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Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli del 1799 di Vincenzo Cuoco (seconda edizione) XXXI

Posted by on Nov 19, 2021

Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli del 1799 di Vincenzo Cuoco (seconda edizione) XXXI

Organizzazione delle province

Forse il miglior metodo per organizzare le province era quello di far uso delle autorità costituite che già vi erano. Tutte le province aveano di già riconosciuto il nuovo governo: le antiche autorità o conveniva distruggerle tutte, o tutte conservarle. Non so quale di questi due mezzi sarebbe stato il migliore: so che non si seguì né l’uno né l’altro, ed i consigli mezzani non tolsero i nemici né accrebbero gli amici.

Con un proclama del nuovo governo si ordinò a tutte le antiche autorità costituite delle province che rimanessero in attività fino a nuova disposizione. Intanto s’inviarono da per tutto dei «democratizzatori», i quali urtavano ad ogni momento la giurisdizione delle autorità antiche; e, siccome queste erano ancora in attività, rivolsero tutto il loro potere a contrariar le operazioni dei democratizzatori novelli. In tal modo si permise loro di conservar il potere, per rivolgerlo contro la repubblica, quando ne fossero disgustati; e s’inviarono i democratizzatori, perché avessero un’occasione di disgustarsi.

Quale strana idea era quella dei democratizzatori? Io non ho mai compreso il significato di questa parola. S’intendea forse parlar di coloro che andavano ad organizzar un governo in una provincia? Ma di questi non ve ne abbisognava al certo uno per terra. S’intendeva di colui che andava, per così dire, ad organizzare i popoli e render gli animi repubblicani? Ma questa operazione né si potea sperare in breve tempo né richiedeva un commissario del governo. Le buone leggi, i vantaggi sensibili che un nuovo governo giusto ed umano procura ai popoli, le parole di pochi e saggi cittadini, che, vivendo senz’ambizione nel seno delle loro famiglie, rendonsi per le loro virtù degni dell’amore e della confidenza dei loro simili, avrebbero fatto quello che il governo da sé né dovea tentare né potea sperare.

Quando voi volete produrre una rivoluzione, avete bisogno di partigiani; ma, quando volete sostenere o menare avanti una rivoluzione già fatta, avete bisogno di guadagnare i nemici e gl’indifferenti. Per produrre la rivoluzione, avete bisogno della guerra, che sol colle sètte si produce; per sostenerla, avete bisogno della pace, che nasce dall’estinzione di ogni studio di parti. A persuadere il popolo sono meno atti, perché più sospetti, i partigiani che gl’indifferenti. Quindi è che, in una rivoluzione passiva, voi dovete far più conto di coloro che non sono dalla vostra che di quelli che già ci sono; e, siccome fu un errore e l’istituzione della commissione censoria e la prima pratica seguìta per la formazione della guardia nazionale, perché tendevano a ristringer le cose tra coloro soli che eran dichiarati per la buona causa, così fu anche un errore, e fu frequente presso di noi, l’impiegare colui che volontariamente si offeriva, in preferenza di colui che volea esser richiesto, ed il servirsi dell’opera dei giovani anziché di quella degli uomini maturi. Non quelli che con facilità, ma bensì che con difficoltà guadagnar si possono, sono coloro che più vagliono sugli animi del popolo. I giovani non vi mancano mai nella rivoluzione; Russo li credeva perciò più atti alla medesima: se egli con ciò volea intendere che erano più atti a produrla, avea ragione; se poi credeva che fossero perciò più atti a sostenerla, s’ingannava. I giovani possono molto ove vi è bisogno di moto, non dove vi è bisogno di opinione.

Giovanetti inesperti, che non aveano veruna pratica del mondo, inondarono le province con una «carta di democratizzazione», che Bisceglia, allora membro del comitato centrale, concedeva a chiunque la dimandava. Essi non erano accompagnati da verun nome; fortunati quando non erano preceduti da uno poco decoroso! Non aveano veruna istruzione del governo: ciascuno operava nel suo paese secondo le proprie idee; ciascuno credette che la riforma dovesse esser quella che egli desiderava: chi fece la guerra ai pregiudizi, chi ai semplici e severi costumi dei provinciali, che chiamò «rozzezze»: s’incominciò dal disprezzare quella stessa nazione che si dovea elevare all’energia repubblicana, parlandole troppo altamente di una nazione straniera, che non ancora conosceva se non perché era stata vincitrice; si urtò tutto ciò che i popoli hanno di più sacro, i loro dèi, i loro costumi, il loro nome. Non mancò qualche malversazione, non mancò qualche abuso di novella autorità, che risvegliava gli spiriti di partito, non mai estinguibili tra le famiglie principali dei piccioli paesi. Gli animi s’inasprirono. Il secondo governo vide il male che nasceva dall’errore del primo: Abamonti specialmente richiamò quanti ne potette di questi tali democratizzatori. Ma il male era già troppo inoltrato; il vincolo sociale dei dipartimenti erasi già rotto, poiché si era già tolta l’uniformità della legge e la riunione delle forze: non mancava che un passo per la guerra civile, ed infatti poco tardò a scoppiare.

Come no? Una popolazione scosse il giogo del giovanetto; le altre la seguirono: le popolazioni che eran repubblicane, cioè che aveano avuta la fortuna di non aver democratizzatori o di averli avuti savi si armarono contro le insorgenti. Ma queste aveano idee comuni, poiché quelle dell’antico governo eran comuni a tutte; s’intendevano tra loro; le loro operazioni erano concertate. Nessuno di questi vantaggi avevano le popolazioni repubblicane. Le antiche autorità costituite, che conservavano tuttavia molto potere, erano, almeno in segreto, per le prime. Qual meraviglia se, dopo qualche tempo, le popolazioni insorgenti, sebbene sulle prime minori di numero e di forze, oppressero le repubblicane?

Si volle tenere una strada opposta a quella della natura. Questa forma le sue operazioni in getto, ed il disegno del tutto precede sempre l’esecuzione delle parti: da noi si vollero fare le parti prima che si fosse fatto il disegno.

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