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Giuseppe Massari ovvero storia breve di un velino di razza “a common friend with brains and without tongue”

Posted by on Giu 6, 2019

Giuseppe Massari ovvero storia breve di un velino di razza  “a common friend with brains and without tongue”

Di Giuseppe Massari [*] nell’enciclopedia Garzanti si dice solo che nacque a Taranto nel 1821 e mori a Roma nel 1884, che fu un fervente patriota e che fu relatore della Commissione Parlamentare d’inchiesta[1] – magari in qualche testo di storia si precisa che la sua relazione fu coraggiosa e squarciò un vello sulle tristi condizioni delle plebi meridionali che erano all’origine della rivolta, il cosiddetto “brigantaggio”. Praticamente questo è più o meno quello che sanno tutti gli italiani che hanno frequentato le scuole superiori o anche l’università a meno che non si interessino per mestiere o per diletto di storia patria.

Queste scarne notizie costituiscono il bagaglio culturale sul personaggio che ognuno di noi si porta dietro e che fanno da coordinate per ulteriori acquisizioni.

Massari appartiene alla folta schiera di oppositori politici del regime borbonico che trovarono nel Piemonte una sponda per continuare dall’esterno la loro opera di denigrazione del paese meridionale. Per questa loro opera ‘disinteressata’ ebbero generosi riconoscimenti durante l’esilio a Torino e furono i proconsoli piemontesi a Napoli dopo il crollo del regno borbonico. Il che fu una vera iattura per noi meridionali[2].

Proviamo a ripercorrere le tappe della carriera del Massari…

… nel 1838 il calabrese Benedetto Merolino lo sceglie come corriere della Giovane Italia[3].

… nel 1840 lavora come collaboratore in Parigi della “Gazzetta italiana” della Belgioioso[4].

… nel 1846 viene nominato direttore della rivista “Il mondo illustrato”.

… lavora come collaboratore della “Patria” di Firenze.

… nel 1848 viene eletto deputato di Bari al Parlamento di Napoli.

… lavora come collaboratore de “Il Conciliatore” di Firenze.

… nel 1849 si trasferisce a Torino e lavora come redattore di giornali e riviste sia italiani che stranieri: “Saggiatore”, “Rivìsta contemporanea”, “Gazzetta piemontense”, “La Legge”, “Nazionale”, “Cimento”, “L’Indépendence Belge”.

… nel 1851 lo ritroviamo come traduttore e divulgatore in Italia delle famose Lettere del Gladstone, pubblica infatti: “Il signor Gladstone ed il governo napoletano. Raccolta di scritti intorno alla questione napoletana” Tipografia Subalpina, Torino 1851. Come, non ricordate la famosa frase[5] di Gladstone: “la negazione di Dio eretta a sistema di governo”, “This is the negation of God erected into a system of government.”? Se vi può interessare, vi informiamo che delle lettere vi erano state già due pubblicazioni – in lingua originaria ovviamente – una a Londra e una a New York sempre nel 1851[6], poteva mancare Torino[7]?

… lo vediamo segretario di Cavour negli anni decisivi dell’impresa unitaria[8].

… nel 1856 assume la direzione della Gazzetta Ufficiale piemontese.

… nel  1858 viene nominato, per i servigi resi alla corona sabauda, cavaliere dei SS. Maurizio e Lazzaro.

… nel 1859 lo ritroviamo a preparare il famoso discorso della corona (discorso ispirato da Napoloene III e a cui era interessato pure il Rothschild[9], toh chissà perché!), quello della famosa frase “non possiamo rimanere insensibili al grido di dolore, che da tante parti d’Italia si leva verso di noi”.

… nel 1861 viene eletto deputato al Parlamento nazionale di Torino.

… nel 1863 legge la relazione della Commissione Parlamentare d’inchiesta in comitato segreto[10] della Camera. Su questo atto che lo ha consegnato alla storia più conosciuta dalla maggioranza degli italiani, vi sono pareri assai discordi. 

In molti ritengono e scrivono che la relazione si caratterizza per “Profondità di diagnosi, esame delle cause remote e recenti, invocazione di rimedi che non fossero soltanto di polizia. In lui, che pure verso il Mezzogiorno non fu tenero, denunciandone in ogni occasione le manchevolezze e la fredda partecipazione al processo unitario, agiva questa volta la medesimezza con quella terra, la coscienza di un malgoverno remoto nei secoli che aveva provocato guasti irreparabili, l’«inveterata corruzione del governo e della burocrazia», le complicità, l’omertà, sollecitata, le connivenze, alimento incessante di malessere e malcontento. Intelligenza e pietà vibrano in quelle pagine, che sarebbero state poi alla base di molti altri studi ed inchieste sulla questione meridionale. Si può richiamare il passo noto in cui si descrivono le condizioni di vita del cafone tentato dal miraggio di una migliore condizione e per ciò stesso sospinto sulla strada del brigantaggio: e gli altri, sulle indiscriminate repressioni, che portavano a inasprire gli animi, con punizioni eccessive anche per reati minori, provocati chiaramente dall’indigenza delle popolazioni.[11] 

In pochi – tra cui chi vi scrive – sostengono invece che le “tesi insulse e addomesticate della Relazione Massari ebbero come risultato la promulgazione della Legge Pica, che impose lo stato d’assedio e la corte marziale a tutte le regioni del Sud e diede veste ufficiale alla repressione militare del brigantaggio, già di fatto praticata sin dall’inizio.”[12]

… fu biografo ufficiale di Cavour, di Vittorio Emanuele e di La Marmora!

[1] Il presidente era Sirtori e ne faceva parte anche Bixio.

[2] “È stato un errore, si sostiene nel 1862 in una memoria … avere affidato il governo napoletano a quei patrioti che, emigrati al cominciare della reazione del 1849, rimasero fuori dalla province Napoletane sino al 1860. ……Sebbene essi siano per ingegno, dottrina e amor patrio la migliore parte di quella eletta schiera di liberali Napoletani, sono i meno adatti a svolgere le mansioni loro affidate dal governo di Torino sia per la poca conoscenza che hanno degli interessi di queste province, da cui sono stati per molti anni assenti, sia per quella passione…mista di vendetta e di disprezzo, di cui sono sempre dominati quelli che dopo un lungo e doloroso esilio ritornano potenti in patria.

Rientrati a Napoli come proconsoli piemontesi, hanno falsato agli occhi del Governo centrale i fabbisogni del paese e hanno consentito che questo venisse ammisserito e spogliato…da estranei a queste provincie…venuti con lo spirito di conquista che non si addice a chi doveva spargervi la luce e il progresso. A causa della loro incapacità a governare, l’amministrazione cade in mano di persone che non sapevano un’ acca e non avevano altro merito se non di godere delle grazie della consorteria.”. Cfr. Giuseppe Ressa, Il ruolo degli esuli e dei parlamentari meridionali – Il Sud e l’unità d’Italia (potete scaricare l’opera completa dal sito: https://www.ilportaledelsud.org)

[3] Cfr. Paolo Mencacci – Storia della Rivoluzione Italiana – Volume Secondo . Parte Prima – Libro Primo.

[4] “Le lettere di Tommaseo. di Gioberti, di de Sinner. di Mamiani, di Massari, di Ricciardi, di Mazzini, inviate da Parigi nel Trenta e nel Quaranta fanno frequente riferimento a colei che negli anni del suo soggiorno parigino, soprattutto i primi anni, fu molto rappresentata, molto descritta, molto nominata («princesse révolutionnaire», «heroi’ne romantique». «princesse malheureuse». «grande italiana», «belle patriote italienne». «savante Uranie», «nouvelle Bradamante», «foemina sexu. genio vir»)”. Cfr. Novella Bellucci, II salotto parigino di Cristina Belgiojoso, “princesse révolutionnaire” – (https://www.disp.let.uniroma1.it/)

[5] Frase fortunata! E pensare che il Gladstone non aveva mai visitato una galera borbonica, questo lo confessò egli stesso a Napoli nel 1888 durante una rimpatriata. Il sussidiario sui cui avete studiato la storia del Risorgimento voi – e pure io – questo non lo sapevano o facevano finta di non saperlo.

“Gladstone, tornato a Napoli nell’anno 1888-1889, fu ossequiato e festeggiato dai maggiorenti del cosi detto Partito Liberale, i quali non mancarono di glorificarlo per le sue famose lettere con la negazione di Dio, che tanto aiutarono la loro rivoluzione; ma a questo punto il Gladstone versò una vera secchia d’acqua gelata sui suoi glorificatori. Confessò che aveva scritto per incarico di lord Palmerston, che egli non era stato in nessun carcere, in nessun ergastolo, che aveva dato per veduto da lui quello che gli avevano detto i nostri rivoluzionari”. Cfr. Carlo Alianello, La conquista del sud, Rusconi Editore.

[6] Two letters to the Earl of Aberdeen, on the state prosecutions of the Neopolitan government. by W E Gladstone – Type: English : Book Publisher: London, J. Murray, 1851.

Two letters to the Earl of Aberdeen, on the state prosecutions of the Neopolitan government. by W E Gladstone – Type: English : Book Publisher: New York, J.S. Nichols, 1851.

[7] “Massari, per il momento, non ancora inserito nel gioco diplomatico, fu abile per la sua parte a cogliere a volo quella opportunità da cui poteva venir bene alla causa, e tradusse subito in bella prosa italiana quella lettere che pubblicò a Torino (Il sig. Gladstone e il governo napoletano), appena dopo che esse erano state divulgate a Londra.

Fu una lungimiranza già quasi cavourriana? Resta il fatto che questo secondo scritto sul Mezzogiorno e gli altri che seguirono, sulla polemica intercorsa tra il governo napoletano ed il Gladstone, così tempestivi e rivolti ai suoi ospiti torinesi, e di lì a tutti gli italiani e amici dell’Italia, non solo risultarono un contributo notevole alla causa risorgimentale, ampliando l’effetto di denuncia nei confronti degli screditati Borboni, ma conferirono al Massari una più precisa collocazione in quel variegato ambiente dell’emigrazione nei cui confronti opinione pubblica e governo piemontese guardavano con non grande simpatia e molte volte con sospetto.”Cfr.

[8] “Era persuaso, come sarà persuaso Cavour, che in questo seppe ben scegliere l’uomo, che la pubblicità della causa italiana e piemontese nella opinione pubblica europea fosse da curare con estrema saggezza e tempestività, e Massari non trascurò una occasione che potesse procacciar simpatie alla causa: Gladstone, gli ambienti liberali inglesi, la cultura e la diplomazia di Francia, de Mazade, con cui avvia un fitto carteggio, gli ambienti vicini a Napoleone III, il gruppo degli intellettuali fiorentini, gli emiliani, i circoli e le personalità milanesi, gli ambienti ufficiali e quelli ufficiosi, i ministri, le ambasciate, i salotti, le redazioni: quel variegato scenario entro cui si «facevano» le sorti d’Italia non è mai descritto con l’intento del narratore, eppure risalta al vivo negli scorci epistolari, nelle notazioni di diario, nelle relazioni.”. Cfr. Michele Dell’aquila, INTELLETTUALI MERIDIONALI ESULI IN PIEMONTE NEL DECENNIO 1849/59: GIUSEPPE MASSARI – La Capitanata – Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia – BOLLETTINO D’INFORMAZIONE della Biblioteca Provinciale di Foggia, Anno XX Gennaio-Giugno 1983 – Parte I – (https://www.bibliotecaprovinciale.foggia.it/)

[9] Cfr. Carmine De Marco, Cavour – dal libro “Revisione della Storia dell’Unità d’Italia” – (https://www.adsic.it/)

[10]L’inchiesta, nota come Massari – Castagnola, già più volte proposta dalla sinistra, avrebbe dovuto anche sollevare il velo di silenzio steso dal governo sugli errori e sugli abusi compiuti dall’esercito nell’opera di repressione. Nel maggio 1863 la Commissione d’Inchiesta concluse i lavori. I risultati, raccolti in una lunga relazione, vennero letti alla Camera in diverse sedute e furono pubblicati in estate sul giornale “Il Dovere”. La relazione evidenziava numerose ragioni economiche e sociali del fenomeno del brigantaggio, ma evitava di parlare delle responsabilità del governo, chiamando, invece, in causa l’attività degli agenti borbonici e clericali. In sostanza, concludeva la relazione, “Roma è l’officina massima del brigantaggio, in tutti i sensi ed in tutti i modi, moralmente e materialmente: moralmente perché il brigantaggio indigeno alle province meridionali ne trae incoraggiamenti continui e efficaci; materialmente perché ivi è il deposito, il quartier generale del brigantaggio d’importazione”. In essa si insisté sull’interpretazione del fenomeno del brigantaggio come frutto di delinquenza comune, retaggio del vecchio regime, e come l’effetto dei tentativi di riconquista delle Due Sicilie, da parte di Francesco II, con la complicità dei preti meridionali legittimisti. Come conseguenza di questa analisi, venne approvata, ad agosto, con procedura d’urgenza, la famigerata legge Pica (che rimase operativa fino al 1865) la quale aboliva qualsiasi garanzia costituzionale; in virtù di essa furono insediati otto speciali Tribunali militari, i collegi di difesa vennero assegnati agli ufficiali e si abolirono i tre gradi di giudizio che erano operativi nell’altra parte d’Italia. In pratica le condanne, che erano inappellabili, variavano dalla fucilazione ai lavori forzati (spesso a vita); venne stabilito il reato generico di “brigantaggio” in virtù del quale ogni sentenza era legittima; anche persone non partecipi alla rivolta persero la vita perché accusate ingiustamente di brigantaggio da loro nemici personali i quali, in questo modo, saldavano sbrigativamente dei conti in sospeso.“ Cfr. Stefania Maffeo, – L’unità d’Italia fece del Sud una colonia da depredare (https://www.storiain.net/)

[11] Cfr. Michele Dell’aquila, INTELLETTUALI MERIDIONALI ESULI IN PIEMONTE NEL DECENNIO 1849/59: GIUSEPPE MASSARI – La Capitanata – Rassegna di vita e di studi della Provincia di Foggia – BOLLETTINO D’INFORMAZIONE della Biblioteca Provinciale di Foggia, Anno XX Gennaio-Giugno 1983 – Parte I – (https://www.bibliotecaprovinciale.foggia.it/)

[12] Cfr. Abstract de “Brigantaggio legittima difesa del Sud – gli articoli della Civiltà Cattolica (1861 – 1870)” – introduzione di Giovanni Turco, prima edizione 2000” –  (https://www.editorialeilgiglio.it/)

[*] Pubblichiamo una nota inviataci oggi, 31 luglio 2006, dall’amico Gernone che ringraziamo: “Sull’ascaro Massari aggiungerei che la relazione scritta a mano e poi modificata per ovvie ragioni al largo pubblico della stampa è introvabile, che la CPIB relazionò a porte chiuse in Parlamento… Massari come altri servitori meridionali della conquista piemontese morì solitario a Roma ed è sepolto a Bari. Ciao Nino”.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/destra_sinistra/ds_massari.html

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Anti-Risorgimento e intellettualità italiana

Posted by on Mag 31, 2019

Anti-Risorgimento e intellettualità italiana

Una ricostruzione a grandi linee della cultura italiana che da posizioni ideali diverse e differenziate, si oppose al processo unitario e risorgimentale, così come esso veniva elaborato nei disegni ed è stato attuato nei fatti dalla minoranza liberale e democratico-sociale fra il 1800 e il 1870

In memoria di Silvio Vitale
(1928-2005)

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La Geopolitica Europea post-napoleonica e le Due Sicilie di Ferdinando II

Posted by on Apr 26, 2019

La Geopolitica Europea post-napoleonica e le Due Sicilie di Ferdinando II

La calunnia come arma politica: “negazione di Dio”

La politica destabilizzante inglese continuò con William Gladstone, deputato e già ministro delle Colonie del governo Peel, che fu inviato dal suo governo per seguire il processo che si sarebbe dovuto svolgere nelle Due Sicilie contro gli aderenti alla società segreta ”Unità d’Italia“ i cui scopi erano impliciti nella sua stessa denominazione.

Le loro attività sovversive andavano dalla diffusione di proclami antimonarchici che invitavano alla disobbedienza civile, all’organizzazione di attentati come quello del settembre 1849, quando un ordigno esplose davanti al palazzo reale di Napoli mentre si svolgeva una festa di giubilo per Papa Pio IX il quale, fuggito a suo tempo da Roma a causa dell’instaurarsi della Repubblica Romana, si apprestava a benedire le centomila persone presenti.

“Qualsiasi governo avrebbe perseguitato una setta segreta che minacciava la sua stessa esistenza e propugnava l’assassinio politico con proclami come questo: “Voi soli, o fratelli, voi soli rimanete indietro. È vero che voi avete cotesta tigre Borbonica, che vi lacera le membra e vi beve il sangue, cotesto ipocrita, cotesto furbo, cotesto scelleratissimo Ferdinando. Ma non siete italiani voi? Non avete un pugnale? Nessuno di voi darà la sua vita per 24 milioni di fratelli? Un uomo solo, una sola punta darebbe libertà all’Italia, farebbe mutar faccia all’Europa. E nessuno vorrà questa bella gloria? “[1]

Il processo iniziò il 1 giugno 1850 e si concluse il 1 febbraio del 1851 (non era quello contro i 39 imputati per i disordini del 15 maggio 1848); tra gli imputati, in tutto 42, ricordiamo i nomi di Agresti, Faucitano, Settembrini, Poerio, Pironti, Romeo; condannati alla pena capitale furono i primi tre, subito graziati da Ferdinando; ad altri due fu comminato l’ergastolo, ai rimanenti condanne fra trent’anni e quindici giorni, otto furono assolti; in seguito molti condannati, dopo pochi anni di carcere, furono liberati e costretti all’esilio.

Tornato a Londra nel 1851, d’intesa col primo ministro Lord Palmerston, Gladstone fece diffondere alcune lettere da lui inviate al ministro degli esteri, lord Aberdeen, nelle quali si etichettava il regno del Sud come la “negazione di Dio”; nella prima (del 7 aprile, pubblicata l’11 luglio) il Gladstone riferiva di una visita, mai avvenuta, alle carceri napoletane e così concludeva: «II governo borbonico rappresenta l’incessante, deliberata violazione di ogni diritto; l’assoluta persecuzione delle virtù congiunta all’intelligenza, fatta in guisa da colpire intere classi di cittadini, la perfetta prostituzione della magistratura, come udii spessissimo volte ripetere; la negazione di Dio, la sovversione d’ogni idea morale e sociale eretta a sistema di governo»”.[2]

L’Inghilterra gridò così al mondo intero il proprio sdegno per le asserite disumane condizioni in cui erano tenuti i detenuti politici e queste notizie rimbalzarono da una cancelleria all’altra, trovando ampie casse di risonanza sui giornali di Torino e nella stessa Napoli negli esterofili ambienti degli oppositori; a nulla servirono le smentite del governo borbonico che invitò anche commissioni di giornalisti a verificare de visu la realtà, poi, a “giochi fatti”, cioè dopo l’annessione piemontese, sarà lo stesso deputato inglese ad ammettere candidamente la menzogna: “Gladstone, tornato a Napoli nell’anno 1888-1889, fu ossequiato e festeggiato dai maggiorenti del cosi detto Partito Liberale, i quali non mancarono di glorificarlo per le sue famose lettere con la negazione di Dio, che tanto aiutarono la loro rivoluzione; ma a questo punto il Gladstone versò una vera secchia d’acqua gelata sui suoi glorificatori. Confessò che aveva scritto per incarico di lord Palmerston, che egli non era stato in nessun carcere, in nessun ergastolo, che aveva dato per veduto da lui quello che gli avevano detto i nostri rivoluzionari”[3].

In quegli stessi anni la “civilissima“ Francia inviava oltre 10 mila prigionieri politici in Algeria e alla Cayenna, anche in Inghilterra i giudizi dei tribunali non brillavano certo per imparzialità, per non parlare poi delle spietate repressioni coloniali inglesi, negli Stati Uniti c’era lo schiavismo, tutto questo non scandalizzò Gladstone.

In realtà la situazione nelle carceri napoletane non era peggiore di quella del resto d’Europa [4], anzi, leggendo alcune corrispondenze di noti liberali reclusi si potrebbe pensare il contrario; da una lettera di Carlo Poerio:“ Ho ricevuto la vostra lettera del 1 di questo mese, che mi è giunta non so dire quanto gradita. Sono lietissimo di sentire che la vostra preziosa salute vada sempre di bene in meglio e posso assicurarvi che è lo stesso di me. Oggi abbiamo avuto una magnifica giornata di primavera e ho avuto la consolazione di passeggiare a mio piacere. ….Vi ho scritto per la posta d’inviarmi, col corriere di Pasqua, dè frutti, dè piselli, dè carciofi e del burro, come di costume.Vostro affezionatissimo nipote.”[5]

Di contro il sistema giudiziario duo-siciliano è stato riconosciuto da tutti gli studiosi come il più avanzato d’Italia preunitaria, in linea con la grandissima scuola meridionale di diritto, basti pensare al Codice Penale del 1819; i magistrati erano reclutati per concorso e non per nomina regia come in altre parti d’Italia; quelli che componevano le Gran Corti Criminali, presenti nei 15 capoluoghi della parte continentale e in 6 siciliani, erano in numero pari poichè in caso di equilibrio nel giudizio “L’opinione è per il reo “.

Paolo Mencacci[6] a proposito del sistema giudiziario in vigore nelle Due Sicilie, riporta che: “A giudicare coi criteri odierni che ritengono la pena di morte una barbarie, il Regno delle Due Sicilie, nel decennio che precede l’unificazione, è senz’ombra di dubbio uno stato modello.“ Ferdinando II aveva inoltre abolito, il 25 febbraio 1836, la pena dei lavori forzati perpetui che invece decenni più tardi fu comminata, in gran copia, dal governo “unitario“ piemontese ai cosiddetti “briganti“ meridionali.

Viceversa “Nel Regno di Sardegna la realtà è molto diversa. Se assumiamo la pena di morte come indice della violenza di un regime, il regno sardo è uno stato brutale perché da quando i liberali vanno al potere, le esecuzioni capit­ali aumentano a dismisura, dal 1851 al 1855 sono ben 113 contro le 39 avvenute in un quin­quennio di governo assoluto (1840-44). Regno violento, pieno di debiti, con un altissimo tasso di criminalità, il regno sardo, tramite il suo presi­dente del Consiglio, i suoi ministri, la sua stampa, pro­segue nella calunnia sistematica degli altri stati della penisola su cui proietta la propria realtà e, contempora­neamente mitizza le condizioni di vita dei paesi libera­li[7], va però osservato che “Il governo borbonico non fu certo esente da colpe, come dimostra la sua assoluta insensibilità nel comprendere la necessità della battaglia culturale per contrastare attivamente con libri o pubblicazioni (che non mancavano ed erano qualificatissimi) la calunniosa propaganda massonica e liberale che invece dilagò presso le classi colte e conferì una giustificazione intellettuale alla loro brama di potere “.[8]


[1] Harold Acton, “Gli ultimi Borboni di Napoli”, Giunti

[2] Carlo Alianello, La conquista del sud, Rusconi editore

[3] Ibidem

[4] ricordiamo, comunque, per rendere l’idea della mentalità punitiva dell’epoca ben diversa da quella riabilitativa dei giorni nostri, che l’obbligo della catena al piede per i condannati ai lavori forzati fu abolito solo il 2 agosto 1902 nel nuovo regno d’Italia.

[5] riportata da O’ Clery, La rivoluzione italiana, Ares, 2000, pag. 374

[6] Nelle “ Memorie Documentate” citate da Angela Pellicciari “ L’altro Risorgimento“, Piemme, 2000, pag.188

[7] Angela Pellicciari, “ L’altro Risorgimento “, op. cit.

[8] Eduardo Spagnolo, Manifestazioni antisabaude in Irpinia, ed. Nazione Napoletana, 1999

Giuseppe Ressa

Fonte:
https://www.ilportaledelsud.org/

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FERDINANDO II DI BORBONE

Posted by on Ott 18, 2018

FERDINANDO II DI BORBONE

Morte di Ferdinando II

[…]. Ai 22 di maggio […] 1859, all’una e mezzo pomeridiane, consolato dai santi conforti della Religione, da lui ricevuti con quell’edificante pietà, che sempre aveva praticata in vita, il Re Ferdinando moriva […], lasciando i suoi popoli nel pianto e il giovane suo successore in una delle più difficili situazioni, in che avesse mai a trovarsi un principe nel salire al trono.

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UN PASSATO COSI’ ATTUALE

Posted by on Giu 30, 2018

UN PASSATO COSI’ ATTUALE

L’8 novembre 1830, a soli vent’anni, Ferdinando II di Borbone (1810-1859) divenne sovrano del Regno delle Due Sicilie. Finì un’era e si… cominciò con un nuovo ordine di cose con la rapidità e la fermezza con la quale un re così giovane caratterizzò, attraverso i suoi primi atti, la nascita del suo regno.

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