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QUANDO ERAVAMO ‘IGNORANTI’ MA AVEVAMO LE UNIVERSITA’

Posted by on Ott 21, 2024

QUANDO ERAVAMO ‘IGNORANTI’ MA AVEVAMO LE UNIVERSITA’

Nel Settecento, sotto l’impulso dei sovrani meridionali che ne incentivarono fattivamente lo sviluppo, si assistette alla rinascita culturale delle Due Sicilie; il rigoglioso fiorire di studi filosofici, giuridici e scientifici si fregiò di illustri personalità le cui opere furono tradotte in diverse lingue, solo per citarne alcuni ricordiamo: Giovanbattista Vico, considerato una delle più grandi menti di tutti i tempi, Gaetano Filangieri, la cui “Scienza della legislazione” era tenuta sulla sua scrivania da Napoleone Bonaparte che non esitò a dichiarare “Questo giovane è stato il maestro di tutti noi” ; Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani, Giacomo Della Porta, Pietro Giannone, Mario Pagano.

Napoli era il centro di pensiero più vivace d’Italia e in Europa era seconda solo a Parigi per la diffusione delle idee dell’Illuminismo; lo splendore della Corte e della società napoletana era proverbiale ed erano poli di attrazione per le più importanti menti dell’epoca che spesso vi rimanevano a lungo; geni assoluti come Goethe riconobbero nelle classi elevate meridionali una preparazione non comune.

Ebbe a dire Stendhal: “Napoli è l’unica capitale d’Italia, tutte le altre grandi città sono delle Lione rafforzate“; era di gran lunga la più grande d’Italia e tra le prime quattro d’Europa, fu definita come: «la città più allegra del mondo, scintillante di carrozze, quasi non riesco a distinguerla da Broadway, la vera libertà consiste nell’essere liberi dagli affanni ed il popolo pare veramente aver concluso un armistizio con l’ansia e suoi derivati”.

Le Università del Regno, in un primo momento, furono tre: Napoli fondata da Federico II nel 1224, Palermo e Catania; invece, Messina era sede della Reale Accademia Carolina e dell’Accademia Peloritana di Scienze; successivamente, col Real Decreto del 29 luglio 1838, la Reale Accademia Carolina venne elevata al rango di Università. A Milano la prima università, il Politecnico, fu fondata solo nel 1863 ed il primo ingegnere si laureò nel 1870; al tempo della nascita dello Stato italiano, il numero degli studenti meridionali era maggiore di quello di tutte le università italiane messe assieme (9 mila su complessivi 16 mila).
Ogni Regia Università, con a capo un Rettore, aveva sei facoltà (Belle Lettere, Giurisprudenza, Medicina, Matematica e Fisica, Filosofia e Teologia) e alcuni “stabilimenti dipendenti” (biblioteche, musei, gabinetti, cliniche, etc.).
Con il Real Decreto del 14 gennaio 1817, nei territori “di qua del faro” vennero istituiti 5 “Reali Licei” a Napoli, Catanzaro, L’Aquila, Bari e Salerno, che resteranno invariati per i prossimi 30 anni; in ciascuna delle altre province, invece, vennero istituiti dodici “Reali Collegi”. In Sicilia, tra il 1815 ed il 1848 vengono istituite 3 scuole superiori: la Scuola Militare di Monreale (1823), l’Istituto Nautico di Trapani (1831) e il Regio Liceo di Trapani (1833), che solo dopo 5 anni verrà dotato di una biblioteca. Nell’isola, inoltre, c’erano le Accademie Maggiori di Messina, Siracusa e Trapani; le Accademie Minori di Acireale, Caltagirone, Nicosia e Piazza; i Collegi di Augusta, Bivona, Castrogiovanni (Enna), Corleone, Licata, Mazzara, Mazzarino, Mineo, Monreale, Monte S. Giuliano (Erice), Naro, Polizzi, Regalbuto, Rometta, Sciacca, Scicli, Termini e Vizzini.
Esistevano, inoltre, ubicati nella capitale, alcuni istituti di carattere par­ticolare, come la “Scuola dei sordomuti”, la Scuola di Bell e Lancaster” e lo “Stabilimento Veterinario”, ed altre istituzioni culturali pubbliche, concentrate, soprattutto, a Napoli e a Palermo e che contribuivano alla formazione ed all’educazione dei giovani: le Accademie, i Reali Istituti di Incoraggiamento con le connesse Società economiche, le Biblioteche, i Reali Educandati, i Conservatori di Musica.
Ogni Liceo e Collegio, con annesso un Convitto, aveva un rettore e un vicerettore; l’amministrazione dei beni e delle rendite era affidata a una Commissione composta dall’In­tendente della Provincia che la presiedeva, dal rettore e da due proprietari, col nome di amministratori; nel Liceo di Napoli la Commissione era presieduta, invece, dal rettore, quando non vi interveniva il Presidente della Giunta di Pub­blica Istruzione.
I licei conferivano i “gradi” di “approvazione e licenza” nella letteratura, giurisprudenza, medicina, matematica e fisica, filosofia, a seconda del particolare “ramo di istruzione”; la “licenza” in teologia era conferita nei seminari, mentre la laurea nel­le Università. Dal 1748 per volontà di re Carlo di Borbone fino al 1811 la città di Altamura, in Puglia, ha avuto la sua Università in cui si insegnavano materie letterarie e scientifiche. Come dire che non si studiava solo a Napoli o a Palermo, ma anche ‘in provincia’ e non studiavano solo i ricchi.

Dal 1748 al 1811 fu attivo in Altamura un Regio studio o università, creato da Carlo III di Borbone nell’ambito della politica riformista avviata per rendere il nuovo stato napoletano autonomo dalla Chiesa, partendo proprio dal togliere a quest’ultima il monopolio dell’educazione dei giovani. Fu attiva per 63 anni fu stroncata dalla “rivoluzione”

La nascita di questa istituzione si inserisce nel clima della cultura giurisdizionalista ispirata da Pietro Giannone, e fu voluta fermamente dall’arciprete della chiesa altamurana, mons. Marcello Papiniano Cusani, che del Giannone fu grande amico. Cusani è anche il primo rettore e come tale si dà da fare per istituire le prime cattedre. Nel giro di tre anni partono i corsi di lettere umane, eloquenza greca, eloquenza latina, filosofia, geometria, medicina, sacra teologia e giurisprudenza ecclesiastica e civile. Con il suo successore, mons. Gioacchino De Gemmis, protagonista dei fatti del ’99 ad Altamura, la cultura giurisdizionalista, a cui si ispiravano tutti gli insegnamenti impartiti nel Regio studio, lasciò spazio al riformismo illuministico-genovesiano. De Gemmis, infatti, sostituì alle Istituzioni civili e canoniche il Diritto naturale e delle genti ed introdusse l’insegnamento della medicina, della chimica e della botanica. L’università di Altamura divenne punto di riferimento per la gioventù pugliese e lucana, aiutati anche dall’apertura di una biblioteca a disposizione degli iscritti. Le nuove disposizioni obbligano anche i docenti a tenere almeno cinque ore di lezione al giorno e a non allontanarsi dall’ateneo senza aver corretto i compiti svolti in aula dagli studenti. I cambiamenti in atto portano alla formazione di classi composte da giovani e valorose menti provenienti da Puglia e Basilicata. Non si sa quanti fossero di preciso: grazie al ritrovamento di alcuni foglietti risalenti al 1788 siamo a conoscenza che la maggior parte di loro è di Altamura, Bari e Giovinazzo. L’”età dell’oro” finisce però nel 1799, quando sulla scia della Rivoluzione francese gli altamurani insorgono proclamando la repubblica. Le truppe fedeli alla famiglia reale soffocano subito la sollevazione e costringono all’esilio diversi ribelli, tra cui figurano alcuni docenti dell’università e lo stesso De Gemmis, il quale in realtà torna al suo posto nel 1806 ma la decadenza è ormai inarrestabile: le cattedre rimaste operative sono solo sei e dal 1809 al 1810 gli studenti passano da 100 a 70 unità. Infine la mancanza di fondi fa sì che nel 1811 venga decretata la chiusura ufficiale dell’Università, stroncata di fatto dalla rivoluzione. La “Leonessa di Puglia”, soprannome che la città aveva conquistato durante l’insurrezione, dice così addio per sempre al suo prezioso gioiello culturale, del quale oggi rimane ben poco nella memoria storica del comune barese. A Napoli furono istituite la Prima cattedra universitaria al mondo di Economia Politica con Antonio Genovesi (1754), “Napoletana fu la prima clinica ortopedica d’Italia prima dell’unità, napoletani furono i migliori ospedali militari che potesse vantare l’Europa; napoletano fu quell’atto rivoluzionario nella storia della psichiatria, che vide, per la prima volta in Europa, togliere nell’ospedale psichiatrico di Aversa, i ceppi ai dementi”392; notevole era l’Orto botanico che forniva le erbe mediche alla Facoltà di Medicina; nella facoltà di Giurisprudenza nacquero l‘Istituto della Motivazione delle Sentenze (Gaetano Filangieri, 1774), il primo Codice Marittimo Italiano ed il primo Codice Militare.

Nei primi anni del 1800, nel Regno delle Due Sicilie, l’educazione dei ragazzi era quasi sempre affidata alla Chiesa, che da secoli svolgeva questo delicato ed importante compito.
Dopo l’istruzione primaria, della durata di tre anni, seguiva l’apprendimento di un mestiere. I giovani figli dei contadini, per necessità, venivano da subito impegnati nei lavori agricoli e quindi erano pochi quelli che frequentavano la scuola primaria. Pochissimi erano poi, e quasi tutti figli di famiglie nobili, quelli che continuavano gli studi, sia perché erano i soli che se lo potevano permettere, sia perché erano i soli che potevano accedere, con un’adeguata preparazione, a governare la cosa pubblica.
Pure gli studi superiori erano affidati, quasi sempre, alla Chiesa.
Anche se il sistema di educazione borbonico non era né popolare e né proprio brillante, bisogna però riconoscere che, in quei tempi, assicurò al Regno un livello culturale qualitativamente più elevato rispetto agli altri paesi europei. Infatti, nel censimento del 1751, Napoli era la prima nelle accademie di scienze e lettere: i meridionali Gaetano Filangieri, Antonio Genovesi, Giambattista Vico, Francesco Lomonaco, Pietro Giannone e tanti altri, fecero scuola in Europa. Poi, si svolse a Napoli, dal 20 settembre al 5 ottobre 1845, il congresso degli scienziati e nel 1856, nell’Esposizione Internazionale di Parigi. Tutto questo grazie ai principali settori industriali dell’epoca che erano la cantieristica navale, quella tessile e quella estrattiva. Degli stati preunitari del Nord, neanche l’ombra. In precedenza, nel periodo dell’occupazione francese (1806 – 1815), Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat tentarono di introdurre l’istruzione pubblica di tipo laico.
Nel 1848, il ministro della P. I. del regno delle due Sicilie, Paolo Emilio Imbriani, dopo aver disposto che la nomina e la vigilanza degli insegnanti fosse assegnata ad una commissione provinciale, introdusse l’obbligatoria dell’istruzione primaria per ambo i sessi (decreto del 19 aprile 1848).
Nel breve periodo in cui ricoprì l’incarico, il ministro, consapevole della portata politica – sociale del problema dell’istruzione e dell’alto tasso di analfabetismo che impediva la partecipazione delle masse alla vita governativa e ostacolava l’esercizio dei diritti civili anche di alcuni strati borghesi, abolì il decreto del gennaio 1843, sottraendo così l’istruzione primaria al controllo dei vescovi, sottoponendola alle dipendenze del ministero. Nella circolare, annessa al decreto, sollecitava i sovraintendenti locali affinché si adoperassero a diffondere l’istruzione elementare, anche nelle classi più povere.
Con l’annessione forzata, del 1860, del Regno delle Due Sicilie a quello dei Savoia, il sistema scolastico meridionale cambiò totalmente in quanto venne applicata la legge Casati (ministro, dal 19 luglio 1859 al 21 gennaio 1960, della Pubblica Istruzione nel governo Lamarmora), già in vigore dal 13 novembre del 1859 nel Regno di Sardegna.
La Legge, studiata per la realtà scolastica piemontese e lombarda, venne estesa gradualmente all’intero Paese, dopo la proclamazione del Regno d’Italia. La riforma, tendente a configurare un sistema in cui lo Stato doveva gestisce l’istruzione con la presenza delle scuole private, affrontò anche la “questione analfabetismo”, più elevato nelle regioni meridionali per i motivi detti in precedenza.
Con la Legge Casati l’Istruzione elementare venne divisa in due gradi:
1) Grado inferiore di 2 anni, istituito in ogni Comune, con frequenza obbligatoria e gratuita per quanti non ricorrevano all’istruzione “paterna”. L’iscrizione avveniva a 6 anni compiuti con un numero di allievi per classe oscillante tra 70 e 100.
2) Grado superiore di 2 anni, istituito in tutte le città in cui già esistevano istituti di istruzione pubblica e in tutti i Comuni di oltre 4000 abitanti.
Inoltre:
– I maestri dovevano essere muniti di una patente di idoneità ottenuta per esame e di un attestato di moralità rilasciato dal Sindaco.
– La responsabilità per l’istruzione elementare era affidata ai comuni, ai quali veniva peraltro vietato di istituire una tassazione di scopo.
I Comuni del Sud, che avevano seri problemi di cassa, si ritrovarono quindi in difficoltà nel garantire lo svolgimento delle lezioni.
Inoltre, era fatta in modo da mantenere e perpetuare le differenze sociali, infatti essa prevedeva:
– Una scuola di “serie A” che dal ginnasio – liceo avviava all’università, a cui poteva accedere solo l’aristocrazia e la nuova borghesia liberale;
– Una scuola di “serie B” destinata alla piccola borghesia, con i rami tecnico e normale, da cui derivarono poi l’istituto tecnico e l’istituto magistrale;
– Una scuola di “serie C” destinata alle classi umili, che forniva un apprendistato di lavoro.
In conclusione, la Legge Casati che poteva essere teoricamente una buona base di partenza per creare un sistema scolastico di “tipo pubblico – laico”, come tutte le altre leggi, essendo stata semplicemente estesa ed imposta dai Savoia ai popoli annessi, senza la minima considerazione per il loro passato e le loro peculiarità culturali, fallì nel Regno delle Due Sicilie.
Si affidò l’istruzione primaria ai comuni che dovevano organizzarla a proprie spese. Nel periodo in cui un fiume di denaro saliva la penisola per sequestri bancari o salassi tributari (sempre nel pieno rispetto del duopesismo) praticamente solo i comuni del centro-nord furono in grado di aprire bastanti scuole. Altrove, cioè da noi, assai raramente ciò fu possibile. Le classi meridionali sempre meno abbienti dovettero tenere i figli senza studio fin quando le condizioni della finanza locale migliorarono progressivamente. Passò quasi una generazione! Nel frattempo lungi dall’accelerare le difficoltà di risorse a sud, lo stato si preoccupò di censirvi le famiglie rilevando il famoso tasso di analfabetismo altissimo per i giovani a cui avevano negato l’apprendimento. Con una comoda retrodatazione si battezzarono quei dati al tempo delle Due Sicilie creando una mentalità terribile e perenne di superiorità dei colonizzatori sui colonizzati. Mentre era esattamente il contrario prima del 1861 per le scuole civili e religiose gratuite esistenti in tutti i comuni borbonici.

La scuola aperta a tutti, completamente gratuita, alla quale potevano iscrivere i propri figli anche le famiglie indigenti. Stiamo parlando delle “Scuole Pie” dei Padri Scolopi, le più diffuse nel Regno borbonico, ma anche nel resto degli Stati italiani preunitari e in Europa. Dalle scuole degli Scolopi, fin dalla fondazione, nel 1597, ad opera di San Giuseppe Calasanzio, sono usciti alcuni dei migliori talenti nelle lettere, arti e scienze: Mendel, Pascoli, Carducci, Haydn, Schubert, Lehár, per citare solo alcuni nomi. Furono le prime vere scuole popolari, in un’epoca in cui l’istruzione era affidata prevalentemente agli ordini religiosi. Il Regno delle Due Sicilie non faceva eccezione: il regio governo non istituiva scuole, ma garantiva la libertà scolastica, la possibilità di aprirne, e la libertà di insegnamento, la libera scelta di programmi e contenuti, e favoriva le condizioni perché la popolazione potesse beneficiarne.

Con una semplice istanza al Re, una famiglia bisognosa poteva ottenere una o mezza “piazza”, cioè la retta annuale di un collegio a pagamento, come quelli dei Gesuiti. La richiesta era smistata agli innumerevoli istituti benefici che provvedevano. Le scuole degli Scolopi erano l’eccellenza di un insegnamento non centralizzato, ma diffuso in modo capillare, perché univano formazione umanistica e scientifica, come si vede nel “Quadro di insegnamento”, un raro documento che pubblichiamo. Tre anni di elementari,sette di ginnasio e liceo, un percorso di apprendimento graduato sullo sviluppo cognitivo degli allievi, basato sull’idea che le conoscenze sono strumenti per esprimere le peculiarità dell’uomo, in relazione a sé, agli altri, alla realtà, a Dio. A 17 anni lo studente era pronto per l’Università. Gli Scolopi e gli altri ordini religiosi furono costretti a chiudere le scuole quando il Regno delle Due Sicilie fu invaso. Quando, anni dopo, le scuole riaprirono, ebbero programmi, libri, materie e contenuti di studio determinati dal nuovo regno italiano. Era nata la scuola statale.

Tutto ciò che era pubblico doveva essere abolito e così le scuole!! Nel 1734 il Sud andò a Carlo III di Borbone che, avendo in dote 28 milioni di ducati, pensò bene ricomporre lo Stato attraverso la cultura. Nacque così il ’700 napoletano. La scuola fu l’ istituzione realizzata per imporsi e per rinnovare il sapere della gente. Ogni città, ogni villaggio doveva essere provvisto di scuole pubbliche. Ogni provincia doveva avere una scuola per uomini ed una per donne, ove potessero apprendere le scienze primarie e le belle arti e, per i nobili, esercizi di colta società. Le spese per l’istruzione pubblica ammontavano a circa un milione di ducati all’anno.

Il Villardi, che era stato mandato nella capitale a smantellare l′apparato scolastico napoletano, così ricorda: “ Pareva che si volesse levar tutto a Napoli. Oggi per esempio, noi abbiamo sciolto l’Accademia delle Belle Arti, mentre si pagano tutti i professori; per l’istruzione secondaria, in una città di cinquecentomila anime, non abbiamo che un liceo di sessanta alunni e questo con un ministro intelligente e pieno di volontà… “.

Ecco come, il Regno delle Due Sicilie era finito nelle mani degli eredi di Vittorio Emanuele I, della dinastia più reazionaria d’Europa; quella cioè che, abolendo il Codice Napoleonico, ristabilì l’antica legislazione complicata e senza unità, i privilegi fiscali e l’antica legislazione penale con la fustigazione e, cosa più terribile, proibì i culti ai cattolici perseguitando anche mortalmente ebrei e valdesi e, cosa ancora più abominevole, ridiede tutta l’istruzione nelle mani delle scuole religiose a pagamento, abolendo quelle pubbliche istituite da Napoleone.

fonte

https://unpopolodistrutto.com/page/2

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