Ruberie dei Mille, Ippolito Nievo e la prima strage di Stato.
Nel marzo del 1861 sparisce nel nulla tra Palermo e Napoli il piroscafo “Ercole”. A bordo lo scrittore Ippolito Nievo con la documentazione economica sulla spedizione dei Mille
Il 4 marzo 1861, tredici giorni prima della proclamazione del Regno d’Italia, lascia Palermo il piroscafo “Ercole”, di circa 450 tonnellate di stazza. Per l’epoca è una nave vecchiotta ma perfettamente in grado di affrontare le normali navigazioni sulle rotte tirreniche. È al comando del capitano Michele Mancino, con 18 uomini di equipaggio, napoletani e calabresi, e 40-60 passeggeri. È stipato fino al limite con 232 tonnellate di merce. La destinazione è il porto di Napoli, la lunghezza prevista del viaggio è di 28 ore. Quasi contemporaneamente partono con uguale destinazione e rotta il piroscafo “Pompei” e il vascello inglese “Eximouth”.
Fra i passeggeri dell’”Ercole” ci sono alcuni ufficiali garibaldini appartenenti all’Intendenza dei Mille. Sono i capitani Salviati e Maggiolini, e Pietro Nullo, il giovanissimo fratello del più noto Francesco: li guida il giovane colonnello Ippolito Nievo, friulano di famiglia mantovana, letterato che ha già pubblicato alcune opere, ma che diventerà famoso con Le confessioni di un italiano, dato alle stampe dopo la sua morte. Il gruppetto porta l’intera documentazione dell’amministrazione militare della spedizione in Sicilia. Ci sono le ricevute, le fatture, le lettere e tutto quello che riguarda la gestione dell’immenso patrimonio economico di cui è dotato Garibaldi e di quello trovato nelle casse siciliane.
Sull’utilizzo della cospicua sostanza si è da tempo sollevata una dura polemica politica alimentata a Torino dalle critiche di molti parlamentari. Nievo è incaricato dell’amministrazione, si dice, per esempio, che a Palermo, per garantirne la massima sorveglianza, dorma fisicamente sui soldi che ha in custodia: il più costoso materasso del Risorgimento. La meta finale del gruppetto è Torino, dove è atteso dall’Intendente capo Giovanni Acerbi, amico personale di Nievo.
La navigazione procede tranquilla fino all’alba del giorno 5, quando un fortunale di qualche ora interessa lo specchio di mare attraversato. Alle 10 di mattina il tempo torna calmo e le altre due navi arrivano a Napoli. L”`Ercole” invece non compare e passano ben 11 giorni prima che si invii una nave a cercarlo. Per quattro giorni il vapore “Generoso” perlustra la rotta, ma rientra senza apparentemente aver trovato nulla: però il “Giornale di bordo” relativo a quei giorni sparisce.
Solo il giorno 17 sul giornale “Omnibus” compare una breve notizia: «L’Ercole, battello a vapore della Compagnia Calabro-Sicula, è affondato a mezzavia tra Palermo e Napoli per un colpo di mare. Incerto il numero dei naufraghi». Tutti gli altri giornali tacciono. Il 1 aprile, dopo 25 giorni, lo stesso “Omnibus” scrive che c’è un superstite del naufragio, che è ricoverato in un ospedale napoletano. Ma di questo uomo si perde subito ogni traccia.
Tutta la vicenda è piena di stranezze. Perché un carico così prezioso non viene affidato a un vascello più sicuro o, addirittura, a una delle tante navi militari che solcano in quei giorni il Tirreno? Perché fare il giro da Napoli quando le carte sono attese a Torino? Perché le ricerche sono partite solo dopo 11 giorni dal mancato arrivo dell’Ercole”? Perché sull’intera vicenda si è fatto silenzio? Come è possibile che il naufragio di una nave di quelle dimensioni non lasci alcun relitto?
Non è solo il libro di bordo del “Generoso” a risultare manomesso. Quando, un secolo dopo, Stanislao Nievo, nipote di Ippolito, si dedica a una ricerca sui fatti, trova sistematici buchi in tutti gli archivi consultati: solo nell’Archivio di Stato di Torino e rimasta, nel “mazzo 307″ dedicato all’Intendenza dei Mille, una cartella sulla vicenda, ma scrupolosamente vuota!
Ci sono altri elementi interessanti che vanno presi in considerazione. Lo stesso giorno 4 marzo la flotta inglese dell’ammiraglio Mundy, composta da otto navi, lascia – finito il suo compito di “supervisione” – il porto di Napoli diretta a Malta. Negli stessi giorni l’intera flotta da guerra piemontese è impegnata nel blocco di Messina, che sta ancora resistendo. Così ci sono nel tratto di mare percorso dall”‘Ercole” decine e decine di navi di diversa nazionalità: lo spazio è così intasato che niente potrebbe sfuggire. Lo scenario è in maniera inquietante simile a un altro dei misteri d’Italia, quello dell’incidente di Ustica, avvenuto 120 anni più tardi proprio nella stessa parte di mare.
Non si saprà probabilmente mai se l’Ercole sia affondato per una tempesta o per una esplosione accidentale o dolosa. Il nipote di Nievo è addirittura sceso sui fondali a cercare risposte, ma senza successo. Le sue ricerche hanno generato due libri: Il prato in fondo al mare (1974) e Il sorriso degli dei (1997).
Scontro tra fazioni
Sicuramente dietro alla vicenda si nasconde lo scontro in atto a Torino fra due fazioni. Da un lato, i cavouriani intendono dimostrare non solo che l’apporto garibaldino alla conquista è stato di facciata, ma anche che si siano dissipate in maniera “allegra”, se non addirittura truffaldina, enormi somme di denaro. Dall’altro, ci sono i garibaldini che sostengono il contrario. Entrambe le fazioni si accuseranno di avere avuto interesse nella sparizione della documentazione, ma lo faranno con estrema discrezione. In particolare, a nessuno interessa troppo fare sapere delle 10mila piastre turche (circa 12 milioni di euro) che erano arrivate dall’Inghilterra a Garibaldi. Lo stesso Generale, in una lettera inviata da Caprera alla famiglia con straordinario tempismo il 28 febbraio, è freddino e stranamente “burocratico”: «Tra i miei compagni d’armi di Lombardia e dell’Italia Meridionale – tra i più prodi – io lamento la perdita del Colonnello Ippolito Nievo. Risparmiato tante volte in campo di battaglia dal piombo nemico – è morto naufrago nel Tirreno – dopo la gloriosa campagna del’60. Una famiglia che può vantare nel suo seno un valoroso quale il nostro Nievo (sic!) merita la gratitudine dell’Italia».
In realtà la sparizione dei documenti fa comodo a tutti, per poter accusare gli avversari, ma – soprattutto – perché a tutti è di vantaggio nascondere verità che metterebbero in difficoltà il cuore stesso (e la cassa) del mito di fondazione d’Italia.
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