Perchè dobbiamo acquistare i prodotti del sud.
Si è scritto molto sulla cosiddetta “Questione Meridionale”, libri, trattati, saggi, tesi, Leggi, normative e regolamenti ma infine si è fatto poco o niente.
Molti autorevoli esponenti del mondo politico ed economico hanno cercato di dare diverse spiegazioni del fenomeno di impoverimento progressivo del Sud ma non hanno mai applicato l’equazione risolutiva del problema e questo sicuramente solo per opportunismo più che per incapacità professionale. Infatti il “problema Sud” non è mai stato risolto perché ciò sarebbe stato contrario, come lo è tuttora, agli interessi di una certa parte della nazione quindi tutti i governi che si sono succeduti, dall’unificazione dell’Italia ad oggi, ligi ed ubbidienti ai veri padroni della vaporiera, hanno attinto con imperterrita spudoratezza alle ricchezze del Sud, procedendo ad un depauperamento territoriale e sociale mai avvenuto in tutto il resto del mondo.
Ciò nonostante il Sud è ancora in piedi, come se fosse sostenuto da una fonte inesauribile di ricchezze. Ed infatti lo è, dunque proviamo a capirne le ragioni.
E’ a tutti noto che il concetto di povertà è relativo, si è più ricchi in generale nei confronti di qualcuno e più poveri nei confronti di altri, nello specifico, se Caio è più ricco, ad esempio di materie prime nei confronti di Tizio, sarà probabilmente più povero di tecnologie di cui Tizio è fornitissimo.
Quindi potremmo dire in definitiva che la ricchezza, che è l’opposto di povertà, è sintetizzabile con una semplice equazione matematica le cui variabili sono di seguito descritte:
Si definisce ricchezza “R” la quantità di energia contenuta in un “Corpo Sociale”, quale ad esempio uno stato, una regione, un paese, una famiglia, un individuo. L’individuo è l’ultimo ed indivisibile “Corpo Sociale”.
La ricchezza “R” è dunque l’energia dell’economia e si manifesta con lo sviluppo del lavoro attraverso il suo proprio degrado che avviene passando da un “Corpo Sociale” più ricco ad uno più povero.
Per ogni “Corpo Sociale“ si può scrivere la seguente equazione generale :
R= rz + rv + ri + rrtp + rmc
Dove:
R è la ricchezza totale
rz è la ricchezza potenziale, rappresentativa della vicinanza ad un mercato importante in grado di soddisfare i bisogni del “Corpo Sociale”, tanto più si è vicini al centro del mercato tanto maggiore è questo fattore.
rv è la ricchezza dinamica e identifica la velocità con cui il “Corpo Sociale” elabora i beni ed i servizi per soddisfare le richieste del mercato, essa dunque è legata intimamente alle infrastrutture ed agli apparati produttivi di beni e servizi; il termine che tutti noi usiamo impropriamente “ grado di industrializzazione” di per sé non vuol dire nulla, in un sistema dinamico, poiché non è detto che ad un elevato grado d’industrializzazione corrisponda necessariamente un elevato grado di ricchezza dinamica che, ripetiamo, rappresenta la velocità di movimento degli apparati produttivi.
ri è la ricchezza degli individui che compongono il “Corpo Sociale” , tanto più è alto il numero degli individui e tanto più è alta la ricchezza propria del singolo individuo ( capacità di produrre lavoro), tanto maggiore sarà questo fattore.
rrtp rappresenta la ricchezza dell’ambiente ove risiede il “Corpo Sociale” o meglio l’insieme delle risorse territoriali e dunque produttive in grado di generare lavoro. Nell’immaginario comune tutti noi pensiamo alle risorse minerarie o agricole, ma queste non sono il tutto, dovremmo aggiungere quelle paesaggistiche, climatiche, culturali etc.
rmc è la ricchezza monetaria convertibile ovvero il quantitativo di metalli preziosi posseduti dal “Corpo Sociale” o titoli di credito o moneta con copertura aurea o di altra natura ma riconosciuta dal mercato come titolo di scambio. E’ evidente che tanto maggiore è la ricchezza monetaria convertibile, tanto maggiore sarà la capacità di moderare o influenzare l’andamento del mercato medesimo.
Naturalmente esistono altri fattori di ricchezza, quelli spirituali, che in questa sede non si ritiene di affrontare, ma che spesso sono più importanti di quelli materiali che, invece, il mondo moderno ci impone di considerare come prioritari.
Il principio dell’economia di mercato si può anche enunciare nel seguente modo :
“La ricchezza R può essere trasferita da un “Corpo Sociale” a maggior livello di ricchezza ad uno di livello inferiore e mai viceversa a meno di non spendere del lavoro (non retribuito) “
In poche parole il trasferimento della ricchezza non è spontaneamente reversibile.
Il tempo è una variabile significativa che determina appunto l’estensione del rapporto , al fine di generare lavoro, tra due diversi “Corpi Sociali”, vediamo quindi come è possibile esemplificare in un piano cartesiano i concetti esposti :
Dati due “Corpi Sociali”, rispettivamente di ricchezza R1 e R2 e con R1 > R2, possiamo affermare che l’area del rettangolo individuato in figura è rappresentativa del lavoro che si può sviluppare appunto tra i due corpi, si noti che l’area del rettangolo sarà tanto maggiore quanto maggiore è il divario di ricchezza R e quanto più esteso nel tempo ( T2>T1) è il ciclo di scambio.
In un sistema chiuso e idealmente equilibrato, i diversi corpi sociali dovrebbero appunto scambiarsi il lavoro ottenuto dai diversi cicli perché, come detto, un corpo può essere più ricco di un bene o di un servizio e più povero di un altro e quindi il livello di ricchezza generale può salire in termini di qualità di vita per tutti i componenti del mercato; in sostanza se Tizio esercita la ricchezza R1 in un determinato ciclo di attività produttiva su Caio (R2), genererà un ciclo di lavoro che arricchirà Caio, è del tutto evidente che Caio dovrà esercitare un ciclo analogo per arricchire Tizio e riequilibrare così il sistema.
Vediamo ora di applicare questo semplice concetto energetico alle diverse fasi storiche che hanno attraversato l’Italia dal 1860 ai giorni nostri.
E’ un fatto ormai arcinoto che prima dell’aggressione piemontese il Regno delle Due Sicilie era il più ricco regno d’Italia, anzi, la sua ricchezza monetaria, da sola, superava di oltre il 200% quella disponibile in tutta la parte restante della penisola, Stato Pontificio e Veneto compresi.
La ricchezza globale “R” del Regno delle Due Sicilie si confrontava soprattutto con il mercato estero, con la vendita di prodotti agricoli, manufatti artigianali ed industriali e il tutto, in libero scambio, garantiva l’acquisto delle materie prime quali il minerale di ferro, il carbone, il cotone ed anche il “ Know How”, cioè l’acquisto di tecniche e progetti dalle nazioni più sviluppate al fine di garantire un più rapido processo di sviluppo della qualità di vita.
E’ altrettanto noto a tutti, del resto basta verificare i bilanci dell’epoca, come l’amministrazione Duosiciliana fosse addirittura assillata dall’equilibrio dei flussi produttivi e dal relativo controllo degli scambi, esercitando anche una oculata politica doganale.
La proverbiale autarchia del Regno, sia in senso economico sia politico, era rappresentativa di un particolare fattore di ricchezza che potremmo definire capacità di autodeterminazione o autonomia decisionale, così come l’imparentamento dei Borbone con le casate d’Austria, di Prussia, e di Spagna, gli ottimi rapporti con il Papa e la Russia e l’equilibrio strategico e politico/economico con il mondo musulmano, erano fattori di ricchezza e garantivano una serenità di vita politica assolutamente notevole.
Purtroppo questo pacifico regno era di ostacolo al vasto progetto di sviluppo capitalistico continentale, inoltre la crescita della sua ricchezza “R” risultava troppo accelerata agli occhi degli inglesi i quali temevano che gli accordi commerciali tra il Regno delle Due Sicilie ,Russia, Austria e l’impero ottomano, avrebbero prima o poi minato la propria egemonia nel mediterraneo. In fondo essi già godevano del possesso improprio dell’isola di Malta dal 1799, similmente di Gibilterra e nell’immediato del canale di Suez. Fu così che l’Inghilterra attuò una oculata strategia politica per ridurre il Regno delle Due Sicilie e raffreddarne l’economia sino a data da destinarsi, anche a mezzo di atti di vera e propria pirateria come poi fu dimostrato dai fatti.
L’Inghilterra armò il Piemonte e mise la Francia nelle condizioni di aiutarlo facendole balenare interessi mirabili con la spartizione delle ricchezze del Regno delle Due Sicilie.
Il Piemonte, dopo aver conquistato il nostro antico Regno si dedicò, come Albione aveva previsto, alla conquista della parte NordOrientale della penisola ed ai primi esperimenti di espansione in Africa, trascurando di sviluppare ulteriormente le grandi potenzialità commerciali dell’ex Reame; l’Inghilterra, per fortuna o per tacito accordo con le classi dirigenti piemontesi, si fregava le mani e non le pareva vero di vedere avverarsi in così breve tempo il sogno di consolidare, senza colpo ferire, la propria egemonia nel mediterraneo.
È infatti quantomeno singolare che Vittorio Emanuele III abbia fatto massacrare ca. settecentomila soldati italiani durante la prima guerra mondiale e rispedito alle mogli, madri e fidanzate in trepidante attesa ca. duemilioni di invalidi, solo per Trento e Trieste! Un vero re avrebbe condizionato l’entrata in guerra dell’Italia alla restituzione di Malta, al libero passaggio attraverso il canale di Suez e di Gibilterra, poi alla cessione di Trento e poi di Trieste etc.
Bah ! si vede che non era proprio intelligente, infatti quando a Versailles ( post prima guerra) il ministro Orlando fu trattato a pesci in faccia e rispedito in Italia con una pesantissima pedata nel deretano, non ebbe neanche l’arguzia di capire che di lì a poco l’Inghilterra che aveva fatto l’Italia l’avrebbe anche sfatta e anzi, in gran fretta, e per farsi perdonare, mandò a cannoneggiare il “vate” asserragliato a Fiume ………ma gli inglesi gli sgarbi se li legano al dito!
Torniamo alla questione della ricchezza.
Subito dopo la conquista da parte dei Piemontesi, le casse dello Stato delle Due Sicilie , zeppe d’oro e d’argento, furono trasportate a Torino, qui fu fondata la Banca d’Italia che stampò nel rapporto tre a uno la moneta nazionale, triplicandone dunque il valore convenzionale. Ecco che avviene il primo importante trasferimento di ricchezza a favore delle regioni settentrionali.
Con una parte di questa ricchezza monetaria i piemontesi, ormai italiani agli occhi del mondo, saldarono i debiti contratti con Inghilterra e Francia, le quali ultime acquisirono anche le concessioni per la costruzione di ferrovie, ponti, trafori, opifici e quant’altro immaginabile, ovviamente in Piemonte e Lombardia, perché il Sud era terra di conquista, una colonia da sfruttare.
Nel frattempo, l’apparato produttivo delll’ex Stato delle Due Sicilie continuava a produrre lavoro, il cui corrispettivo in ricchezza veniva dirottato intonso al Nord.
In questa fase iniziale, il Sud, estremamente più ricco, generò quindi una grandissima quantità di lavoro perdendo tutta la ricchezza monetaria convertibile di proprio possesso pubblico e successivamente anche gran parte di quella privata a mezzo della vendita dei terreni, demaniali e della chiesa, ai latifondisti di turno. Altri denari che s’incamminarono in direzione delle Alpi.
Mentre al Nord, il processo di industrializzazione avanzava a tappe forzate, con i soldi degli altri, ed era quindi in grado di assorbire il surplus di manodopera inapplicabile in altri settori quale quello agricolo, al Sud la macchina industriale restava ferma ed iniziava ad atrofizzarsi per scelta politica incontrovertibile e calcolata.
Il grande fenomeno emigratorio di quegli anni è di fatto quasi tutto meridionale, anche se i media insistono nel rendere visibili solo i veneti, al secolo riconosciuti come i meridionali del Nord.
Ebbene, anche i proventi in valuta pregiata degli emigrati meridionali saranno dirottati per la crescita del Nord e solo del Nord, così come quelli derivanti della vendita dei prodotti agricoli del Sud all’estero.
Insomma qualcuno si sarà pur chiesto – ma dal 1860 al 1932, l’Italia cosa esportava ? come campava ? –
La risposta è sotto gli occhi di tutti : esportava in massima parte la Manodopera del Sud e i Prodotti del Sud giacchè gli apparati industriali del Nord Italia non erano assolutamente all’altezza di quelli degli altri paesi industrializzati mentre l’agricoltura padana era già di per sé ben povera cosa.
Pur tuttavia, dopo un ciclo temporale di 62 anni, ancora la ricchezza del Sud sovrastava abbondantemente quella del Nord ed il lavoro generato era ormai concretamente visibile nel gran numero di industrie ( Fiat, Breda, Falk, Borletti, Magneti Marelli, Isotta Fraschini, Pirelli, Dell’Orto etc.), di scuole ( Politecnico di Milano, di Torino, Università, Istituti Tecnici ), di infrastrutture ( ferrovie, ponti, viadotti etc.) tutte rigorosamente realizzate al Nord.
Durante la parentesi autarchica del 1932/43, l’illusione fascista di estromettere l’Inghilterra dal mediterraneo, costringerà a realizzare al Sud un po’ di infrastrutture , qualche industria di guerra, e un discreto rafforzamento dei porti militari ( L’Italia è una porta-aerei distesa nel mediterraneo !), ma nella sostanza l’atteggiamento coloniale di sfruttamento della ricchezza del Sud non mutò affatto.
Nel secondo dopoguerra i soldi del piano Marshall saranno tutti spesi al Nord, e si darà vita ad una biblica immigrazione che porterà circa venti milioni di meridionali al CentroNord.
Il Sud, come se non fosse bastato il cumulo dei furti di ricchezza già perpetrati nei suoi confronti, verrà così depredato della ricchezza degli individui mentre l’ingordigia della classe dirigente toscopadana, porterà ad un assetto del baricentro produttivo dell’Italia, orrendamente sbilanciato al Nord.
Ora, dopo aver cementificato tutta la val padana, per i loro comodi interessi pecuniari, si lamentano per lo smog e la scarsa qualità di vita. Ben gli sta.
Oltre all’immigrazione il Sud conoscerà ancora l’emigrazione , più o meno fino al 1975, perlopiù verso il Venezuela, l’Australia ed i paesi dell’ Europa, Francia, Belgio, Germania, Svizzera, Inghilterra.
Dunque ancora in questa fase, il fattore ri , cioè la ricchezza degli individui che compongono il “Corpo Sociale” del Sud dell’Italia, genererà lavoro in gran quantità concorrendo in modo massiccio e preponderante a quello che sarà ricordato come il “Boom Economico” degli anni sessanta; è solo questo il momento dell’inizio delle esportazioni di manufatti industriali dal Nord Italia verso l’estero.
Ciò nonostante quando noi pensiamo che oggi il Nord sia più ricco del Sud, commettiamo un grande errore, distorcendo la realtà più oggettiva, perché come si sa l’energia non si crea e non si distrugge, semplicemente si trasforma.
La capacità di generare lavoro, come detto, deriva dal contatto tra due corpi a livelli di ricchezza diversa e ancora oggi il Sud è più ricco del Nord poiché il 65 % della ricchezza degli individui, ri , proviene dai lavoratori meridionali ancora residenti al Sud od immigrati al Nord ( non vogliamo qui considerare gli emigrati), e tutti noi sappiamo che l’Italia essendo una repubblica fondata sul lavoro, basa la sua ricchezza soprattutto sulla trasformazione, ovvero sulla manodopera manuale ed intellettuale.
Il quantitativo di denaro che viene destinato alle regioni del mezzogiorno per concorrere al loro sostentamento è di fatto una piccolissima parte di ricchezza del Sud che torna al Sud .
In una prospettiva di breve-medio termine, inoltre, il fattore della ricchezza potenziale, cioè della vicinanza al baricentro del mercato, rz , salvo un infinito prolungamento del conflitto mediorientale come molti anglosassoni sperano, tende e tenderà a crescere a favore dei distretti industriali e commerciali del Sud, e già oggi questo è molto visibile.
Ecco che tutti i tentativi di nominare Parma, quale capitale agroalimentare europea, non sono nient’altro che maldestre manovre politiche tese a salvaguardare, attraverso la creazione di barriere doganali virtuali, i distretti industriali alimentari (industria conserviera) dell’Emilia-Romagna, i quali distretti aspirano a mantenere in prolungata sudditanza coloniale gli apparati produttivi agricoli del Sud, e siccome sono di bocca buona, non disdegnano di contrastare le capacità produttive delle aziende lombarde con una micidiale concorrenza attraverso le associazioni cooperative.
Anche il fattore di ricchezza dinamico rv , che identifica la velocità con cui il “Corpo Sociale” elabora i beni ed i servizi per soddisfare le richieste del mercato, sta crescendo giorno dopo giorno al Sud, in termini percentuali ormai superiori a quelli del Nord che invece soffre il problema della riconversione dei distretti industriali per effetto della globalizzazione. Purtroppo le infrastrutture sono scarsissime, ma oggi, con le tecnologie disponibili possono essere realizzate in pochissimo tempo, basta avere i soldi.
Le risorse territoriali e dunque produttive (Il fattore rrtp) in grado di generare lavoro al Sud sono abbondantissime e rammentiamo: quelle agricole, tutte ancora sfruttate in massima parte dalle aziende conserviere del Nord, quelle paesaggistiche e climatiche (che non ce le toglie nessuno) sempre più apprezzate dal turismo qualificato, quelle industriali tradizionali che sono scarsissime, ma con la globalizzazione in atto è forse anche meglio ( a questo punto ! ) che sia così, quelle commerciali, che stanno crescendo a vista d’occhio per poter vendere al Sud i prodotti confezionati del Nord !
In sostanza, a distanza di 140 anni dall’unificazione, il Sud resta povero soprattutto del fattore rmc, cioè della ricchezza monetaria ovvero della politica finanziaria nazionale che, pervicacemente, favorisce sempre i distretti del Nord, ma …..adesso siamo in Europa, cosa ne penseranno i tedeschi, e gli olandesi ?, fino a quando porteranno i loro prosciutti a stagionare a Parma ? e fino a quando a Parma si potrà fare la spremuta d’arancia , l’olio d’oliva., la pasta, etc.?
Tutti avranno anche notato che la presenza dei prodotti del Sud sta comunque crescendo negli scaffali dei supermercati, da un timido 2/3 % si viaggia già verso un più visibile 5/7% e questo perchè le finanze del Nord iniziano a “Cavalcare la Tigre”, in fondo è utile diversificare i prodotti per fidelizzare la clientela.
In ogni mercato c’è comunque la solita variabile impazzita, non lo dico per gratuito ottimismo, sto ai fatti.
Germania, Olanda e Danimarca, etc. sono sempre più interessate ai prodotti confezionati al Sud, per la semplice ragione che a loro non interessa arricchire le industrie “toscopadane” della trasformazione agroalimentare in quanto ritengono più intelligente rifornirsi di prodotti sempre più genuini e direttamente dai luoghi tipici di produzione.
Questa circostanza si sta enfatizzando, negli ultimi tempi, per il crescente interesse mostrato dai consumatori per i prodotti “Biologici” o “Biodinamici” che dovendo essere venduti con un certificato d’origine, generano naturalmente anche la necessità del confezionamento nel luogo d’origine.
A parziale conferma di ciò si ricordano le recentissime notizie in merito ai dati occupazionali del Sud che stanno crescendo, in termini percentuali, più celermente di quelli del Nord; ebbene finalmente al Sud qualcosa si muove, nascono un po’ ovunque piccole aziende di trasformazione agroalimentare di grande qualità.
Le aziende del Nord, alle quali inizia a scarseggiare la materia prima sottocosto, devono giocoforza alzare il prezzo del prodotto finito di qualità o, per restare nel mercato, devono spingere sul prodotto mistificato ed artefatto con materia prima proveniente da Spagna, Turchia, Grecia etc.
Ma se il cittadino sarà più accorto e non si farà gestire come se fosse un “Tubo Digerente”, se le associazioni dei consumatori saranno più solerti a tutelare la salute dei propri associati, allora la musica potrebbe cambiare rapidamente.
Insomma i fattori esogeni all’economia italiana stanno dando un grande contributo al riscatto del Mezzogiorno e questo è il momento di sensibilizzare l’opinione pubblica meridionale! Non dimentichiamo che la maggioranza dei consumatori italiani è del Sud ( ca. 40.000.000 ).
Solo per fare due conti si può affermare che se il trenta per cento dei Duosiciliani che stanno al Nord, dovesse indirizzare una spesa nel settore alimentare di prodotti del Sud pari a 250 € per famiglia al mese, ciò corrisponderebbe ad un incasso per le regioni del Sud di 9.000 miliardi di lire all’anno pari a 180.000 posti di lavoro ….
…….e se i Duosiciliani del Sud, al posto di comprare i panettoni e i prodotti delle mutinazionali e delle aziende toscopadane, fossero più accorti, ovvero meno pilotabili dalla pubblicità , e acquistassero di più i prodotti locali, in breve tempo ritornerebbe a Cesare ciò che è di Cesare.
Va aggiunto che privilegiando l’acquisto dei prodotti del Sud, ove questi sono disponibili, prima ancora di conseguire il trasferimento del corrispettivo in denaro nei luoghi di produzione, modifica l’orientamento commerciale della distribuzione, sempre tesa, pur con qualche sotterfugio, ad accontentare il cliente, e l’orientamento commerciale a sua volta sposta gli equilibri industriali rendendo più appetibili meccanismi produttivi più prossimi alle aree d’interesse.
La concorrenza farà il resto.
Quando si acquista un prodotto, bisogna fare dunque molta attenzione, leggere l’etichetta, e verificare che anche il confezionamento sia fatto al Sud, in questo modo e solo in questo modo, si trasferirà o manterrà, a seconda della residenza del consumatore, almeno il sessanta percento del valore del prodotto nella zona di origine.
Certo, i distretti produttivi del Centro/Nord faranno di tutto per mantenere le posizioni, adulterando, sofisticando, mistificando, propagandando, riducendo i prezzi, pur di conservare la rendita posizionale delle infrastrutture industriali costruite nel corso degli ultimi 140 anni e dunque il livello occupazionale, ma alla fine saranno costrette a ridimensionarsi e ad allinearsi alle richieste di mercato spostandosi al Sud.
Acquistare un prodotto del Sud, naturalmente competitivo da un punto di vista prezzo/qualità in caso di prodotto non caratteristico ( ad esempio la carbonella), ma potrebbe anche essere più caro trattandosi di prodotto tipico e genuino ( esempio la pasta o l’olio extravergine d’oliva), corrisponde ad una dichiarazione di voto del consumatore come nelle elezioni politiche, ma direi ancor di più, una dichiarazione di appartenenza densa di significati sociali e culturali.
Bisogna anche contrastare con una azione culturale forte e decisa la propaganda pubblicitaria vigente che, tranne qualche raro caso, non potrà mai essere a favore del Sud in modo sincero e leale ( si pensi ad esempio alla mozzarella prodotta in val padana ma spacciata come prodotto del Sud ), poiché asservita ad un sistema produttivo “Nord-centrico” teso a mantenere i privilegi derivanti dello sfruttamento coloniale endogeno alla nazione.
Per concludere, se vogliamo fare del bene al Sud, ovvero a noi stessi ma tuttosommato anche ai settentrionali, dunque al paese, promuoviamo con maggior vigore e determinazione l’acquisto dei prodotti meridionali.
Solo questa azione, operata da noi consumatori, potrà generare in breve tempo un volano finanziario in grado di sostenere l’ampliamento e la replicazione degli apparati produttivi del Sud, ribilanciando così il baricentro produttivo nazionale.
Domenico Iannantuoni
fonte http://adsic.it/2002/04/07/perche-dobbiamo-acquistare-i-prodotti-del-sud/#more-50