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STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI XI (VOL. II)

Posted by on Ott 17, 2024

STORIA DE’ NOSTRI TEMPI DAL CONGRESSO DI PARIGI NEL 1856 AI GIORNI NOSTRI DI GIACOMO MARGOTTI XI (VOL. II)

LE RIVINCITE DEL GUARDASIGILLI E LA PERSECUZIONE DELLA CHIESA

(Pubblicato il 6 febbraio 1863).

Come ci raccontano dei briganti, che arrestano, squattrinano, schiaffeggiano i liberali per non poterli cacciare dal reame di Napoli, così il ministro di grazia e giustizia tartassa, tormenta, processa i Vescovi, non potendo fare altrettanto col Vescovo dei Vescovi, e vedendosi costretto a riconoscerlo e a venerarlo trionfante e glorioso nella sua Roma.

Enumeriamo semplicemente i fatti che si raccolgono dai giornali d’oggi. La Corte di Cassazione di Napoli confermò la condanna del Vescovo di Nardò, reo di non aver detto un Oremus. E uno. — Fu condannato il can. Siciliani, reo perimenti dell’ommissione di un Oremus, E due. — L’abate Cesare de Pascalis, curato di S. Mafia della Porta a Lecce, fu messo in prigione. E tre. -Monsignor Melimi, Vescovo di Modigliana, fu processato per aver favorito la diserzione. Ma la Corte reale di Firenze lo dichiarò innocente. E quattro. — Vennero minacciati i Domenicani di Bologna se continuavano le loro prediche contro i protestanti. E cinque. — Fu insultato il Cardinale Arcivescovo di Ancona. E sei. — La salute di Monsignor Canzi, Vicario Capitolare a Bologna, imprigionato a Pallanza, soffre ogni giorno, e i libertini ne godono. E sette. — Furono invasi il convento dei Crociferi, l’ospizio di S. Maria, e l’ospizio dei Cappuccini di Castellammare. E otto. — Si insulta da un deputato il Cardinale De Angelis, da trenta mesi prigioniero in Torino per la sua devozione al Papa (Casa del Popolo, 5 febbraio). E nove. Si fa un processo a Monsignor Vespasiano, Vescovo di Fano. La Corte d’Assise di Pesaro lo assolve. E dieci. — Il procuratore generale del Re scrive una circolare sotto la data di Torino, 16 gennaio, contro il Papa e i Vescovi, e in favore de’ passagliani. E undici. — Monsignor Limberti, Arcivescovo di Firenze, è tormentato per aver sospeso alcuni preti. E dodici.

Il decimoterzo caso cel annunzia l’Opinione del 5 di febbraio. Monsignor Caccia, Vicario Capitolare di Milano, nominò tre canonici, che non piacquero al ministro Pisanelli. Il ministro Pisanelli nominò altri tre canonici, che non piacquero a Monsignor Caccia. Ora credereste?

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Si vuoi procedere contro Monsignor Caccia, reo di non avere accettato i canonici Pisanelliani. E il Consiglio di Stato, ci dice l’Opinione, il Consiglio di Stato approva!

Per condannare. questi procedimenti, e dimostrare che sono proprio tirannie, non abbiamo da far altro che ricorrere alle tornate del Parlamento, e invocare l’autorità dei deputati e de’ senatori. A voi, Gioacchino Napoleone Pepoli, a voi che andate a rappresentare l’Italia presso la Corte di Pietroburgo. Che cosa vi sembra del sig. Pisanelli?

Il Pepoli ha parlato nella tornata della Camera dei Deputati del 26 di marzo 1861, ed ha detto: «Abbiamo usato le mille volte dire ai nostri avversar!, anzi abbiamo loro rammentato quelle parole del Vangelo: Rendete a Cesare ciò che è di Cesare; ma io credo che, perché la soluzione sia completa, bisogna rammentarsi anche dell’altra parte, cioè: Rendete a Dio ciò che è di Dio. Purtroppo esistono dei governi; vi sono dei ministeri vi sono degli uomini liberali, i quali stimano utili alla libertà le leggi che vincolano l’autorità religiosa, che credono utile il Clero salariato, a cui aggrada far cantare colla violenza il Te Deum ai Vescovi ed agli Arcivescovi; vi sono dei governi, infine, degli uomini liberali, i quali credono che il modello d’un governo liberale sia quello che colloca il gendarme accanto all’altare «(Atti Uff. n.40, pag. 141).

E nella stessa tornata del 26 di marzo il deputato BonCompagni facea larghe promesse, e dicea ai cattolici del mondo civile, che sotto il reggime dei Farini, dei Pisanelli, dei Peruzzi «potrà una volta essere esaudita la prece che la Chiesa Cattolica innalza a Dio: secura tibi serviat libertate» (Atti Uff. n. 40, p. 144).

E siccome il Pisanelli prediligo i Napoletani, così noi gli citeremo l’autorità del senatore Vacca; il quale nella tornata del 9 aprile 1861 diceva: «Voi lo sapete, o signori, il Gallicanismo, il Giuseppismo, il Giannonismo non furono che servitù imposte dalla podestà civile al Papa». E parlava di gravezze, di servitù che la podestà civile avea imposto alla Chiesa, mettendo tra queste «gli exequatur, gli appelli ab abusu, la presentazione e la nomina dei Vescovi, ed in genere tutti i diritti di regalia, che si traducono in servitù imposte alla Chiesa» (Atti Uff. del Senato, n. 32, pag. 104).

Il conte Camillo di Cavour nella stessa tornata del Senato riprovava solennemente i rivoluzionari francesi, che dopo i principii dell’ottantanove osarono «imporre una costituzione civile al Clero in opposizione assoluta ai grandi principii della libertà della Chiesa»; che ardirono «usurpare i diritti del Sovrano Pontefice, negare ai Papi il diritto d’investitura, e richiedete dai membri del sacerdozio un giuramento contrario alla loro coscienza». E il conte di Cavour soggiungeva: «Dobbiamo dichiarare non più conformi allo spirito dei tempi le dottrine Giuseppine e Leopoldine», e prometteva Chiesa libera in libero Stato!

Noi ridevamo alloca di quelle promesse, gridando a tutti di non fidarsene, perché la rivoluzione essendo essenzialmente anticristiana, quando pure avesse voluto, non avrebbe potuto dare libertà alla Chiesa.

La rivoluzione non può agire contro la propria natura, come i gravi non possono ascendere, ed il fuoco non può non bruciare.

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E di questa nostra diffidenza il deputato Ricciardi si offendeva, scrivendoci una lettera tutta piena di considerazioni ascetiche e mistiche; ma il conte di Cavour, parlando nel Senato del regno, confessava che il principio di libertà offerto da lui e da’ suoi «non poteva essere accolto senza esitanza, senza risvegliare certi dubbi e timori». E ripigliava: «Non è da stupire se la Chiesa, se il Cattolicismo accoglie con tanta diffidenza un principio, che negli stessi protestanti non ha ancora ricevuto intera la sua applicazione». E da ultimo, ricordando la storia, il conte di Cavour conchiudeva: «Abbiam visto pur troppo spesse volte i partiti liberali, dopo di avere combattuto per ottenere la distruzione di antichi sistemi, per conquistare in nome della libertà un principio, conseguito il trionfo, fare uso del principio stesso per opprimere coloro, contro i quali avevano combattuto» (Atti Uff. del Senato, tornata del 9 di aprile 1861, n. 32, pag. 106).

Ciò avviene precisamente a’ giorni nostri. I rivoluzionari che invocavano la libertà contro gli antichi governi, danno la schiavitù; essi che si lagnavano delle prigioni, imprigionano a frotte, a centinaia, a migliaia i cittadini; essi che lamentavano le misure di polizia, mettono in carcere i Vescovi e i Cardinali per simili misure; essi che deploravano la pena di morte, e le confische, e gli esilii, bandiscono, confiscano, fucilano a mano salva.

Ma la Chiesa cattolica principalmente è fatta segno in Italia alla tirannia libertina; né mai avvenne che fosse così angustiata, tribolata, spogliata, perseguitata come dopo l’invenzione della famosa formola libera Chiesa in libero Stato. La Gazzetta del Popolo, giorni sono, confessò che questo assioma non era altro che una sciarada del conte di Cavour. Tuttavia la sciarada potea indovinarsi a prima vista, e non ha dato da studiare che ai baggiani. Oggidì il signor Pisanelli si è incaricato di spiegare la sciarada a tutto il mondo cattolico.

Sappiam bene che cosa ci vogliono dire gli avversArt. Ci vogliono dire che questa persecuzione contro la Chiesa avviene, perché il Papa resta Redi Roma, e che i rivoluzionari aveano promesso la libertà religiosa a patto che Pio IX avesse rinunziato al dominio temporale. Sul quale proposito abbiamo in pronto due risposte.

Voi, signori liberali, signori italianissimi, avete confessato che il giuseppismo e il leopoldismo non erano più di questi tempi; avete confessato che l’autorità civile col suo intromettersi nelle cose religiose tiranneggiava la Chiesa, e le imponeva gravezze e serviti!. Dunque se foste onesti, se foste sinceri, non adoperereste quei ripieghi che già condannaste come tirannici, e abbandonereste quelle misure che sono per lo meno sconcie rappresaglie. Se usare despotismo contro la Chiesa è cosa indegna de’ tempi e della civiltà, non vi assolve da tristissima taccia il contegno del Papa qualunque esso sia.

E poi noi vi diciamo che se fate tanto contro la Chiesa oggidì che siete deboli, che siete pieni di paura, carichi di debiti, circondati di nemici, assediati dai sospetti, fareste cento e mille volte peggio, se foste padroni di Roma, se aveste il Papa suddito vostro, se non doveste nulla temere e vi fosse lecito di tutto osare. Forse che prima di aver Milano non promettevate di abrogare colà le massime giuseppine?

— 213 —

Ed ora voi stessi volete fare i canonici. E se andaste a Roma, tempo un anno, prendereste di fare il Papa!

Oh un Papa fatto dal signor Pisanelli, che progresso, che Papa, che religione.

Noi siamo pieni di pietà verso que’ Vescovi e sacerdoti che soffrono per la giustizia; ma un gran pensiero può alleviare i loro patimenti, ed è questo che, soffrendo, rendono al Cattolicismo un segnalato servizio, fanno vedere quanta ragione avesse Pio IX di non fidarsi de’ rivoluzionarii, mostrano come fossero ipocrite le proteste e le promesse che gl’italianissimi facevano due anni fa, precludono la strada a nuovi inganni, a nuovi attentati, a nuove ipocrisie, smascherano l’empietà, e arricchiscono di nuove gemme il ricco diadema della Chiesa cattolica.

PIO IX E LA STRAGE DEGLI INNOCENTI IN ITALIA

(Pubblicato il 28 dicembre 1862).

Diciannove secoli fa un politico ipocrita e prepotente, per nome Erode, uccideva in questo giorno innumerevoli bambini, e li uccideva propter Dominum, perché era divorato da una sciocca ambizione e da un odio feroce contro il Bambino Gesti. La rivoluzione ha imitato il figliuolo di Antipatro, ed uccise in Italia migliaia d’innocenti, e li uccise propter Pontificem, per combattere la S. Sede, o la Carle di Roma, come essa suoi dire, e poter compiere così la spogliazione del nostro Santo Padre Pio IX. Mentre la Chiesa oggidì onora il fiore dei Martiri che il persecutore di Cristo atterrò come un turbine le rose che sbocciano, noi consacreremo un pensiero agl’innocenti sacrificati in Italia dalla rivoluzione, a questi gloriosi, che son tanti da potersi chiamare come i sacrificati di Betlemme: Grex immolatorum. E, lasciate da parte (eleggi che dobbiamo rispettare, terremo conto soltanto degli alti ministeriali che cadono sotto il nostro sindacato.

Spuntata appena la libertà in Italia, un giornale liberalissimo diretto da Lorenzo Valerio, ora prefetto di Como, asseriva rotondamente che «se sotto alcun aspetto è utile la censura preventiva sulla stampa, lo è per gli atti dei Vescovi (I)». E dodici giorni dopo, per mezzo del famoso Gioberti, dichiarava che la censura preventiva degli atti vescovili era necessaria e legittima (2). Sicché nascevano ad un puntola libertà dell’errore eia schiavitù della Chiesa, eil primo innocente sacrificato era Monsignor Charvaz, allora Vescovo di Pinerolo. Nel marzo del 4848 seguivano altre stragi d’innocenti ne’ Gesuiti cacciati dalla plebe tumultuante in Torino, in Genova, nella Sardegna, nella Sicilia e perfino in Roma, il nuovo collaboratore de l’Armonia, Carlo Luigi Farini, presidente del ministero del regno d’Italia, scrisse egregiamente: «II Papa solo avea potere di condannare l’intero sodalizio (de’ Gesuiti), e la sola condanna del Papa poteva essere giusta ed efficace nell’opinione e nella coscienza de’ cattolici (3)».

(1) La Concordi di Lorenzo Valerio, N° 1 del 1° di Gennaio 1818.

(2) La Concordia numero del 13 di gennaio 1848.

(3) Farini, Lo Stato Romano, voi. II, pag. 17. Firenze 1850.

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Per contrario il Santo Padre Pio IX commendava altamente i Gesuiti nell’atto stesso che la marmaglia gli assaliva. Il buon Pontefice dicea loro: Vos prima Cristi victima: Voi siete i primi che portate la croce, ed io vi seguirò ben presto nell’esilio. Nella Gazzetta di Roma del 1848 Pio IX faceva pubblicare intorno a’ Gesuiti, che egli li aveva «con somma compiacenza risguardati sempre come instancabili collaboratori nella Vigna del Signore», oche «non potò non provare nuova e piti viva amarezza» per le angustie ond’era travagliata la Compagnia di Gesti (1). Sul che il nostro collaboratore, l’Eccellentissimo Farini, a buon diritto avvertiva: «Quando il Principe della Chiesa e di tutta l’ecclesiastica milizia lamentava le ingiurie patite da quegli instancabili collaboratori alla Vigna del Signore, com’egli appellava i Gesuiti… io non ho dubbio di affermare che la espulsione dei Gesuiti dallo Stato della Chiesa operata a malgrado del Papa fu un atto imprudente, di nessuna utilità allora, di molto e certo danno allora e poi (2)». Ma la crudelissima persecuzione recò vantaggio grandissimo alla Compagnia di Gesù, e de’ Gesuiti può ripeterai ciò che Sant’Agostino scrisse degli innocenti sacrificati da Erode: e Ecce profanus hostis numquam tantum prodesse potuisset obsequio, quantum profuit odio (3)».

Agli innocenti Gesuiti tenevano dietro altri innocenti. Le Dame del Sacro Cuore erano obbligate ad abbandonare Torino, Monsignor Fransoni, il nostro venerando Arcivescovo, morto esule in Lione, soffriva insulti, e veniva costretto a partirsene; e il Vescovo di Nizza, Monsignor Galvano, vedeva strascinato il suo stemma «al sito in cui anticamente era innalzata la forca, ove ne fecero un solenne auto da fè al canto della Marseillese (4)». Angiolo Brofferio applaudiva e diceva ai deputati di provare ai Vescovi orgogliosi che anche il popolo ha le sue folgori e gli anatemi suoi (5).

Carlo BonCompagni, uno de’ primi ministri costituzionali, mostravasi uno de’ primi tiranni della Chiesa. Monsignor Artico, Vescovo d’Asti, che poi mori a Roma di crepacuore, veniva cacciato dalla sua sede e insultato in Più-lamento (6); erano fatte violenze all’Arcivescovo di Cagliari, Mons. Marongiu, mandato poi in esilio a Roma dove vive tuttavia; citato il Vescovo di Saluzzo per un indulto sulla quaresima, e il 15 di febbraio 1850 si le’ nella Camera un gran tumulto contro quell’innocente; fu arrestato l’Arcivescovo di Sassari, sostenuto in prigione per un mese; perquisiti ingiustamente e inutilmente gli Oblati della Consolata, vittime poi della loro devozione alla Santa Sede.

Oh come è numeroso il grex immolaloruml Se noi volessimo tessere la lista de’ sacerdoti che furono arrestati nel solo Piemonte, e poi riconosciuti innocenti dagli stessi tribunali, dovremmo scrivere un volume. Eccone un saggio. D. Gagliardi a Mondovj, D. Luigi Piola, il P. Vincenzo, cappuccino, il curato di Bonneville, il prevosto di Ronco, l’amministratore della parrocchia di Malanghero, sedici parrochi d’Aosta, il parroco di Verrès, il prevosto di S. Giusto,

Gazzetta di Roma, parte ufficiale religiosa, numero del 30 marzo 1818.

Farini, Lo Stato Romano, vol. II, pag. 18

S. Augustinus, Serro. 10 De Sanctis.

Così raccontò alla Cenera il deputato Barralis di Nizza, tornata del 10 giugno 1818.

Atti Uff. del Parlamento Subalpino, sess. 1848, pag. 145, 146.

Atti Uff. N.437, 22 agosto 1849.

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il pievano di Villareggia, il parroco di Quargnento, il rettore della chiesa di Spezza, il parroco di Cassinasco, il pievano di Vigorie, l’economo di Clefs, il parroco di Sparane, il curato di S. Elena, il parroco di S. Margherita di Rapallo, il teologo Gliemone, canonico di Rivoli, il parroco di Sainte-Foi, e cento e mille altri patirono il carcere, e risultarono innocenti!

Salvete flores martyrum del nuovo regno d’Italia. Voi soffriste per la Chiesa e. per Pio IX, e il vostro esempio frullò numerosi imitatori. Il Clero Piemontese insegnò al Clero Italiano la via da battere coraggiosamente, e dopo d’aver preceduto gli altri nella fermezza della fede e nella costanza del martirio, si mantiene intemerato, e obbliga il Passaglia accertare altrove i suoi collaboratori e i suoi adepti. Voi udiste spesso la sconsigliala rivoluzione esclamare: Succestor instat, pellimur, salelles i, ferrum rape. Ma non vi spaventaste mai, perché non temevate gli uomini che uccidono il corpo, sibbene Iddio che può perdere il corpo e l’anima nella terribile gehenna, dove è acceso quel fuoco, di cui D. Passaglia scrisse un trattato (De igne inferni), che dovrebbe rileggere e meditare.

Ma proseguiamo la lugubre lista degl’innocenti sacrificati. I Serviti di S. Carlo sono espulsi da Torino, senza nessuna colpa e senza nessuna legge; sono vessati con inutili e sconcie perquisizioni i Francescani d’Alghero; si condanna alla prigione un sacerdote di Vercelli che biasima comici spudorati; è distratta la Compagnia di S. Paolo, che una Commissione governativa dichiarava meritevole di tutta la pubblica riconoscenza; i Padri Certosini vengono espulsi dalla loro casa di Collegno per collocarvi l’ospedale dei pazzi; le Canonichesse Lateranensi di S. Croce sono discacciate a viva forza dal monastero che abitavano in Torino; nella notte del 21 e 22 di agosto si da la scalata al convento delle Cappuccine; è spogliata la Congregazione della Misericordia di Casale, instituita fin dal 1525; è sciolta l’istituzione delle Suore della Compassione, che aveano visto passare sotto di loro venti rivoluzioni senza che osassero toccarle; sono calunniati dai ministri i Pastori delle anime con frequenti circolari; l’abate Vacchetta va a sequestrare i beni del seminario Arcivescovile di Torino tolto ancor oggi a’ chierici; insomma, il conte Federico Sclopis che ora presiede il Senato del Regno d’Italia, nel giugno del 1854 si diceva ai senatori, che dal 1848 in poi, cioè in cinque anni vennero girati contro gli ecclesiastici quarantanove processi politici, e i magistrati non poterono infliggere che nove condanne. E quali condanne! La condanna dell’Arcivescovo di Torino, dell’Arcivescovo di Cagliari, dell’Arcivescovo di Sassari e simili!

Satelles i, gridava una circolare del 27ollobre 1853, ordinando l’arresto immediato dei ministri del culto. E il 2 gennaio del 1854, si chiedevano alla Camera nuove e più gravi penalità contro i preti. E ferrum rape avea già esclamato alla lettera nella Camera dei deputati Angiolo Brofferio, domandando il 17 marzo del 1851, che fosse snudata la spada contro i preti fino all’ultimo sangue. Non vi par di sentire un ordine del feroce Idumeo che comanda la strage di Betlemme?

Dopo che i Serviti s’erano segnalati nell’assistere i colerosi, o i padri Gazzani, Manonta, Malliani e Ighina cadevano vittime della loro carità, i padri Serviti d’Alessandria venivano espulsi dal loro convento, e poi la tempestasi rovesciava su tutti gli Ordini religiosi.

— 216 —

Frati e monache erano tormentati con visite, con invasioni, con sequestri, e agglomerati gli uni cogli altri; i Serviti di Genova parte mandati a Sassari, parte a Savona; i Domenicani d’Alessandria concentrati a Bosco, i Serviti d’Alessandria stipati a Saluzzo, gli Agostiniani sloggiati da Carmagnola, i Cistercensi da Cartemiglia, gli Olivetani da Quarto, i Carmelitani da Torino, ecc. ecc. Alla fine del 1856 erano già spogliati in Piemonte settecentosettantadue frati e milleottantacinque monache, seicentosettanta canonici, e millesettecento beneficiati; traslocati e privati in parte delle loro abitazioni duemilanovecentosessanta frati e centosettantacinque monache (1). Che strage!

E la strage degli Innocenti crebbe, poichè i rivoluzionari recarono l’ordine morale nelle altre parti d’Italia. Dobbiamo noi enumerare tutti gli innocenti che patirono? Essi sono senza numero. Patì il Cardinale Arcivescovo di Pisa, ed era innocente; patì e patisce la relegazione in Torino il Cardinale De Angelis, ed è innocente; patì e patisce il Vescovo d’Avellino, ed è innocente. Patirono gli innocenti Arcivescovi e Vescovi di Bergamo, di Brescia, di Guastalla, di Parma, di Piacenza, di odena, di Carpi, di Firenze, di Napoli, di Faenza, d’Imola, d’Ancona, di Cagli e Pergola, di Fano, di Fossombrone, d’Iesi, di Pesaro, di Sinigaglia, d’Orvieto, e di Perugia, ecc. ecc. Il turbine rivoluzionario, Christi insecutor, sustulit ed uccise il Cardinale Arcivescovo di Bologna, l’Arcivescovo di Torino, il Vescovo di Loreto e Recanati, quello d’Osimo e Cingoli, i Vescovi d’Amalfi, di Bovino, di Marsico Nuovo e Potenza. Verrà tempo però che gli italianissimi chiederanno a loro stessi: che vantaggio per tanta strage? Quid profuit tautum nefas?

Pepoli e Valerio, entrati nelle Marche e nell’Umbria, non fecero che spogliare, angustiare, tribolare gl’innocenti frati, le innocentissime monache, e più crudeli d’Erode li ridussero a morirsi lentamente di fame, perché sentissero di morire. E se non fosse la carità cattolica che soccorre le monache delle Marche e dell’Umbria, se non fosse la beneficenza del Santo Padre, molte a quest’ora avrebbero dovuto soccombere. Ma vox in Roma andita est, ploratus et ulutatus multus. Il pianto delle povere monache fu udito in Roma, in Bologna, in Torino, e molta gente pietosa accorse e accorrerà a sollevarne la miseria.

Però la rivoluzione non fu paga ancora di tanti dolori e sfinimenti. Le case religiose, risparmiate dalla prima buffera, vennero colte dalla seconda, e nel solo quest’anno 1862 si videro i Filippini, i Francescani, i Minimi espulsi da Fano, i Domenicani da Imola, i Cappuccini da Ancona, i Minori osservanti da Fermo, i Vallombrosani da Firenze, le Agostiniane da Bologna, i Basiliani da Mezzaiuzzo, le Suore del Corpus Domini da Modena. E furono invasi il monastero di S. Domenico in Pisa, di S. Gerolamo in Messina, di S. Chiara in Faenza, di S. Rocco in Trapani, di Sant’Antonio in Noto, della Beata Vergine in Cremona, di Sant’Alessandro in Parma, di S. Nicolao in Lucca, di Sant’Agostino in Corleone, e cento altri conventi e monasteri che enumereremo in un apposito articolo.

Ci vien meno lo spazio, ma non la materia per dire degl’innocenti che furono vittima della rivoluzione.

(1) Vedi Cenni sulle operazioni e tulio stato della Cassa Ecclesiastica sottoposti alla Commissione di sorveglianza dal dì della promulgazione della legge 29 maggio 1855 sino a tutto dicembre 1856.

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Costoro patirono, perché, fedeli a Pio IX, portavano il nome del Santo Padre sulle loro fronti. Ma sono lieti delle contumelie che soffersero, e delle privazioni che debbono sostenere. Quest’innocenti continuano a seguire il Vicario dell’Agnello senza macchia, e dicono: gloria a te, o Signore. Ma badino bene i rivoluzionari che l’innocenza non si affligge sempre impunemente, e si ricordino che Dio ha detto: Non toccate i miei sacerdoti, e tremino, perché già un gran numero di Vescovi e di preti vittime della loro crudeltà stanno sotto il trono di Dio, ed esclamano: Vindica sangumem nostrum Deus noster.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa/vol_01_02_margotti_memorie_per_la_storia_dei_nostri_tempi_1865.html#Torino

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