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Silvio Spaventa oltre la “strage di Torino” del 1864

Posted by on Dic 2, 2022

Silvio Spaventa oltre la “strage di Torino” del 1864

Loreto Giovannone considera la vicenda politica di questo personaggio risorgimentale che induce ad un collegamento con l’attualità sui politici meridionali

Con l’Unità d’Italia fu imposta la omologazione per elezione da plebiscito dei politici meridionali, partecipò solo il 2% della popolazione, i privilegiati per censo. La potente diplomazia inglese, impose ai Sabaudi la forma plebiscitaria con tutte le sue storture elettorali, come risulta dagli atti del parlamento inglese nelle discussioni di politica estera.

Al parlamento italiano vennero eletti molti settari liberali, (iscritti alla massoneria ex cospiratori). La borghesia meridionale sfruttò la possibilità di carriera e i privilegi che si potevano acquisire in parlamento. I politici meridionali asserviti al potere centrale, non rappresentarono mai ne i propri elettori, ne l’opposizione, nessuna rappresentanza fu concessa agli annessi al di fuori degli elettori per censo.

I meridionali eletti in parlamento erano e sono autoreferenziali, ligi agli interessi di partito, alle consorterie affaristiche-finanziarie, che li candidano. Oggi come in passato, nonostante l’apparente opposto schieramento, gli eletti sono omologati al pensiero politico unico. I “votati” agiscono nelle istituzioni centrali o locali come in una enclave personale, una riserva elettorale ad personam o al partito.

Obbiettivo comune, la spartizione degli appalti, la gestione clientelare del pubblico denaro, oggi è lo scadimento di cultura politica della classe dirigente in burocrati d’apparato.

Dall’Unità d’Italia imperversa l’inadeguatezza di larga parte dei vertici della politica, che considerò il sud come colonia atta a fornire a nord soprattutto manodopera per le aziende impiegati pubblici e insegnanti per le scuole pubbliche. Amministratori inadatti hanno favorito il degrado a sud del consorzio sociale e l’affermazione delle associazioni mafiose in tutte le aree economiche.

I rapporti annuali SVIMEZ (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) testimoniano da lungo tempo l’inadeguatezza economica a dir poco preoccupante fino alla conclamata emergenza sociale. Lo stato di abbandono della rappresentanza politica al sud è dato di fatto. I recenti governi con esponenti politici meridionali, hanno raggiunto la quasi totale assenza di trasferimenti al sud dei finanziamenti per infrastrutture e sviluppo. Oggi l’Italia è amministrata come fosse già divisa in due e il sud subisce ulteriore arretramento economico, sociale.

A partire dai plebisciti farsa in poi il sud non s’è dato una verosimile rappresentanza politica ma solo elettorale, in pratica un equivoco senza speranze. Molti politici e funzionari del Regno provenienti delle ex provincie meridionali furono in contatto con la rete di spionaggio inglese a Napoli nel decennio preunitario, arruolati come liberali, imposti nei governi da un potere invisibile.

Tra i cosiddetti esuli fuggiti in Inghilterra poi impiegati in politica c’era Silvio Spaventa, celebrato dalle istituzioni come patriota e fondatore dell’Unità nazionale.

Dai piemontesi suoi contemporanei nessuna stima per Spaventa

L’ex ministro della luogotenenza Farini a Napoli, poi a Torino come segretario generale dell’Interno nel governo Farini, ideò nel dicembre 1862 e sottopose all’approvazione di Vittorio Emanuele II il piano di riordino del ministero e la repressione della vasta insorgenza nell’ex Regno dei Borboni denominata brigantaggio.

Silvio scrivendo al fratello Beltrando svelò le trame a cui stava lavorando: «sono io che ho proposto di mandare Ricasoli a Napoli e Lamarmora a Parigi… il ministero [dell’Interno] sarà riformato. Entreranno tre capi divisione napolitani: andranno via due capi divisione piemontesi e quattro o cinque di sezione che quelli che formano il nucleo della camorra subalpina. Ti confido tutte queste cose con grande riserbo. Non ci è cautela che basti a premunirsi dall’inimicizia e sospetto che noi ispiriamo alla burocrazia di questo paese».

È logico supporre che i suoi piani non fossero graditi all’ambiente piemontese, che generassero dissapori e contrasti ai vari livelli delle gerarchie dei funzionari ministeriali cui si prospettò la rimozione. L’attuazione del piano Spaventa, approvata dal re, per riformare il

ministero suscitò irritazione e contrasti mai sanati con i torinesi.

La riforma approvata segretamente a dicembre 1862 trovò attuazione in parlamento nella seconda metà del 1863.

Silvio Spaventa, profondamente astioso verso i piemontesi

Dopo la strage di Torino del 21 e 22 settembre 1864 in cui morirono e rimasero feriti molti civili che manifestavano pacificamente, fu ampiamente dimostrato il profondo disprezzo dai torinesi per Spaventa. Cosa pensava Silvio dei fatti di piazza lo scrisse al fratello il 25 settembre: «Saprai tutto quello che è avvenuto e, come io prevedevo, il ministro ha dovuto ritirarsi…», mentre il 20 settembre scriveva «io qui mi ammazzo [di lavoro] come un asino» per eseguire la deportazione da lui ideata ed attuata in meridione.

Il 25 settembre scaricava le sue responsabilità della sanguinosa repressione torinese: «Io non ho nulla da rimproverarmi, perché nulla ho fatto o voluto di male»Però dà una implicita spiegazione al suo operato: «Il trasporto della capitale [a Firenze] è la cessazione del governo piemontese, e la creazione del governo italiano, davvero».

Emerge un partito piemontese contrario al trasferimento della capitale: «Ma la stessa forza propria… di queste provincie, che ha contribuito tanto a fare l’Italia è oggi un ostacolo serio a compierla».

Esautorato dall’incarico, il giorno dopo sta fuggendo da Torino: «io sto benissimo. Partirò stasera [25 settembre] con Pisanelli per gli Abruzzi e andremo da Acquaviva e De Vincenzi nel teramano».

Giuseppe Devincenzi, il massone suo mentore ben addentro agli ambienti di governo inglese, era andato ad accoglierlo in Irlanda dopo il dirottamento del bastimento che lo portava nell’esilio oltre Oceano.

«Ribrezzo» di Spaventa

Lettera da Firenze del 7 ottobre 1864, indirizzata al fratello: «Gli otto giorni passati con De Vincenzi sono bastati a temperare alquanto quel profondo ribrezzo da cui ero compreso all’orché lasciai Torino… Io conosco già abbastanza i piemontesi e m’immagino che guerra violenta ci avrebbero fatto».

A proposito degli ordini dati alla forza pubblica di sparare sulla folla, Silvio affermava: «Io non ho preso ne firmato niuna risoluzione… come dunque tanta animosità contro di me?… E i torinesi hanno gridato contro di me, come se io fossi l’autore principale dei loro malanni… ci si fé tutto intorno a un tratto un tal vuoto come se fossimo in un deserto… del resto, gli ordini del governo, per quanto si poté ordinare, furono più che prudenti e legatissimi… né ti devi allarmare degli spauracchi degli avvocati di Torino, che sono giunti fino a dare querela formale contro me e contro Peruzzi per atti che dicono a noi personali. Sono sciocchezze che fanno gli uomini che si credono più serii quando non ci vedono più dalla rabbia».

Prosegue nella lettera «ti ripeto che gli ordini del ministero furono tutti più umani e legali», che sa tanto di excusatio non petita, accusatio manifesta: «ci sarà cagione di stupire per tutta l’Italia come i torinesi siano stati così falsi e bugiardi…».

Da uomo di governo, in queste parole, l’ex cospiratore condannato a morte, l’ex fuggiasco, l’ex professore di Filosofia del diritto, esprime l’esempio dottrinale di hegeliana concezione della prassi intesa come svolgimento della volontà operativa dell’atto. In questo passaggio della lettera dà ad intendere a Beltrando e al lettore che il ministero, cioè lui, non avesse alcuna responsabilità buttando alle ortiche l’assunto filosofico di suo fratello della inseparabilità di essere e non-essere e con esso l’attualistico del neo-hegelismo preferendo far apparire la strage come iniziativa dei reparti militari presenti nella piazza.

L’uso disinvolto del termine camorristi per squalificare gli avversari quando scrisse: «come fa qui il Vigliani con i camorristi, gli da braccio forte e se ne serve contro di noi» si riferiva ai funzionari del ministero schierati con Vigliani.

Gli storici devono fare i conti con la realtà del caso Spaventa ed affrontarla. Non solo perché sovversivo condannato a morte poi graziato, dopo la benedizione della massoneria inglese di allora, fu passato con la più totale disinvoltura da carcerato recluso in Santo Stefano a carceriere, segretario generale dell’Interno.

Ma la spiegazione che devono dare gli storici è sulla dirigenza nella Divisione 1° Sezione 1° ufficio del domicilio coatto e  Divisione 7° Sezione 4° personale carcerario.

Gli storici devono dare una spiegazione all’agire politico di Spaventa, deportatore di civili, Caronte di domiciliati coatti, nel ministero dell’Interno. L’autoritarismo tirannico, partecipe dell’ordine di sparare su pacifici civili inermi torinesi o deportare masse di civili da rinchiudere in lager luoghi di relegazione ha evidenziato uno spaventoso crollo dell’hegelismo italiano miseramente sprofondato per sempre nel colpevole silenzio dei fratelli Spaventa e del loro nipote Benedetto Croce.

È questo lo Spaventa che i torinesi del 1864 conoscevano e mentre al meridione, purtroppo, non ammisero e tutt’ora non ammettono la biblica deportazione, a Torino l’avversione che esternò per i piemontesi fu ricambiata, e lo è ancora oggi profondamente.

Loreto Giovannone

Il carteggio di Silvio Spaventa è contenuto nel libro: Silvio Spaventa, Lettere politiche (1861-1893), edite da G. Castellano, Bari, Laterza, 1926.

Loreto Giovannone

fonte
https://www.civico20news.it/sito/articolo.php?id=26403

1 Comment

  1. Spaventa… spaventoso leggere in questo e altro articolo di come fu fatta l’Italia!…poveri noi! caterina

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