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STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (IV) (VOL. III)

Posted by on Nov 5, 2024

STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (IV) (VOL. III)

PIO IX E NAPOLEONE III

Consacriamo questo quaderno delle nostre Memorie a descrivere due uomini che rappresentano due principii, due dottrine, due sistemi e stanno alla testa di due grandi città, la città di Dio e la città della Rivoluzione. Prima però di cominciare il discorso sui tempi nostri, sarà bene dire una parola intorno a Roma sotto il primo Bonaparte.

Il conte Federico Sclopis, senatore del Regno, volendo continuare il suo lavoro da molti anni intrapreso sulla legislazione italiana, recossi a Parigi per fare delle ricerche in quegli archivi relativamente al periodo della dominazione francese in Italia dal 1800 al 1814. E dei documenti che gli vennero scoperti, compilò una Memoria letta all’Accademia delle scienze morali e politiche, e pubblicata a Parigi nel 1861 col titolo: La domination francaise en Italie 1800-1814, par Frédéric Sclopis. Da questo libro, che abbiamo sotto gli occhi, leveremo alcuni dati preziosi:

L’occupazione di Roma e il rapimento del Papa, avvenuti per ordine del primo Bonaparte, «diedero luogo, dice il conte Sclopis, a giuste e severe censure. Nessuno storico ha osato giustificare queste odiose intraprese, e tutti gli uomini di Stato si accordano a riconoscerle come gravi errori nella politica di Napoleone». E in nota il conte Sclopis aggiunse: «Confesso che mi riuscì doloroso di vedere in una raccolta piena d’importanti documenti come le Mémoires et correspondances politiques et militaires du Prince Eugène (liv. ix) uno sforzo, che oserei chiamare disperato, per giustificare questa sgraziata intrapresa. Simili apologie fanno più male che bene alla causa che si pretende di sostenere».

Il Senato Consulto del 17 febbraio 1810 riunì lo Stato di Roma all’Impero francese. Già la più gran parte degli Stati del Papa, le Legazioni e le Marche erano state incorporate al regno d’Italia. Una lettera di Salicetti a Murat, re di Napoli, prova, dice il conte Sclopis, che si era lavorato molto prima per giungere al punto di cambiare di pianta il governo romano. Questa lettera è importante e rivela arti moderne, e come anche ai giorni nostri si sperasse nelle incertezze! Eccola come venne estratta dalla biblioteca del Re a Torino:

Lettre de Salicetti au roi Joachim.

«Sire,

«Point de nouvelles de S. M. I.

«Nous sommes ici dans l’attente.

«Si les ordres arrivent, vingt-quatre heures suffiront pour métamorphoser le gouvernement du Pape. Le public s’y attend, et je puis garantir que la très grande majorité verra le changement non seulement avec indifférence, mais avec plaisir, car la longue incertitude où ils vivent depuis quatorze mois est devenue insupportable.

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«Je prie V. M. d’agréer l’hommage de mon profond respect.

De V. M.

«Le très-humble serviteur et sujet

Salicetti».

«Rome, le 20 avril 1809».

Il Papa fu rapito da Roma il 6 luglio 1809. «In un rapporto, dice il conte Sclopis, indirizzato al ministro delle finanze il 17 dello stesso mese, il generale Miollis rigetta l’adozione di questa misura sulla necessità di assicurare la tranquillità dell’Italia. La presenza del Papa impediva senza dubbio l’azione del governo, essa era una protesta terribile (accablante) contro tutto ciò che si operava colla forza».

Il senatore Selopis cita le seguenti parole del signor De Cerando in un Analyse sommaire des travaux de la Consulte, che trovasi negli archivi dell’Impero a Parigi. «Il Papa partendo avea lasciato precise istruzioni che proibivano, in nome della stessa religione e sotto le pene ecclesiastiche, di prestare alcun giuramento, ed anche di concorrere in nulla allo stabilimento del nuovo governo».

Queste istruzioni, ripiglia il conte Sclopis, non restarono senza effetto. «Tutto ciò che dipendeva dall’antico governo nei tribunali e nelle amministrazioni si eclissò davanti noi, e si è assorbito». Così scriveva il generale Miollis al ministro delle finanze il 4 di settembre del 1809. E ciò trovasi confermato in termini ancora più espressivi in un rapporto confidenziale rimesso all’Imperatore dal ministro segretario di Stato per dargli une connaissance un peu circonstanciée des membres des tribunaux de Rome. «La Consulta, dice questo rapporto, in sulle prime aveva nominato gente onesta; ma tutti s’erano rifiutati, sia a motivo delle loro opinioni, sia per isfuggirc alle prime scosse d’un cangiamento».

Il re di Napoli, Gioachino Murai, che nel mese di novembre 1809 erasi condotto a Roma in qualità di comandante in capo dell’esercito, incaricato della sorveglianza politica e della sicurezza pubblica delle Romagne, rappresentava all’Imperatore, in una lettera dell’11 di novembre 1809, che la città di Roma meritava veramente l’interesse dell’Imperatore: «lo non debbo dissimularvi che essa soffre: la mancanza del governo ha reso molti infelici; mi assicurano che la sua popolazione ha perduto 40,000 anime».

Questa cifra, aggiunge in nota il conte Sclopis, non sembra esagerata. Ecco che cosa riferisce con molto maggiore precisione il signor di Tournon ne’ suoi Etudes statistiques sur Rome, tom, I, pag. 238: «Questo movimento ascensionale continuò fino al 1796, epoca in cui la città di Roma conteneva 165,000 abitanti. Ma il cangiamento del governo, che seguì la prima invasione de’ Francesi, il rapimento del Papa Pio VI, la dispersione della sua Corte ridussero la popolazione a 135,000 individui; ed essa non era più di 123,000, quando Pio VII, nel 1809, fu violentemente strappato dal suo trono, e clic la più gran parte del Clero venne dispersa. Sotto l’amministrazione francese la popolazione fu stazionaria».

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Qui il conte Sclopis cita documenti che riescono a grande onore del Clero secolare e regolare. Trascriviamo la pagina 41: «Il Clero sopra tutto si tenne lontano dal governo francese, e fu vista la grande maggioranza dei religiosi cacciati dal chiostro rinunziare alla pensione che loro era assegnata prima che prestare il giuramento che da loro si esigeva.

Su 3016 religiosi riconosciuti come aventi diritto alla pensione, non ve ne furono che 1128, i quali prestarono il giuramento richiesto per ottenerla, 1888 amarono meglio esserne privi, che sottomettersi a questa esigenza» (Rapporti du Ministre des Cultes. Bigot de Préameneu à l’Empereur, 30 octobre 1811, aux Archives de l’Empire à Paris).

E a quei tempi si ebbe, se non nel nome, certo nella sostanza, il Danaro di S. Pietro. Ascoltiamo il conte Sclopis: «Si vide svolgersi nel Clero e fra gli uomini, che mossi dai medesimi sentimenti facevano causa comune con lui, una devozione profonda alla persona del Papa durante il tempo della sua detenzione. Offerte considerevoli di danaro gli arrivavano a Savona». (Corrispondenza del Principe Borghese negli Archivi del Regno a Torino}.

Cesare Balbo, osserva il conte Sclopis, nel suo stile energico e col sentimento della forza morale che lo distingue tra tutti gli scrittori della nostra età, avea ragione di dire: «la resistenza di questi preti disprezzati fu meravigliosa: fu la Sola resistenza italiana del tempo» (Sommario della Storia d’Italia, prima edizione, pag. 465). Circa cinquecento ecclesiastici degli Stiiti Romani per non “aver voluto prestare il giuramento di fedeltà all’Imperatore subirono la pena della relegazione (Coppi, Annali d’Italia, anno 1809).

«Invano, parla sempre il conte Sclopis, invano aveano decorato Roma del titolo di città libera e imperiale, invano le avevano accordato una rappresentanza municipale, che avevano creduto rendere imponente chiamandola coi nome di Senato (1). Appena badavasi ai lavori che sulle proposte di Canova e di Visconti il governo faceva eseguire a grandi spese e con molta attività. Le perdite che il paese avea fatto erano irreparabili; l’aumento delle imposizioni facevasi sentire penosamente in tutte le classi». Equi il conte Sclopis aggiunge in nota: «in una serie di rapporti e di proposte sui cangiamenti che può subire l’antico sistema finanziario dello Stato Romano, sottomessi dal ministro delle finanze all’Imperatore, trovasi il seguente riassunto: Quadro comparativo delle antiche e delle nuove contribuzioni proposte nello Stato Romano e città libera e imperiate dì Roma. Antiche contribuzioni L. 9,463,883,65 cent. oltre la tassa percepita dalla Commissione degli alloggi, il lotto e la posta delle lettere. — Nuove contribuzioni L. 16,212,817,70 cent. oltre il prodotto delle dogane dei confini». (Archives de l’Empire à Paris).

I sudditi del Papa sospiravano l’antico governo, come dice il conte Sclopis (pag. 43): e Sotto di quello la loro esistenza era dolce e tranquilla più che splendida, e il loro carattere piegavasi facilmente al governo de’ suoi principi». Così il popolo romano viene rappresentato in una memoria lunghissima e importantissima:

(1) «Ma questo Corpo non seppe poi le sue attribuzioni, né mai si ragunò». (Coppi Annali d’Italia, anno 1809).

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Sur la situation des Elats Romains au moment de leur réunion à la France, en juin 1809, par M. A. de Pastoret, auditeur au Conseil d’État, Tutte queste citazioni sono preziose, e il lettore può dedurne da sé le conseguenze.

IL PAPA E L’EPISCOPATO FRANCESE

(Pubblicato il 9 gennaio 1861).

L’apparizione a Parigi del libello Roma e i Vescovi, la solennità con cui venne annunziato dal telegrafo, il perfido scopo a cui mira di far supporre che un certo numero di Vescovi sieno discordi dal Papa, ecco altrettante ragioni che ci consigliano a mettere sotto gli occhi del lettore uno specchio della sublime ed eloquentissima concordia dell’Episcopato sulla questione del dominio temporale del Romano Pontefice.

E noi incomincieremo a dire, in quest’articolo, dell’Episcopato francese, esponendo come tutti i Vescovi della Francia, non sì tosto insorse qualche pericolo per la dominazione Pontificia, si levassero concordi in sua difesa, e ben lungi dal mentire le proprie opinioni per umidità, come impudentemente insinua l’autore del libello Roma e i Vescovi, mostrassero un coraggio veramente cattolico, facendo testa a colui che poteva confinarli a Caienna e a Lambcssa.

Ci duole soltanto che la ristrettezza di un articolo ci costringe a tessere una scarna statistica di nomi, sorpassando sulle più preziose citazioni; ma anche questa semplice enumerazione, mentre riuscirà a grande onore di Roma, della Francia e di tuttala Chiesa Cattolica, servirà a confondere l’impudente libellista, e il tristissimo ipocrita che gli ha messo in mano la penna.

In quindici Provincie ecclesiastiche si parte la Chiesa di Francia, e noi le percorreremo tutte, secondo l’ordine alfabetico, servendoci della stupenda raccolta che si pubblica in Roma col titolo: La sovranità temporale dei Romani Pontefici propugnata nella sua integrità dal suffragio dell’orbe cattolico regnante Pio IX, l’anno XIV. Si parla della Francia nella parte 11, voi. i.

Provincia ecclesiastica d’Aix. L’Arcivescovo d’Aix, scriveva al Papa il 1° di agosto del 1859: «Si è colla più grande apprensione che noi abbiam visto cominciarsi la guerra, a cagione principalmente delle difficoltà che dovevano nascere negli Stati Pontificii, e la pace non ci offrirà vere consolazioni se non quando ne avrà sbandite tutte le agitazioni, che li vanno desolando L’Arcivescovo, i preti e i fedeli della diuresi d’Aix pregano pel successore di San Pietro coi medesimi sentimenti che animavano i primi cristiani, quando pregavano per l’apostolo captivo».

Nell’affetto al Santo Padre, nella viva sollecitudine per la conservazione e pacificazione degli Stati Pontificii concordavano tutti i vescovi suffraganei della diocesi d’Aix: II Vescovo di Digne, 10 ottobre; di Frejus e Toulon, 12 ottobre;

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di Gap, 21 dicembre; di Marsiglia, 7 luglio; di Ajaccio, 24 ottobre; d’Algeri, 25 agosto 1859.

Provincia ecclesiastica d’Albi. L’arcivescovo scrisse al Papa, il i O di ottobre del Ì859: «Il cuore di Vostra Beatitudine è giustamente afflitto per gli odiosi attentati commessi contro i diritti più legittimi della Sede Apostolica da fazioni ribelli, la cui audacia non conosce confini. Vostra Santità si degni permettere ad uno de’ vostri figli rispettosi e fedeli di deporre a’ vostri piedi l’espressione del profondo dolore, in cui l’immergono tali eccessi sacrileghi di violenza e di usurpazione. Spero che il Signore non tarderà a reprimerli».

Concordano coll’Arcivescovo d’Albi: II Vescovo di Cahors aM2 agosto — di Mende al Clero — di Perpignano nelle sue bellissime osservazioni sopra gli attentati diretti contro la sovranità temporale del Papa — di Rodez al Clero, 8 novembre 1859.

Provincia ecclesiastica d’Auch. L’Arcivescovo scriveva al Papa, il 18 ottobre 1859: Che egli e il suo Clero gemevano per gli assalti contro la potestà civile del Pontefice, «ma confidavano che la Francia, la quale ab antiquo gladium Dei in orbe portai, non abbandonerebbe la temporale tutela della Santa Sede che avea tante volte invittamente intrapresa».

Concordavano coll’Arcivescovo il Vescovo d’Aire e Dax al Clero della sua diocesi — di Bayonne al Clero 45 dicembre — di Torbez al Clero, 6 novembre 1859.

Provincia ecclesiastica d’Avignone. L’Arcivescovo scriveva al Papa, il 18 ottobre 1859: «Non è da oggi che io mi identifico coi sentimenti di Vostra Santità. Dal giorno, in cui, figli ingrati e ribelli dimenticarono quanto dovevano di rispetto e d’amore al migliore dei Padri, o piuttosto dacché un’empia fazione osò attentare alla maestà della Sede di Roma, al libero e legittimo esercizio dei suoi diritti e scuotere il giogo più dolce come un giogo oppressivo, e spezzare con mano sacrilega lo scettro più venerato, il santo pastorale che servì sempre a proteggerli e condurli nella via della felicità possibile in questo mondo, il mio cuore, Santissimo Padre, testimonio di questi sacrileghi attentati, non ha pili conosciuto altro sentimento che quello del dolore».

Concordavano coll’Arcivescovo il Vescovo di Montpellier al Clero, 1° novembre — di Nimes al Clero, 17 aprile — di Valenza al Clero, 49 ottobre — di Viviers al Clero e ai fedeli, 24 ottobre 1859.

Provincia ecclesiastica di Besançon. Il Cardinale Arci vescovo seri ve va al Papa il 6 luglio 4859: «Coraggio, Santissimo Padre, non dubitate di affrontare qualunque pericolo prima di lasciar diminuire, o comportare che venga diminuita in checchessia l’eredità di S. Pietro. Deus tecum erit qui faciet in eis iudicium conscriptum».

Concordavano col Cardinale Arcivescovo il Vescovo di Belley al Clero 28 ottobre — di Metz al Clero e ai fedeli 21 novembre — di Saint-Diè 23 ottobre — di Strasborgo 18 ottobre — di Verdun 28 ottobre 1859.

Provincia ecclesiastica di Bordeaux. L’Arcivescovo e i Vescovi riuniti in Concilio provinciale nella città di Agen scrivevano al Papa l’11 di settembre 1859: «Radunati in Concilio col nostro Metropolita, prima di fare e pubblicare altri decreti abbiamo voluto incominciare da quello che riguarda la S. Sede Romana e il Sommo Pontefice». E il decreto dice:

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«Doversi necessariamente conservare alla S. Sede Romana il civile principato, affinchè la sacra podestà possa essere esercitata senza vermi impedimento in bene della religione». Provincia ecclesiastica di Bourges. La Sede di Bonrges è vacante, ma il Vescovo di Clermont il 21 ottobre 1859 scriveva deplorando «che le più eminenti virtù e i più sacri diritti non abbiano potuto preservare il nostro Padre comune dagli assalti sacrileghi ed incessanti, ond’è fatto segno il suo governo temporale».

E concordavano gli altri Vescovi suffragane! di Bonrges — del Puy il 25 gennaio 1860 — di Limoges, 4 agosto 1850 — di S. Flour, 20 ottobre 1859

— di Tulle 25 febbraio 1860.

Provincia ecclesiastica dì Cambrai. L’Arcivescovo scriveva al Papa, il 20 luglio 1859: «Quanti siamo in questa diocesi, chierici e fedeli, unanimi aborriamo, riproviamo, condanniamo tutto ciò che ciechi e nefandi uomini contro il principato civile della Santa Sede ingratamente, perversamente, empiamente simulano, macchinano, compiono».

E nella stessa provincia il Vescovo d’Arras, il 18 settembre 1859, scriveva al Clero ed ai fedeli un mandamento conforme, ed il 3 gennaio del 1860 indirizzava un’eloquentissima lettera all’ipocrita scrittore dell’opuscolo il Papa e il Congresso.

Provincia ecclesiastica di Lione. Il Cardinale Arcivescovo scriveva al Papa, il 7 di ottobre 1859: «Noi vi significhiamo l’orrore che ci cagionarono le inique aggressioni patite da Vostra Beatitudine».

E concordavano il Vescovo d’Autun, Chalon e Macon, li ottobre — di Dijon, 25 dicembre — di Grenoble, 24 ottobre — di Langres, 15 dicembre — di Saint-Claude, il 24 ottobre del 1859.

Provincia ecclesiastica di Parigi. Il Cardinale Arcivescovo scriveva al Clero, il 18 di ottobre 1859. «Il potere del Santo Padre è scosso in uria parte de’ suoi diritti come Sovrano temporale, senza che finora sia stato possibile ad uno dei più potenti e generosi monarchi de’ tempi presenti di prevalere pel ristabilimento dell’ordine, e per la conservazione di tutti i diritti in Italia, e particolarmente negli Stati della Chiesa. Tutti siamo afflitti e gemiamo su questa condizione di cose».

Concordavano il Vescovo di Blois, 1° novembre — di Charlres — di Meaux, 20 ottobre — di Orlcans, 4 ottobre — di Varsaglia, Il ottobre 1859.

Provincia ecclesiastica di Reims. Il Cardinale Arcivescovo scriveva al Clero, il 15 novembre 1859: «La rivoluzione s’è messa a servizio dell’eresia e dell’empietà, dell’orgoglio e dell’ambizione, non solo per umiliare e indebolire il Papato, ma ancora per annichilarlo, se fosse possibile. Ciò che essa fa oggidì in alcune provincie si propone di fare anche a Roma in un avvenire più o meno vicino. Si è Roma sopratutto, si è la capitale dui mondo cristiano a cui essa agogna, e vuole invadere». E proseguiva sfolgorando tanta iniquità.

Concordavano il Vescovo d’Amiens, 3 settembre — di Beauvais, 8 ottobre

— di Soissons, 14 luglio 1859, e il Vescovo dì Chàlons sur Marne il 4 gennaio del 1860.

Provincia ecclesiastica di Rouen. L’Arcivescovo scriveva al Clero, il 29 ottobre del 1859: «Quale sarebbe l’azione della Santa Sede sul mondo sociale se fosse spogliata del suo temporale potere?

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Non siamo noi composti d’anima e di corpo? e che potremmo a riguardo de’ nostri simili se il corpo ci fosse tolto? Il dominio temporale della Santa Sede non è egli il suo corpo?». Concordavano il Vescovo di Bayeux e Lisieux, 8 novembre — di Coutances, 7 novembre — di Evreux, 8 ottobre — di Séez, 28 dicembre 1859.

Provincia ecclesiastica di Sens. L’Arcivescovo scriveva al Papa, il 6 agosto 1859: «Il Signore sarà con voi, o Padre, affinché conserviate integro il patrimonio che Dio vi diede, come tutela di libertà e segno di onestà».

Concordavano il Vescovo di Moulins, 13 ottobre — di Nevers, 12 ottobre— di Troyes, 28 dicembre 1859.

Provincia ecclesiastica di Tolosa. L’Arcivescovo scriveva al Papa, il 17 novembre 1859: «Riputiamo nemici tanto dell’ecclesiastica libertà quanto della giustizia coloro che in questi tempi irrequieti con detti, scritti e princilpalmente con atti sacrileghi si sforzano di spogliare il Romano Pontefice della sua temporale podestà ed indipendenza».

Concordavano il Vescovo di Carcassona, 3 novembre — di Montauban, 10 agosto — di Pamiers, 27 dicembre 1859.

Provincia ecclesiastica di Tours. L’arcivescovo scriveva al Papa il 24 luglio 1859: «Le vostre gioie sono le gioie dei Vescovi, come le vostre pene sono le nostre, lo ho partecipato a tutti i dolori a tutte le ansietà provate dalla Santità Vostra quando la guerra s’accese tra nazioni cattoliche, e sovratutto quando la rivolta scoppiò ne’ vostri Stati Qualunque cosa avvenga, Padre Santo, fate assegnamento sulla devozione de’ Vescovi».

Concordavano il Vescovo d’Angers, 19 ottobre — di Lavai, 18 novembre — di Mans, 31 dicembre — di Nantes, 8 ottobre — di Quimper e Leon, 10 ottobre — di Rennes, 12 ottobre — di Saint-Brieue, 2 dicembre — di Vannes, 12oltobre 1859.

Questa semplice enumerazione, quantunque imperfetta, è la più bella risposta, all’opuscolo Roma e i Vescovi, ed una delle più sublimi vittorie della Chiesa. Mentre tutte le Potenze temporali sono in discordia, e il caos regna nel mondo, il Cattolicismo presenta il più nobile esempio di unità nella fede e nella carità. La rivoluzione fu spaventata di questa unanimità di sentimento ed affetto, e lo attribuì al timore che Roma incute ai Vescovi. Il timore! Ah se il timore potesse qualche cosa sull’animo dell’Episcopato francese, questo starebbe pel Bonaparte. Invece sta pel Papa, perché esso non teme coloro che possono uccidere il corpo, ma chi può perdere l’anima ed il corpo nella geenna.

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LA CAUSA DI PIO IX

TRIONFANTE NELL’ACCADEMIA FRANCESE

(Pubblicato il 29 gennaio 1861).

Iddio permette che si prolunghi il martirio di Pio IX, perché vuole accresce re il numero e lo splendore delle sue vittorie, ed egli ne conseguiva una segnalatissima nell’accademia francese il giorno 24 del 1861. Dieci anni fa l’assemblea repubblicana della Francia sorgeva a propugnare la legittimità, la bontà, l’inviolabilità del dominio temporale del Papa; ed i più illustri oratori, i Thiers, i Montalembert, i De Falloux, col loro ingegno, colla forza della loro eloquenza sostenevano quella causa che i soldati francesi difendevano colla spada sotto le mura di Roma invasa da Garibaldi e da Mazzini.

Ora in Francia non esiste più un parlamento propriamente detto. Esiste un Senato e un Corpo legislativo senza personalità, senza iniziativa, senza libero arbitrio. Chiedetelo ai Nizzardi chiamati testè a votare, e vi diranno come si formino in Francia i deputati del popolo, e chi rappresentino. Non era dunque possibile sulla Senna una manifestazione in favore del Papa simile a quella del 1849.

Ma accanto al Parlamento che non parla esiste colà un’accademia, ed è quella a cui appartennero Voltaire e D’Alembert, ed a cui appartengono i Thiers, i Cousin, i Guizot e i Victor-Hugo. Ebbene in quest’accademia si dissero gli elogi del Papa Pio IX, si sostenne la causa del suo temporale dominio, si marchiò come era dovere la tristissima rivoluzione che lo assale.

E chi disse questo? Parlò dapprima nell’accademia un povero frate domenicano. Imperocchè, mentre in Italia i Pepoli e i Valerio assaltano i conventi, disperdono i frati, e vendono i monasteri, in Parigi il frate vien ricevuto nel numero dei quaranta, ed i primi letterati della Senna vanno lieti di averlo nel loro numero. Ma questo frate non potè parlare francamente e liberamente del Papa, giacche sarebbonsi prese in sospetto le sue parole.

Invece dopo di lui uscì a ragionare un protestante, il sig. Guizot, e parlò più francamente e più liberamente, perché, come disse egli stesso, la sua credenza lasciavalo più disinteressato in questo grande conflitto. E celebrò Pio IX Pontefice generoso e mite, e proclamò il dovere di tutti i cattolici di portare al Santo Padre vna filiate devozione, e sfolgorò l’ingratitudine di tanti Italiani verso un Principe così grande e così buono, e ricordò come Pio IX, che gl’Italiani già spogliarono in parte, e si dispongono a spogliare del tutto, fosse quello che apriva all’Italia la carriera delle grandi speranze.

In Francia, sotto Napoleone III, nell’accademia dei quaranta, da un protestante già ministro di Luigi Filippo (notate tutte queste circostanze!), la causa del Papa venne nobilmente propugnata. Quel protestante diè all’Italia una lezione sul debito della riconoscenza popolare, sul rispetto dovuto alla Chiesa ed all’augusto suo Capo, sulla stima che noi Italiani, noi cattolici dovremmo fare delle glorie nostre e dei nostri Pontefici.

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Quel protestante ci avvertì che negli assalti mossi presentemente contro il dominio temporale del Papa si attentava ad un tempo ai fondamenti della Chiesa e dello Stato, e ci disse che recando la commozione nelle coscienze, s’inaugurava in Italia l’anarchia o la tirannia. Quel protestante difese Pio IX in nome della società, in nome della libertà, in nome della civiltà, la cui storia uvea già profondamente studiato e dottamente descritto.

E le parole del sig. Guizot furono quelle di tutta l’accademia, imperocchè essa plaudendo le fece sue. Già altri accademici aveano tolto a difendere privatamente Pio IX cogli scritti, e lo fecero tra gli altri vittoriosamente i signori Villemain, Dupanloup, e Vittorio Cousin ricordato da quest’ultimo; ma tutti i quaranta doveano unirsi in corpo, e dare all’Europa una sublime manifestazione in favore del Papa, e ciò avvenne appunto il 24 di gennaio.

Sotto questa data scriveva l’Opinione del 27: «Oggi è la festa della reazione. L’accademia prende la parola, ed unendo la sua voce alla voce dei Vescovi, fa esercizi di ginnastica oratoria in favore del Papa e del legittimismo. È un antico rosso che, smessi i suoi principii filosofici indossò la veste dei Domenicani. Il P. Lacordaire, l’antico amico di Lamennara, e l’austero protestante Guizot vanno a gara per accarezzare ed adulare il Papato». Ebbene, si tolgano le parole villane, e l’Opinione dice il vero. Sì, il 24 di gennaio fu la festa della reazione cattolica, della reazione papistica, della reazione conservatrice. La Cattedra di San Pietro, a’ trionfi avvezza, conseguì un nuovo trionfo. E fu un suo trionfo quel rosso divenuto frate; quel frate entrato nell’accademia, quell’accademico che consacra al Papa la prima parola, che pronunzia nella sala dell’Istituto; quella parola, a cui risponde un protestante austero, ma un uomo dotto, un nomo onesto, un uomo imparziale, un uomo veridico, un giusto estimatore degli uomini e delle cose.

E questo austero protestante proclama i grandi meriti di Pio IX, i segnalati benefizi che rese all’Italia, le scelleratezze che si commettono contro l’una e contro l’altro dai nemici d’amendue. E l’accademia applaude! Dice bene l’Opinione: non è solo il protestante austero che parla, è l’accademia che prende la parola. E quest’accademia unisce la sua voce a quella dei Vescovi. Vescovi ed accademici, ossia la scienza e la religione si collegano in favore di Pio IX, e il grande Pontefice trionfa! E il fiore della società parigina corre ad assistere ai trionfi del Papa nell’accademia francese. Thiers e Dupin, il maresciallo Magnan e Vitel, Mignet e il conte Duchàtel, Biot, Flourens, Elia di Beaùmont, Hifforf, Saint-Marc Girardin, il conte di Marcellus, Benedetto d’Azy, Cochin, Parieu, Bixio, la principessa. Mutilile, la principessa di Cauino, le duchesse Luynes e de Mirepoix, il principe Napoleone, la principessa Clotilde, e cento altri corrono in folla ad assistere al ricevimento del frate, e ad applaudire di buona o mala voglia alle glorie del Papa.

E tutti i giornali di Parigi empii e credenti si occupano di ciò che questo Irate ha detto, e di ciò che l’austero protestante ha risposto, e sono costretti a riferire le parole dell’uno e dell’altro in favore del Papa, e contro la rivoluzione. Il Moniteur è confuso, e vien fuori a dirci che il P. Lacordaire talvolta il baissail trop la voix, e talvolta il la poussait d’un accent trop aigu: meschinissima critica che prova come anche il Moniteur abbia sentito i trionfi del Papa nell’accademia francese.

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Ora facciamo un breve confronto tra le vittorie di Castelfidardo e d’Ancona e questa grande vittoria morale ottenuta dal Papa. Le prime sono dovute ad un numero sterminato di soldati e si spiegano facilmente, e lascieranno poca traccia di se nella storia. Ma Pio IX ridotto a vivere di carità, inerme e spogliato di tutto, che tuttavia si cattiva l’alletto o la devozione degli uomini più dotti, dei protestanti i più austeri, che lo difendono, lo lodano, l’applaudono in mezzo alla più colta società parigina, è un fatto che sarà ricordato presso tutte le generazioni avvenire come una delle più belle glorie del Papato.

Chi avesse detto pochi anni fa, che nell’accademia francese sarebbesi difeso il dominio temporale del Papa, non avrebbe ottenuto credenza. Ed oggidì ve l’attestano tutti i diari parigini. 1 trionfi di S. Paolo nell’Areopago sono rinnovati, ma con questa differenza, che le glorie di Pio IX sono proclamate in una accademia da un austero protestante, e gli accademici non gli dicono: ti ascolteremo un’altra volta, ma confermano tosto con fragorosi applausi la sua parola.

Noi siamo tentati di ripetere colla Chiesa: O felix culpa! Felice la rivoluzione italiana, felici le violenze, le usurpazioni, le tirannie che meritarono tanto onore a Pio IX, tanta gloria al Papato, tanta consolazione ad ogni cuore cattolico!

UNA VITTORIA DI PIO IX

SULLA DIPLOMAZIA DI NAPOLEONE III

(Pubblicato il 15 febbraio 1861).

Dai documenti diplomatici già da noi pubblicati risulta, che sol cominciare del 1860 Napoleone III volea rendere il Papa stipendiato dai Governi, e custodito dalle loro truppe. Epperò aveva fatto scrivere al gabinetto di Vienna, sotto la data del 7 di aprile, per aprirgli questo suo disegno, il quale consisteva nello stabilire tra i debiti dei diversi Stati cattolici un debito annuo da pagarsi al Papa, in compenso delle provincie che gli vennero tolte; e nell’obbligare ciascuno di questi Stati, eccetto l’Austria e la Francia, a tenere presidio in Roma.

Il modo adoperato dal Bonaparte nella manifestazione di questo disegno prova com’egli sentisse internamente che Pio IX non poteva approvarlo. Imperocché ii ministro Thouvenel noi propose direttamente a Roma, ma, gettatone un motto a Monsignor Sacconi, Nunzio Pontificio a Parigi, ne scrisse al rappresentante francese a Vienna, perché s’accordasse prima coll’Austria, riservandosi poi a trattarne col Papa, quando Austria e Francia si fossero intese.

Intanto il ministro Thouvenel mandava al duca di Gramont in Roma il dispaccio che aveva scritto su questo proposito al rappresentante francese a Vienna, avvertendolo però di non dirne parola al Cardinale Antonelli, finché l’Austria non avesse risposto, e il Gramont non fosse stato avvisato della risposta. Ma Monsignor Sacconi, clic sa bene l’uffizio suo, colse al volo quel cenno del sig. Thouvenel, e non frappose indugio a ragguagliarne il Cardinale Antonelli.

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E l’Eminentissimo Segretario di Stato, da quel fedele e oculato ministro che egli è, recossi presso la Santità di Pio IX, e manifestogli il disegno napoleonico. Il Papa non esitò a rigettarlo, e diè ordine al Cardinale Antonelli che dichiarasse prontamente al duca di Gramont questo suo rifiuto, affinché le trattative non procedessero più in lungo inutilmente.

Il Cardinale Antonelli esegui l’ordine ricevuto, e disse al duca di Gramont quanto aveva saputo dal Nunzio Pontificio a Parigi, cioè che Napoleone III divisava di assegnare al Papa una specie di stipendio da parte delle Potenze cattoliche, e che si proponeva di far presidiare Roma dalle loro truppe. Non garbargli per nulla questo disegno; volere innanzi tutto il fatto suo, vale a dire la restituzione delle provincie che gli erano state tolte; quanto al resto, se le Potenze cattoliche bramavano largheggiare col Papa, ristabilissero gli antichi diritti che pagavano alla Chiesa sui benefizi vacanti, e licenziassero la Santa Sede a levare truppe nei loro Regni conforme a’ suoi bisogni.

Il duca di Gramont, che teneva ben nascosto il mistero, restò di stucco nell’udirne ad una volta la proposta e la risposta, e ne scrisse subito al ministro Thouvenel, notando ch’egli non si era lasciato sfuggire parola, ma che l’Eminentissimo Antonelli era venuto in chiaro della cosa pei discorsi tenuti dal Thouvenel medesimo col Nunzio Pontificio a Parigi.

Cotesta storia risulta, ripetiamo, dai documenti pubblicati testò dal Governo francese, dai quali ancora appariscono due cose importantissime: l’una che il gabinetto di Vienna e qualche altro gabinetto cattolico, a cui era stato manifestato il famoso disegno, hanno subito indovinato e predetto il rifiuto del Papa; l’altra come il Governo bonapartista, dopo tale rifiuto, cercasse di mettere Pio IX in voce presso le Corti cattoliche di caparbio, ostinato, avverso ad ogni conciliazione.

Ma il fatto stesso di Vienna, di Portogallo, di Spagna, di Napoli ed altre Corti che predicono il rifiuto del Papa, dimostra che questo ben lungi dall’essere effetto di un’ostinazione caparbia, fu il risultalo di un grande e universale sentimento cattolico, che impediva l’accettazione d’uno stato di cose, il quale avrebbe menomato i diritti della Santa Sede, la sua libertà, la sua dignità, la sua indipendenza. Pio IX non fu ostinato, ma fermo ne’ suoi principii; non caparbio, ma logico nei suoi ragionamenti.

Posto ch’egli avesse accertato il disegno del Bonaparte, ne seguiva un’implicita rinunzia alle Romagne, giacché i Governi doveano stipendiarlo a titolo di compenso. E come il Papa poteva fare una tale rinunzia in vista di un guadagno, quando avea già parecchie volte protestato di non potervi aderire per verun conto e d’essere disposto, per debito di coscienza, a lasciarvi la vita (animam ponere) piuttosto che cedere?

Di poi quale libertà e indipendenza sarebbe ancora restata al Papa se fosse stato costretto di accettare lo stipendio de’ Governi? Noi veggìamo la bella protezione che Napoleone III accorda a Pio IX. Tuttavia i diari del Bonaparte non ri6niscono di lagnarsi del Pontefice, perché ad ogni pie sospinto non incensa l’Imperatore. Che sarebbe mai se cotesto Imperatore anno per anno gli rilasciasse un mandato di pagamento?

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Nel 1855, quando la Spagna stava per violare il concordato stretto colla Santa Sede, questa lagnossene altamente, come era suo diritto e dovere. E allora tosto nel Congresso s’udì una voce temeraria ricordare i servigi resi dalla Spagna a Pio IX nel 1849, quando era esule in Gaeta, e accusare il Pontefice d’ingratitudine. La segreteria di Stato rispondeva che il Papa era riconoscentissimo ai servigi ricevuti, ma che se avesse potuto sol prevedere che cotesti servigi lo costringerebbero a tacere o a dissimulare le ferite recate alla Chiesa, avrebbe amato meglio morire in esilio che pagare sì caramente la sua ristorazione.

Ora a Roma non si dimentica nulla, e Pio IX non volle certo essere stipendiato da un Governo che può ben presto passare nelle mani di chi osava muovergli quest’accusa, e incatenare quella libertà della Chiesa che, a detta di Sant’Anselmo, Dio ama sopra ogni cosa. E ciò che diciamo della Francia e di Spagna si applichi ad ogni altro Governo.

Quel cenno dato così a proposito dal Cardinale Antonelli sul ristabilimento degli antichi diritti canonici sui benefizi vacanti è ricco delle più gravi considerazioni. Se i Governi oggi si obbligano, domani potranno fallire alla propria parola, come fecero per lo innanzi su molti altri punti. Se nulla impedisce al Piemonte di togliere al Papa le Romagne, le Marche e l’Umbria, che cosa gli impedirà di pagargli alla fine di ogni anno lo stipendio? Il Piemonte non doveva al Papa il tributo del calice, e glielo paga? Non ha violato fin dal 1850 il Concordato del 1841 giurato in fede e parola di Re?

Si dirà che Napoleone III costringerebbe in questo caso il Piemonte a pagare il Papa? Non può essere. Il Bonaparte ha stabilito il principio del non intervento. Se ciò nonostante potrebbe imporre al conte di Cavour di sborsare un annuo sussidio al Santo Padre, perché non potrà obbligarlo a restituirgli quelle provincie, su cui il Papa ha diritti incontestabili?

Dall’altra parte noi abbiamo letto testé nell’opuscolo del signor Cayla, intitolato Papa e Imperatore, come si dichiarassero i Vescovi francesi ufficiali dell’impero, e venissero paragonati ai marescialli di Francia, perché pagati sul bilancio. E si voleva che Pio IX si adagiasse a divenire un gran maresciallo di Napoleone III? —

Queste osservazioni riguardano lo stipendio rifiutato nobilmente da Pio IX. Ve ne sono delle non meno gravi relative al presidio di Roma. Si grida tanto contro l’occupazione straniera, e poi Napoleone III vuole perpetuarla in Roma! Il conte Walewski nel Congresso di Parigi dichiarava anormale la condizione degli Stati Pontificii, perché vi erano i Francesi; ed ora il Bonaparte vuole metterci Spagnuoli, Portoghesi, Bavari e Belgi!

Le truppe de’ Governi che fossero in Roma non ci starebbero mai sotto l’autorità esclusiva del Pontefice, ma dipenderebbero sempre dai Governi medesimi, e ciò in faccia al mondo cattolico diminuirebbe quell’indipendenza della Santa Sede, che deve non solo sussistere ma anche apparire.

Inoltre sarebbero inevitabili le gelosie tra Governi e Governi, e ne abbiamo avuto un seggio nell’occupazione avvenuta da parte dell’Austria e della Francia, che diè luogo a tali e tante animosità da indurre Pio IX a licenziare nel 1859 i francesi e gli Austriaci. Le quali animosità consigliavano allo stesso Napoleone III di escludere Francia ed Austria dall’obbligo di tener presidio in Roma.

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E poi noi veggiamo a Francoforte, dove stanno a presidio le truppe de’ diversi Stati della Confederazione Germanica, come difficilmente que’ soldati vi possano convivere, sebbene tutti tedeschi, e come frequentemente levino a rumore quella città che custodiscono.

E in caso di guerra tra Potenza e Potenza quanti impicci e complicazioni non avrebbe prodotto la dimora in Roma dell’esercito d’una delle potenze guerreggianti? E sarebbe stato libero il Papa di profferir sentenza contro l’ingiustizia della guerra, quando chi ingiustamente combatteva avesse avuto i suoi soldati nella capitale del mondo cattolico?

La proposta di Napoleone III, considerata sotto tutti i rispetti, era certo una utopia e forse anche un tranello, e noi siamo pieni di ammirazione e di riconoscenza pel Santo Padre che la rigettò. Sì di riconoscenza, perché rigettandola andò incontro a molti pericoli, ma sostenne la dignità, la libertà, l’indipendenza della Chiesa Cattolica.

E cresce sempre più ne’ fedeli l’obbligo di sostenere colle ofierte volontarie il grande Pio IX, dacchè egli trovasi in tali e tante strettezze per amor nostro, pel bene della Chiesa e pel trionfo della religione.

https://www.eleaml.org/sud/stampa/vol_01_03_margotti_memorie_per_la_storia_dei_nostri_tempi_1865.html

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