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PREFAZIONE DI FRANCO MOLFESE “IL BRIGANTE CHIAVONE” DI MICHELE FERRI

Posted by on Lug 15, 2023

PREFAZIONE DI FRANCO MOLFESE “IL BRIGANTE CHIAVONE” DI MICHELE FERRI

Qualsiasi aggiornata ricerca storiografica sul processo di formazione e di consolidamento dello stato unitario italiano non può più prescindere da una corretta valutazione del fenomeno del brigantaggio contadino che imperversò in quasi tutto il Mezzogiorno continentale (in Sicilia sporadicamente) per ben dieci anni, dal 1860 al 1870.

Infatti, se è vero che il «miracolo risorgimentale» culminò fra il 1859 e il 1861 conseguendo successi politici, diplo1natici e militari decisivi nel nord del paese (seconda guerra d’indipendenza, annessioni nell’Italia. centrale), è: anche vero che l’annessione del sud, conseguente all’impresa garibaldina obbligò l’appena costituito stato unitario a misurarsi subito col brigantaggio contadino che si presentò come e il nodo storico di tre ardui problemi (la questione meridionale, la questione contadina e la questione vaticana) che alla fine, dopo travagli di decenni, sarebbero rimasti senza una soluzione storica positiva e quindi avrebbero segnato i limiti della rivoluzione liberale unitaria.

Il brigantaggio è stato un fenomeno cronico nei secoli per cause strutturali e contingenti di ordine economico-sociale ed è divenuto·virulento in occasione di ognuna delle grandi crisi po­litiche della società meridionale. Dopo il crollo della dinastia borbonica nel I860 i movimenti furono essenzialmente la grande delusione e il risentimento delle masse contadine che videro tradite le speranze riposte nella rivoluzione unitaria della borghesia liberale che aveva promesso una favorevole soluzione della questione demaniale e quindi un vasto accesso nella terra (quotizzazioni demaniali) e il ripristino degli usi civici soppressi dagli «usurpatori» nobiliari o borghesi dei demani stessi. A ciò si sommò la frattura politica del blocco di potere dei ceti possidenti e l’inizio di una accanita «partita a tre» che oppose i liberali unitari della Destra moderata-cavouriana ai democratici e ai legittimisti (borbonici e clero reazionario). I governi della Destra nel sud si trovarono in minoranza e la loro «lotta su due fronti» indebolì lo schieramento liberale a tutto vantaggio di quello reazionario. Oltre a ciò, la loro ansia unificatrice e centralizzatrice e l’ossessione di una rapida restaurazione dell’«ordine» nel sud li indusse alla fatale adozione di una linea generale repressiva per la cui attuazione, però, non disponevano di forze adeguate. Così fra il 1860 e il 1861 nacque e si sviluppò una vasta protesta delle masse contadine e popolari meridionali che nell’estate delm1861 esplose in una violenta rivolta armata. Soffocata parzialmente e con sproporzionata durezza dall’esercito e dalle guardie nazionali, la rivolta contadina si trasformò in un brigantaggio di massa che si elevò fino allivello della guerriglia anti-unitaria e sociale negli anni e nelle zone del «grande brigantaggio» (Irpinia, Beneventano, Chietino, Molise, Capitanata, Basilicata). Lo stato unitario dové ricorrere alle leggi eccezionali, allo «stato d’assedio permanente» e all’impiego massiccio quanto logorante dell’esercito per venirne a capo ma al prezzo di gravi perdite di vite umane e di ingenti distruzioni di ricchezza agraria.

Soltanto due decenni or sono è stato possibile svelare la vastità, la durata e la violenza del cosiddetto «brigantaggio». Le dimensioni del fenomeno hanno così smentito oggettivamente i giudizi tendenziosi e riduttivi di «manifestazione di criminalità comune» o di mera «sobillazione reazionaria», tanto in auge nella storiografia “scolastica” del brigantaggio. Gli aspetti, sia pur confusi e anarcoidi, ma prevalenti, di un profondo e violento moto di classe sono emersi dalla constatazione dell’appoggio reale prestato dalle vaste masse contadine proletarie e semiproletarie alla lotta armate delle bande.

Da ciò non consegue che l’incitamento e gli aiuti forniti al brigantaggio dalle trame borboniche e – più ancora – clericali siano una componente trascurabile. Le ricerche di Michele Ferri e Domenico Celestino costituiscono, fra l’altro, un contributo apprezzabile per una maggiore chiarezza anche su questo punto, ancora scarsamente esplorato. Essi hanno voluto “rivisitare” i risultati dele vecchie trattazioni del brigantaggio nella zona di Sora e in generale nel settore orientale e meridionale del confine fra lo stato pontificio e quello italiano. Mediante una accurata utilizzazione della abbondante bibliografia sull’argomenti, integrata e controllata da approfondite ricerche d’archivio, essi ci danno una minuziosa e quasi puntigliosa ricostruzione di uomini, cose ed episodi de brigantaggio post-unitario nel Sorano. Questa almeno dal 1860 al 1862 – non fu zona di “grande brigantaggio” per l’assenza di grandi masse bracciantili e per l’esistenza di una diffusa piccola proprietà terriera. Tuttavia fu un settore di primaria importanza politica e diplomatica, più ancora che militare, in quanto anche geograficamente punto cruciale delle politiche borbonica, pontificia, francese e italiana. Tutto sommato, qui i tentativi legittimistici di dirigere il brigantaggio contadino furono più avvertiti e insistenti che altrove ma in pari tempo più evidente ne fu l’impotenza operativa. Il rapporto fra l’ufficiale legittimista spagnolo Tristany, inviato dal governo borbonico in esilio a Roma, e il capobanda indigeno Luigi Alonzi (Chiavone) degenerò presto in un aspro contrasto sui fini e sui modi della condotta delle operazioni e si concluse con l’eliminazione fisica di Chiavone e con la crisi del brigantaggio nella zona. Non si può fare a meno di istituire un confronto con la analoga vicenda Crocco-Borges in Basilicata. Qui, dove il «grande brigantaggio» contadino fu più combattivo e centralizzato, la soluzione fu esattamente opposta.

È auspicabile che l’impegno e la passione di Ferri e Celestino per le memorie storiche sull’argomento trovino un seguito e uno sviluppo in successive ricerche che si estendano al terribile brigantaggio delle grosse bande dell’Abruzzo aquilano, di Terra di Lavori e nell’interno dello stesso Stato pontificio negli anni 1865 e seguenti.

Franco Molfese

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