STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (II) (VOL. III)
I MANGIAPOPOLI NEL MANGIAMENTO NAZIONALE (Pubblicato il 19 luglio 1864)
Il 4 agosto del 1862 discutevasi nella Camera dei deputati la proposta patriottica fatta da Pietro Bastogi di accollarsi l’impresa delle strade ferra te meridionali, e il ministro dei lavori pubblici ch’era il signor Depretis, non sapeasi adagiare a questa proposta. «Noi abbiamo in Italia, dicea il Depretis, molte compagnie incomplete, e fra queste vi è la compagnia Vittorio Emanuele dopo la separazione della Savoia, e bisogna provvedere». Il deputato Susani interrompeva il ministro esclamando: La mangieremo! Ed il ministro: «La mangierete? Bisognerà vedere se si lascierà mangiare. È facile il dire: la mangieremo». (Atti uff. N. 838, pag. 3254, col. 3^).
Il verbo mangiare è il verbo officiale della rivoluzione; essa lo coniuga in tutti i modi, in tutti i tempi, in tutti i numeri, in tutte le persone. Le rivoluzioni si fanno per mangiare; il desiderio d’indipendenza è l’appetito; e tutti i rivoluzionari più o meno legalmente mangiano. I minchioni si lasciano cogliere colle mani nel sacco; i più destri dopo avere ben mangiato s’atteggiano a martiri, e passano per eroi.
La storia di tutte le rivoluzioni si riduce in fin dei conti alla storia delle mangerie. Si mangiano prima le somme lasciate dai tiranni, poi si mangiano i frati, si mangiano le monache, si mangiano i canonici, si mangia la Chiesa, si mangia il Papa, si mangiano i beni demaniali, e si finisce per mangiare i popoli. Quando i rivoluzionari non hanno più altro da mangiare, si mangiano fra loro.
Parliamo un po’ della prima rivoluzione francese, madre, maestra, modello di tutte le altre rivoluzioni. Che cosa non ha mangiato in Francia? Campane, vasi sacri, statue di Re, argenterie di signori, perfino le scarpe dei poveri calzolai vennero requisite e divorate dalla rivoluzione francese! Essa ha messo imposte gravissime, imposte su tutto, anche sui camini che servono per iscaldarsi. Ila fatto prestiti volontarii, prestiti forzati; ha confiscato tutti i beni degli emigrati, tutti i beni delle sue vittime, tutti i beni delle opere pie. Il 3 marzo del 1793 Chabot presentava la sua relazione sull’effettivo dei beni divenuti nazionali e sommavano a sei bilioni e quattrocentoundici milioni. Non v’erano compresi i beni territoriali del clero stimati tre bilioni; sicché con questi la somma era di presso che dieci bilioni.
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E la rivoluzione se li ha mangiati in sette anni, ed inoltre ha creato per trentatré bilioni, quattrocentotrenta milioni e quattrocentottantunmila lire di assegnati e E il 30 settembre 1797 lo Stato, dice Grenier de Cassagnac, facea pubblicamente una bancarotta di cinquanta bilioni! (1)». E Napoleone I reduce dalla sua spedizione d’Egitto non potè ritrovare nelle casse dello Stato mille cinquecento lire per mandare un corriere in Italia! (2). Né divorarono meno le rivoluzioni posteriori scoppiate in Francia, e fa calcolato che quella di luglio 1830, e l’altra di febbraio 1848 costarono più di trenta bilioni! (3).
Ma non abbiamo bisogno di cercare altrove gli esempi che ci si presentano in Italia eloquentissimi. I tiranni di Sardegna, Vittorio Emanuele I, Carlo Felice, Carlo Alberto fino al 1848 si erano contentati d’un debito pubblico di 135 milioni, i I tiranni di Parma di 10 milioni, i tiranni di Modena di 11 milioni, i Papi tiranni di 16 milioni nelle Romagne, Umbria, Marche, i tiranni di Toscana di 152 milioni, i tiranni delle Due Sicilie di 550 milioni. Questi debiti erano contratti in moltissimi anni, e rendevano agli Stati preziosi vantaggi. Ma ecco scoppiare la rivoluzione, e con essa imposte a rompicollo, e debiti senza fine. Nigra, Cavour, Vegezzi in pochi anni ne contraggono negli Stati Sardi per la somma di L. 1,024, 970, 595. Farini in pochi giorni accresce di 5 milioni il debito di Modena, e d’altrettanti il debito di Parma. Pepoli accresce in un mese il debito pubblico delle Romagne di 13 milioni; Ricasoli in brevissimo tempo regala alla Toscana un debito di 56 milioni; e si fa altrettanto in Napoli ed in Sicilia, sicché Pietro Bastogi stima necessario d’istituire il Gran libro del debito pubblico del Regno d’Italia.
E lo stesso Bastogi scrive subito nel Gran Libro un nuovo debito di 714 milioni, ed un altro di oltre ad un bilione ce ne scrive Marco Minghetti, sicché sono già cinque bilioni incirca che deve il Regno d’Italia nato ieri! Ed ba incamerato i beni ecclesiastici ed ha venduto i beni demaniali, ed ha imposto ogni maniera di tasse, ed ba alienato le strade ferrate; e le pubbliche casse sono vuote!
Per mostrare come si mangia quando si contrae un prestito, daremo l’analisi di quello che venne autorizzato con legge del 17 luglio 1861, quando ora ministro delle finanze il conte Pietro Bastogi. Questo prestito dovea ascendere a 500 milioni, ma la povera Italia ha contratto un debito di 714 milioni, e 833, 800 lire, e non si sono incassati che 497 milioni, 078, 964 lire e 14 centesimi! Ducento diciassette milioni furono mangiati parte in interessi, parte in commissioni, e di 497 milioni gl’Italiani debbono pagare ogni anno lire 35,744,190 d’interessi! S’è regalato ai banchieri un premio di L. 2,820,000. Si sono pagate per interessi e commissioni a diverse case bancarie per somme anticipate al tesoro L. 961, 102, 79; in somma 217 milioni
(1) Histoire da Directoire, tom I, pag. 18. Vedi pure un’opera speciale di sir Franck d’Ivernoy, Sulle perdite cagionate dalla rivoluzione.
(2) Mèmoires de Baurrienne, tom. VI.
(3) Gunnie, La Revolution, tom. in. pag. 56, Paris, 1850.
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svaporarono in un prestito solo (1). E il prodotto di lutto quel prestito è mangiato, ed è mangiato egual-» niente il prodotto dell’altro prestito di 700 milioni eflettivi. In mezzo a tanti debiti si arricchisce però il Dizionario italiano. Esso aveva già i mangiacatenacci, e sono i tagliacantoni; aveva i mangiaferro, e sono gli sgherri; aveva i mangiaparadisi, e sono gli ipocritoni, che danno buone parole e tristi fatti, promettono la Chiesa libera, e la incatenano; aveva i mangiapaltona, e sono i vili e i dappoco; aveva gli eroi d’Omero, i mangiagrano, i mangiaporro, i mangiaprosciutto. Oggidì ha anche i mangiapopoli, i mangiafinanse, i mangiastradeferrate e i mangiailalie.
RAGAZZI DI OTTO ANNI
AL GOVERNO DELIA PUBBLICA ISTRUZIONE
(Pubblicato l’11 luglio 1861).
L’Armonia in diversi tempi ha già provato come il nostro Ministero di grazia e giustizia, che pretende di rivedere i decreti detta S. Sede, sotto una dispensa di età per un diacono della diocesi di Vercelli che dovea essere ordinato Sacerdote, scrivesse: Visto, si accorda l’exequatur, perché N. N. possa pigliar moglie! Ministro di grazia e giustizia era allora il sig. Deferesta, oggidì regalato ai Bolognesi.
L’Armonia ha provalo che a segretario del tribunale di commercio di San Remo venne nominalo negli anni precedenti un cotale, che ha ancora oggidì da pigliar possesso del suo ufficio per la semplice ragione che il nostro completo Governo prima spettò che morisse, e poi, quattro o cinque mesi dopo che era morto, gli rilasciò il diploma di segretario, che gli venne spedilo all’altro mondo.
L’Armonia ha provato che il conte di Cavour, volendo escludere dalle Congregazioni di carità i parrochi. per mettere in loro luogo dei secolari, ne aveva nominato parecchi già morti da buona pezza, e uno fra questi morto da dodici anni. Un ex-deputato venne al nostro ufficio, e ci lesse una lettera del conta di Cavour, in cui si doleva assai di quell’articolo, ma confessava di non sapere che cosa rispondere, perché il fatto era verissimo. E il deputalo caldo ministeriale, dopo di averci dato a leggere quella lettera, osava chiedere una rettificazione.
Ora l’Armonia vi dice che dai liberali, da coloro che combattono gli abusi dei Governi legittimi, da questi grandi che favoriscono l’istruzione, che proclamano questo secolo il secolo dei lumi, vennero nominali, e percepiscono tuttavia lo stipendio ragazzi di otto anni incaricati di governare il pubblico insegnamento.
Non lo credete? Eh! anche a noi sembra incredibile, ma pure il fatto è vero fuori d’ogni contestazione.
In Sicilia, cacciati i Borboni, entrarono al Governo dell’isola i Garibaldi, i Crìspi, i Medici. Ebbene sotto quel liberale Governo i ragazzi di otto anni vennero chiamati a reggere l’istruzione pubblica.
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Non è l’Armonia che vel dice: l’ha detto ai deputati il sig. Cordova, ministro d’agricoltura e commercio nella tornata del 1° di loglio 1861. Aprite gli Atti ufficiati della Camera, N° 241, Sii, pagina 921, terza colonnare troverete queste parole dei ministro Cordova:
«Da un documento di un segretario di Stato di quell’epoca so che ragazzi di otto anni furono nominati impiegati del dicastero dell’istruzione pubblica o del culto in Sicilia (sensazione). Dice questo documento che un segretario di Stato non potendo esso stesso ricevere il giuramento, non vide l’impiegato, e e seppe polche era un bambino di otto anni, ed io credo che questo bambino sia tutt’ora in percezione di uno stipendio di segretario di prima classe».
Voi vedete che qui ce n’è per tutti i Governi, tanto per quello di Garibaldi, di Crispi, di Mordini, che nominarono segretario di prima classe il bambino di otto anni come lo chiama il signor Cordova, quanto pei Governi di Montezemolo, di Della Rovere, di Bettino Ricasoli, sotto i quali il bambino continuò a percepire, e percepisce tuttavia lo stipendio.
E poi vengono a dirci che nel Regno delle Due Sicilie tutti sono ignoranti, e pochissimi sanno leggere e scrivere! Il fatto prova che in quel fortunatissimo regno i bambini sono di un ingegno cosi precoce, che giunti appena all’età di otto anni possono essere segretari di prima classe nel dicastero della pubblica istruzione. Girate il mondo per quanto è largo e lungo, e non vi verrà fatto di ritrovare, in nessuna parte, un miracolo simile.
Che se alle notizie del signor Cordova dobbiamo aggiungere le nostre particolari, le faccende dell’istruzione pubblica, sotto il segretariato del bambino di otto anni, andavano meglio in Sicilia, che non camminassero in Piemonte sotto il Governo dei Bon-Compagni, dei Mamiani, e dei Farini.
Tra le altre cose, l’insegnamento dato col metodo moderno, insegnamento che si compartisce cogli esempi delta marmitta che bolle, del soffietto che fa vento, e del candelotto che illumina ed abbrucia, aveva trovato un segretario degno veramente della scoperta dei nostri tempi. Il bambino di otto anni, era nella sua beva, trattandosi del dialogo delle fave, e delle interrogazioni sul numero dei nasi e degli orecchi che ha l’uomo.
Di che lodiamo assai il ministro Ricasoli e il suo collega Bastogi, i quali consentono che il bambino sia tuttora in percezione dello stipendio. Fra breve potrà chiamarsi in attività di servizio, e forse venire trapiantato nella capitale del Regno d’Italia, dove tra tanti bambini può stare anche lui. Certo sarebbe doloroso che si collocasse a riposo un bambino di otto anni!
Nel 1848 si cantava: i bimbi d’Italia si chiaman Ballilla. Nel 1860 e 64 questi bimbi avevano il diritto di venir chiamati agl’impieghi é pascolare essi pure all’ombra dell’albero del bilancio, secondo una classica frase di Lorènzo Valerio. Perciò, ai giorni nostri, i bimbi d’Italia non si chiamano più Ballilla, ma si pagano come secretari di prima classe.
(1) Atti uff, della Camera, N° 803, pag. 3132 e seg.
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Avevano ben ragione i sudditi degli Stati Pontifici di lagnarsi, perchè erano governati dai chierici.
Aspettino con un pò di pazienza, e tardi o tosto tu nome dal progresso non avranno più un prete per delegato, ma un bambino di otto anni per segretario della pubblica istruzione. Il progresso, la civiltà, la rigenerazione italica producono miracoli strepitosi.
RIVELAZIONI DEL MINISTRO CORDOVA
SULLA SICILIA
(Pubblicato l’11 luglio 1861).
Il ministro Cordova nella tornata del 1° di luglio, in cui ci fece la rivelazione del bambino di otto anni, segretario generale dell’istruzione pubblica, ce ne fece pure parecchie altre egualmente lepide, e di cui ai gioverà certamente lo storico futuro dei tempi presenti. Eccone alcune:
I. Nei primi uffizi delle dogane in Sicilia furono nominale persone che non sapevano nè leggere, nè scrivere:
«Tre di coloro ce furono nominati al posto di tenenti d’ordine, che è un posto superiore, nel servizio attivo delle dogane, non hanno osato presentarsi alla direzione generale dei dazi indiretti di Sicilia, da cui dipende codesto servizio, perché non sapevano leggere, né scrivete (Risa)» (Il ministro Cordova, Atti Uff., N°2 pag.9i9).
II. In Palermo i doganieri rubano, e in Messina si uccidono gli impiegati per pigliare il loro posto:
«Il servizio doganale fatto interamente dal personale nuovo che si stabilì in parte colla violenza nella Sicilia, e principalmente in Messina e Palermo, è caduto in condizioni così tristi, alle quali appena oggidì va mano mano riparando l’egregio generale della Rovere, che successero fatti che non erano mai accaduti sotto i Borboni; cioè che nel deposito. della gran dogana di Palermo mancarono più di 1000 balle, si è veduto in Messina qualcuno uccidere un controllore attivo per prendere il suo posto» (Il ministro Cordova, loc. cit.).
III. In Siracusa gli impiegati sanitari dell’ospedale erano il quadruplo degli ammalati:
«All’epoca in cui mi trovai a Siracusa sul cominciare del 1861, ho trovato che gli impiegati sanitari di quell’ospedale erano il triplo ed il quadruplo degli ammalati (Ilarità). Un giorno mi ricordo che, trovandomi alla mensa del luogotenente generale, ed essendo intervenuto il generale Brignone, e qualche altro personaggio autorevole, raccontava che il signor Della Foggia, ispettore generale di questo servizio, avea chiesto al generale Brignone, credo o all’altro personaggio, come trovasse l’andamento degli ospedali. Buonissimo, rispose l’interrogato, ma non è da sorprendersi, con 63 impiegati sanitari e 47 ammalati! (Ilarità generale)» (Ministro Cordova, Atti Ufficiali della Camera N° 241, pagina 921).
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IV. Gli impiegati in Sicilia furono enormemente moltiplicati, e sotto questo dispetto era molto migliore il Governo dei Borboni:
«Vi sono Consigli di governo composti di nove o dieci consigleri in provincie dove vi erano prima tre consiglieri, i quali avevano quasi nulla a fare, quantunque la legge napoletana sul contenzioso amministrativo lor desse un’infinità di affari di più che la nostra legge dell’ottobre 1859» (Ministro Cordova, loc. cit.).
V. Si diedero tristissimi esempi al popolo, e il popolo impara dai governanti:
«Voi vedete cos’è il popolo; ordinariamente la sua morale non è tanto di ragione quanto di esempio e di abitudine. L’antico proverbio: Regis ad exemplum ictus componitur orbis, è un proverbio, verissimo. Ciò che vede fare al capo, crede che si debba fare, ed è la norma che forma la sua morate» (Ministro Cordova, loc. cit.).
VI. Come per far danari s’inventasse in Sicilia una giuocata ideale al lotto:
«Gl’impiegati del lotto, oltre un’assegnazione fissa, hanno un’assegnazione graduata, cioè il tanto per cento sulle giuocate. Ciò era per animarti a favorire le giuocate. Per effetto degli avvenimenti dell’anno scorso, la giuocate venero meno. Gl’impiegati del lotto cominciarono a gridare che si erano fatti minori i loro, guadagni. Sotto la seconda prodittatura s’immaginò il sistema della cosiddetta giuocata ideale. Si trovò la frase che esprime l’invenzione. La giuocata ideale è la presunzione che si sia giuocato in un mese quanto è il massimo delle giuocate fatte per il passato (Ilarità); di modo che mentre l’introito per le finanze è minore, l’indennità mobile che si paga agli impiagati, del lotto è maggiore!» (Ministro Cordova, loc. cit.).
VII. Come non potendosi riscuotere le imposta in Sicilia, si ricorresse ad una percezione ideale:
«La giuocata ideale ba fatto nascere l’idea dalla percezione ideale (Oh! Oh!). Voi stupite, o signori ? Ebbene, in una loro supplica diretta al ministro delle finanze i percettori delle contribuzioni dirette in Sicilia dicono: non avendo forze sufficienti, noi non possiamo esigere lo imposte, e le indennità nostre sono minori. Adottate quindi por noi il sistema del lotto, ritenete il principio percezione ideale (Risa), ed aumentateci l’indennità a proporzione dell’entrala ideale. Notate, o signori! che questi sono agenti responsabili» (Ministro Cordova, loc. cit.).
E con quatto citazione termineremo. Si vede come l’idea abbia trionfato in Italia. Tutto è ideale tra noi; ideale l’economia, ideala il progresso, ideale la libertà, ideale l’indipendenza. Due cose sole non sono ideali: i debiti e le imposte.
fonte
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