Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Storie di donne diverse: le brigantesse ottocentesche del meridione d’Italia

Posted by on Nov 18, 2019

Storie di donne diverse: le brigantesse ottocentesche del meridione d’Italia

Nel febbraio del 1861, con la capitolazione di Gaeta, ultima roccaforte borbonica, il Regno delle Due Sicilie cessa, di fatto, di esistere. Francesco II, ultimo Re di Napoli, ripara a Roma, ospite dello Stato Pontificio.

La precarietà dell’esilio, la solidarietà di numerose dinastie europee e le notizie – spesso ingigantite – delle difficoltà che il nuovo stato italiano incontra per radicarsi nel territorio, lo spingono a coltivare la speranza di un sollecito ritorno sul trono………………………………………….

Read More

“La barbarie mascherata da legalità”

Posted by on Nov 17, 2019

“La barbarie mascherata da legalità”

Vi proponiamo una recensione di Edoardo Vitale a questo libro, edito da Controcorrente Edizioni e scritto da Gaetano Marabello, al fine di una reale riflessione di quanto accaduto in quell’infausto decennio all’indomani della cosiddetta “unità”. Buona lettura.

Read More

Conclusioni della fine del Regno delle Due Sicilie

Posted by on Nov 6, 2019

Conclusioni della fine del Regno delle Due Sicilie

L’invasione piemontese del pacifico Stato delle Due Sicilie fu ben più di una semplice sconfitta militare e si può affermare che essa ha tanto inciso sulla nostra vita sociale ed economica che ancora oggi viviamo nell’atmosfera creata da quell’evento, dal quale sono nati tutti i nostri mali presenti. Gli effetti di una sconfitta militare, infatti, per quanto terribili, col tempo vengono sanati se il territorio e la popolazione non vengono annessi a quelli del vincitore. Per le Due Sicilie, invece, a causa della particolare posizione geografica, senza soluzione di continuità territoriale con il resto della penisola italiana, l’annessione ha prodotto effetti così devastanti che la coscienza del popolo stesso ne è stata alterata. La storia più che millenaria del Sud, ricca di immense glorie e di immani tragedie, prima dell’occupazione piemontese era stata la storia di un popolo che non aveva mai perso, nel bene e nel male, la propria identità nazionale. E’ stata, dunque, questa perdita, causata dalla forzata unione con gli altri popoli della penisola; il più grave danno inferto al Popolo Duosiciliano. Il Regno delle Due Sicilie proprio nel 1860 si stava trasformando in un grande Stato moderno. C’erano tutte le premesse, perché allora era una tra le più progredite nazioni d’Europa, ma la delittuosa opera delle sette che governavano la Francia e l’Inghilterra e la sete di conquista savoiarda ne distrussero i beni e le tradizioni, compiendo un vero e proprio genocidio umano e spirituale. Come fu precisato da Lemkin, che definì per primo il concetto di genocidio, esso “non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione…. esso intende designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali…… Obiettivi di un piano siffatto sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali della religione e della vita economica dei gruppi nazionali e la distruzione della sicurezza personale, della libertà, della salute, della dignità e persino delle vite degli individui… non a causa delle loro qualità individuali ma in quanto membri del gruppo nazionale”. Si dice, inoltre, che vi sono due metodi per cancellare l’identità di un popolo: il primo, quello di distruggere la sua memoria storica; il secondo, quello di sradicarlo dalla propria terra per mischiarlo con altre etnie. Noi Duosiciliani abbiamo subito entrambi i soprusi, ma fortunatamente, per la nostra storia di quasi tremila anni, il nostro inconscio collettivo ci ha salvati in parte dalla distruzione della nostra identità nazionale. La principale causa del crollo delle Due Sicilie va, senza dubbio, inquadrata nel marciume generato dalla corruzione massonica. Esso era dappertutto: nelle articolazioni statali, nell’esercito, nella magistratura, nell’alto clero (fatta salva gran parte dell’episcopato), nella corte del Re, vera tana di serpenti velenosi. Infatti, come ha esattamente analizzato Eduardo Spagnuolo: “addebitare ai piemontesi le colpe del nostro disastro e’ vero solo in parte e contrasta anche con i documenti dell’epoca. La responsabilità della perdita della nostra indipendenza e della nostra rovina è per intero della classe dirigente duosiciliana, che si fece corrompere in ogni senso. Non a caso le bande guerrigliere più motivate, come quella del generale Crocco e del sergente Romano, si muovevano per colpire, innanzitutto, i collaborazionisti e gli ascari delle guardie nazionali”. L’opposizione armata, tuttavia, fu soltanto un aspetto della più vasta resistenza all’invasione piemontese, perché la resistenza si sviluppò per anni in modo civile. Numerose furono le proteste della magistratura e dei militari, le resistenze passive dei dipendenti pubblici e i rifiuti della classe colta a partecipare alle cariche pubbliche. Moltissime le manifestazioni di malcontento della popolazione, soprattutto nell’astensione alla partecipazione ai suffragi elettorali, e la diffusione, ad ogni livello, della stampa legittimista clandestina contro l’occupazione piemontese. Mai, nella sua storia, lo Stato delle Due Sicilie aveva subito una così atroce invasione. Quante ricchezze, inoltre, furono distrutte insensatamente, che avrebbero potuto fare veramente grande l’Italia. L’economia dell’Italia meridionale, poi, ebbe un crollo verticale non solo perchè il centro propulsore fu spostato al Nord, che ne venne privilegiato, ma anche perché la concezione dogmatica del liberoscambismo imposto dal Piemonte, impedì in seguito di porvi dei ripari. Il miope colonialismo dei piemontesi, come poi si rivelò l’occupazione dei “liberatori“, divenne una vera e propria tragedia, che dura ancora ai nostri giorni e che solo il conciliante e forte temperamento della gente del Sud ha impedito che divenisse una catastrofe irreversibile. Gli abitanti delle Due Sicilie furono usati, prima come carne da cannone per le altre guerre coloniali dei Savoia, poi come mercato per i prodotti delle industrie del Nord e come serbatoio di voti per quei ciechi politici meridionali, spesso solo servi sciocchi delle lobby del cosiddetto “triangolo industriale”. La classe dirigente meridionale, inoltre, allo scopo di conservare piccoli vantaggi domestici, ha fiancheggiato sempre tutti i governi che si sono avvicendati in Italia dall’inizio dell’occupazione, governi che pur definendosi “italiani”, hanno curato solo e sempre gli interessi di alcuni, i quali per questo mantengono eterna la ” questione meridionale“. Il Popolo delle Due Sicilie, in tutta la sua lunghissima storia, non ha mai fatto una guerra d’aggressione contro altre genti. Ha dovuto, invece, sempre difendersi dalle aggressioni degli altri popoli, che lo hanno assalito con le armi o con le menzogne. Ancora oggi dal Nord dell’Italia, per una congenita ignoranza, alimentata continuamente dalla propaganda risorgimentale avallata dallo Stato “italiano”, siamo ancora puerilmente aggrediti con violenze verbali, con luoghi comuni sui “meridionali”. Nella considerazione di tutti gli avvenimenti succedutisi dopo il 1860 fino ad oggi si può senza dubbio affermare che proprio a causa di quel violento movimento nato nel Nord, il cosiddetto “risorgimento”, si originò un processo autodistruttivo, che, passando attraverso continue guerre, per lo più suggestivamente etichettate, culminò nel fascismo, che, con la sua fine, ridusse a una sciatta repubblica tutta la penisola italiana, così ricca di valori prima del “risorgimento”. I Duosiciliani veraci, tuttavia, sanno di far parte di un paesaggio unico e inconfondibile, sanno che il loro animo immutabile e viscerale, proprio per questo, dovunque si troveranno, si porteranno sempre dietro questa loro contraddizione: quella di essere diventati forzatamente “italiani”.

fonte http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Storia/RegnoDueSicilie/Storia%20Regno%20DueSicilie.htm#sioni

Read More

Ancora verità sul 1799

Posted by on Nov 4, 2019

Ancora verità sul 1799

MEGLIO NEOBORBONICI CHE NEOGIACOBINI
Vi riportiamo l’interessante dibattito storico-culturale tra il Prof. Gennaro De Crescenzo e la dott.ssa Antonella Orefice. Una inevitabile “resa dei conti” su quella storiografia faziosa e menzognera, intrisa di quell’ideologia giacobina che per secoli ha fatto passare come fonte di progresso e di civiltà, una delle più sanguinose e devastanti dominazioni straniere.

IL MATTINO e il 1799

Premesse, analisi, proposte.Meglio neoborbonici che neogiacobini

Antonella Orefice ha pubblicato un libro in cui si rivelerebbero in due paesini molisani “gli eccidi ordinati dai Borbone” (titolo a tutta pagina su Il Mattino del 14/6 con nota storiografica articolata che abbiamo inviato allo stesso giornale e allegata a queste premesse, in attesa di “eventuale” pubblicazione). Orefice è stata assistente di Maria Antonietta Macciocchi, comunista di posizioni maoiste che scrisse anche un libro dedicato alla de Fonseca e sintetizzato (Corriere della Sera, 8 gennaio 1999) nel libretto dell’opera allestita al San Carlo (contestata dai neoborbonici) per il bicentenario del 1799: “sono sicura -scriveva la Macciocchi- che è stata Eleonora a salvarmi dalle SS nel 1943… lasciai Napoli per Parigi ma credo che anche in questa scelta vi fosse l’influsso astrale di Eleonora…”. Una forma di cultura “neogiacobina” anche più estremizzata di qualsiasi forma di “neoborbonismo”… Lasciando da parte alcune perplessità sulla attendibilità di queste affermazioni e sulla scientificità della storia scritta dalla Macciocchi, riportiamo un post pubblicato poche ore fa dalla sua ex assistente che ha firmato il libro recensito a tutta pagina da Il Mattino: “Ecco chi sono i Borboni che tanto rimpiangi! ESULTA POPOLO LAZZARO…. ! (Ma noi SIAMO ANCORA QUA……….. La Nostra Repubblica è VIVA!)”.Inevitabili alcune lettere di protesta che pare siano pervenute alla Orefice che se ne lamenta sempre sul suo profilo (e che non condividiamo solo se sono in qualche modo offensive e minacciose). Più di un dubbio, però, ci assale sulla imparzialità di questo nuovo libro, probabile frutto del comprensibile entusiasmo di chi non è esattamente e sistematicamente di casa negli archivi. E più di un dubbio ci assale anche sul distacco (quasi un odio, diremmo) che i giacobini del 1799 avvertivano contro quel “popolo lazzaro” (massacrato dai franco-giacobini con non meno di 60.000 caduti!) che si ribellò eroicamente a quella invasione: tenuto conto che la cultura ufficiale ha formato sulla base delle idee giacobine/liberali schiere di classi dirigenti locali e nazionali, ci assale ancora un altro dubbio che si lega al distacco che viviamo da queste parti tra governanti e governati. Distanti e contro il popolo (di Napoli e del Sud) nel 1799. Distanti e contro il popolo (di Napoli e del Sud) oggi. A dimostrazione della “pacatezza” e della sobrietà di intellettuali e giornalisti locali, l’autore dell’articolo, in un post appena pubblicato mette sullo stesso piano “neoborbonici e neofascisti” (“tra neofascisti e neoborbonici.. stiamo proprio messi male!”)…E se la scommessa del futuro fosse, invece, proprio una classe dirigente finalmente e veramente radicata, rispettosa di tradizioni e identità, fiera e autenticamente napoletana e meridionale? E’ questo, da circa 20 anni, l’obiettivo neoborbonico: una scommessa paradossalmente davvero nuova se consideriamo i fallimenti delle classi dirigenti monopolisticamente formate dalla cultura ufficiale giacobina, liberale, antiborbonica e antinapoletana. Il successo e la diffusione (con la conseguente e facile rabbia degli “avversari”) delle nostre iniziative delle nostre idee ci fanno ben sperare…Il solito 1799 e le stragi giacobine (davvero) dimenticateAnche per Mazzini i giacobini erano traditori…  Caro direttore, Napoli è davvero uno strano paese: da oltre 200 anni prevale in maniera monopolistica una lettura parziale e unilaterale di certe storie (in testa quella del 1799 fino a quelle “risorgimentali”) eppure la stessa cultura ufficiale che detiene quel monopolio continua a lamentarsi perché qualcuno ha “osato”, in questi anni, raccontare altre storie. In questo caso, Mario Avagliano, recensendo il nuovo libro di Antonella Orefice su alcune stragi (“dimenticate”) del Molise durante la rivoluzione napoletana, cita i soliti esuli che tante colpe hanno avuto nella creazione di un mito negativo e ancora attuale di Napoli o che -nel caso di Settembrini- furono costretti a rivedere molte delle loro tesi dopo l’Unità. Sempre i Borbone, poi, per l’articolista, avrebbero affidato a Ruffo “il compito della repressione” e così Ruffo avrebbe “occupato Napoli nel giugno del 1799 macchiandosi di efferati delitti, con mercenari albanesi, contadini del luogo e avanzi di galera”… Peccato, però, che quei mercenari fossero 50 (sui complessivi 80.000 volontari della sua armata) e che il Cardinale non aveva avuto il compito di “reprimere” ma di “liberare” il Regno da un’invasione straniera favorita da pochi giacobini locali (“una minoranza impercettibile” li definì Luigi Blanch) così come Napoli non fu di certo “occupata” da Ruffo (o dai Borbone), visto che era già “dei” Borbone che legittimamente vi regnavano. E di certo, del resto, in nessuna guerra (tanto più in una guerra contro l’esercito più potente del mondo) nessuno ha mai chiesto il curriculum di chi combatte. La Orefice ha scritto questo libro lasciando parlare “i documenti: quelli veri, quelli scomodi” contro chi in questi anni avrebbe “santificato i briganti e definito traditori i patrioti del 1799”. Solo che da oltre due secoli si tirano fuori sempre gli stessi documenti e non quelli che raccontano le stragi (quelle sì e quelle davvero dimenticate) compiute dai franco-giacobini ai danni della parte napoletana-cristiana-borbonica: oltre ottomila (in tre giorni) nella capitale e “oltre sessantamila i napoletani passati a fil di spada” in appena cinque mesi di repubblica: “Napoli non era altro che un immenso campo di carneficine, incendi, spavento e morte “ (memorie del generale Thiebault). Fu Giuseppe Mazzini, del resto, il primo a definire traditori quei patrioti che “avevano aperto le porte della città agli stranieri invasori… il Popolo napoletano  era disposto a morire combattendo non per superstizione, come più volte si è detto, ma per un sentimento nazionale, per un’idea di Patria che vi pulsava al di sotto” (manoscritto, Museo Centrale-Risorgimento). Si ricordano, allora, le fucilazioni molisane ma non i massacri e le devastazioni  sempre molisane di Isernia (oltre 1500 morti) o quelli di Mercogliano, Caserta, Ceglie, Carbonara, Bacoli, Benevento, Briano, Cetara, Collettara, Fondi, Gensano, Casamari, Itri, Massa, Nola, Pomigliano, Pagani  (e l’elenco sarebbe troppo lungo). Fu una guerra di invasione in alcune occasioni divenuta una sanguinosa e (a partire dai Borbone) non voluta guerra civile. Solo che in qualsiasi altro posto del mondo si  ricorderebbero i difensori della propria patria o almeno “anche” loro (si pensi alla celebrazione che il grande Goya ha fatto dei popolani spagnoli antifrancesi) e dalle nostre parti si scrive ancora con una rabbia e una parzialità oggettivamente eccessive di “massacri ordinati dai Borbone” o di “orde sanfediste” lasciando spazio ad una cultura ufficiale sempre poco attenta alle nostre tradizioni e alle nostre radici (anche borboniche e cristiane, al contrario di quanto pensano alcuni intellettuali): la stessa cultura ufficiale che, se solo guardiamo alla formazione delle nostre classi dirigenti, non ha prodotto risultati così positivi…

Napoli, prof. Gennaro De CrescenzoMovimento Neoborbonico“Parlamento delle Due Sicilie”

fonte http://pocobello.blogspot.com/2013/06/ancora-verita-sul-1799.html

Read More

I RAPPORTI BURRASCOSI DI NAPOLEONE CON L’INDOMITO PAPA PIO VII

Posted by on Nov 3, 2019

I RAPPORTI BURRASCOSI DI NAPOLEONE CON L’INDOMITO PAPA PIO VII

Luigi BARNABA nacque a Cesena il 14 agosto 1742, ultimo figlio di Scipione CHIARAMONTI e Giovanna Coronata Ghini, entrambi appartenenti all’aristocrazia cesenate. Dopo la morte del padre e il ritiro della madre in convento, il giovane Barnaba intraprese nella città natale i primi passi della vocazione ecclesiastica tra i Benedettini. Col nome di Gregorio, dopo un periodo a Padova dove intraprese gli studi di filosofia e teologia, raggiunse Roma per perfezionarsi al collegio S. Anselmo, risiedendo all’abbazia di S. Paolo fuori le Mura. Divenuto professore di teologia, si trasferì a Parma dove divenne ben presto punto di riferimento per gli intellettuali della piccola capitale dei Farnese.

Read More