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Stendhal nell’ombra di Napoleone di Alfredo Saccoccio

Posted by on Giu 26, 2024

Stendhal nell’ombra di Napoleone di Alfredo Saccoccio

   “Il 15 maggio 1796, il generale Bonaparte fece il suo ingresso a Milano alla testa di quel giovane esercito che aveva insegnato al mondo che dopo tanti secoli Cesare e Alessandro avevano un successore”. La celebre, prima frase de “La Certosa di Parma” dovrebbe essere posta in testa ad ogni studio consacrato ai rapporti appassionati che, per tutta la sua vita, Sten dhal mantenne con Napoleone.

Bastò, d’altronde, enumerare le mille ed una referenza daBonaparte o da Napoleone che cospargono tutti hli scritti, pubblici o privati, di Henri Beyle per constatare il carattere quasi ossessivo che può rappresentare la referenza napoleonica per lo scrittore innamorato  di assoluto come per il funzionario disincantato da monarchie insipide, da cui il desiderio tutto naturale  di questo formidabile professionista  dell’entusiasmo, capace di scrivere su tutto quello che lo esalta, la pittura, la musica, la storia o le donne;  di scrivere molto naturalmente su Napoleone, da cui le due opere, pubblicate molto tardivamente, nel 1854, per una, en 1876 per l’altra, che egli ha dunque voluto consacrare a Napoleone, poiché il “Napoleone” di Stendhal sono in realtà due libri molto differenti l’uno dall’altro, l’uno e l’altro incompiuti e, finora, rivelati al grande pubblico in maniera incompleta.

   Che non ci si inganna. Se le edizioni della “Vie de Napoléon del 1954 e le “Mémoires sur Napoléon del 1876 sono quel che sono, frammentarie, come buon numero di quelle che le hanno seguite, è in gran parte perché   il materiale che le costituisce è sì composito, fatto di pagine, se non di capitoli interi improntati ad altri, che gli editori successivi hanno voluto troppo sistematicamente operare una scelta nei manoscritti che erao pervenuti loro.  Occorse attendere il 1929, con l’edizione Royer, edizioni Campion, poi 1930, e quella di Henry Martineau, al Divan, per ottenere infine una visione più precisa di quello che aveva voluto Stendhal. Quantunque, nell’uno e nell’altro caso, le due opere abbiano conosciuto delle amputazioni, se non delle rimesse in  ordine un poco troppo personali.

   Tutto l’interesse dell’edizione stabilita da Catherine Mariette, per Stock, è dunque di offrirci la totalià di quello che Stendhl ha scritto su Napoleone nei suoi due libri incompiuti a rischio di darci, anche “in extenso”, dei passaggi interi allegramente plagiati  da colui che dovette, in un altro ambito, fare della  sua “Historie  de la peinture  en Italie”  (pressappoco totalmente improntata a un Lanzi), una delle più felici visioni personali che si possano immaginare dell’arte italiana.

   Sono dunque due libri che Stendhal ha consacrati, a due epoche sua vita, a Napoleone. Il primo, cominciato nel 1817, a Parigi, è stato proseguito a Milano

Fino alla metà del 1818. E’ ben evidentemente molto più Bonaparte che Napoleone che Stendhal glorifica. La lettura di una bibliografia apparsa l “Edi nburgh Review”in seguito alla pubblicazione delle “Lettres de Sainte-Helène del chirurgo Warden, poi, un anno più tardi, quella delle “Considérations sur les principaux évenements de la Ré volution française” di Madame di Stael, hanno giocato il ruolo di detonatore. L’articolo scozzese entusiasma, si vuole tradurlo, cioè servirsene, il libro di Madame de Stael indigna, si vuole rispondervi, da dove una successione di corti capitoli, gioiosamente incatenati gli uni agli altri, composti naturalmente in fretta (ma tutto in Stendhal  non c’è fluidità e desiderio di andare più veloce e più lontano) che costituiscono una maniera di stupefacenti quadri di momenti isolati  della viuta di Bonaparte, poi di quella, giudicata  talvolta in termini di una severità disincantata, di Napoleone, “Ecco quello che il dispotismo può fare di uno dei più grandi geni che siano mai esistiti”;  in un poco più di una dozzina di parole, alla fine del capitolo cinquantratre, Napoleone, imperatore, sembra condannato senza appello. Però alcune pagine più lontano, ed è un corto capitolo di due soli paragrafi, in cui lo scrittore  ritrova tutta la sua emozione e la sua arte di ellissi per raccontare la presa di Parigi:”La città (…) era della  più bella  e della più vile tranquillità. I soldati della Guardia , che l’attraversarono tutta la notte, piangevano”. “La vie de Napoléon” sono queste istantanee spigolate nel corso di letture diverse, che si avvincono ( o non si avvincono… ) al ritmo di un discorso formidabilmente riuscito.

   Le “Memorie su Napoleone” è un altro affare. Il suo primo manoscritto, Stendhal l’ha dimenticato. Venti anni passano. Non è più uno scandalo, né una provocazione, che di scrivere su Napoleone sotto la Monarchia di Luglio. Le fonti sono divenute abbondanti. Da Tiers a Jomini a Salvandy, o Marchangy,non si è finito di spettegolare su  Bonaparte, poi sull’Impero. Henri Beyle vive a Civitavecchia, lavora  sulla”Vita de Henri Brulard, poi su Lucien Leuwen , approfittando di un congedo a Parigiu, tra il novembre 1836  e l’aprile 1837 per lanciarsi di nuovo , ma a testa riposata questa volta, nel racconto del “ momento… il più bello della storia moderna”.
   Nel frattempo, egli si è potuto fabbricare una biografiada testimone affidabile, anche se egli si limita a precisare  che non ha fatto che intravvedere Napoleone a Saint-Cloud, a Marengo o a Mosca. E poi egli dispone ormai di numerosi testi e discorsi di Napoleone stesso, che formano in qualche maniera una fonte di prima mano, in parallelo del quale egli potrà porre, ci dice  Catherine Mariette, un punto di vista storico (riscrittura dei fatti) e una narrazione politica (narrazioni  commentate da lui stesso) , da cui questi tre levelli di scrittura, a cui tutta l’arte di Stend hal di fare in modo che l’opera finale , se non definitiva, sia della vena di quelle che ammira,come

il presidente de Brosses o Montagne, piuttosto che i Thiers o i Salvandy.

   Nello stesso tempo, l’entusiasmo per l’energia di un Bonaparte non si è indebolito, ma la nostalgia di questo periodo grandioso contrasta, più ancora che nella “Vie de Napoléon”, con le note critiiche, e molto più elaborate, sulla mediocrità della società dell’Impero. Ed è ben in questo bilanciamento tra ammirazione e repulsione, giovinezza, Italia, coraggio da un lato, e noia, oppressione, volgarità e politica francese dei tre dedenni passati che si ritrova tutto quello che si amma in Stendhal. Meno rapide che nella “Vie, le notazioni delle “Mémoires” sono tuttavia incisive, caracollanti e gioiose. L’itinerario di Bonaparte è quello di un Fabrizio, che,ben orima di Warwerloo, vede oiù lontano di Waterloo. D’altronde, per ritrivare tutto intero lo Stendhal che si ama, basta leggere le circa cinquanta pagine che conduce al capitolo 20 delle “Mémoires”, alle quali Stendhal diede, lui stesso, il sottotitolo di “Minan en 1796”. E’ tutta la prima frase de de “La Certosa” che si trova  così esplicitata  con un’allegria che non può essere che quella del tenente Robert stesso, all’inizio del romanzo, quando riceve “un biglietto di alloggiamento per il palazzo della marchesa del Dongo”.

   Così, poggiandosi a “Le Memorie” sulla sua “Vie”, il Napoleone di Stendhal, costituisce la più formidabile prefazione che si possa immaginare a La Certosa”, come alla genesi di tutti gli entusiasmi di Stendhal. 

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