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PALAZZO SCARDINO – UNO SPACCATO DI STORIA MESSINESE DALLA SECONDA METÀ DEL XIX SECOLO AL TERREMOTO DEL 1908 E OLTRE. UNA RICERCA DI ALESSANDRO FUMIA

Posted by on Apr 18, 2023

PALAZZO SCARDINO – UNO SPACCATO DI STORIA MESSINESE DALLA SECONDA METÀ DEL XIX SECOLO AL TERREMOTO DEL 1908 E OLTRE. UNA RICERCA DI ALESSANDRO FUMIA

Pubblico con piacere questa interessante ricerca dello storico Alessandro Fumia,
sulla storia del sito dove fu costruito palazzo Scardino e sulla vita del personaggio
da cui il palazzo prese il nome attuale
Ogni altro contributo sull’argomento sarà gradito
e se richiesto pubblicato, nello spirito di raggiungere intanto due obiettivi immediati:
1- Il vincolo della Sopraintendenza ai BB AA.
2- Il necessario consolidamento dell’importante struttura storico architettonica. – a.c.(sax)

In una città che si rispetti, il patrimonio monumentale deve essere valorizzato, tutelato e difeso. Messina non può fare eccezione alla regola, perché fra le altre cose, ha perduto gran parte della sua memoria storico-monumentale pertanto, deve percorrere tutte le strade che portano alla difesa di ogni arredo urbano proveniente dal suo passato.  Il Palazzo La Rosa – Scardino, antica memoria del patrimonio architettonico di Messina, distinto nella fase della ricostruzione, dopo il sisma del 1783 dagli edifici innalzati durante il regno delle due Sicilie, fonda le sue basi d’opera durante la prima decade dalla fondazione del regno d’Italia. Poi nella seconda metà dell’ottocento, i volumi edili dei nuovi edifici furono programmati nella legge del 1865, trasformando il nuovo recinto municipale della Città dello Stretto esteso verso mezzogiorno, per trovare una nuova dimensione degli arredi architettonici sperimentati in quella fase storica. Messina accorpa nei piani di sviluppo progettati dall’ingegner Spadaro, la nuova chiave residenziale rispetto alla città borbonica, sperimentando nel moderno quartiere alle Moselle, quelle trovate urbanistiche necessarie a favorire lo sviluppo del quartiere. Infatti, con l’elaborazione di quelle isole, furono trovate soluzioni architettoniche specifiche, favorendo la costruzione dei fabbricati con un’intelaiatura a mattoni portanti lineare, sagomando i prospetti dei fabbricati in una sorta di corrente filosofica, capace di lasciare un’impronta marcata in tutti quegli edifici che furono costruiti dal 1869 al 1908. Le tipologie costruttive legate a quel periodo storico presentano una chiave di lettura architettonica precisa, che unisse nello stesso corpo sia l’abitazione per la residenza, sia la bottega per l’attività commerciale, facilitando il passaggio dalle produzioni mercantili, un tempo concentrate verso la costa o nelle sue immediatezze, verso l’interno di Messina e il relativo circondario agricolo, in passato circoscritto ai suoi villaggi collinari. Le residenze costruite nel Piano Spadaro si aprivano verso uno scambio di attività lavorative concentrate nei relativi nuovi spazi insediati.

La città pur mantenendo il suo impianto tradizionale verso il centro storico, dove ricadevano gli edifici più belli, dalle linee guida decorose, imitanti una corrente neoclassico-europea, capace di inventare negli spazi aperti verso il mare, dimore signorili di provata eleganza; indirizzando le nuove costruzioni verso una tipologia d’arredo, collegata alla necessità produttiva delle sue filiere commerciali e industriali, dava una moderna impronta alle costruzioni di recente fabbricazione. Il nuovo quartiere venuto fuori dai progetti di Spadaro scontava la disponibilità di spazio, ancora di più limitato con la costruzione della rete ferroviaria con le sue aree di stoccaggio merci. Così accadeva che l’impianto di locomozione veloce, tagliasse in due l’area del nuovo quartiere in fase di costruzione, limitando nel settore all’origine dell’antico piano delle Moselle gli edifici di nuova generazione, lasciando in abbandono le porzioni di terreno collocate oltre la ferrovia: in questo modo ricavando un’altra zona, limitata a nord dalla piazza d’armi, prospiciente il terrazzamento, un tempo appartenuto al largo di Terranova e il forte Don Blasco. Pertanto, fino al terremoto del 1908, il declivio costiero compreso tra il Portalegni e Santa Cecilia era in sostanza libero da costruzioni edili a uso civile. Il palazzo Scardino costruito oltre il limite del progetto di riqualificazione urbana durante il 1869, presenta delle peculiarità specifiche e uniche allo stesso tempo, perché sintesi di una fase costruttiva limitata fra il 1861 e il 1868. Rimasuglio di un isolato a insediamento residenziale a carattere signorile, trova logica spiegazione in un corpo  di fabbrica legato al fondo rurale presso il quale insisteva in età borbonica un primo fabbricato, affiancato da impianti militari collegati al nucleo della Real Cittadella, da una strada carrabile addossata al cosiddetto “Muro Finanziere” segnalato negli atti del Parlamento del regno d’Italia nel 1861, per decidere della sorte dei castelli costieri. L’edificio fa ancora bella mostra di se con le sue linee morbide disegnate da preziosi decori, scolpiti in pietra dura sul prospetto principale, dove un elegante marcapiano floreale a motivi geometrici, delimita gli ambienti superiori dal sottostante piano terra.  Il terreno accorpato al palazzo, ricadeva in una contrada “ Le Stalle” addossata a meridione del piano de Le Moselle, La tipologia architettonica di questo edificio, si contrappone contro quei palazzetti del Piano Spadaro per volume, per fondamenta e per corpo di fabbrica. Viceversa gli edifici inseriti nel nuovo quartiere di Messina, si sviluppavano su tracciato viario a scacchiera regolare, formato delle isole edili composte su due livelli, tutte realizzate in muratura portante con mattoni pieni.

I due comparti di fabbrica, si mostravano di solito con un primo livello utilizzato per le botteghe, sovraimposto da un ammezzato a lanternino, presentandosi sui prospetti principali con aperture balconate per spezzare il monotono fronte rettilineo; di solito finestre e mezzanini erano conglobati in un unico corpo d’affaccio architettonico, divisi da un arco ribassato a tutto sesto, e da finestre quadrangolari sagomate in pietra di Siracusa come le aperture. Nel secondo livello erano progettati dei balconi, per servire le stanze principali, sorretti da una base in pietra, e cinti da balaustra di ferro battuto a motivi geometrici, mentre il tetto, era sagomato sopra telaio di legno coperto con laterizi. Tutte le costruzioni ritrovatesi entro le direttive previste in quel piano progettato nella seconda metà del XIX secolo, erano realizzati con eguale criterio architettonico. Viceversa il nostro immobile, pur presentandosi complessivamente con legami architettonici simili, presenta una tipologia d’impianto diversa. Lo stabile oggetto di recupero e di restauro si apre sul tracciato rettilineo del prolungamento della via Don Blasco, dopo l’incrocio con la strada di Santa Cecilia. Questo significa che il corpo di fabbrica è più antico del Piano Spadaro e rientra tipologicamente fra quelle costruzioni realizzate dopo la guerra del 1848; forti delle tracce storiche che ricordano l’intervento del governo borbonico a modificare in modo importante, tutto il rettifilo costiero delle Moselle posto fuori dal recinto murato del forte Don Blasco, è possibile identificare un fondo più antico rispetto  alle aree più moderne utilizzate per la conurbazione. Il palazzo in oggetto, si presenta su tre livelli ma con caratteristica muratura, formando il comparto al piano terra, una possente struttura poligonale,unita da ciottoli trattenuti da forte impasto idraulico presso due corpi isolati dello stesso palazzo Scardino, impostati su ampi muri portanti, sui quali furono addossati i due piani superiori in muratura di mattoni.  Il locale del piano terra è inglobato ai due corpi distinti dalla parte centrale, presso la quale ricadono due archi a sesto acuto per scaricare il peso superiore delle torrette sommitali; mentre il corpo centrale dal primo livello al secondo corpo di fabbrica che lo sovrasta, è delimitato da un lastrico solare recintato sui due prospetti principali perimetrali da relativa balaustra di ferro. Il palazzo Scardino si mostra come una sorta di nave con una prora e una poppa, rialzate rispetto al restante corpo architettonico, rendendo il suo aspetto slanciato, maestoso ed elegante. Ampie finestre prendono posizione nei quattro prospetti di fabbrica, adorne di telaio in travertino graziosamente decorato concedendo all’insieme un gusto residenziale, tipico dei casini di campagna prossimi al centro urbano. Ricadente nel lungo rettilineo della via Don Blasco, imposto cinquanta metri oltre l’incrocio con la via Santa Cecilia, fa parte di un recinto insediato già segnalato durante i moti insurrezionali del 1848.  L’ampio piano costituito dal fondo prospiciente il predetto incrocio, faceva parte del recinto delle stalle baraccate delle Scuderie Reali borboniche, dove si accudivano i cavalli delle truppe di stanza presso i castelli costieri di Messina. Secondo i progetti del Piano Regolatore dell’ingegner Spadaro del 1869, in rapporto alla delibera della legge emessa nel 1865, tutti i terreni in piano presenti dal Portalegni alle Moselle, avrebbero costituito il nuovo fronte sud per insediamento civile. Il confine insediato possedeva sul rilievo costiero una propensione edificabile estesa presso il fondo cosiddetto Le Stalle, a suo tempo occupato militarmente delle truppe del Filangeri, distruggendovi il forte costiero Sicilia, posto dopo il fossato di Santa Cecilia. L’appezzamento di terra delimitato da quel forte, correndo rettilineo fino all’incrocio di S. Cecilia sulla strada di Don Blasco, era delimitato verso monte, dalla sede dell’edificio delle Scuderie Reali diroccato dopo i moti del 1848.

In mezzo con una certa approssimazione, esisteva fino al 1867 il palazzetto del circolo della Luogotenenza della regia Marina italiana, della quale non si ha conoscenza delle dimensioni di fabbrica; ma l’assenza di riferimenti catastali prima del 1869, permette di leggere quel corpo come verosimile impianto del Palazzo Scardino riconvertendolo a residenza privata. Luogo comunque già individuato venti anni prima, come sede destinata ad abitazione del Generale Comandante le Armi nella Provincia, confinante con le stalle delle scuderie. L’area osservata rientra nei ragguagli topografici espressi nella carta di Messina del 1868 stampata da Francesco Vallardi, che mostra quel corpo di fabbrica già esistente, presso un fondo che in epoche successive era segnalato come fondo agricolo, senza nessuna presenza di fabbricati. Quest’osservazione è stata portata avanti, studiando le carte topografiche prodotte dopo il terremoto del 1908: “Dalle cartografie d’inizio ‘900 si riscontra inoltre, che nessuna costruzione fu edificata tra la fiumara di Zaera e la via Santa Cecilia anzi, questa strada rimase fino al 1908 in forma di traccia, costituendo il confine sud della città.”  Osservazione questa incompleta, perché, soltanto nella carta del Vallardi e in una mappa tedesca del 1895, è possibile individuare quel corpo di fabbrica, che segnalava proprio un fabbricato isolato e immerso nella campagna. Elemento speculativo ma importante che ne coglie le autentiche origini, legate alla destinazione del fondo per governare gli animali utilizzati dall’esercito borbonico. Da ciò è possibile cogliere in quel corpo la presenza di una limitata presenza edile segnalata e limitatamente asservita al palazzo della Guardia provinciale, e in seguito al corpo di luogotenenza della Marina.  Nessuno stabile doveva insistere in quell’area prima del 1908, né furono edificate costruzioni durante il Piano Spadaro, perché, già si paventava l’esproprio di alcuni terreni utile alla realizzazione del tracciato delle ferrovie avvenuto nel 1870. Da quella carta topografica e dalle coordinate storiche che ho individuato, il futuro palazzo Scardino era già impiantato. Lo sviluppo ulteriore del fondo in oggetto, con la costruzione delle Ferrovia, permetterà d’impiantare stabilimenti, atti all’attività industriale connesse al territorio. Da alcune carte, si riesce a identificare presso la contrada delle Stalle, un terreno di proprietà della famiglia La Rosa, verosimilmente appartenuto al Giudice della Gran Corte di Messina D. Carmelo La Rosa (1819), successivamente ritrovato come direttore della Facoltà di Diritto Romano e Pandette dell’Università di Messina (1839). La proprietà dei La Rosa fu individuata in epoca borbonica presso le Stalle alle Scuderie, così come segnalate nei fatti rivoluzionari del 1848: “Li avamposti si estendessero da una parte fino alle mura dell’arsenale a settentrione del piano, dall’altra fino alla così detta baracca, umile casa a un piano destinata ad abitazione del Generale comandante le armi nella Provincia prima degli avvenimenti che narriamo, e fino alle scuderie addossate ai terrapieni, che da mezzodi sovrastanno agli orti delle moselle.”  In quell’occasione i rivoluzionari avevano contrapposto al forte Don Blasco nel rettifilo che si riconduceva da sud verso tale castello, un lungo fossato e una batteria (forte Sicilia) per contrastare le artiglierie della Real Cittadella. I limiti di questo perimetro, furono rilevati nelle memorie storiche assoggettate a quei fatti guerreggiati: “Uscì dalla Piazza il 3° reggimento svizzero, e andò a schierarsi in battaglia alle trincee di Terranuova. Colà una compagnia (quella dei granatieri) fu distaccata dal 1° battaglione, e si portò sull’estrema sinistra di quella linea ad occupare D. Blasco; un’altra compagnia (la 1° dei fucilieri) andò in un posto avanzato chiamato le Stalle o le baracche, e le altre compagnie restarono ferme nelle trincee.”3
 Ornella Fiandaca, Raffaella Lione, Il sisma. Ricordare, prevenire, progettare. (Atti ARTEC). Alinea Editrice, 2009. Articolo di  Francesco Galletta, Messina la persistenza del segno pp. 238
  Memorie istoriche per servire alla storia della rivoluzione siciliana del milleottocentoquarantotto-milleottocentoquarantanove Italia 1853 p. 66
  Ignazio Palmeri, Relazione storica delle operazioni dell’artiglieria siciliana nella guerra di Messina al 1848  tip. del Commercio, Messina 1860 p. 7

Da ciò si comprende che l’area segnalata era comunque riconducibile a una contrada, specificatamente distinta e assoggettata a quelle Scuderie. L’ubicazione di questi impianti è molto importante per identificare tutta l’area insediata dopo il Piano Spadaro (1869); e trovare in questo modo, le coordinate successive relative all’identificazione del sito in rapporto al Palazzo Scardino. L’errore di valutazione commesso un pò da tutti, è stato quello di limitare le osservazioni di opportunità dettate dal monumento, segnalando questo immobile come proprietà Scardino.  Impianto, comunque legato alla figura di questa famiglia già che, per opera di Giuseppe Scardino fu Carmelo, vi impianterà nel 1912 presso le sopraddette Scuderie un imponente stabilimento industriale, in quel momento storico unico nel suo genere in Sicilia. L’attività dello Scardino fu molto rilevante viste le contingenze di Messina a inizio del XX secolo, entrando in affari con imprenditori americani; egli ebbe la simpatica idea, di trasformare l’area delle antiche stalle in un impianto per la refrigerazione delle carni da macelleria. L’impianto era servito da una linea ferroviaria per il trasporto di animali in vagoni frigo e un’area di stoccaggio per imballati diversi, forse assoggettabile al Macello Vecchio di via Santa Cecilia estendendosi fino all’area in cui oggi ricade lo stabilimento Calogero. Lo stabilimento di surgelamento carni era addossato a una stalla comunale segnalata già dopo il terremoto del 1908. Tutto il fondo fino al 1923 era di proprietà dello Scardino provvisto di magazzini essendo fornito anche da una fornace per la costruzione di mattoni e laterizi di notevole portata, tanto che l’imprenditore realizzerà una monumentale ciminiera: “Possa accogliere la domanda Scardino per essere autorizzato a eseguire nella zona industriale di Messina una canna fumaria per la fornace di mattoni di sua proprietà; al piano regolatore di ampliamento.”(4)

L’indirizzo agricolo del fondo per sostentamento dell’allevamento ricadente entro un corpo di fabbrica adatto allo stanziamento di animali da soma e da pascolo, fu riconvertito per opera dello Scardino per dare vantaggio alla sua attività commerciale; gli animali presenti localmente da diverse decadi ivi stoccate, macellate, lavorate e surgelate, erano imballate e poste in transito da Napoli verso Catania, come per altri luoghi della Sicilia: “Stabilimento di stoccaggio a freddo – L’unico impianto di stoccaggio a Messina in quello di Giuseppe Scardino, italiano, ubicato in via Don Blasco, Santa Cecilia, Messina. È a pianta molto piccola con una capacità di stoccaggio di 200 metri cubi (7.062 piedi cubici). La temperatura media è mantenuta durante lo stoccaggio. Le camere sono di 6 ° sotto zero centigradi e la temperatura più bassa ottenibile è di 10 ° sotto lo zero. L’impianto di Mr. Scardino è stato aperto nel 1912, principalmente per la conservazione di carni.  È stato chiuso dal 1920, ma il titolare dice che intende riprendere l’attività come un esperimento. La sua pianta è più che abbastanza grande da gestire qualsiasi attività offerta. Si trova a circa 100 metri dalla ferrovia.  Sopra una piccola strada carrozzabile, è servita tramite cavalli e bestiame  da veicoli destinati ad autocarro. L’impianto dello stabilimento di Scardino è stato realizzato dalla ditta G. Dell’Orto, di Milano, Italia, i macchinari sono stati copiati dai disegni ottenuti dalle opere tedesche di Freundlich (Ltd.), a Dussendorf. Quest’apparecchiatura include un compressore di ammoniaca di 11.000 frigori, azionato da un motore da 13 cavalli.”(5)  Questo significa che il Palazzo Scardino, fu la residenza principale di un imprenditore che aveva costituito nelle immediate vicinanze della sua abitazione, un impianto importantissimo per la città di Messina dopo il 1908. Giuseppe Scardino di professione macellaio, figlio di Carmelo Scardino un ufficiale di regia fanteria, forse distaccato presso le Scuderie che servirono ancora durante il Regno d’Italia come rimessa e maneggio: “il macellaio Scardino aveva fatto presente al prefetto Trinchieri e successivamente alle altre autorità accorse a Messina che il macello era rimasto intatto con le stalle piene di animali. Scardino chiedeva di essere autorizzato a macellare e assicurava almeno cinquantamila razioni di carne al giorno.”(6)  Si può dedurre che il nostro attore avesse già allora un’attività di macellazione florida, aperta presso tali ambienti o fosse esso stesso a capo del Macello Pubblico se avanzava l’offerta di produrre 50.000 razioni di carne ogni giorno cioè, 1.500.000 razioni di carne in un mese. Sappiamo da altri incroci, che ancora agli inizi del 1900, il Macello Pubblico ricadesse presso l’antica sede delle stalle regie, la dove egli v’impianterà il suo stabilimento: cioè presso un’area attrezzata, adibita per mattatoio. Dalle carte catastali risulta che il Palazzo Scardino fu considerato opera risalente al 1868, epoca questa presunta, se rapportata all’ultimo proprietario. Di umili origini – “Scardino Giuseppe di Carmelo, nato a Messina nel 1870, macellaio ”  (7)

possedeva il suo impianto presso l’incrocio costituito dagli assi viari di Santa Cecilia e Don Blasco già dal 1912, pur se dimorante nello stesso luogo prima del terremoto, prestandosi con quella qualifica al servizio di mattatoio in uso dell’esercito italiano, presente dopo il 31 dicembre del 1908; in una città posta in stato d’assedio, offrendo il suo braccio per sfamare la popolazione dei sopravvissuti, azione depressa e limitata a servire il fabbisogno della truppa. Le provvigioni economiche scaturite con i rapporti intrattenuti con l’esercito, e le commesse intervenute negli anni successivi attraverso i traffici con la ferrovia, fecero arricchire non poco lo Scardino. Si conosce con una relativa certezza che l’impianto industriale e il domicilio, ricadessero nella stessa area in cui ricadevano le stalle dei cavalli in rapporto all’attività industriale che contraddistinse Messina in tutta Europa: “È stato messo in funzione l’impianto refrigerante a Messina, in Sicilia, di Giuseppe Scardino fu Carmelo, che venderà carne conservata solo per la distribuzione alle truppe italiane. I macchinari tedeschi costarono duemila dollari.” (8) In forza di queste tracce storiche assume un valore maggiore il palazzo Scardino, in rapporto a sede insediata di un imprenditore, che ha saputo costruire un’attività che ebbe a dare pregio al terreno circostante. La ferrovia distante cento metri dallo stabilimento, ricadente presso tale incrocio, certifica che l’edificio residenziale e lo stabilimento per il congelamento delle carni erano confinanti. La sede delle antiche stalle, permette di identificare la contrada ricordata negli annali storici, e attraverso quella identificazione, recuperare la memoria dell’edificio delle Scuderie borboniche situate presso il futuro Palazzo Scardino. Tal ché, attraverso l’identificazione del sito di questo Palazzo in un’area storicamente interessante, la sua valenza monumentale si accresce in valore storico, perché consente di identificare un vecchio tracciato d’impianto, necessario alle memorie patrie di Messina, anche in chiave turistica. La battaglia che si apre adesso per il recupero di un edificio storico forte di queste ulteriori prebende, e accessori, rafforza l’ubicazione dell’immobile in rapporto al fondo, aiutando attraverso la sua presenza a rinverdire antichi luoghi sempre carichi di memoria storica. Messina non può permettersi il lusso di perdere questo monumento nel suo arredo urbano perché esso stesso è la sintesi di un’area residenziale di alto valore simbolico, ma soprattutto di alto valore storico-industriale, permettendo di leggere nel suo impianto, una sorta di continuità temporale con tutta la zona commerciale in essere, situata tra l’asse ferroviario e il recinto costiero presso Don Blasco.

[4] Giornale dei lavori pubblici e delle strade ferrate Copertina anteriore Stab. Civelli, 1913 p. 456[5] United States. Bureau of Foreign and Domestic Commerce, Ice-making and cold-storage plants in continental Europe. Govt. print. off., 1926 p. 55[6] Sandro Attanasio, 28 Dicembre 1908 ore 5,21: terremoto. Bonanno, Acireale 1988 p. 196; 
[7]  Antonio Alosco, Gaetano Cingari, Santi Fedele, Il Socialismo nel Mezzogiorno d’Italia, 1892-1926.  Istituto di studi storici “Gaetano Salvemini. Laterza, Bari 1992,  p. 133[8] Refrigerating World, Volumi 47-48. Thayer, Gay & Company, 1914  p. 50

Alessandro Fumia

fonte

https://antoniocattino.blogspot.com/2017/05/palazzo-scardino-uno-spaccato-di-storia.html?fbclid=IwAR3KP3uTMajdSVuufFGa1MnDwECaJnVOhco1ur-10OVn3VKuF6cGQuPkLoQ

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