“Piacenza e la prima crociata”
Se i luoghi comuni di carattere concettuale sono difficili da scalzare, sia perché costituiscono una sorta di “filosofia diffusa”, l’unica riflessione diffusa, sia perché vanno sradicati con molta cautela in quanto somigliano ai proverbi — ma non li sono, ne sono anzi la contraffazione —, dal canto loro “sapienza diffusa”, la resistenza offerta dai luoghi comuni storici è decisamente maggiore.
Sono indotto a fare questa considerazione dalla lettura di un piccolo volume — centocinquantotto pagine con numerose illustrazioni anche a colori —, una collettanea di studi storici occasionati dal novecentesimo anniversario dell’indizione della prima crociata. Si tratta di un’opera che difficilmente raggiungerà il grande pubblico, in quanto votata a entrare forse nelle biblioteche pubbliche, certamente nella biblioteca di storici locali e in quella di destinatari occasionali e di raccoglitori metodici di strenne. Infatti, il suo titolo suona Piacenza e la prima crociata, ed è pubblicata dalle Edizioni Diabasis di Reggio Emilia per conto della Banca di Piacenza (1), il cui presidente, l’avvocato Corrado Sforza Fogliani, nella presentazione la qualifica “contributo originale […] all’approfondimento di un avvenimento di eccezionale importanza (che anche giudizi affrettati — e alla moda per non dire secondo moda — non riescono a scalfire […])” (2), nonché “un punto fermo, d’ora in poi imprescindibile per ogni serio studioso” (3). Tollerabile — o intollerabile — retorica, espressione obbligata e ridondante di autoapprezzamento? Né l’una né l’altra. Infatti, l’avvocato Corrado Sforza Fogliani è nazionalmente noto come battagliero difensore del diritto di proprietà nel settore immobiliare in qualità di presidente della Confedilizia piuttosto che come presidente di un istituto bancario locale, ma è anche, da sempre, cultore di storia locale, quindi in grado di esprimere un giudizio non superficiale. Però — insisto senza far torto a nessuno, come appare immediatamente chiaro — si tratta di un’opera destinata a pochissimi lettori e a moltissimi raccoglitori di libri strenna, come segnala implicitamente, ma inequivocabilmente, la mancanza dell’indicazione del prezzo, nelle recensioni o nei repertori dei “libri ricevuti” consuetamente siglata in s.i.p., “senza indicazione di prezzo”, una sorta di “marchio” che ne segna l’inesorabile destino. Ne parlo per evitare in qualche modo questo destino, questa destinazione che non mi pare giusta. Evidentemente non intendo perorare la causa di tutte le pubblicazioni locali e di tutti i libri strenna, anche se meriterebbero si spezzasse una lancia in loro favore. Ma credo di poter affermare, senza che mi faccia velo l’amore per la mia piccola patria — certo non inesistente ma, nel caso, non determinante in quanto essa è quasi solo occasione dell’opera —, che si tratta di testo meritevole di ben maggiore diffusione. E questo per la qualità dei collaboratori — un vero bouquet, visto che sono per la maggior parte francesi —, per la felicità delle sintesi e per le “novità” che presentano.
Comincio dai collaboratori. A illustrare il tema sono, sotto la guida sapiente di Pierre Racine, docente di Storia Medievale all’Università di Strasburgo e massimo storico vivente di Piacenza nell’età medioevale, sì da meritarne la cittadinanza onoraria, lo stesso Pierre Racine; quindi Jean Flori, direttore di ricerca al Centre National de la Recherche Scientifique — il CNR francese — nonché collaboratore del Centre d’Études Supérieurs de Civilisation Médiévale, di Poitiers; Jacques Heers, docente emerito di diverse università di Francia e d’Algeria, cultore della storia di Genova e del quale nel 1995, a cura di Marco Tangheroni e per i tipi di Jaca Book, è stata tradotta in italiano la monumentale ricerca La città nel Medioevo in Occidente. Paesaggi, poteri e conflitti (4); Jean Richard, dell’Institut de France, già docente di Storia Medievale nell’Università di Borgogna, a Digione; Pierre Maraval, docente di Storia dell’Antichità Cristiana nella Facoltà di Teologia Protestante dell’Università di Scienze Umane, di Strasburgo; e, finalmente, Giancarlo Andenna, docente di Storia Medievale nella sede di Brescia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Quanto alle “novità” cui ho accennato, mi limito a segnalare il fatto che, se la prima crociata è stata indetta in termini canonici a Clermont, in Francia, nel novembre del 1095, è però stata annunciata per la prima volta, in qualche modo anticipata, in occasione del Concilio di Piacenza, tenutosi nella Quaresima dello stesso anno e che — sia detto di passaggio — ha visto la partecipazione di ben trentamila laici.
Vengo ai contributi. Jean Richard descrive L’Occidente prima delle crociate (5), Giancarlo Andenna La società lombarda e la prima crociata (6), Jacques Heers Le implicazioni economiche della prima crociata (7), e Pierre Racine, oltre a introdurre (8), a concludere (9) — indicando il carattere del volume, “[…] non una nuova storia della Prima Crociata, ma degli “strumenti” per capire ciò che fu questa grande spedizione” (10) —, e a proporre una bibliografia essenziale (11), illustra i rapporti fra I Lombardi e la prima crociata (12). Ma rilievo particolare hanno, nell’ottica in cui mi sono posto, gli studi di Jean Flori, che espone L’idea di crociata (13), e di Pierre Merval, che mette a fuoco I pellegrinaggi dei cristiani nei luoghi santi della Palestina prima delle crociate (14).
Il contributo di Jean Flori è percorso da fastidiosi atteggiamenti ideologici quanto al problema della valutazione della professione militare e della guerra nel primo cristianesimo e in quello medioevale, e contiene un riferimento di dubbia precisione a un documento di Papa Giovanni VIII (15); inoltre, la sua traduzione — insieme a mende di minore o maggior rilievo presenti anche in altre parti del volume — comporta purtroppo due “non” in più, che ledono il senso dell’esposizione (16). Nonostante ciò vi si descrive in ultima analisi felicemente l’incontro fra la Chiesa e la categoria dei guerrieri, e vi si propone, a proposito della crociata, l’interpretazione di essa come pellegrinaggio armato, anche se mi pare che l’autore non valuti adeguatamente, accanto all’“evoluzione delle mentalità” (17), lo sviluppo della dottrina a fronte di situazioni diverse.
E appunto di diversissime situazioni fa stato lo studio che segue quello di Jean Flori, cioè la fondamentale ricerca di Pierre Merval, che nota come i cristiani, nei primi tre secoli, fossero adepti di “[…] una religione non autorizzata, talvolta esposta alla persecuzione: ciò spiega anche come i fedeli non possano, anche se lo desiderassero, manifestare un particolare interesse per dei luoghi e recarvisi a scopo di culto” (18). Quindi periodizza adeguatamente la pratica del pellegrinaggio dal secolo IV al VI, “la grande epoca del pellegrinaggio” (19), poi dal secolo VII al X, quando il pellegrinaggio ai Luoghi Santi si fa più difficile, ma non impossibile, a causa dell’irruzione dell’islam. Si tratta di un tempo d’incertezza cui fa seguito una schiarita nella prima metà del secolo XI, quindi, nella seconda metà dello stesso secolo, “la presa di Gerusalemme da parte dei Selgiukidi nel 1071 — scrive — procurò alla città nuove distruzioni; poi essa fu di nuovo occupata dai Fatimidi nel 1098. È noto che la risonanza di questi fatti e dei massacri che li seguirono e l’emozione che suscitarono in Occidente ebbero un ruolo essenziale nell’organizzazione della prima crociata” (20). Ecco fondata nei fatti storici la ragione della crociata, conferma di quanto scritto negli anni Ottanta da monsignor Giorgio Fedalto in Perché le crociate. Saggio interpretativo (21). Ma, se tali fatti sono, almeno in tesi, noti agli storici, certo non hanno spazio adeguato né nei libri scolastici di storia né, tanto meno, sono tenuti in qualche considerazione dagli operatori dei mass media, autentici “turchi di professione”, come venivano chiamati in Algeria — nella prima metà del secolo XIX — gli europei che, per premunirsi contro i mutamenti d’umore dei musulmani, di cui ogni tanto gli “infedeli” pagavano le spese, si convertivano all’islam (22). Infatti, questi “turchi di professione” fanno eco sui mass media occidentali all’”intellighenzia” islamica che, al problema “da dove il “ritardo islamico” nei confronti della civiltà occidentale?”, non pratica l’autocritica e risponde criminalizzando la crociata. Mentre questa fu soltanto un pellegrinaggio, intrapreso dai cristiani quando, finalmente usciti dalle catacombe, poterono andare a visitare i luoghi santificati dalla presenza terrena del Signore Gesù; e questo pellegrinaggio divenne armato quando ne furono gravemente ostacolati. Senza mettere in gioco la fede altrui, ma limitandosi a manifestare coraggiosamente la propria.
Giovanni Cantoni
* Articolo anticipato, senza note e con il titolo Le ragioni di quel pellegrinaggio armato, in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLV, n. 2, 3-1-1996, p. 17.
(1) Cfr. Pierre Racine (a cura di), Piacenza e la prima crociata, Edizioni Diabasis, Reggio Emilia 1995.
(2) Ibid., p. 7.
(3) Ibidem.
(4) Cfr. Jacques Herrs, La città nel Medioevo in Occidente. Paesaggi, poteri e conflitti, trad. it., a cura di Marco Tangheroni, Jaca Book, Milano 1995.
(5) Cfr. P. Racine (a cura di), op. cit., pp. 51-66.
(6) Cfr. ibid., pp. 67-88.
(7) Cfr. ibid., pp. 103-123.
(8) Cfr. ibid., pp. 9-10.
(9) Cfr. ibid., pp. 125-128.
(10) Ibid., p. 10.
(11) Cfr. ibid., pp. 153-154.
(12) Cfr. ibid., pp. 89-101.
(13) Cfr. ibid., pp. 15-33.
(14) Cfr. ibid., pp. 35-50.
(15) Cfr. ibid., p. 21, dove viene attribuita a Papa Giovanni VIII, in una lettera dell’879 ai vescovi dell’impero, l’espressione “contra paganos atque infideles”, contenuta invece nel regesto di una lettera dell’876 all’imperatore Carlo il Calvo (PL 126, col. 816), pure richiamata precedentemente.
(16) Cfr. “non erano i “soldati di Cristo” (milites Christi)” (p. 15), e “non si comporta perciò da malicida“ (p. 32), da leggere senza le negazioni.
(17) Ibid., p. 15.
(18) Ibid., p. 35.
(19) Cfr. ibid., pp. 35-40.
(20) Ibid., p. 47.
(21) Cfr. Giorgio Fedalto, Perché le crociate. Saggio interpretativo, Pàtron, Quarto Inferiore (Bologna) 1980; cfr. la recensione di Marco Tangheroni, in Cristianità, anno XIII, n. 118, febbraio 1985, pp. 7-8.
(22) Cfr. Jean-Pierre Péroncel-Hugoz, Le radeau de Mahomet, Flammarion, Parigi 1984, p. 11.
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