Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli del 1799 di Vincenzo Cuoco (seconda edizione) XLIV

Posted by on Dic 13, 2021

Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli del 1799 di Vincenzo Cuoco (seconda edizione) XLIV

Richiamo di Ettore Carafa dalla Puglia

I francesi dovettero aprirsi la ritirata colle armi alla mano, ed all’isola di Sora e nelle gole di Castelforte perdettero non poca gente. Appena essi partirono, nuove insorgenze scoppiarono in molti luoghi.

Roccaromana suscitò l’insorgenza nelle sue terre alle mura di Capua. Egli divenne l’istrumento più grande della nobiltà, a cui apparteneva, e del popolo, tra cui avea un nome. Il governo lo avea disgustato, lo avea degradato forsi per sospetti troppo anticipati; ma non seppe osservarlo, ritrovarlo reo e perderlo: offendendo, non seppe metterlo nella impossibilità di far male. Luigi de Gams organizzò nello stesso tempo una insorgenza in Caserta. Queste insorgenze, unite a quelle di Castelforte e di Teano, ruppero ogni comunicazione tra Capua e Gaeta e tra il governo napolitano ed il resto dell’Italia.

La ritirata dei francesi dalla provincia di Bari fece insorgere di nuovo quella provincia di Lecce. In Puglia eravi ancora Ettore Carafa colla sua legione, ed, oltre la legione, avea un nome e molti seguaci; ma, sia imprudenza, sia, come taluni vogliono, gelosia del governo, Carafa fu richiamato da una provincia dove poteva esser utile ed inviato a guernire la fortezza di Pescara. La ritirata di Carafa fu un vero male per quelle province e per la repubblica intera. A questo male si sarebbe in parte riparato, se riusciva a Federici di penetrare in Puglia ed a Belpulsi nel contado di Molise; ma le spedizioni di questi due, ritardate soverchio, non furono intraprese se non dopo la partenza delle truppe francesi, quando cioè era impossibile eseguirle.

Così sopra tutta la superficie del territorio napolitano rimanevano appena dei punti democratici. Ma questi punti contenevano degli eroi. Nel fondo della Campania era Venafro, che sola avea resistito per lungo tempo a Mammone57, comandante dell’insorgenza di Sora: con poco più di forza, avrebbe potuto prendere la parte offensiva. I paesi della Lucania fecero prodigi di valore, opponendosi all’unione di Ruffo con Sciarpa; e, se il fato non faceva perire i virtuosi e bravi fratelli Vaccaro, se il governo avesse inviati loro non più che cento uomini di truppa di linea, qualche uffiziale e le munizioni da guerra che loro mancavano, forse la causa della libertà non sarebbe perita. Gli stessi esempi di valore davano le popolazioni repubblicane del Cilento, le quali per lungo tempo impedirono che l’insorgenza delle Calabrie non si riunisse a quella di Salerno. Foggia finalmente era una città piena di democratici: essa avea una guardia nazionale di duemila persone; era una città che, per lo stato politico ed economico della provincia, potea trarsi dietro la provincia intera; e da Foggia una linea quasi non interrotta prendeva pel settentrione verso gli Apruzzi, dove si contavano Serracapriola, Casacalenda, Agnone, Lanciano… Dall’altra parte, per Cirignola e Melfi, Foggia comunicava colle tante popolazioni democratiche della provincia di Bari e della Lucania. Noi vorremmo poter nominare tutte le popolazioni e tutti gl’individui; ma né tutto distintamente sappiamo, né tutto senza imprudenza apertamente si può dire: un tempo forse si saprà, e si potrà loro rendere giustizia.

Ma che fare? A tutte queste forze mancava la mente, mancava la riunione tra tutti questi punti, mancava un piano comune per le loro operazioni. Non si crederà, ma intanto è vero: una delle cagioni, che più hanno contribuito a rovesciar la nostra repubblica, è stata quella di non aver avute nelle province delle persone che riunissero e dirigessero tutte le operazioni: gl’insorgenti aveano tutti questi vantaggi.

57 Mammone Gaetano, prima molinaio, indi generale in capo dell’insorgenza di Sora, è un mostro orribile, di cui difficilmente si ritrova l’eguale. In due mesi di comando, in poca estensione di paese, ha fatto fucilar trecentocinquanta infelici; oltre del doppio forse uccisi dai suoi satelliti. Non si parla de’ saccheggi, delle violenze, degl’incendi; non si parla delle carceri orribili nelle quali gittava gl’infelici che cadevano nelle sue mani, non de’ nuovi generi di morte dalla sua crudeltà inventati. Ha rinnovate le invenzioni di Procuste, di Mezenzio… Il suo desiderio di sangue umano era tale, che si beveva tutto quello che usciva dagl’infelici che faceva scannare. Chi scrive lo ha veduto egli stesso beversi il sangue suo dopo essersi salassato, e cercar con avidità quello degli altri salassati che erano con lui. Pranzava avendo a tavola qualche testa ancora grondante di sangue; beveva in un cranio… A questi mostri scriveva Ferdinando da Sicilia: «mio generale e mio amico».

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