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STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (V) (VOL. III)

Posted by on Nov 6, 2024

STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (V) (VOL. III)

SE LE RIFORME AVREBBERO SALVATO PIO IX?

(Pubblicato il 22 febbraio 1861).

In tutte le Note diplomatiche di Napoleone III e principalmente nel libello La France, Rome et l’Italie, scritto recentemente dal sig. La Gueronière, si batte e ribatte questo punto, che se Pio IX avesse dato certe riforme in tempo, le Romagne non gli sarebbero sfuggite, e conserverebbe tuttavia le Marche e l’Umbria. Donde la conseguenza che il Papa è la cagione precipua dei danni che patisce, e chi è causa del suo mal pianga se stesso I

Risponderemo brevemente a quest’accusa, provando 1° che la spogliazione del Papa era un’opera preconcetta da molto tempo; 2° che nessuna riforma avrebbe salvato della rivoluzione l’integrità degli Stati Pontificii; 3° che la maggior parte delle riforme erano già state accordate dal Papa, e che se non accordò le restanti, fu colpa principale del governo francese.

E dapprima Luigi Bonaparte più d’ogni altro dovrebbe sapere, che i rivoluzionari vogliono a qualunque costo spogliare il Papa, come Principe e come Re; e se gli chiedono riforme, si è per raggiungere più facilmente questo loro intento. Imperocché noi troviamo in una biografia di Luigi Napoleone, stampata a Parigi nel 1852 e dedicata a’ suoi 7,500,000 elettori che egli nel 1830 entra dans une vaste conjuration, qui embrassait toute la Péninsule (1).

I congiurati gli avran detto allora, se volevano dal Papa semplici riforme, e se qualunque riforma li avrebbe resi cittadini fedeli.

Inoltre i liberali fin dal 1851 ci cantavano e ricantavano che volevan venire in Italia al punto in cui sono giunti presentemente, e che nessuna riforma li avrebbe arrestati.

(1) Vie et histoire impartiale de Louis Napoléon Bonaparte. Paris, 1852, pag. 17.

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Daniele Manin, che trovavasi a Parigi durante la guerra di Oriente, fu il primo a mandare dalla Senna la parola d’ordine. Preghiamo il lettore di porre una seria attenzione alle nostre citazioni.

Nel 1859 stampossi a Parigi un opuscolo intitolato: Manin et l’Italie, Paguerre éditeur. Quivi è dimostrato che (in dal 1854, notale bene, Manin conosceva il disegno di una guerra da farsi dal Piemonte e dulia Francia all’Austria; e si aggiunge che tra gli scritti del Manin trovossi un programma tracciato al principio della guerra di Oriente, dove, tra gli altri, era questo avviso puntualmente eseguito dalla rivoluzione:

«Finché il Papa è sostenuto a Roma dalle armi francesi, noi non dobbiamo tentare d’insorgere, che questo ci metterebbe in lotta col nostro alleato: ma se la Francia vuoi cacciare il Pupa, noi l’aiuteremo con tutto il nostro cuore» (Manin et l’Italie, pag. 11).

Il Manin pubblicava il suo programma, che era di cacciare dalla Penisola tutti i Re, e riunirla al Piemonte. L’Italia col Re sardo, scriveva nel 1854 e nel 1855; e la sua formola era accettala e commentata da tutti i rivoluzionari, o principalmente da Giorgio Pallavicino, il quale prediceva per filo e per segno ciò che dovea fare e ciò che ha fatto la rivoluzione.

Nel 1854 il Pallavicino scriveva: «Perché le città italiane, colto il momento opportuno, non si solleverebbero gridando: Viva la dinastia di Savoia’!» (Unione del 14 novembre 1854). E più innanzi soggiungeva: «Abbiamo bisogno del Re sardo? Accarezziamolo».

Il Times di Londra applaudiva al disegno, e chiedeva: «Forse che non potrebbe il Piemonte riunire sotto un solo potente Governo i varii Slali della Penisola?» (Times 17 settembre 1855). E col diario inglese univansi il Siede di Parigi e tutti i giornali rivoluzionar! di Torino, i quali fin dal 1855 predicavano rivoluzione ed annessione.

A que’ di Carlo Farini era un povero giornalista che per campar la vita scriveva il Piemonte, passato ora in mani migliori. E il Farini dolevasi che. Manin e Pallavicino rivelassero i disegni delle società secreto. Eccone le parole: «Desta pietà in codesto fringuellare di lingue e di penne il vedere con che insipienza si rivelino progetti, che dovrebbero per lo meno tacersi ai nemici» (Piemonte 20 ottobre 1855).

Il Pallavicino non accettava i consigli del Farini, e continuava a rivelare. Il 15 agosto del 1856 rivelava ciò che è avvenuto nel 1859 e nel 1860. «Al primo rumore dei popoli italiani chiedenti il Regno d’Italia colla Dinastia di Savoia e lo Statuto Piemontese, il Parlamento e l’esercito in Piemonte leveranno il medesimo grido: ed eccoti l’Italia viva persona politica. Come nascerà un’autorità che non sia né Piemontese, né Lombarda, né Veneziana, né Toscana, né Romana, né Napoletana, nè Siciliana, ma Italiana? Colla trasformazione del Parlamento Subalpino in Parlamento Italiano. Che farà il Parlamento Italiano? Poste certe condizioni chieste ed ottenute certe guarentigie il Parlamento Italiano investirà il Re della Dittatura durante la guerra. Che farà il Re Dittatore?

Ci unificherà col dire — Popoli italiani! Stringetevi tutti intorno a me. Obbedite a’ miei commissari che mando ad armarvi (1)».

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Dopo di ciò venga il sig. de La Gueronière a dirci che il Papa ha perdutole Bttg provincie, perché non volle dare le riforme! Il Papa, e il Granduca di Toscana, e i Duchi di Parma e di Modena, dando le riforme sarebbero caduti il giorno dopo, come avvenne al giovine Re di Napoli. Quando il 13 marzo 1854 Idi il Russell dalla Camera dei Comuni raccomandò agii Italiani di stare ubbidienti all’Austria, perché col tempo avrebbe dato loro più privilegi popolari che non potessero desiderare, Daniele Manin rispose: «Non sappiamo che farci della sua umanità e del suo liberalismo: vogliamo essere padroni in casa nostra, Lo scopo che ci proponiamo, ciò che vogliamo tutti senza eccezione, eccolo: Indipendenza completa di tutto il territorio italiano; unione di tutte le parti d’Italia in un sol corpo politico (2)».

Del resto il Papa Pio IX non fu mai alieno dalle riforme; egli cominciò il suo Pontificato riformando; molte riforme avca già accordate, e molte altre era pronto a concedere.

La Patrie di Parigi in un articolo del 1° di aprile 1860, articolo che avea una certa aria semiofficiale, faceva dire dalla Francia all’Inghilterra: vii Papa si dichiarò pronto ad andare ben più in là delle promesse di Gaeta; e non perciò voi cessaste dal chiedere l’annessione delle Romagne al Piemonte!».

Il La Gueronière accenna alla lettera di Napoleone III al Papa, sotto la data del 30 dicembre 1860, come quella che avrebbe potuto salvare le Marche e l’Umbria. Il conte di Cavour fu più sincero.

Di fatto parlando egli alla Camera de’ Deputati nella tornata del 26 di maggio 1860, cercò dimostrare che all’imperatore Napoleone III doveasi cedere la Savoia e Nizza in compenso della non mai abbastanza celebrata lettera del 30 dicembre a Pio IX. Nella qual lettera, dice il conte di Cavour, l’Imperatore dichiarava al Pontefice risolutamente, che il suo dominio sulle Romagne era finito (3).

«Sì, o signori, continuava il conte di Cavour, questa lettera segna un’epoca memorabile nella storia d’Italia; con questa lettera l’Imperatore dei Francesi ha acquistato, a mio credere, un titolo alla riconoscenza degl’Italiani non minore di quello che ottenne sconfiggendo gli Austriaci sulle alture di Solferino [sensazione).

«Sì, ripigliava il conte di Cavour (e preghiamo il lettore di avvertir bene queste parole), sì, perché con quella lettera egli (Napoleone III) metteva fine al regno dei preti, il quale è forse altrettanto dannoso all’Italia della signoria austriaca».

Dunque Napoleone III colla sua lettera del 30 dicembre non voleva solo togliere al Papa le Romagne, ma tutto il regno Pontificio compresa anche Roma. Dunque non si trattava di riforme, bensì di mettere fine al regno del Papa. Dunque i rifiuti del Papa furono giusti, doverosi, santissimi.

E dietro queste confessioni si osa scrivere che il Bonaparte volea conservare

(1) Scritti politici di Giorgio Pallavicino sulla quistione italiana. Torino, stamperia dell’Unione Tipografico Editrice, 1856, pag. 31, 32.

(3) Vedi la Preesi di Parigi del 22 di marzo 1854.

(3) «Io dico, o signori, che quella lettera costituisce per me un gran compenso» Cavour, Atti ufficiati, N. 42

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il dominio temporale del Papa, e che Pio IX ha perduto se stesso! Ma, signor La Gueronière, ci credete forse smemorati o imbecilli? Ah! se il Papa è momentaneamente spoglialo, noi conosciamo chi ne ha la colpa maggiore. Pio IX avvedutissimo si accorse fin dal bel principio dove si voleva andare. Egli non si lasciò cogliere ai tranelli delle riforme, ma con una politica sapientissima obbligò Napoleone III a protestare che volea da lui le riforme e non la rinunzia del suo regno.

E come potea farsi questa protesta? Potea e dovea farsi col ristabilire prima il Pontefice nei suoi diritti, e poi, usando di questi, egli avrebbe accordato le riforme. Se Napoleone III non avversava il dominio temporale del Papa, avrebbe potuto facilmente ristorarlo, e così ottenere le riforme. Invece non volle, epperò fu egli la causa precipua che le maggiori riforme non venissero accordate ai sudditi di Pio IX.

PIO IX FU INGRATO

VERSO NAPOLEONE III?

(Pubblicato il 2 marzo 1861)

Il La Gueronière nel suo libello La Francia, Uomo, e l’Italia getta contro il nostro Santo Padre due accuse principali, traducendolo come un testardo ed un ingrato. A questo due accuse risponde il Vescovo di Poitiers. Ecco quanto egli dice sull’ingratitudine di Pio IX. Alle osservazioni dell’ottimo Prelato non si potea dare che una risposta sola, un processo per abuso.

«Che dirò io dell’accusa d’ingratitudine? Il Papato ingrato? È la prima volta che questo aggettivo è accoppiato con questo sostantivo. La storia da a sì fatto accoppiamento di parole una solenne smentita. Si capisce egli questo? Il Papato dimentico di benefizi ricevuti, il Papato ingiusto verso un protettore fortunato e possente, esso che ha sempre teso una mano soccorrevole e generosa ai suoi avversar! caduti nell’infortunio? Ed è un difensore officioso della dinastia napoleonica che ha la memoria sì corta da muover questa doglianza! Ah! sulla spoglia mortale d’un fratello dell’Imperatore, una voce che si è estinta poc’anzi, e le cui parole tutte non possono essere ratificate, ha per lo meno lavato per sempre la Sovranità Pontificia dal delitto inventato oggidì contro di lei! (1).

«Egli o vero, non si traila più di l’io VII, ma di l’io IX. E l’anima di questo che per la prima volta sarebbe stata invasa da mi sentimento vile e vergognoso, da un vizio fino a lui estraneo alla dinastia dei Pontefici. Egli è per l’io IX e in occasione del presente Sovrano della Francia che l’ingratitudine si sarebbe infine tardivamente assisa sulla cattedra del Vicario di Gesti Cristo.

(1) Monsignor Pie allude all’orazione funebre dell’ex-re Gerolamo, fratello di Napoleone I, pronunziata da Monsignor Ccbht, Vescovo di Trojes, nella quale si fece risaltare la generosità del Sommo Pontefice verso i membri della famiglia imperiale proscritti da quasi tutta l’Europa.

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Permetteteci qui, nostri carissimi fratelli, d’invocare le nostre proprie io reminiscenze. Noi saremo semplici istorici e narratori di quanto fummo gli uditori e i testimoni.

«Era la quarta domenica di quaresima dell’anno 1856. In quel giorno dopo il cerimoniale apostolico, il Pontefice Romano benedice una rosa d’oro che ha in costume d’inviare a qualche Principessa sovrana che per se stessa o pe’ suoi abbia ben meritato della Chiesa. Pio IX destinò questo sacro oggetto all’Imperatrice dei Francesi, allora incinta d’un figlio, di cui l’imperatore avea pregato il Papa d’essere padrino. Noi fummo spettatori della cerimonia, e noi potemmo leggere nello sguardo del Pontefice, nel suo gesto, nell’accento della sua preghiera i sentimenti di benevolenza che l’animavano. Due settimane dopo, era la domenica delle Palme, il Papa distribuiva i rami benedetti ai dignitari della Chiesa, ai principi romani, agli ambasciatori delle Potenze, agli ufficiali della guarnigione francese. In mezzo alla sacra funzione, un cerimoniere recò all’orecchio del Pontefice il dispaccio che annunziava la nascita del Principe imperiale. Noi udimmo la risposta uscita immediatamente dal suo cuore, le parole di benedizione inviate al neonato, ai suoi genitori e alla Francia; finalmente tre giorni dopo noi raccogliemmo dalle sue labbra l’impressione che avea serbata di questa nascila principesca, la cui novella si era mescolata ai canti dell’Osanna e alla marcia trionfale del rappresentante del Cristo Re, scortato dall’esercito francese, sotto le volte della gran basilica Papale… Sì, noi abbiam viste ed intese queste cose, e noi proviamo un fremito interno, quando a’ nostri giorni si taccia di malevolenza questo Pontefice che noi trovammo fiducioso a sì gran segno… Ohimè! erano appena pochi giorni passati, che le desolanti parole pronunziate al Congresso di Parigi avevano confermato terribili apprensioni… Con tutto ciò il suo Legato non mancò di venire, carico di benedizioni e di presenti, a battezzare e tenere al fonte in suo nome il figlio dell’Imperatore, divenuto suo figlio spirituale… d’allora in poi il magnanimo Pontefice abbeverato di tristezza e di dolore non ha cessato di essere generoso e riconoscente, e non ha ommesso veruna occasione di lodare tutto ciò che poteva parere meritevole di elogio. No, no, Signore Gesù, il vostro Vicario in terra non avrà mai la disgrazia d’essere ingrato!… Noi confidiamo che egli pure non avrà più il dolore di non fare che degli ingrati. Egli è per questo che osiamo pensare che l’autore del libello abbia infallibilmente ferito nei loro sentimenti più delicati e più vivi coloro che ha voluto servire.

E tutto scritto su questo stile il mandamento del Vescovo di Poitiers. E noi possiam dire che sia stato messo sotto processo non perché turbò le coscienze, ma perché turbò la Gueronière, ed i suoi fautori.

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fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa/vol_01_03_margotti_memorie_per_la_storia_dei_nostri_tempi_1865.html

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