Quando Cassino fu Ducato
Che Cassino, “fidelissima civitas” del regno di Napoli, sia stata a lungo capoluogo dello Stato di S. Germano (questo l’antico nome della città) e l’abate di Montecassino il “primo barone” del Regno è cosa abbastanza nota. Quello che in molti ignorano è che la stessa città fu designata dal re Filippo IV di Spagna, nella seconda metà del sec. XVII, sede di ducato.
Nell’esaminare questa pagina della storia di Cassino va premesso che l’autorità istituzionale sul territorio, che comprendeva l’antica Terra di S. Benedetto, era l’abate, cui spettavano tutti i benefici feudali, compresa l’amministrazione della giustizia. Nel 1282, però, Carlo d’Angiò sottrasse alla competenza abbaziale la giustizia criminale lasciandole solo quella civile. Lunghe furono le lotte dei cassinesi per riavere quella giurisdizione; vi riuscì solo nel 1674 avendola acquistata per 34.000 ducati. Lo Jus sanguinis (o giustizia criminale) in S. Germano fu dal viceré di Napoli intestata dapprima alla famiglia dei principi De Leyva, poi al duca Francesco Tuttavilla.
Nel 1649 morì in Gaeta, di cui era prefetto, Antonio Fernandez, ultimo principe D’Ascoli della famiglia di Leyva, ed ultimo commendatario e governatore della giurisdizione criminale cassinese. Filippo IV, con privilegio del 6 aprile, concesse a Francesco Tuttavilla, per i suoi meriti militari, a vita e a due suoi successori, la giurisdizione delle cause prime e d’appello, con facoltà di nominare l’assessore ed il giudice; però con la cancelleria delle cause criminali concesse anche le cause civili miste e d’appello.
I cassinesi rivolsero una supplica al viceré affinché lasciasse al monastero la gestione delle cause civili miste e d’appello così come da tempi immemorabili possedevano. Il 7 luglio 1649 il viceré affidò la questione alla Regia Camera della Sommaria di Napoli, che pubblicò la sentenza il 9 dicembre.
Nel regio exequatur (ordinanza di esecuzione) si concesse l’attuazione del privilegio in favore del Tuttavilla con la concessione delle cause prime criminali e di quelle miste e d’appello civili con l’ufficio del maestro d’atti, con riserva, però, sulla lite pendente nella regia camera della Sommaria; nell’attesa della definizione della lite si concedeva al Tuttavilla l’esercizio dei diritti del regio fisco.
Intanto le liti per le continue ingerenze tra il capitano di giustizia, l’incaricato del duca Tuttavilla per le cause criminali, ed il governatore abbaziale per le cause civili si risolvevano sempre con ricorsi al viceré.
Il 16 giugno 1651 l’abate Domenico II Quesada da Napoli, in seguito a contrasti con il capitano della giurisdizione criminale in S. Germano (gli aveva impedito di accogliere il viceré giunto in visita al sepolcro di S. Benedetto, privilegio che spettava al signore del luogo), protestò presso il viceré.
Come conseguenza di ciò il re Filippo confermò in perpetuo ciò che era stato concesso in via provvisoria, riconoscendo al duca Francesco Tuttavilla le suddette giurisdizioni sulla città di S. Germano cum ejus castris, villis et casalibus, con eccezione per i reati di lesa maestà, di eresia e di falsificazione di moneta, spettanti allo stesso re.
Nel decreto regio, datato 26 agosto 1650 in Madrid, il titolo di duca di Sassonia, che era stato concesso al Tuttavilla per essersi distinto nella difesa del castello De Leon nel principato di Catalogna, venne trasferito sulla città di S. Germano, che in tal modo acquistava la dignità di ducato. Senonché per un disguido il decreto regio tardò ad essere registrato e dotato di sigillo nei tempi concessi dalla legislazione vigente, con la conseguenza che non poteva trovare applicazione; per superare l’opposizione burocratica dell’ufficiale di registro della cancelleria fu inoltrata una supplica con data 3 novembre 1651 e firma del reggente viceré Zufia.
Approfittò di tale intoppo Montecassino ricordando, tramite gli illustri giureconsulti Scipione de Martino e Carlo Antonio Moccia, che l’abate aveva da sempre posseduto, come signore del territorio, le varie giurisdizioni, salvo quella criminale sottrattagli da Carlo d’Angiò, e che quelle stesse giurisdizioni non potevano essere trasferite, insieme al titolo di duca, a Francesco Tuttavilla, che non era signore del luogo. In sostanza i due giuristi, citando svariatissimi precedenti, sostennero che era da considerarsi signore (dominus) e barone di un luogo chi detenesse le giurisdizioni delle cause prime, d’appello e miste, anche se quella criminale era detenuta da altri, come nel caso di S. Germano; e difatti al signore (l’abate, in questo caso) spettava ricevere ed accogliere i viceré in visita, cosa che, come abbiamo visto gli era stata negata.
Con tali argomentazioni si opponeva il cenobio cassinese ogni volta che Francesco Tuttavilla si firmava come duca di S. Germano.
Vista la controversia in corso, il viceré, conte di Ognatte, il 21 febbraio 1652 ordinò per iscritto al procuratore di Francesco Tuttavilla, don Vincenzo Tuttavilla, di non usurpare il titolo di duca di S. Germano fino a che la lite non fosse definita.
Vincenzo Tuttavilla obiettò che l’esecuzione del privilegio con il quale si concedeva il titolo era stata ordinata dallo stesso viceré; questi rispose che non era sufficiente la firma se mancava l’exequatur.
Della questione fu informato il re Filippo IV con una lettera del viceré e del Consiglio Collaterale: in essa si rilevava che sia il monastero, sia il duca Tuttavilla avevano le loro buone ragioni.
Se ne discusse nel Supremo Consiglio d’Italia, dove, l’8 luglio 1654, fu imposto al Tuttavilla di astenersi dall’usare il titolo di duca di S. Germano e di attendere l’esito del ricorso alla Regia Camera della Sommaria di Napoli. Al che i monaci, pur essendosi affermato il principio da essi sostenuto, che cioè non era sufficiente la titolarità della sola giurisdizione criminale per acquisire il titolo di duca di S. Germano, obiettarono che la causa pendente alla Regia Camera della Sommaria non aveva nulla a che vedere con la questione, mentre un ordine del re di Spagna vietava che nei territori dell’abbazia potesse esservi altro titolo nobiliare che non fosse sottoposto all’autorità dell’abate.
Su istanza del rappresentante dell’abbazia, don Antonio Salvo, il re scrisse al conte Castrillo, consigliere di stato e luogotenente e capitano generale di Napoli, di non modificare nulla e di non procedere con la causa per il titolo di conte di S. Germano da parte del Tuttavilla.
La questione si concluse solo nel 1669, quando, su mandato del monastero, la principessa Ippolita Palagano, moglie del principe Nicola Cellammare del Giudice, acquistò e si fece intestare i benefici in possesso del duca Tuttavilla, in particolare la giurisdizione delle cause criminali di primo e secondo grado sulla città di S. Germano e suoi castelli, ville e casali, con l’ufficio di maestro d’atti e la facoltà di nominare l’assessore, per il prezzo di 34.000 ducati.
Restavano da definire i rapporti tra Francesco Tuttavilla, che deteneva il titolo di duca di S. Germano con gli annessi privilegi feudali, e l’abbazia di Montecassino il cui abate era primus baro del regno. Nella convenzione della vendita fu stabilito che il titolo di duca sarebbe stato trasferito, entro tre anni a partire dal 1669, in altra terra, e, nel caso nel frattempo ciò non si fosse verificato, il titolo con i suoi benefici dovevano considerarsi estinti. Pare, però, che i Tuttavilla, nonostante tutto, avessero continuato a servirsi del titolo, che addirittura ricompare nel 1845 (26 gennaio) in un rescritto regio, e a quel tempo la baronia cassinese era tramontata da quasi quaranta anni.
Emilio Pistilli
5.02.1999
l’inchiesta
A dimostrazione che la burocrazia non è malattia dei nostri tempi, ma soprattutto il fatto dimostra che non è la burocrazia che inceppa i procedimenti, ma la contraddittorietà delle norme che mandano in tilt gli uffici amministrativi!