Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

RICORDI E APPUNTI DI ANIELLO GIANNI MORRA (XIV)

Posted by on Ago 6, 2023

RICORDI E APPUNTI DI ANIELLO GIANNI MORRA (XIV)

Provolone del monaco

Il provolone del monaco è un prodotto di limitato consumo, un’antica eccellenza tra i nostri cibi e con una produzione limitata, perché circoscritta in un’area non molto vasta.

Cenni storici:

L’allevamento zootecnico nei Monti Lattari è antichissimo

e per le abbondanti produzioni di ovini e bovini quei territori furono chiamati dai romani “lactariis”, oggi monti lattari. Oltre alla buona produzione, quel latte si distingue per l’ottima qualità, tanto da entrare nella tradizione e nell’economia della zona, e il successo dura nel tempo.

Decisiva fu l’opera dei Borbone per favorire il miglioramento genetico delle tipologie d’animali allevati. Dopo pazienti incroci venne fuori la nuova razza, chiamata agerolese, che pur conservando l’abbondante produzione, era più robusta e adatta al territorio. La tesi più accreditata sulle origini della denominazione del prodotto è probabilmente dovuta a un’abitudine dei casari, che all’alba sbarcavano nel porto di Napoli con le barche a vela cariche di provoloni provenienti dalle varie località della penisola sorrentina. Essi, per proteggersi dal freddo e dall’umidità, erano soliti coprirsi con un mantello di tela di sacco, simile al saio dei monaci. Una volta arrivati a Napoli, gli addetti del mercato li additavano come monaci, e, di conseguenza, il formaggio trasportato, fu denominato: Provolone del Monaco.

I pregi del prodotto.                                                                                   
l il pascolo dei Monti Lattari, ricco di erbe aromatiche presenti quasi tutto l’anno consente agli animali di pascolare liberamente, conferendo a questo formaggio un aroma ed un gusto intenso, grazie anche agli ambienti di stagionatura adatti.

È un’eccellenza dei prodotti della penisola sorrentina che come abbiamo visto deriva da una cultura culinaria molto antica, che si sta riscoprendo.

 Il “Provolone del Monaco DOP” (Denominazione d’Origine Protetta) è un prodotto di particolare pregio, le sue specifiche caratteristiche riescono a conferire alle pietanze un sapore fuori dal comune. Un esempio è prescritto dalla ricetta della “pasta e patate”, pietanza povera che con l’aggiunta anche minima di provolone del monaco, sia grattugiato, sia in sottili scaglie, si arricchisce di profumi e sapori elevandosi a rango di specialità. Il prodotto, oltre che valorizzare tanti altri piatti, è negli antipasti e a fine pasto, che fa innamorare a prima vista il commensale per il sapore intenso e particolare.

La caponata.                                              

Un altro cibo negli ultimi tempi trascurato o sostituito da uno molto simile, d’origine toscana, chiamato panzanella, è la caponata. Il nome della pietanza è antichissimo ed è consumata prevalentemente in estate. Di facile e veloce preparazione, oggi la definiremmo pietanza dietetica, consigliata a tutti. Gli antichi osti latini si chiamavano “cauponares”, forse per l’uso abbondante che si faceva della caponata. Alla base del piatto vi è la fresella, cibo povero, utilizzata dai marinai per i lunghi viaggi. E’ molto resistente al tempo e alla distanza, trattandosi di pane già secco in partenza, non può, disseccarsi e andare a male. Fino a non molti anni fa era venduta dai tarallari “‘nzogna e pepe”.                           

Come abbiamo detto non c’è caponata senza fresella, che per mantenersi più croccante deve essere di pane integrale, lavorato col lievito madre. Sulla fresella appena bagnata si aggiungono: fette di pomodorini possibilmente vesuviani, basilico, origano, olive verdi e nere di Gaeta, acciughe salate a pezzetti ed alla fine olio d’oliva extra-vergine. Oggi, molti addizionano anche sedano a tocchetti e tonno sott’olio. Nella panzanella è utilizzato pane raffermo, che non ha la consistenza, né la forma a ciambella della fresella.

Napoletani mangiafoglie

A fine ‘700 nel suo viaggio in Italia, Goethe nei suoi scritti racconta che a Napoli una moltitudine di giovani per guadagnarsi qualche soldo raccoglieva dalle strade gli avanzi verdi della pulizia della verdura che a Napoli era di largo consumo. Questi avanzi a dorso di mulo o su carrettini, erano portati negli orti fuori città, per essere utilizzati come concime nelle successive semine; pertanto

i napoletani erano chiamati mangia foglie.

In questo stesso lavoro, Goethe scriveva che grazie all’opera dei lazzaroni, Napoli era molto più pulita di altre città che pure aveva visitato come Venezia, Roma e Palermo. Ora queste buone pratiche non sono più possibili, l’umido può essere trattato solo in impianti autorizzati, ma la burocrazia imperante a tutti i livelli, al momento non ha ancora fatto realizzare nessun impianto di compostaggio a Napoli, nonostante il grande impegno del sindaco De Magistris.

Dopo che abbiamo parlato di cibi genuini e saporiti, il pensiero ci porta immediatamente al caffè. Quello prodotto nel carcere femminile di Pozzuoli:

il caffè Lazzarelle. A parte il nome accattivante, le lazzarelle producono un caffè eccezionalmente napoletano: utilizzano varie miscele selezionate tra quelle più gradite al nostro gusto, migliorandone la qualità col 50% di arabica. La cooperativa che lo produce fu avviata da ragazze che, avendo fatto una tesi di laurea sulle carceri femminili, vollero intraprendere l’attività per aiutare le detenute che avevano conosciute bene per i continui contatti, creandone un’attività lavorativa per loro stesse. Consegnano il prodotto direttamente su richiesta, o con corriere. A Napoli è venduto nei negozi equosolidali. Il nostro gruppo di acquisto solidale GAS è molto contento del prodotto, che spesso per la sua originalità viene anche usato per regali ad amici e parenti.    

Il Vino

Questi appunti sul vino, sono molto circostanziati, perché insieme all’amico e vicino di casa di Marzano siamo stati produttori per diversi anni e conserviamo ancore le attrezzature.

Pigia-diraspatura

Subito dopo la vendemmia, si esegue la pigiatura delle uve,

che sono versate allo stesso momento nel tino di macerazione. Si ottiene con quest’operazione una massa di vinacce immerse nella parte liquida costituita dalla polpa dell’acino schiacciati.


Subito dopo la vendemmia si esegue la pigiatura delle uve versate allo stesso momento nel tino di macerazione.

Contenitori per fermentazione

Il tino di legno, contenitore per eccellenza da sempre, è superato. E’ facilmente inquinabile da microrganismi patogeni, difficilmente sanificabile per l’elevata porosità del materiale costruttivo, impedisce la dispersione di calore prodotto dalla fermentazione. Durante questa fase la temperatura delle vinacce non deve superare i 30°. I contenitori migliori oggi in commercio sono nell’ordine: d’acciaio inox, di vetroresina, di cemento vetrificato. Occorre fare molta attenzione che i contenitori di vetroresina siano d’ottima marca. Una lavorazione, infatti, non a regola d’arte, presenterebbe nel materiale di costruzione, tracce di stirene che, per molto tempo, migrerebbero nel vino alterandone peraltro le proprietà organolettiche. Lo stirene è un solvente usato nel ciclo produttivo e sul quale non sono ancora del tutto fugati i dubbi che possa essere cancerogeno.

Fermentazione e macerazione.

 Quella a cappello galleggiante è il sistema più utilizzato dai piccoli produttori che possiedono un tino di legno. Ha l’inconveniente però di esporre all’aria le vinacce, con  conseguente ossidazione, che può essere ridotto effettuando almeno due follature giornaliere, che consistono nell’immergere il cappello nella massa liquida, ed eventualmente coprendo il tino con un foglio di nylon ben aderente al bordo. Nel caso si riesca ad ottenere una buona tenuta del foglio di nylon, sarebbe consigliabile inserire un tubo sifonato per la fuoriuscita di co2 in eccesso. Ciò comporterebbe una benefica assenza d’ossigeno sul cappello, ed il mosto verrebbe a contatto con l’aria solo durante le follature.

Esse determinano, infatti, un più intimo contatto tra le vinacce e il liquido, favorendo il rilascio delle sostanze coloranti estrattive e profumi primari in genere, una distribuzione più uniforme della flora lievitiforme nel liquido, la liberazione dell’anidride carbonica trattenuta dal cappello ed infine un pareggiamento delle temperature. 

Per la pratica attuazione della follatura, si utilizza un robusto bastone munito di alcuni cavicchi sporgenti lateralmente dal lato operante sulla massa, oppure uno di castagno a “quattro zampe”.

Se si desidera eliminare una parte di vinaccioli, bisogna farlo dopo la prima follatura, quando però il cappello si è nuovamente formato. In questo caso si dovrà versare il mosto in un mastello di sottospina, dal quale prelevarlo privo di vinaccioli per riversarlo nel tino.

I vini da invecchiamento, per proteggersi nel tempo da svariati patogeni, hanno bisogno di tannino e di altre sostanze del campo dei polifenoli, che, durante l’invecchiamento ne migliorano anche le proprietà organolettiche. Questi vini, presenteranno nel tempo colorazioni che dipendono dal tipo d’uva impiegata, e dopo anni, tonalità dall’arancione al mattonato.

i vini, si definiscono giovani o da invecchiamento. I primi sono consumati nel primo anno di vita, i secondi, molto dopo, secondo il prodotto e l’invecchiamento che s’intende ottenere, sia in botte, sia in bottiglia. Per l’ottenimento di buoni vini giovani, occorre una breve macerazione: due, tre gg, questo tempo è sufficiente per l’estrazione dei profumi primari, di buona parte delle sostanze coloranti (antociani) e una quantità non elevata di polifenoli tannici. È proprio la minima quantità di questi ultimi che conferisce al vino giovane freschezza e “abboccatura” rendendolo “di pronta beva”.

Aniello Gianni Morra

continua

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