristia. Qui troviamo, se siamo ben disposti a riceverla, la pienezza delle sue grazie. Nella Santa Ostia Cristo ci aspetta per darci le forze di cui abbiamo bisogno per cambiare e diventare cristiani coerenti e uniti a Cristo in tutti i momenti della nostra vita. Nel ricevere la Santa Eucaristia cerchiamo di fare in modo che nella nostra vita non sia più il vecchio uomo che vive, con tutte le sue limitazioni e peccati, ma un nuovo uomo formato alla presenza reale di Cristo in noi.

Se noi cambiamo e la luce di Cristo esce da noi, saremo anche in grado di cambiare il mondo. Ma cambieremo il mondo non con la forza di un’ideologia basata sul potere temporale, né sulla forza delle armi o della politica, ma con la forza che emerge dall’unione personale con Dio di migliaia di Cristiani che si sono trasformati in Cristo, come diceva quell’uomo saggio che fu Dietriech von Hildebrand. Nella misura in cui la presenza reale di Cristo in noi sia veramente operativa, emergerà di noi una luce che aiuterà il povero mondo dove viviamo ad uscire dalle tenebre spirituali e materiali in cui oggi si trova.

Tutti questi morti ci chiamano alla lotta in difesa della verità e della gloria di Dio. Questo combattimento non è principalmente la lotta contro le diverse manifestazioni specifiche dello spirito dell’errore, siano queste manifestazioni antiche come l’islam o il neo paganesimo, o vecchie ma apparentemente piene di vitalità come il liberalismo democratico, o nuove come il consumismo materialista. Chiaro che, anche queste dovranno essere denunciate perché pongono a rischio le anime tramite le loro ingannevoli pretese.

La lotta del cristiano non è una negazione, é fondamentalmente un’affermazione. Un’affermazione della verità che Cristo ci ha dato e che è preservata e custodita dalla Chiesa Cattolica. Questa è la tradizione nei suoi termini più puri che consiste nel ricevere e custodire senza innovazioni né tergiversazioni il messaggio che Cristo ci ha lasciato, come sottolineava il Santo Padre Giovani Paolo II nel suo recente discorso ai partecipanti al Corso promosso dalla Penitenzieria Apostolica.

Un messaggio che si è reso vivo nelle grandi società del passato come diceva il Papa Leone XIII e che é la volontà di Dio che si faccia presente e vivificante nella società dei nostri tempi. La tradizione non è qualcosa di ossificato e morto che si preserva come un cimelio in un museo, ma una verità viva che dà senso alla vita. Non è soltanto una nostalgia di tempi passati e per certo migliori, ma una speranza per il futuro. Non si deve confondere né con il nazionalismo né con il conservatorismo.

Il nazionalismo molte volte è una forma pericolosa di esaltazione della nazione d’origine romantica e per questo anche d’origine rivoluzionaria.

Il conservatorismo si nutre del desiderio di conservare molte istituzioni esistenti, e qui è utile ricordare che molte istituzioni che oggi abbiamo, sono nate sotto il cattivo sole della Rivoluzione.

Senza tradizione non c’è speranza, perché qualsiasi tipo di società che non si trovi ancorata nella verità e nell’amore che Cristo ci ha dato, è destinata al fallimento. Nella tradizione abbiamo una visione perenne della realtà delle cose che domanda per coerenza un’azione.

Essere fedeli al patrimonio della tradizione non è soltanto la sua curante preservazione, ma richiede un impegno coraggioso perché le verità eterne si facciano presenti e operanti nei tempi d’oggi. Il patrimonio della tradizione non è soltanto un patrimonio intellettuale ma un patrimonio del cuore, un amore profondo e saldo per una società Cattolica che in una forma organica ci assista a dare gloria a Dio.

L’impegno per la tradizione non è facile, in primo luogo per la nostra natura ferita, e in secondo luogo perché viviamo in una società che fa tutto il possibile per distoglierci dalla fede. Ma questo non ci deve scoraggiare perché tutto è possibile con Dio, tutto è possibile con la grazia e con l’ausilio immancabile della Santissima Vergine Maria. Dovremo stare in guardia perché lo spirito cattivo dei tempi non entri nella nostra mente né nel nostro modo d’agire, lo spirito rivoluzionario che ci spinge ad accettare molte delle bugie dei nostri tempi.

Dovremo avere la stessa lucidità che ha avuto il Beato Pio IX che dopo un breve tempo nel pontificato, capisce che non si può conciliare la verità che gli aveva dato Cristo da custodire con le forze rivoluzionarie, anche le più moderate.

Questo santissimo Papa ha visto qual era la posta in gioco: o la permanenza della fede o la continuazione di un processo rivoluzionario di dissoluzione della fede. Allo stesso modo in cui Pio IX non l’ha accettato, neppure noi possiamo accettare delle concessioni e dei patteggiamenti apparentemente necessari dovuti alle condizioni dei tempi; accettare questi compromessi e lasciare che lo spirito della rivoluzione cominci ad entrare nelle nostre anime e a logorare il nostro spirito cattolico.

Per questo oggi dopo aver pregato la Santissima Vergine Immacolata, e San Giacomo il gran patrono dei popoli ispanici, che intercedano per tutte le vittime della rivoluzione perché presto abbiano un posto di gloria nel cielo, la preghiamo, affinché noi possiamo imitare le loro virtù e portare con fierezza le bandiere sempre giovani della tradizione.

Sia lodato Gesù Cristo.

fonte http://www.editorialeilgiglio.it/cultura-cattolica-omelia-per-i-caduti-napoletani/

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La canzone napoletana dal 1799 al 1887

Posted by on Dic 26, 2018

La canzone napoletana dal 1799 al 1887

Per lungo tempo, il repertorio tutt’oggi conosciuto col nome di “canzone napoletana”, ha mescolato forme di epoche differenti, rendendo comunque possibile ai giorni nostri la sopravvivenza di canzoni anche molto antiche, rivisitate dai cantanti di “genere”. La ricerca sulle tradizioni popolari degli anni 60 e 70 ha cercato di dimenticare il retaggio ottocentesco (da salotto), ignorando però come proprio esso abbia contribuito a tramandare per iscritto molte delle preziose canzoni di cui questa incisione si occupa.
A parte pochi casi, sono qui presenti composizioni di fonte scritta frutto di quel fermento tutto napoletano legato alla editoria musicale, che ebbe inizio con i francesi Girard e Cottrau e che si amplificò, lungo tutto l’ottocento, sino ad arrivare ai noti Bideri e Ricordi.
Simbolo forse di una transizione storica, questo cd percorre un secolo di canzone napoletana; dalla fine del settecento agli ultimi anni del ottocento. La scelta è volutamente circostanziata da fatti e documenti che testimoniano la nascita e lo sviluppo di un genere tutto partenopeo che, dall’anonima arietta Si tu nenna, ci porta sino ai monumenti della poesia in musica dell’ultimo quarto dell’ottocento di cui Di Giacomo e Costa sono di certo i più alti rappresentanti.
Si diceva quindi dell’importanza dell’editoria musicale a Napoli; essa contribuì nettamente dapprima alla riscoperta e messa alle stampe di un repertorio prettamente orale e poi allo sviluppo della canzone d’autore. A Bernard Girard e Guillaume Cottrau (entrambi francesi) si deve lo sforzo di tramandare reperti musicali di origine popolare che, attraverso le loro mani, si trasformarono in arie da salotto e divenenendo la base di un genere canzonettistico che avrà un respiro internazionale. Sono qui presenti diversi esempi tratti dall’edizione del 1824 e 1825 raccolte nei “Passatempi Musicali” pubblicati proprio a Napoli. Le canzonette e le calascionate qui proposte partono dall’arrangiamento armonico suggerito da Cottrau nella parte per pianoforte e sono rielaborate secondo un criterio più consono allo strumento di accompagnamento scelto, in questo caso la chitarra.
I brani selezoinati sono: Tu m’aie prummise, Cannetella, Fenesta vascia, La Fattura e Né né Guè Guè trabotta. Certamente molto più antichi dell’epoca in cui vennero pubblicati, sono il punto di contatto con la tradizione popolare sebbene qui rispecchino già uno stile più romantico.
Il caso di Si tu nenna è interessante: probabilmente un’arietta del teatro buffo, è riconducibile alla fine del settecento; il canto era conosciuto anche con un primo verso parodistico che recitava: Carulì si m’amave n’aut’anno. Sarebbe riconducibile quindi ai moti rivoluzionari napoletani (1799) e con un primo verso riferito a Maria Carolina di Borbone. La versione viene proposta tiene presente della grande popolarità che il canto ottenne nell’ottocento, testimoniata anche dalle variazioni per chitarra scritte a Mauro Giuliani (1781 – 1829) su questa canzone.
Certamente al teatro musicale napoletano si deve la nascita di alcune ariette che divennero veri successi; è il caso di Palommella, che è ciò che resta dell’opera Molinarella di Nicola Piccinni rappresentata a Napoli nel 1766. Questa aria, cantata dal personaggio “Brunetta”, rimase nell’orecchio ai napoletani al punto che, Domenico Bolognese a metà del secolo successivo darà alla luce una personale rielaborazione che, per noi, resta l’unico reperto scritto di questa canzone.
Lo stesso si potrebbe pensare della breve aria La nova gelosia che ha per noi un interesse dovuto anche alla tematica della finestra che avrà un suo filone nelle serenate ottocentesche (si veda Fenesta vascia, Fenesta ca lucive).
Tra i brani forse più importanti della prima metà dell’ottocento troviamo Te voglio bene assaje; è certamente la prima canzone d’autore del repertorio napoletano dell’ottocento. Conosciamo il creatore dei versi, l’ottico Raffaele Sacco, meno sappiamo del compositore musicale (si pensa a Gaetano Donizetti?). Con questa canzone scritta nel 1835 si apre la napoletanissima tradizione di presentare il 7 settembre, durante la festa della Madonna di Piedigrotta, nuove canzoni scritte durante l’anno. È il caso di questo brano che ebbe una notorietà incredibile e che suscitò addirittura polemiche sui quotidiani dell’epoca al suono di sferzanti litigi tra sostenitori e polemici critici verso l’esasperante notorietà del canto. Fu stampato un foglietto in cui un anonimo gentiluomo scrisse: per ogni strada o vicolo – quel canto mi sgomenta – e, caso tremendo, insopportabil è. – Giovani, vecchi, bamboli – ognun convien che abbai: – Te voglio bene assai – e tu non pensi a me.
Ma la celebrità del caso che giunse fino nelle stanze dell’alto clero contribuì alla sua fama al punto che ne nacque una versione con testo religioso dal titolo: L’uomo e Dio. Il successo di questa canzone fruttò una discreta fortuna anche all’editore, si dice che ne furono stampate oltre 170.000 copie.
Di certo con questa canzone ha inizio la scalata e la nascita di talenti noti e osannati dal popolino e dalla borghesia; assume un ruolo di prestigio la figura dell’autore – poeta a cui si accostano i compositori musicali che da Teodoro Cottrau a Raffaele Costa contribuirno ai grandi successi di questo genere musicale.
Quando, nel 1849, morì Guillaume Cottrau era già in piedi una casa editrice di questa famiglia che passò nelle mani del figlio Teodoro (“il francese di Mergellina”); questi fu attivo editore a al tempo stesso compositore, diede vita al periodico L’eco del Vesuvio che restò in vita fino al 1870. A lui si deve una notissima canzone ancor oggi conosciuta in tutto il mondo: Santa Lucia; pubblicata nel 1850, tutt’oggi riecheggia nei carillon venduti a Napoli. La melodia prende forse spunto dall’aria Com’è bello, quale incanto dalla Lucrezia Borgia di Donizetti. La versione proposta è quella con i versi originali in lingua napoletana che però all’epoca vennero presto sostituiti da quelli in italiano di Enrico Cossovich con cui oggi è ancora conosciuta la canzone.
Si arriva così a toccare il più famoso dei poeti napoletani: Salvatore Di Giacomo (1860 – 1934); autore che insieme al compositore Mario Costa meriterebbe un volume a se, viene qui ricordato con due canzoni che sono pietre fondamentali del repertorio di ogni cantante che si rispetti. Era di Maggio uscita per la Società Musicale Napoletana nel 1885 sarà un clamoroso successo che forse contribuì a dimenticare la drammatica epidemia di colera che aveva afflitto la città un anno prima. Il caso invece de La luna nova scritta nel 1887 dimostra la passione del pubblico napoletano verso quest’autore; infatti questa canzone inserita in una rappresentazione del 1887 voluta dall’impresario Persico per il teatro La Fenice, fu l’unico brano che si salvò dai fischi del pubblico accorso alla prima di quella disastrosa piece. Questa canzone uscì per i tipi della Società Musicale Napoletana divenendo la canzone preferita di Papa Leone XIII che spesso la fece suonare in Vaticano. Nell’affrontare una incisione di canzoni napoletane ci si è posti come traguardo quello di un certo rigore filologico, sia nel canto che nell’esecuzione delle armonie. La scelta della chitarra come unico strumento di accompagnamento vuole essere un omaggio ad un tipico esecutore del repertorio del passato: il posteggiatore, capace di cantare accompaganndosi alla chitarra. La scelta degli strumenti d’epoca ci aiuta a riportare in vita il suono del tempo, con un tipo di prassi di desunta dai compositori per chitarra del primo ottocento, tra tutti il pugliese Giuliani e il napoletano Ferdinando Carulli (1770 – 1841), di cui sono presenti alcune composizioni per strumento solo. Non di meno la scelta di introdurre o interpolare le canzoni con brani per chitarra di questi autori offre la possibilità di far ascoltare preludi o variazioni altrimenti de-contestualizzate in un lavoro esclusivamente chitarristico. Il tutto è stato eseguito su strumenti originali* e con tecnica in stile (ad esempio l’uso del mignolo della mano destra appoggiato sul piano armonico come in uso per la chitarra barocca).

fonte http://www.stefanoalbarello.com/Echo%20del%20Vesuvio.htm

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