Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Cominciò con Garibaldi lo sfascio della nostra economia

Posted by on Giu 22, 2019

Cominciò con Garibaldi lo sfascio della nostra economia

In una seconda lettera indirizzata sempre a Disraeli e datata 10 ottobre 1861, Ulloa torna sul saccheggio e la dilapidazione dei fondi del Tesoro e dell’allora Banco delle Due Sicilie, più tardi chiamato Banco di Napoli.

Scrive Ulloa: “Un governo esercita sempre una certa influenza sugli affari finanziari, commerciali ed industriali, ma sotto Garibaldi… lo sciupìo, mercé l’imperiose richieste del Signor Bertani ed alle ricompense, che si aggiudicavano essi stessi gli emigranti ed i militari, prese proporzioni tali che si vide tosto nella impossibilità di soddisfare ai bisogni del Governo e della Guerra”.

Lo stesso dittatore prelevava a piene mani somme ingenti, che poi distribuiva ai suoi favoriti.

Gli emigrati rientrati dall’esilio ottenevano per se stessi e per i loro familiari “somme enormi, come sollievo delle passate sofferenze”.

Raffaele Conforti, ministro per soli 40 giorni nel 1848, prese 300000 franchi, somma equivalente allo stipendio che avrebbe si e no percepito quale ministro in dodici anni ininterrotti di governo!

Antonio Scialoja prese per sé e per suo padre appena 200000 franchi, firmando addirittura egli stesso l’ordine di prelevamento. Furono pagate somme ingenti per stipendi ai nuovi funzionari, pensioni di ritiro accordate con larghezza a quanti avevano perduto il posto con l’esilio. Filippo Agresta, ex sottotenente di fanteria divenuto direttore delle dogane con Garibaldi, si ritirò dopo un mese soltanto da questo impiego con una rendita di 12000 franchi, equivalente alla totalità dei suoi stipendi maturati alla fine della carriera dopo una vita di lavoro al servizio dello stato.

Altro caso fu quello di Pier Silvestro Leopardi, che per due soli mesi nel 1848 aveva ricoperto la carica di inviato di Ferdinando II presso Carlo Alberto per concordare le clausole del patto di alleanza tra Napoli e Torino per la guerra all’Austria, “ottenne un ritiro di 18000 franchi” (il trattamento di un ministro plenipotenziario) e poco dopo “un altro impiego copiosamente ricompensato”, che naturalmente andò a cumularsi al precedente.

Un magistrato, Aurelio Saliceti, con dieci anni di servizio si fece liquidare il trattamento di consigliere di Cassazione, grado cui non apparteneva, pur se le leggi prevedevano il “ritiro con sussidio” con un minimo di 20 anni di carriera, mentre si otteneva l’intero stipendio solo dopo 40 anni di servizio compiuti.

Mariano d’Ayala, ex luogotenente d’artiglieria, si autoproclamò generale e si prese un appartamento nel Palazzo Reale.

Tali soggetti sono tutti magnificamente citati, con espressioni altamente magnificanti, nel “Dizionario del Risorgimento Nazionale”, Vallardi 1930, come uomini integerrimi e dediti unicamente al bene della Patria, alla quale hanno sacrificato ogni cosa, con esclusione però delle somme prelevate o fattesi versare dalle casse pubbliche quale modesto e parziale risarcimento per le pene sofferte in nome di sì nobile Ideale!

Pensioni di ritiro così facilmente concesse, nuovi stipendi ed aumento dei vecchi, gravarono il Tesoro di ben 10 milioni di franchi. Si sovvenzionarono i comitati di Livorno e Genova, alla società Rubattino si pagarono 4800000 franchi quale risarcimento del piroscafo “Cagliari”, che tra l’altro era stato restituito all’armatore, per i vapori “Lombardo” e “Piemonte” (quelli della spedizione dei Mille) e per quello affondato dalla marina napoletana.

Un costo enorme fu l’esborso per il plebiscito, anche perché gli agenti incaricati di far proseliti con offerte in denaro tennero per loro le somme ricevute, distribuendone il meno possibile.

Un direttore e due segretari di Stato si presero ben 2000000; secondo le accuse della stampa Carlo De Cesare, Ferrigni, Tranchini, Magliano ed altri intascarono la somma di 400000 franchi, e non sembra abbiano querelato per calunnia i periodici che li accusavano.

A fine settembre le casse erano ormai vuote.

Dittatore e pro-dittatore prelevavano continuamente, con un semplice biglietto scritto e senza fornire alcuna giustificazione.

I militari garibaldini, sotto la minaccia delle armi, si facevano aprire le casse del Banco e prelevavano; i volontari, appena ricevuti gli effetti personali li rivendevano, spesso agli stessi fornitori, facendosene dare di nuovi, a nulla valendo le minacce del Generale Livio Zambeccari, che tentò di porre fine a questo sconcio.

Chiunque indossasse una camicia rossa poteva permettersi qualsiasi cosa. Un ufficiale superiore garibaldino fece passare il figlio di sei anni per ufficiale, facendogli pagare “due mesi di soldo” dalla banca.

I commissari di guerra ordinarono, pagati dal Tesoro e mai distribuiti alle truppe, ben 72000 cappotti per “l’armata meridionale” (i garibaldini) che contava circa 25000 uomini.

I comandanti dei reparti saccheggiavano i depositi militari borbonici, vendendone il materiale ai fornitori che, a loro volta, lo rivendevano al ministro della Guerra di Garibaldi!

Quando giunsero i Piemontesi l’armata meridionale fu sciolta, ed i volontari allora si precipitarono in Banca per riscuotere “il soldo arretrato”, ed i pagamenti furono fatti sopra semplici atti di presenza, senza alcuna firma dei superiori o degli uffici responsabili.

Se gli impiegati facevano qualche minima opposizione o chiedevano spiegazioni, le armi impugnate minacciosamente facevano ottenere ai baldi eroi quanto richiesto.

Nel 1861, dopo mesi dallo scioglimento dei reparti di volontari, si pagarono ancora a costoro ben 4 milioni di franchi, sempre prelevati dalle casse meridionali.

Con l’amministrazione piemontese il debito pubblico aumentò di altri 5 milioni, mentre turbe di funzionari calarono dal nord come sciami di locuste, avide di sostanziose indennità e pingui stipendi.

Il Prefetto di Napoli, oltre allo stipendio da Generale, cumulava anche quello di Prefetto, più 12000 franchi per spese di rappresentanza, oltre alla disponibilità di appena due splendidi palazzi.

Un consigliere di luogotenenza alloggiò in un appartamento reale, e si fece concedere 60000 franchi per spese di ristrutturazione e per la costruzione di un teatro: evidentemente, abituato a vivere in chissà quale imperiale dimora in Piemonte, non era soddisfatto dell’alloggio.

Alessandro Dumas, il noto romanziere francese al quale per suo uso era stato ceduto un palazzo della Corona, ottenne 900000 franchi, oltre a pranzare, cacciare e divertirsi altrimenti a spese dell’antica lista civile (antico nome del patrimonio comunale). Sostenne che tale considerevole somma gli era stata versata per aver provveduto all’acquisto, a Marsiglia, di revolver per l’armata di Garibaldi, anche se tutte le fabbriche d’armi della città non sarebbero state in grado, nemmeno lavorando giorno e notte per un anno, di fornire una quantità di rivoltelle corrispondente all’importo a lui liquidato.

Nell’ex Regno si attendeva ancora quanto promesso dai piemontesi: le sale d’asilo, le scuole, il collegio del popolo, le casse di risparmio, le casse di depositi e prestiti, il credito finanziario.

Il governo di Torino distruggeva presso la clientela la fiducia che godeva il Banco delle Due Sicilie per le somme in esso depositate, tanto che il pubblico cominciò a ritirarle: infatti, mentre al 27 agosto del 1860 i depositi ammontavano a 77205000 franchi, un mese dopo erano già scesi a 50563244, il 28 gennaio 1861 a 31600460, ed infine il 13 aprile dello stesso anno si erano ridotti a 27394896 franchi.

I metalli conservati nello stabilimento della Zecca di Napoli, “il primo… di questo genere, dopo quelli di Vienna e di Londra”, furono trasferiti a Torino, in modo che le coniazioni da quel momento fossero eseguite nella capitale Sabauda.

Moriva così, come tante altre rinomate istituzioni meridionali, una delle più antiche e famose zecche europee.

La circolazione monetaria degli antichi stati italiani al momento dell’annessione piemontese:

Calcolato in Lire 1861

Regno
delle Due Sicilie
Lit.
(del 1861) 443.200.000
Lombardia
e
Venezia
Lit.
(del 1861) 20.800.000
Regno
di
Sardegna (Piemonte)
Lit.
(del 1861) 27.800.000
Stato
Pontificio e
Legazioni
Lit.
(del 1861) 90.600.000
Granducato
di
Toscana
Lit.
(del 1861) 85.200.000
Ducato
di Parma e
Piacenza
Lit.
(del 1861) 1.200.000
Ducato
di
Modena
Lit.
(del 1861)
400.000

Bilancia Commerciale degli antichi stati italiani

Regno
delle Due Sicilie
Lit.
(del 1861) +40.768.374
Lombardia
Lit.
(del 1861) +42.453.383
Umbria
e
Marche
Lit.
(del 1861) +11.359.704
Piemonte
Lit.
(del 1861)-84.972.630

Non occorre certo commentare queste cifre: il Piemonte con l’operazione unità d’Italia ripianò il suo debito pubblico ed il suo deficit commerciale.

Francesco II, lasciando Napoli disse profeticamente: “Non vi resteranno nemmeno gli occhi per piangere”, non si sbagliava.

Gaetano Fiorentino

Da “Il SUD Quotidiano” del 24/1/98

fonte http://www.adsic.it/2000/11/25/comincio-con-garibaldi-lo-sfascio-della-nostra-economia/#more-304

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Schegge di storia 3/ I meridionali per i piemontesi dopo l’unità d’Italia? Da da fucilare o rinchiudere a Fenestrelle

Posted by on Giu 20, 2019

Schegge di storia 3/ I meridionali per i piemontesi dopo l’unità d’Italia? Da da fucilare o rinchiudere a Fenestrelle

Al fine di contribuire alla diffusione di certi fatti e circostanze documentate, continuiamo la pubblicazione di alcuni stralci di accadimenti e testimonianze che certamente non possono andare soggette a dubbi, perplessità o interpretazioni di sorta. Stralci che appunto abbiamo voluto chiamare “Schegge di Storia”

di Giovanni Maduli
componente della Confederazione Siculo-Napolitana e vice presidente del Parlamento delle Due Sicilie-Parlamento del Sud®, Associazione culturale

“Il sedicente “democratico” Regno d’Italia iniziò una politica di spoliazione delle risorse nelle zone conquistate, opprimendo le culture locali e soffocando nel sangue le rivolte popolari che nel Meridione assunsero alle dimensioni di guerra civile… secondo il ministro della guerra di Torino, 10.000 napoletani sono stati fucilati o sono caduti nelle file del brigantaggio; più di 80.000 gemono nelle segrete dei liberatori; 17.000 sono emigrati a Roma, 30.000 nel resto d’Europa, la quasi totalità dei soldati hanno rifiutato d’arruolarsi… ecco 250.000 voci che protestano dalla prigione, dall’esilio, dalla tomba…

Cosa rispondono gli organi del Piemontesismo a queste cifre? Essi non rispondono affatto”.

Oscar De Poli, giornalista, in un articolo pubblicato sul giornale “De Naples a Palerme” 1863 – 1864

“… Si arrestano da Cialdini soldati napoletani in grande quantità, si stipano ne’ bastimenti peggio che non si farebbe degli animali, e poi si mandano in Genova. Trovandomi testè in quella città ho dovuto assistere ad uno di que’ spettacoli che lacerano l’anima. Ho visto giungere bastimenti carichi di quegli infelici, laceri, affamati, piangenti; e sbarcati vennero distesi sulla pubblica strada come cosa da mercato. Alcune centinaia ne furono mandati e chiusi nelle carceri di Fenestrelle: un ottomila di questi antichi soldati Napoletani vennero concentrati nel campo di S. Maurizio”.

Da un articolo di Civiltà Cattolica
(Vedasi anche al seguente link, dal sito ufficiale della Regione Siciliana: http://pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE/PIR_150ANNI/PIR_150ANNISITO/PIR_Schede/PIR_Vinti/PIR_PrigionieriBorbonici )

“Perfino Lord Lennox, al parlamento inglese dichiarò: ‘Non c’è storia più iniqua di quella dei Piemontesi nell’occupazione dell’Italia meridionale… si era promesso prosperità e pace con l’unità, invece ebbero le prigioni ripiene, la nazionalità schiacciata… carcerazioni; 130 mila baionette piemontesi formano la suprema legge di salute pubblica; le arbitrarie deportazioni; ossia i domicili coatti’”.

Tommaso Romano, “Sicilia 1860 – 1870 Una storia da riscrivere”, ISSPE Edizioni, pag. 189.

fonte https://www.inuovivespri.it/2019/04/27/schegge-di-storia-2-i-meridionali-per-i-piemontesi-dopo-lunita-ditalia-da-da-fucilare-o-rinchiudere-a-fenestrelle/

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Le tornate segrete di Torino- ….sui briganti di Napoli

Posted by on Giu 17, 2019

Le tornate segrete di Torino- ….sui briganti di Napoli

RICERCA EFFETTUATA SU “GOOGLE LIBRI” DAL LIBRO “MEMORIE PER LA STORIA DEI NOSTRI TEMPI ” TERZA SERIE -7° ed 8° QUADERNO
Da pag.176 A 180

LE TORNATE SEGRETE DI TORINO – SUI BRIGANTI DI NAPOLI
(Pubblicato il 6 maggio 1863).

…OMISSIS…

iL 4 e 5 di maggio i profani vennero espulsi dalla Camera dei deputati. Gli uscieri gridavano: Procul, procul, e barravano le porte, e tappavano le fessure degli usci, e sopravegliavano gli approcci, mentre gli onorevoli, stretti a consiglio, faceano un po’ di bucato in famiglia, parlando sotto voce, e raccontando le comuni miserie. In quelle due segretissime tornate il dep. Massari lesse la relazione della Commissione, che fu spedita dalla Camera sul cominciare dell’anno per attingere sui lunghi notizie precise dei briganti e del brigantaggio. E pare che notizie n’abbia attinte assai, giacchè la semplice lettura della relazione doveva durare otto ore. E pare eziandio che le notizie fossero pessime, se no ce le avrebbero dette anche a noi. Buone o cattive, la legge ci proibisce di parlare delle tornate segrete della Camera, e noi ce ne laviamo le mani.

Però, pensandoci bene, non ci dovrebbe essere oggidì neppur più un capello di briganti nel regno di Napoli, e il deputato Massari trova ancora materia da discorrerne per otto ore? Imperocchè noi ragioniamo e calcoliamo così. I briganti sono i nemici del regno d’Italía, non è vero? Verissimo. I nemici del regno d’Italia in Napoli sono quelli che votarono pel no nel famoso plebiscito. Non è vero? Vero anche questo. Dunque tanti doveano essere i briganti nel regno di Napoli, quanti furono i no del plebiscito. La conseguenza è giusta? Giustissima. Di fatto il brigantaggio nasceva in Napoli, compiuto appena il plebiscito. Nove giorni dopo la famosa votazione il governatore rivoluzionario di Teramo, De Virgilii, il 2 novembre 1860 pubblicava: `Tutti i comuni della provincia, dove si sono manifestati, o si manifesteranno movimenti reazionari, sono dichiarati in istato d’assedio…… I reazionari, presi colle armi alla mano saran fucilati.
Ora, le cifre del plebiscito furono queste: 1,313,376 sì, e 10,312 no. Dunque i briganti non potevano essere che 10,312. I quali, da bel principio, si presero a fucilare bravamente. Il Pinelli, da Ascoli, a dì 3 febbraio 1861, diceva ai soldati : “Siate inesorabili come il destino. Contro nemici tali la pietà è delitto”. E Cialdini scriveva per telegrafo al governatore di Molise: “Faccia pubblicare, che fucilo tutti i paesani armati che piglio. Oggi ho già cominciato. E si fucilò nel 1860, si fucilò nel 1861, si fucilò nel 1862, si fucilò nei primi mesi del 1863. Di guisa che il 18 di aprile, a detta del deputato Ricciardi, il totale dei briganti fucilati era di settemila cento cinquant’uno (Atti Uff. N° 1193, pag. 4643).
Abbiamo adunque le seguenti cifre:
Cifra totale dei briganti,  10,312
Fucilati all’aprile del 1863,  7,151,
Restano briganti,  3,161

Or quanti altri briganti sono in pigione? Lo stesso deputato Ricciardi, nella tornata del 18 di aprile 1863, ci dava la statistica di tre sole prigioni (Atti uff., N° 1192, pag. 4642). E risultava che v’erano:
Nel carcere di S. Maria, prigionieri:  1,191
In Campobasso, prigionieri: 1,013
In Avellino, prigionieri:  1,836
Insieme prigionieri:  4,040
Dunque restavano vivi 3,171 briganti, ne abbiamo rinchiusi dentro tre sole prigioni del Napoletano 4,040, epperò voi ben capite che a quest’ora briganti non ce ne possono essere più, salvo che si volesse pretendere una cosa impossibile, che cioè fucilati o imprigionati tutti coloro che nel plebiscito dissero no, si mettesse mano a fucilare o imprigionare quegli altri che dissero sì.
Come dunque la Camera il 4 e il 5 di maggio potè spendere ancora due tornate segrete sui briganti e sul brigantaggio?

DEL NOME DI BRIGANTI
NELLA PRIMAVERA DEL 1860 – (Pubblicato l’8 maggio 1863).
La Camera dei deputati ha speso tre lunghe tornate di sei ore ciascuna per udire la relazione sul brigantaggio; e durante queste diciott’ore il presidio raddoppiato della guardia nazionale vegliava per impedire che gli estranei si avvicinassero alla sala. Delle precedenti tornate segrete venne sempre a subodorarsi alcunché, ma delle ultime finora non si seppe nulla, e quest’alto mistero dà luogo a più gravi sospetti a quell’infallibile criterio, che si tace ciò che fa contro di noi. Soltanto i giornali annunziano quest’oggi, e crediamo di poterlo ripetere nell’Armonia, che nell’ultima tornata segreta i deputati discussero se convenisse pubblicare la relazione sul brigantaggio letta dal Massari in nome della Commissione. E gli onorevoli concordemente decisero di no, perchè non si potevano far sapere al popolo sovrano certe cose, che l’avrebbero alquanto spaventato, e che dall’Italia poi sarebbero passate a notizia dell’Europa e di tutto il mondo civile. Tuttavia, siccome la Commissione d’inchiesta sul brigantaggio avea proposto alcuni articoli di legge quale rimedio alla formidabile malattia, così dicono che alcune parti della relazione verranno pubblicate come schiarimento di questi medesimi articoli.
Lasciando adunque a’deputati seppellire segretamente i loro morti, noi pure ci occuperemo di briganti e di brigantaggio, studiando l’origine di questo nome nella primavera del 1.860, ossia cercando chi dopo la pace di Villafranca fosse il primo in Italia a parlare di briganti, e quali uomini si accusassero di brigantaggio. E in questo studio ci aiuterà il signor Nicomede Bianchi, che nella Rivista Contemporanea del mese di aprile, fascicolo CXIII, parlando del conte Camillo di Cavour, e pubblicando sul suo eroe documenti editi ed inediti, ci mise sotto gli occhi le curiose primizie dell’accusa di brigantaggio.
Questa parola incomincia a proferirsi in Italia nel maggio di tre anni fa, dopo la spedizione di Garibaldi in Sicilia, e i primi a scriverla sono il rappresentante di Francesco II, re di Napoli, presso la Corte di Pietroburgo, e il commendatore Carafa, ministro sopra gli affari esteri del re delle Due Sicilie. L’ambasciatore napoletano in Russia, il signor Regina, scriveva da Pietroburgo il 14 di maggio 1860 un dispaccio, dove era detto: ” L’indignazione che ha provato l’Imperatore e il principe di Gorciakoff, allorchè gli diedi conoscenza del telegramma di V. E., con cui m’informa dello sbarco a Marsala dei BRIGANTI partiti da Genova, è stata proporzionata alle enormità commesse tanto dal gabinetto sardo, che dagli uffiziali inglesi che hanno favorito lo sbarco. La postilla dell’imperatore sul dispaccio in parola che rimandò al ministro degli affari esteri è : “c’est infame, et de la part des Anglais aussi”.
E questo dispaccio era una risposta ad un altro che il ministro Carafa avea spedito per le vie telegrafiche agli agenti diplomatici della Corte di Napoli all’estero, per dar avviso dello sbarco de’ Garibaldini a Marsala. Il ministro Carafa si esprimeva così:

“Malgrado avvisi dati da Torino, e promesse di quel Governo d’impedire SPEDIZIONE Di BRIGANTI organizzati ed armati pubblicamente, essi sono partiti sotto gli occhi della squadra sarda; sbarcati ieri a Marsala. Dica a cotesto ministero tale atto di selvaggia pirateria promosso da Stato amico” .
CARAFA

Vedete un po’ che orrore! Chiamar briganti coloro che difendevano la libertà, l’indipendenza, la patria comune! E l’orrore è tanto maggiore, perché l’accusa di brigantaggio non rovesciavisi solamente sui Garibaldini, ma sul conte di Cavour, sul Governo sardo e su tutti coloro che aveano aiutato la spedizione di Sicilia. Intorno a ciò troviamo nell’articolo del signor Nicomede Bianchi preziose rivelazioni, e ne faremo tesoro per dimostrare quanta estensione avessero l’accusa di brigantaggio e il nome di briganti scritto dai ministri napoletani nel maggio del 1860.
Il Bianchi prova trionfalmente che Garibaldi conquistò In Sicilia coll’efficace cooperazione del Governo di Torino. E per dimostrare questa tesi, che, quanto a noi non avea bisogno di veruna dimostrazione, il signor Nicomede Bianchi esce ne’ più minuti particolari, e racconta così:
“Francesco Crispi, che fu uno de’ preparatori più animosi e operosi di quella rivoluzione siciliana del 1860, poco tempo prima che essa scoppiasse, evasi clandestinamente introdotto nella sua terra materna, e l’avea percorsa per conoscere lo stato reale delle cose e portarvi una fraterna parola dincuoramento e di speranza. Ora trovo scritto con abbastanza d’autenticità : che Luigi Farini, dittatore allora dell’Emilia, gli era stato largo dei migliori mezzi per condurre a termine tanta difficile impresa, per la quale non bastava il coraggio pernonale. Trovo parimente autenticato dalle migliori testimonianze, che il conte di Cavour, come venne informato del lavoro in corso della Società nazionale onde portare aiuto alla rivoluzione siciliana per mezzo di una spedizione marittima di volontari, si mostrò tutt’altro che avverso alla medesima.
Sono pertanto scritti di sua mano i seguenti avvisi, inviati a chi dirigeva quei prepentivi:
“Villamarina annunzia che si combatte in Palermo, e che l’insurrezione si estende. Carafa invece telegrafa a Canofari tutto essere tranquillo in Sicilia. Molta agitazione in Napoli ; le serva…
“Ho notizia da Napoli del 29, da Messina del 26. Il dispaccio dice: – Qu’on rencontre résistance énergique et qu’il faut gagner le terrain pas à pas. –
“Addì 6 aprile 1860, la notizia della rivoluzione di Palermo giunge a Genova per le vie telegrafiche. In quella città l’attendevano Nino Bixio, Crispi, Rosolino Pilo, i quali fino dal mese di febbraio avevano la promessa del generale Garibaldi, ;che nel caso di un serio sollevamento in Sicilia egli si porterebbe a prenderne la direzione. Abbisognavano uomini, armi, navi e denari, italiani di ogni classe, volenti Italia e Vittorio Emanuele, accorsero da ogni parte all’animoso appello del generale Garibaldi. Il quale giudiziosamente vedendo la convenevolezza di raggruppare sotto la sola sua direzione gli apparecchi per le progettate spedizioni, stando egli a Quarto nella villa Spinola, fece chiedere a Giuseppe La Farina se voleva assentire a ciò. L’intendersi fu pronto, e per tal modo vennero posti a disposizione del generale Garibaldi gli efficacissimi mezzi di che disponeva la Società nazionale, fra i quali certamente non doveva calcolarsi per ultimo la segreta cooperazione del Governo di Torino. Garibaldi ben comprese l’utilità grande di siffatto concorso, laonde al La Farina, insistente per accompagnarlo in Sicilia, persuase di rimanere a servire d’intermediario tra lui ed il conte di Cavour.
La direzione dell’ordinamento e degli apparecchi della prima spedizione vennero affidati a Nino Bixio. Con quella indomabile energia di volontà di mente ed operosità instancabile, che a lui sono proprie, egli giunge a superare moltissime difficoltà. Ma all’imbarco delle armi non potè provvedere da solo; gli venne in aiuto la mano del Governo. L’avvocato Fasella che allora era uno degl’ispettori della questura di Genova, aiutò con due suoi agenti il trasporto dei fucili sul mare. Se in tanto e sì manifesto tramestio d’uomini e di cose nel porto di Genova, di barche cariche d’armi e di munizioni dirette verso la Foce e a Quarto, le autorità governative locali non videro nè seppero nulla, benchè fosse appariscente il vigilare severo allo sbocco della Polcevera e al lido di Cornigliano, torna ridicolo il pensarlo e dirlo, non fu per paura o per impotenza ad agire ,contrariamente, ma sì perchè Giuseppe La Farina erasi portato a Genova, munito d’alcune parole scritte dal conte di Cavour all’Intendente di quella città. Compiuta felicemente la prima spedizione, divenne urgente il bisogno d’aver armi in pronto per fornire le altre spedizioni che si stavano apparecchiando. Per ordine espresso del governo di Torino dall’arsenale di Modena vennero estratti fucili e consegnati a Genova a coloro che ne difettavano. Armi o munizioni da guerra ebbero dal conte di Cavour le due spedizioni capitanate da medici e da Ceosenz. Non potendo il Governo di Torino riconsegnare al generale Garibaldi i fucili allogati negli arsenali dello Stato per sequestro anteriore senza incorrere in qualche responsabilità troppo grave, comperò quelle medesime armi e consegnò il denaro ai signori Finzi e Bezzana, che così poteronoo provvederne altre per condurre innanzi l’impresa siciliana. Se la flotta parti da Genova con l’incarico apparente di tagliare la via allo sbarco dei volontarii sulle costiere siciliane, il conte Persano teneva un biglietto di mano del conte di Cavour, nel quale stava scritto: “Signor Conte, vegga di navigare fra Garibaldi e gl’incrocicciatori napoletani ; spero che mi avrà capito” .
Da questa preziosa relazione, che noi confermiamo di tutto punto come verissima, risulta, che nel maggio del 1860 il sig. Carafa e il signor Regina, ministri dei re di Napoli, osavano chiamare briganti, chi mai? Il conte di Cavour, il generale Garibaldi, e Francesco Crispi, e Nino Bixio, e Giuseppe la Farina, e l’avvocato Fasella, e simili. Ma “Vedi giudizio uman, come spess’erra!” Nel maggio del 1863, ossia tre anni dopo, Nino Bixio è reduce in Torino da un viaggio parlamentare fatto in Napoli per esaminare il brigantaggio, e Crispi e La Farina ed altri studiano rimedi contro i briganti, e briganti sono coloro che stanno con Francesco II, ed egli stesso vien chiamato il re dei briganti, e l’autore dei brigantaggio. Come mutano le cose e i giudizi in soli due anni!.
Quanto a noi, ognuno capisce che diciamo e dobbiamo dire essere briganti coloro che vogliono rovesciare nell’Italia meridionale il presente Governo, non gli altri che atterrarono l’antico. Ci auguriamo però che la storia, raccolti i fatti ed esaminate le relazioni d’una parte e dall’altra, possa ripetere questo nostro giudizio.

fonte https://www.pontelandolfonews.com/storia/il-brigantaggio/le-tornate-segrete-di-torino-sui-briganti-di-napoli/

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Il Duca di Maddaloni all’On.Giuseppe Massari-aprile 1861

Posted by on Giu 11, 2019

Il Duca di Maddaloni all’On.Giuseppe Massari-aprile 1861

AL CAVALIERE GIUSEPPE MASSARI
Deputato al primo Parlamento Italiana
A te, mio caro Massari, intitolo questo scritterello; perchè ti conosco indipendente, buono, tollerante. Io penso altrimenti che non faccia tu per le cose dell’Italia meridionale, e pur tuttavia mi rivolgo a te perocchè, sono certo, tu perdonerai alle mie parole, siccome perdono io alle tue, l’une e l’altre movendo da anime sinceramente libere e d’ogni velleità di plauso sdegnose.

Sta sano frattanto e credi
Torino, 6 aprile 1861
Al tuo amico
IL DUCA DI MADDALONI

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