STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI (VII) (VOL. III)
LE LODI DI PIO IX CANTATE DA ANGELO BROFFERIO CON ACCOMPAGNAMENTO DI NORBERTO UOSA
(Pubblicato l’11 agosto 1861).
Noi abbiamo contratto presso i nostri lettori la dolcissima obbligazione di scrivere sempre nelle domeniche e nelle feste un articolo di lode o in difesa di Pio IX, né pel succedersi de’ giorni domenicali e festivi ci venne mai meno lo argomento, che i figli trovano sempre alcun pregio da ammirare e commendare nel loro padre, e quando questo padre chiamasi Pio IX, la materia del pano’ girico sovrabbonda così che non s’ha da deplorare la mancanza delle cose lodevoli, ma invece la ristrettezza dello spazio che non consente di tutte rassegnarle all’ammirazione del lettore.
Non ostante oggidì nel prendere la penna per mettere mano a questa, che è la pili soave delle nostre fatiche, ci sopravenne un pensiero, e come a dire un’ispirazione: — E perché non cedere il posto ad Angelo Brofferio, nome assai noto in Italia, e pigliarlo questa volta a nostro collaboratore nel cantare le lodi di Pio IX?
Forse che Gesù Cristo non fu anche lodato durante la sua vita mortale da certi esseri cui il Brofferio serve colle sue scritture e coi racconti de’ suoi tempi; i quali esseri exibant clamantia et dicentia quia tu es Christus filius Dei vivi?
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— Detto fatto, ci provvedemmo dal Messaggiere Torinese, giornale diretto da Angelo Brofferio, e che vedeva la luce nel 1847 e 1848 coll’epigrafe: Io parlo per ver dire. E, apertolo appena, ne abbiam letto alcuni articoli sottoscritti da Brofferio stesso, e il panegirico fu bello e composto.
«Se v’è paese, scrisse Brofferio, dove il progresso non sia una vuota parola, è certamente negli Stati Romani, dove sotto gli auspizii del Santissimo Pio IX, le pubbliche miserie vanno scomparendo e i diritti e le ragioni dell’umanità vanno ogni giorno riconquistando la sacra autorità che loro compete» (Messaggiere Torinese, N. 6, del 6 febbraio 1847).
E Brofferio citava le meritate lodi tributate all’inclito Pontefice dell’avvocato A. Pizzoli di Bologna in una sua orazione alla Santità di Papa Pio IX. «Voi, diceva il Pizzoli al Pontefice, voi la umanità dei più grandi Principi emulando e le vie percorrendo umilmente, abituaste il vostro popolo a venerarvi non per lo sfarzo della pompa regale, ma per lo splendore delle vostre virtù: Voi le gloriose insegne del merito parcamente distribuendo ai più degni, all’albagia del portarle sostituiste nei buoni la generosa emulazione del meritarle; Voi quelle commissioni speciali aboliste, che forse la guerra giustifica, ma che le nazioni pacifiche mirano raccapricciando, come farebbero delle torture e dei roghi, e che durando ancora, avrebbero questa nostra carissima patria disertata e distrutta: Voi le ferrate carceri aprendo a coloro che, più che di altro, colpevoli di non aver saputo per giovanile impazienza aspettarvi, avete renduto alle cadenti madri, alle vedovi spose, ai figli orfani, alle città lagrimanti, al vostro trono medesimo migliaia di figli, di mariti, di padri, di cittadini, di sudditi».
Che se in questa orazione scritta e pubblicata dal Pizzoli nel 1846 denuncianvasi al Pontefice alcuni abusi negli Stati Papali, l’avvocato Brofferio, nel febbraio del 1847, diceva: «Mentre noi scriviamo gran parte di questi odiati abusi già più non esiste, per cui vuoisi, dopo immensa gratitudine verso il Principe (Pio IX) che li ha cancellati, dar lode anche all’animoso scrittore che li ha denunciati».
E i due avvocati, Brofferio e Pizzoli, convenivano in questa sentenza che, l’esser Papa, non danneggiava, ma potentemente aiutava il magistero del Principe, e a Pio IX dicevano parlando delle intraprese riforme: «L’opera è grande, ma in voi più grande è il potere, che solo fra i Sovrani del mondo avete il doppio regno dei cuori e delle coscienze» (Messaggiere Torinese, loc. cit.).
«Tutta Italia, soggiungeva Brofferio, il 9 di ottobre 1847, tutta Italia echeggia dell’inno a Pio IX. Dal faro di Messina alle alture del Cenisio, non vi è città, non villaggio, non casale, dove l’inno di Pio IX non suoni sulle labbra delle commosse popolazioni». E dopo aver deplorato che, mentre i Francesi avevano inni nazionali, e l’Inghilterra il Gode save the king, e la Spagna l’inno di Riego, e la Polonia la Varsovienne, e la Grecia l’inno di Riga, l’Italia non ne avesse nessuno, Angiolo Brofferio ripigliava cosi:
«Ora ecco l’inno di Pio IX farsi ad un tratto l’espressione dei voti, l’interprete delle speranze di tutta intera l’Italia… Qual nome più grande di quello di Pio IX poteva essere auspice del novello canto, qual popolo più generoso del romano popolo poteva esserne autore?
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Quindi non si ebbe d’uopo né di scritti, né di parole, per persuadere il popolo italiano a ricevere l’inno di Pio IX come inno nazionale, il popolo comprese da sè, e l’esultante canto di Roma divenne italiano canto» (Messaggiere Torinese, N. 41).
E nel numero successivo Angiolo Brofferio scrivendo dell’opera di Alfonso Balleydier, intitolata: Roma e Pio IX, diceva: «È un inno alla maestà, alla grandezza, alla carità, al genio, alla Santità di Pio IX, festoso inno che dalla terra francese viene a far coro alle mille voci del popolo italiano… Né dai Francesi, osservava giustamente Brofferio, né da nessun’altra nazione del mondo han d’uopo gli Italiani di apprendere ad amare, a venerare, a benedire Pio IX; ma pure chi desidera avere un’ordinata esposizione dei casi di Roma dopo l’innalzamento di Pio IX alla cattedra di S. Pietro, ed una compiuta biografia del supremo Gerarca, troverà soddisfatti in questo libro i suoi voti».
Il Balleydier avca scritto: «Pio IX rappresentante di Gesù Cristo sopra la terra possiede, ad esempio del suo divino maestro, un cuore avampante di bontà e di affetto per amare ed operare il bene; Pio IX, come il Salvatore, è tutto carità e misericordia; Pio IX, la prima autorità del mondo, cinge la fronte della triplice corona e stringe nella destra lo scettro dinanzi a cui s’inchinano popoli e re». E Brofferio commentava: «Qual è de’ nostri fratelli italiani, che non abbia scolpiti in fondo all’anima questi sentimenti?… Ed è per questo che piace a tutti di sentirli ripetere ad ogni momento per dare sfogo all’impeto di entusiasmo da cui ci sentiamo accesi». Speriamo che piacerà a Brofferio ed a tutti di sentire nel 1861 riferiti questi stessi sentimenti nell’armonia!
È vero che oggidì non si può più ripetere ciò che Brofferio scriveva il 20 di novembre del 1847: «Noi siamo riuniti, rinnovati, ribenedetti da quell’uomo di Dio, da Pio IX»; ma si può dire a consolazione di coloro che restarono fedeli al Papa ciò che Brofferio allora soggiungeva: Speriamo in Dio! Sì, speriamo in Dio:
… Col ciel sposata Roma
Nodo che non si solve,
All’ombra della Croce e sotto il segno
Di quel che la piantò sui sette colli,
Rinnovellava più felice regno:
Il popolo di Cristo,
Di molto sangue e di dolore acquisto,
Questa prole novella
E barbara e latina
In tormenti temprata ed in speranze,
Serbò Italia regina,
E Roma fe’ più stabile e più bella (1).
Il 15 dicembre del 1847 Brofferio celebrando le opere magnanime di Pio IX avvertiva che «è profanazione far discendere il santo nome di Pio IX nelle polemiche dei giornali».
(1) Canzone alla S. di N. S. Pio IX nel Messaggiere Torinese del 6 di marzo 1847.
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E che sarà egli l’insultarlo, svillaneggiarlo, bestemmiarlo, calunniarlo con un’audacia infernale? Il 18 di settembre dello stesso anno Brofferio avea cantato le sante intenzioni di Pio IX. E il 4 di settembre: «A Roma il gran Pio chiama sopra di sé l’amore, la maraviglia, la benedizione di tutti gli uomini; svegliansi i Romani per rendersi degni del sublime Pontefice che Dio nella sua clemenza, pose a custodia del Campidoglio»; e il 9 di ottobre: «ormai si può dire che tanti sieno gli inni a Pio IX quanti sono stati i suoi benefici provvedimenti»; e iM6 dello stesso mese: il progresso che avea deviato dalle sue fonti, il progresso che alcuni falsi apostoli avevano adulterato, torna ad avere una significazione, colla quale ogni buon cittadino può senza diffidenza riconciliarsi. Ringraziamone il cielo e Pio IX». E finalmente il 30 di ottobre Brofferio lodando Ciciruacchio che «potè alzarsi tant’alto da meritare l’affetto di Pio IX» citava questa sua ottavetta che il popolano improvvisava in piazza Navona;
Oggi per il gran Pio semo felici,
Né dai briganti (1) più saremo offesi;
Oggi per il gran Pio siam tutti amici,
E amici avemo ancora i Bolognesi.
Se alcuno, vivaddio! de’ rei nemici
Fa un passo avanti, noi già semo intesi.
Evviva le provincie e Roma madre,
Viva l’Italia e viva il Santo Padre.
Noi potremmo continuare ancora questo panegirico di Angiolo Brofferio a Pio IX, potremmo dire come Brofferio annunziasse che sotto i piedi del gran Pio rimase un’altra volta conculcato lo spirito d’abisso e che perduta la battaglia «come lion per fame egli rugia» bestemmiando l’Eterno; potremmo dire (2)… ma ogni predicatore che sale sul pergamo ha un chierico che l’accompagna, e a Brofferio noi dobbiamo mettere dietro Norberto Rosa, antico scrittore del Messaggiere Torinese, e scrittore attuale della Gazzetta del Popolo.
«O voi adunque, diceva Norberto Rosa il 18 di settembre del 1847, o voi adunque che amate Pio IX (e chi non lo ama?) recatevi tutti quanti dall’editore Gioacchino Buglione e compratevi il quadro di cui vi ho parlato». Ed il quadro era «l’opera della divina Provvidenza rivelata colla nascita e l’avvenimento al soglio Pontificio di Sua Santità il Pontefice regnante».
E Norberto Rosa andava a Roma, a «Roma che torna allo splendore antico».
Nota bene che briganti erano i nemici di Pio IX.
Nel Messaggere Torinese dell’11 di settembre 1847 leggiamo questa noti-zia: «L’entusiasmo per Pio IX si manifesta in tutte le provincie del Piemonte in maniera straordinaria. Appena giunsero in Torino parecchie centinaia di fazzoletti coi colori della famiglia Mastai e detti alla Pio IX, ne furono esausti i fondachi: tutti i Torinesi vanno festosi di ornarsi dei colori che sono interpreti della devozione, dell’ossequio e dell’ammirazione che ardono in cuore di tutti verso il più grande de’ Pontefici». Nello stesso numero si racconta che il Professore Gatti in Asti, insieme con altri, s’adornava di fiori crocei o bianchi intrecciandone ad un tempo ghirlande quasi avessero ad incoronare la grandezza, il valore, la maestà del Beatissimo Padre».
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e di là cantava in un suo sonetto: «Io venni a Roma per veder Pio IX». E un’altra volta:
Ho visto Genova,
Le venerabili
Ho visto Roma
Mani le pose,
E il gran Pontefice
E fa ch’ella operi
Che nella chioma
Celesti cose.
E Brofferio e Norberto Rosa, l’uno a Torino l’altro a Roma, cantavano: «— Dio si rivela nelle opere di Pio IX. — Sono raccolte intorno alla cattedra di S. Pietro le fortune d’Italia. — Pio IX è un grande Pontefice che sarà forse il più grande dei regnanti. — Gli Italiani sono da Lei chiamati all’antico splendore, — Per Lui la sedia apostolica diventerà l’astro dell’universo, e un grido unanime s’innalzerà sopra la terra (1)».
PIO IX DIFESO DA BETTINO RICASOLI CONTRO IL MIMSTRO FRANCESE THOUVENEL
(Pubblicalo il 15 dicembre 1861).
È riservato alla verità ed alla giustizia di trionfare coll’aiuto de’ loro medesimi nemici, e di averli a difensori nell’alto istesso che tentano di oppugnarle. Così Gesti Cristo era proclamato giusto da quel Giuda che l’avea tradito, ed innocente da Pilato che avealo condannato a’ flagelli, e R<Ì de’ Giudei dalla sentenza di morte scrittagli sul patibolo, e figliuolo di Dio dal Centurione che lo avea trapassato colla lancia.
E il Vicario di Gesù Cristo, il grande Pio IX, fu proclamato dal conte di Cavour benemerito del Cattolicismo per le sue resistenze, e logico e franca dal deputato Bertani, e fermo ed invincibile dal deputato Ferrari, e potenza morale, immensa, straordinaria, e tal quale mai non è stata e non può essere simile nel mondo dal dep. D’Ondes Reggio.
Ma la più bella difesa di Pio IX fu detta dal barone Dettino Ricasoli, il quale tolse a sostenere le parti del nostro Santo Padre contro il ministro dell’Imperatore dei Francesi, il signor Thouvenel, ed in un punto del maggiore rilievo, da cui dipende tutù la sostanza di quella che suole chiamarsi questione romana, e dovrebbe dirsi più giustamente questione cattolica.
Il punto, a cui accenniamo, si è se la questione romana sia questione religiosa, o puramente questione politica. Il signor Thouvenel pretendeva nelle sue Note che era pura e pretta questione politica, e che perciò il Santo Padre nelle sue Allocuzioni, e il Cardinale Antonelli ne’ suoi dispacci, confondevano lo spirituale col temporale. Il barone Bellino Ricasoli ha smentito il signor Thouvenel ed ha dato ragione a Pio IX, sostenendo che la questione romana tocca le credenze di tutto il mondo cattolico, ed è questione politica e religiosa insieme. Meniamo a riscontro la parole di Thouvenel e quelle di Ricasoli.
(1) Messaggere Torinese, N. 46, 13 novembre 1847.
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Circolare di Thouvenel agli agenti diplomatici, e dispaccio al Duca di Granoni del 12 di febbraio del 1860.Pio IX ha trasportato direttamente sul terreno della religione una questione che appartiene innanzi tutto all’ordine temporale… Checché possa dire lo spirito di parte non si tratta tra il governo di Sua Santità e quello dell’Imperatore che d’una questione puramente temporale…A giorni nostri la separazione si è compiuta tra i due domini dell’ordine religioso e del l’ordine politico e civile… Se invece la Santa Sede si decidesse finalmente a lasciare la ragione religiosa, in cui la questione non è veramente collocata per tornare sul terreno degli interessi temporali soli impegnati nella discussione, forse arrecherebbe, benché sia ben tardi, un cangiamento favorevole alla propria causa. In ogni caso permetterebbe al governo dell’Imperatore di prestare il suo appoggio ad una politica conciliante e ragionevole (Costitutionnel del 15 febbraio 1860 e Moniteur del 17 febbraio 1860). | Discorso del barone Bettino Ricasoli detto alla Camera dei Deputati nella tornata del 6 dicembre 1861.La questione romana non è unicamente politica, che si possa trattare coi soliti mezzi diplomatici; è la questione più grande che i tempi moderni abbiano sollevato. Da un lato tiene alla Costituzione d’Italia, dall’altro tocca alle credenze di tutto il mondo cattolico. L’Italia vi è direttamente interessata. Alla Francia come grande Potenza, come quella che sia a capo di ogni progresso umano, come amica d’Italia, come Potenza cattolica, tocca il compito di aiutarci alla soluzione di questo grande argomento. La trasformazione del Papato, signori, dee farsi, cred’io, coll’opera d’Italia aiutatrice la Francia. Se dunque la questione romana è politica e religiosa insieme, parmi ne consegua per naturale e logica deduzione che non debba cercarsi di scioglierla con mezzi violenti… E poi quando anche la violenza restasse vittoriosa, credono forse, o signori, che la questione sarebbe sciolta? A dir vero ne dubiterei assai (Atti Uff. della Camera, N. 345, pag. 1334, col. 2). |
Il lettore ha visto come le parole del ministro Thouvenel sieno in totale opposizione con quelle del ministro Ricasoli e viceversa. Thouvenel dice la questione romana puramente temporale; Ricasoli dichiara che tocca alle credenze di tutto il mondo cattolico; Thouvenel sostiene che gl’interessi temporali sono i soli impegnati nella discussione della questione romana, Ricasoli accerta che la questione romana è politica e religiosa insieme; Thouvenel asserisce che la Francia non può prestare il suo appoggio al Papa nella questione romana, se non si decide a lasciare la ragione religiosa; Ricasoli per converso decide che alla Francia tocca intervenire nella questione romana, come Potenza cattolica.
E Ricasoli ha ragione, perché ripete ciò che venne dichiarato dal Santo Padre Pio IX nelle sue allocuzioni; e Thouvenel ha torto. Bravo, signor Ricasoli! Parlate sempre come avete parlato alla Camera elettiva il sei dicembre, e noi vi loderemo.
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Difendete il nostro Santo Padre contro il ministro francese che osò fargli impudentemente la predica e insegnargli la teologia, e noi difenderemo voi, signor Bellino, contro i Nicotera e gli Avezzana.
Né state a temere che Napoleone III vi faccia fare il capitombolo, poiché vi levate contro il suo ministro. Se egli vi movesse qualche rimprovero su questo punto rispondetegli così: — Maestà Imperiale, se io ho detto che la questione romana, è principalmente una questione cattolica, me l’avete insegnato voi quando il 20 ottobre del 1859 scriveste al Re di Sardegna, che foste obbligato a stringere a Villafranca un trattato che non ledesse il sentimento cattolico, e conchiudeste: coll’accordar e al Santo Padre la presidenza onoraria della Confederazione Italiana, il sentimento religioso dell’Europa cattolica sarà soddisfatto. Dunque voi pure, o Maestà Imperiale, voi pure diceste prima di me che la questione romana tocca alle credenze di tutto il mondo cattolico. —
Speriamo che ornai questa tesi sarà stabilita irremovibilmente coi nostri avversar!: la questione romana è principalmente questione religiosa. L’ha detto Napoleone III il 20 ottobre del 1859; l’ha detto il ministro Ricasoli il 6 dicembre 1861, e pochi giorni prima l’avea detto il deputalo Ferrari, il 2 dicembre: La questione romana abbraccia il mondo colla religione e l’universo intero con Dio (Atti ufficiali N° 337, pag. 1301, col 2).
Ora da questo principio divenuto incontrastabile leviamo le conseguenze, che ne derivano spontaneamente.
Conseguenza 1a. Se la questione romana è questione principalmente cattolica, tocca in primo luogo al Capo della Chiesa il risolverla, e non si può senza sacrilegio oppugnare la sua decisione. Coloro che rigettano l’autorità del Papa in una questione religiosa si chiamano scismatici.
Conseguenza 2a. Se la questione romana è questione principalmente cattolica, appartiene ai Vescovi darne il loro avviso, e tutti i buoni cattolici debbono prendere in altissima considerazione le loro lettere pastorali, e uniformare alle medesime i proprii sentimenti.
Conseguenza 3a. Se la questione romana è questione principalmente cattolica, ha fatto ottimamente il nostro Santo Padre Pio IX quando ha difeso colle censure la causa della Chiesa, e lo calunniano coloro i quali affermano che ha abusato delle armi spirituali per una questione temporale. Gli scomunicali sono bene scomunicati.
Conseguenza 4a. Se la questione romana è questione principalmente cattolica, sono ridicoli gli ebrei dell’Opinione di Torino e della Arsione di Firenze, quando pretendono di scioglierla coi loro articoli. Jacob di via della Rocca, ed Esau di via Faenza non ci hanno che vedere, come noi cattolici non abbiamo nulla da fare nelle loro sinagoghe.
Conseguenza 5a. Se III questione romana è questione principalmente cattolica, è falso il principio del non intervento stabilito da Napoleone III. Tutte le nazioni cattoliche hanno diritto e dovere di soccorrere il Capo del Cattolicismo. Il sig. Ricasoli riconoscendo questo diritto e dovere nella Francia come Potenza cattolica, lo riconosce in pari tempo in tutte le altre cattoliche Potenze.
Conseguenza 6a. Se la questione romana è questione principalmente cattolica, tutti i cattolici debbono concorrere colla penna, coll’opera, col danaro
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per soccorrere il Santo Padre, affinchè in lui trionfi la causa del Cattolicismo, e la questione romana conservi quella soluzione che, a detta dello stesso barone Ricasoli, ha ottenuto da dieci secoli.
Conseguenza 7a. Se la questione romana è questione principalmente cattolica, sono tristi quei preti e quei frati, tristissimi quei cattolici, i quali si schierano contro il Capo del Cattolicismo, e vogliono sciogliere la questione romana in un senso opposto a quello in cui vuoi scioglierla il Papa e la Chiesa.
Conseguenza 8a. Se la questione romana è questione principalmente cattolica, sono benemeriti del Cattolicismo coloro che spesero la vita in difesa del Papa, sono veri martiri gli eroi di Castelfidardo, e lasciamo al lettore il decidere che cosa si debba pensare di Cavour, di Ricasoli e de’ loro partigiani.
Tulle queste conseguenze discendono a filo di logica dall’emesso principio, e noi le sottomettiamo alle riflessioni degli onesti, degli uomini di buona fede, se pure ve ne sono ancora tra quelli che stanno contro il nostro Santo Padre Pio IX.
Veggasi intanto come la verità viene a galla, e come la causa del Romano Pontefice trionfa per le confessioni medesime de’ suoi avversari. Noi possiamo ripetere ciò che in un momento di fede scriveva lo stesso Voltaire: «Il est consolant de voir les incrédules nous servir tous comme a l’envi alors qu’ils croient nous nuire». Mentre Bettino Ricasoli pigliava a parlare per combattere il Papa, lo difendeva. «La plume des incredules est comme la lance d’Achille, qui guérissait les blessures qu’elle faisait»; e se noi avessimo tempo vorremmo scrivere un’apologia del dominio temporale del Papa tolta di peso dagli Atti Ufficiali del Parlamento, e principalmente dalle tornale dirette per oppugnarlo. «Nous marchons a la vérité sur le dos et sur le ventre de nos ennemis (1)»; e Ricasoli, e Cavour, e Bertani, e Ferrari non fecero e non faranno altro che servir di piedestallo alla Maestà dell’immortale Pio IX.
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