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Storia del diritto nel Regno di Napoli di GAETANO ARCIERI (V)

Posted by on Ott 1, 2022

Storia del diritto nel Regno di Napoli di GAETANO ARCIERI (V)

Chi era il suo autore? Gaetano Arcieri[1] fu un personaggio di spicco della cultura napolitana, pur vivendo quasi la propria intera esistenza apparentemente ai margini della vita politica della capitale.

Dalle intestazioni dei suoi libri, infatti, si evince che egli fu membro di diverse accademie[2]; inoltre dette impulso alla cosiddetta “Scuola di Latronico”, dove formava i giovani che si andavano poi a laureare a Napoli[3] (il libro di cui pubblichiamo un notevole estratto ripropone appunto le sue lezioni, che si affiancano a quelle raccolte nei sei volumi delle Istituzioni di Diritto Civile[4]).

Prima carbonaro (nel 1821), poi liberale (nel 1848), infine cavourriano (nel 1860), sindaco (moderato) di Latronico nel 1843, membro della Giunta Comunale provvisoria del paese lucano all’arrivo di Garibaldi, Gaetano Arcieri si era laureato in utroque iure presso l’Università di Napoli sotto la guida – tra gli altri – dell’abate Giuseppe Capocasale (1754-1828), detto il “Socrate cristiano”. Ma, negli anni napoletani, Gaetano non aveva seguito gli orientamenti lealisti del suo maestro (il quale, fedele ai Borbone, era stato allontanato dall’Università durante il periodo napoleonico); aveva invece stretto amicizia con Pietro Colletta e quindi coltivato, a fianco della giurisprudenza, la musa letteraria, pubblicando quattro raccolte di versi[5] e scrivendo articoli che apparvero su alcuni periodici e giornali dell’epoca.

Ma il suo lavoro principale consiste nell’opera di compilazione, storica e giurisprudenziale, del diritto napolitano: ancorché certi suoi giudizi politici siano inficiati dalla visione risorgimentale, soprattutto per il periodo della Napoli “imperiale” – vulgo “spagnola” –, egli affrontò un’analisi storica del diritto napolitano che, almeno nell’ambito della saggistica divulgativa di alto livello, non ha precedenti né epigoni (e neppure opere che la abbiano superata)[6].

Grazie al suo lavoro, quindi, non soltanto possiamo comprendere come funzionava lo Stato napolitano prima della modernizzazione imposta dall’epoca borbonica (e durante la sua vigenza), ma ci viene chiarito anche il ruolo del diritto – del diritto tradizionale, naturalmente – come principale mezzo caratterizzante l’identificazione di un Regno, che sia quello di Napoli, di Sicilia, di Sardegna o di Aragona.

Il fondamento del Regno: una Dinastia o un diritto?

A questo punto è necessario chiedersi: cosa identifica un Regno? I confini geografici, la storia passata, la Dinastia che cinge la Corona, le aspirazioni condivise della popolazione, l’ordinamento pubblico? In senso “moderno”[7], un po’ tutti questi elementi[8]; in senso tradizionale, ciò che costituisce il passato, sedimentato per secoli, e che informa lo “stile” per affrontare il futuro. «I popoli non sono nazioni, bensì tradizioni»[9], scriveva Francisco Elías de Tejada.

Il Regno di Napoli per tanti versi rientra nella hispanidad – e non solo per il periodo in cui ne ressero lo scettro i Trastámara o gli Asburgo, ma per il parallelismo culturale che si formò in modo naturale[10] tra i popoli iberici e quelli napolitani (a differenza di quanto avvenne con quelli fiamminghi o del Ducato di Milano), dimostrando anche nel diritto la sintonia con la cultura (non solo giuridica) della penisola iberica. Nessuno mette in dubbio i caratteri unitari del Regno di Napoli, che dal periodo normanno (se non addirittura, con qualche eccezione, da quello longobardo, risalendo così di cinque secoli) ha presentato una sostanziale unità politica. Per otto secoli (se non si vuole aggiungere il mezzo millennio precedente) il Regno di Napoli (anche se inizialmente non sotto questa denominazione[11]) presenta dunque una unitarietà ed una identità. Limitandoci al territorio continentale, se i confini della parte meridionale possono essere delimitati dalle coste e, alla frontiera con lo Stato Pontificio, da alcuni fiumi (Tronto[12] e in misura assai minore, Salto e Liri) e passi montani, questa unità è determinata dal comune sentire, dal diritto, dallo stile, dalla cultura: in una parola, dalla tradizione[1].


[1] Vale la pena ricordare le parole del racconto I contrafforti di Frosinone di Tomaso Landolfi, apparse inizialmente nel 1954 su «Il Mondo» di Pannunzio, in cui lo scrittore, nativo di Pico, allora appartenente alla Terra di Lavoro, prese netta posizione contro la decisione di recidere quelle antiche radici per costituire la provincia di Frosinone: «Senza dubbio il mio paese, che era sempre stato nella provincia di Caserta, è attualmente nella provincia di Frosinone. Ma che perciò? Né la sua lingua, prima che il triste evento si producesse, né le sue tradizioni ebbero mai nulla a che vedere con ciò che ancora qualche vecchio chiama “lo Stato romano”: di qua Longobardi, Normanni, Angioini, di là papi e loro accoliti; di qua una lingua di tipo napoletano-abruzzese, di là una specie di romanesco suburbano; a non tener conto poi di tutto il resto». Tomaso Landolfi, Le più belle pagine, Adelphi, Milano 2001, p. 338.


[1] Nato a Castelluccio Superiore (Potenza) il 23 novembre 1794, visse dal 1818 a Latronico (Potenza), dove morì il 26 novembre 1867. Le notizie biografiche su Gaetano Arcieri sono in massima parte tratte da Egidio Giordano, Cronache di Latronico, Folklore, Tradizioni, Cultura, Tip. Zaccara, Lagonegro 2002. Per un commento alla sua opera, cfr. Francesco Mastroberti, Le storie del diritto a Napoli durante l’Ottocento preunitario, in Honos alit artes. Studi per il settantesimo compleanno di Mario Ascheri, a cura di Paola Maffei e Gian Maria Varanini, Firenze University Press, Firenze 2014, p. 49-58:56-58.

[2] Fu socio dell’Accademia Florimontana, dell’Accademia Cosentina e di Aci-Reale, delle Società Economiche della Basilicata e di Principato Ultra.

[3] Tra i suoi allievi si ricordano Nicola Alianelli (di Missanello), Antonio Rinaldi (di Noja), i fratelli Michele e Pietro Lacava e i fratelli Carmine e Tommaso Senise (di Corleto Perticara), Vincenzo Mendaia (di Roccanova), Raffaele Maturi (di Latronico), nonché suo figlio, Antonio Arcieri (1819-1894), docente di diritto civile presso l’Università di Napoli, quindi deputato e senatore del Regno d’Italia.

[4] Studj legali, ovvero Istituzioni di dritto civile moderno secondo l’ordine del codice pel Regno delle Due Sicilie comparate col dritto romano ed intermedio, Stabilimento tipografico Perrotti, Napoli 1853-1855.

[5] Poesie, Napoli, Stamperia della Fenice, 1839; Versi sacri e melanconici, Napoli, Stamperia dell’Iride, 1846; Brevi effetti poetici a S. S. il pontefice Pio IX, 1849; il poemetto Imberta. Racconto storico del secolo XV, Napoli, Tipografia Trani, 1849.

[6] Tra i vari esempi sopra citati (cfr. nota 6) si rileva che i periodi storici oppure gli ambiti di studio siano limitati (ancorché più approfonditi) rispetto all’opera di Arcieri.

[7] Utilizzo questo termine in senso assiologico e non cronologico. Sull’ar­gomento, cfr. Giovanni Turco, Le radici della modernità nel pensiero di Francisco Elías de Tejada, introduzione a Francisco Elías de Tejada, Le radici della modernità, Solfanelli, Chieti 2021, p. 5-66:5-8.

[8] A proposito della identificazione dello spirito di un popolo (alla tedesca:volkgeist) basato su elementi passati («una d’arme di lingua, d’altare…» come scrisse Manzoni) oppure su progetti futuri, cfr. Manuel García Morente, L’ispanità, Solfanelli, Chieti 2018), che invece identifica tale spirito con lo “stile”.

[9] Francisco Elías de Tejada, Rafael Gambra, Francisco Puy, Il Carlismo, Solfanelli, Chieti 2018, § 61-62, p. 97.

[10] E non imposto dall’alto e con la forza, come sarebbe avvenuto con la piemontesizzazione del periodo unitario.

[11] Il suo iniziale nome ufficiale era Regnum Siciliae citra Pharum (Regno di Sicilia al di qua del Faro, in riferimento al Faro di Messina) e si contrapponeva al contemporaneo Regnum Siciliae ultra Pharum (Regno di Sicilia al di là del Faro), che si estendeva sull’intera isola di Sicilia. Utilizzato dagli storici fu anche il nome Regno di Puglia, che trova la sua origine in età normanna. Il primo a utilizzare ufficialmente il titolo di Re di Napoli fu Ferdinando I (o Ferrante, 1458-1494).

[12] Con la significativa eccezione di Ascoli Piceno che, pur essendo a sud del Tronto, faceva parte dello Stato Pontificio e non del Regno di Napoli, a conferma del fatto che anche i confini sono una questione di cultura (e quindi di tradizione) e non di geografia.

Gianandrea de Antonellis

2022 – D’Amico Editore di Vincenzo D’Amico
Via Pizzone, 50 – 84015 Nocera Superiore
libri@damicoeditore.it-www.damicoeditore.it +39 349 8108119

Finito di stampare
nel mese di aprile 2022
presso Infolio srls
via Alfonso Albanese 26
84010 Sant’Egidio del Monte Albino (Salerno)

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