Storia della Sicilia del professore Massimo Costa 5/ La nascita del Sicilianismo con Ermocrate
Siamo arrivati alla quinta puntata della storia della Sicilia del professore Massimo Costa (“Storia istituzionale e politica della Sicilia: un compendio”). Oggi ripercorreremo la rivolta di Ducezio e la nascita del Sicilianismo con Ermocrate. E la lunga e tormentata storia dei Dionisi
§ 3 – La “politèia” e la Lega Sicula di Ducezio
Le tirannidi però non sopravvivono ai loro più grandi esponenti. Gli eredi (ad Akragas Trasideo, figlio di Terone e a Siracusa Trasibulo, fratello di Ierone I), incapaci, sono rovesciati negli anni ’60 del V secolo a.C. e dappertutto si costituiscono repubbliche. Tranne a “Etna” (cioè Catania) dove Dinomene, figlio di Ierone I, mantiene il potere per qualche anno, per poi essere cacciato, con il ritorno all’antico nome di Catana.
Ma non è il ritorno all’aristocrazia. Il potere a Siracusa risiede ora in 15 strateghi, coadiuvati da un Consiglio elettivo, e dall’Assemblea popolare di tutti i cittadini. Non essendo retribuite le cariche pubbliche, queste potevano essere ricoperte solo da benestanti. A Siracusa, quindi, si instaura una democrazia moderata, la cd. “Politèia”, in cui il potere ricade ormai nell’aristocrazia del censo e non più in quella del sangue. Ordinamenti simili si hanno nelle altre città.
Un tentativo di colpo di stato, sventato nel 454, fa introdurre a Siracusa il “petalismo”, corrispondente siceliota dell’ostracismo ateniese, con cui i soggetti politicamente pericolosi erano esiliati per cinque anni. Il predominio siracusano sulle altre pòleis è indebolito, ma non cessa del tutto, per mezzo di tributi, riscossi soprattutto dai Siculi dell’interno.
La più grossa sfida che i Greci di Sicilia (o Sicelioti) devono superare in questa fase è però proprio la rivolta dei Siculi, vera rivolta nazionale indigena guidata da Ducezio.
Ducezio, rispetto ad altri Siculi, può definirsi un siculo ellenizzato, che conosceva molto bene la civiltà greca, ma che proprio grazie a ciò aveva maturato una coscienza nazionale propria contrapposta a quella ellenica. I Siculi, ormai in parte grecizzati, mal sopportavano il predominio e la continua penetrazione dei nuovi venuti.
La rivolta fu non solo politica, quindi, ma etnica, volta al respingimento dei coloni, cementata dal culto nazionale degli Dei Palici. La Lega Sicula tenne in scacco per ben 9 anni (459-450) le armi dei Sicelioti. Vi furono atti di vero eroismo come quello dei cittadini di Trinakia, che preferirono uccidersi tutti l’un l’altro prima che i Greci entrassero nelle loro mura. Alla fine la maggiore potenza greca ebbe ragione. La Repubblica siracusana riuscì a prevalere, una colonia di sicelioti fu condotta pacificamente a Enna, nel cuore della Sicilia, ma di fatto si affievolirono le discriminazioni tra Siculi e Sicelioti, da questo momento in poi sempre più un unico popolo con due lingue.
A Ducezio fu concesso l’onore delle armi, e, dopo un periodo di esilio a Corinto, fondò una città-stato sulla costa tirrenica, Kale Akte, mista tra Sicelioti e Siculi, su cui avrebbe regnato sino alla morte (440). Si ha quindi un breve conflitto con Akragas, che accetta infine l’egemonia siracusana sul resto della Sicilia, rinchiudendosi nel suo distretto. Sembrava che per la Sicilia ci dovesse essere un lungo periodo di pace, ma questa non sarebbe durata a lungo.
La seconda metà del V secolo, infatti, vide ancora una volta la Sicilia protagonista della grande storia internazionale. Questa volta è il turno della Guerra del Peloponneso, scontro mortale tra Atene e Sparta. L’egemonia siracusana sulla Sicilia Greca faceva sì che la Sicilia dorica prevalesse su quella ionica, e quindi che la Sicilia parteggiasse per Corinto e Sparta, rifornendole di generi alimentari, mettendo così in scacco la potenza navale di Atene.
Atene cerca di contrastare questo appoggio siceliota ai Peloponnesiaci dapprima ingerendosi nella politica siciliana, poi addirittura pensando ad una vera e propria invasione della Sicilia. Intanto stipula alleanze con le poche città siciliane non soggette all’egemonia siracusana: Segesta, Lentini e, fuori dalla Sicilia, Reggio. Favorita da uno scontro tra Lentini e Siracusa, Atene partecipa a questa guerra con un piccolo esercito (427). Dalla parte di Atene e Lentini si schierano contro Siracusa e i suoi alleati, per scuoterne il giogo, le città di Camarina, Catania e Nasso, mentre Akragas, ormai dedita solo all’agricoltura e al commercio, resta neutrale.
I combattimenti vanno avanti in maniera non decisiva dall’una parte e dall’altra per qualche anno. Segue un periodo di pacificazione tra le città-stato siciliane in cui avviene un’importante svolta. Nel Congresso di Gela del 424 a.C., cui parteciparono anche rappresentanti indigeni siculi, il politico siracusano Ermocrate, appartenente al partito oligarchico, individua per la prima volta nelle minacce esterne, e in particolare in Atene, il vero pericolo per la Sicilia invitando tutti alla concordia “nazionale”:
“Non siamo più Dori, né Ioni, ma Siciliani!”.
Questo discorso segna il superamento di ogni divisione etnica in Sicilia. Dopo 300 anni dall’inizio della colonizzazione, i Siciliani si sentono greci di lingua e civiltà, naturalmente, ma scoprono, forse contagiati dai Siculi, che la loro vera patria è ormai soltanto la Sicilia. Questo discorso sarebbe stato considerato l’atto di nascita del Sicilianismo politico, inteso come identificazione della Sicilia come comunità politica di riferimento; visione politica che sarebbe restata, tra le altre, una vera costante politica della storia siciliana sino ai nostri giorni. In quel frangente, comunque, agli Ateniesi non resta altro che accettare la ritrovata unità dei Siciliani, e quindi si ritirano.
Una successiva guerra civile a Leontini tra oligarchici e popolari determinò poi l’intervento di Siracusa, ormai padrona di tutta la Sicilia, all’infuori di quella che era diventata una sorta di “Svizzera” dei tempi: Akragas. Gli oligarchici, alleati dei Siracusani, si trasferiscono nella metropoli. La città è rasa al suolo. I profughi lentinesi invocano l’aiuto degli Ateniesi, che però ancora indugiano di fronte a una spedizione così azzardata. Un nuovo conflitto tra Selinunte, fedele a Siracusa e la città elima di Segesta, alleata di Atene, diventa infine il casus belli con il quale Atene spera di spezzare una volta per tutte le retrovie siciliane della Lega Peloponnesiaca degli Spartani.
Questa volta la spedizione siciliana, episodio cruciale, anzi determinante della Guerra del Peloponneso, consta di 250 navi e 40.000 soldati circa (415 a.C.). Gli Ateniesi non trovarono però, oltre Segesta e qualche tribù di Siculi, alcun alleato in Sicilia. Tutta la Sicilia greca ebbe paura di questa spedizione e si strinse intorno a Siracusa, levando un esercito non meno imponente di quello degli invasori. Akragas soltanto rimase neutrale come sempre. La spedizione ateniese si risolse in un disastro, i Sicelioti tagliano i rifornimenti all’esercito, lo sconfiggono, fanno strage dei soldati Ateniesi e dei loro alleati, costringono i superstiti all’orrenda prigionia delle Latomie, da cui pochissimi sarebbero usciti vivi.
La vittoria sugli Ateniesi galvanizzò però il partito democratico di Siracusa, guidato da Diocle, che riforma la costituzione della II Repubblica Siceliota-Siracusana (dopo la I, quella dei Gàmoroi) in senso apertamente popolare, sul modello ateniese, con il sorteggio delle magistrature. Ermocrate, capo del partito oligarchico, è mandato in esilio nel 411. Nell’euforia generale Selinunte attacca di nuovo Segesta.
Ma questa esuberanza siceliota risveglia dal lungo sonno il tradizionale nemico punico: gli Elimi di Segesta ed Erice si prostrano a Cartagine come tributari in cambio di aiuto. I Cartaginesi pensano di poter approfittare delle guerre e delle divisioni interne all’avversario per sottomettere una volta e per sempre l’Isola e vendicare la sconfitta di Imera di settant’anni prima.
Selinunte, indifesa, estremo avamposto ellenico, è distrutta, saccheggiata, i suoi abitanti trucidati, donne e bambini condotti in schiavitù (409). A Imera i Cartaginesi trovano un esercito siceliota mandato da Diocle, ma la sorte non fu diversa. Mezza popolazione riuscì a fuggire, l’altra mezza ebbe la stessa sorte dei Selinuntini (408).
Forse i Cartaginesi si sarebbero accontentati di queste conquiste, e di avere trasformato l’intera Sicilia occidentale da una rete di città-stato amiche in una vera e propria “provincia” del loro impero. Ma in questo frangente ritorna in Sicilia Ermocrate, che con un esercito privato, senza l’autorizzazione di Siracusa, sbarca sulle rovine di Selinunte, attacca i Punici, e ne scatena ancora una volta la reazione. Approfittando del fatto che Diocle stesso era stato mandato in esilio, Ermocrate torna a Siracusa (407), ma i Siracusani, temendo che volesse farsene tiranno, lo uccidono. Tra i suoi sostenitori scampati all’eccidio, un giovane di 24 anni che avrebbe segnato la storia siciliana: Dionisio, che poi sarebbe passato alla storia con il soprannome di Il Vecchio.
Nel frattempo l’avanzata dei Punici sembra inarrestabile. Gli Agrigentini, che avevano affidato a Siracusa la difesa del loro territorio, fuggono in massa quando i Cartaginesi entrano in città. Poi questi entrano a Gela, a Camarina, Siracusa è infine presa d’assedio.
§ 4 – L’epoca dei Dionisi
Ed è in queste condizioni che nel 406 il giovane politico appartenente alla fazione di Ermocrate si fa dare la somma dei poteri, e rispolvera il titolo di “Stratega autocrate”, che era già stato di Gelone e Ierone: inizia la nuova tirannide di Dionisio il Vecchio.
Grazie a un attacco di peste tra le fila dei Cartaginesi egli riesce ad ottenere una pace tutto sommato vantaggiosa: Selinunte e Imera, insieme a tutta la provincia occidentale, è riconosciuta a Cartagine. I superstiti di Imera, insieme a coloni punici, fondano Terme (Termini) nei pressi di Imera stessa, che viene abbandonata. Akragas, Gela e Camarina neutralizzate e soggette a tributo ai Punici. Tutte le città sicule e siceliote libere, solo Siracusa a Dionisio. In realtà quest’ultima parte del Trattato non sarà rispettata e in breve Dionisio sarebbe diventato il signore di tutta la Sicilia siceliota (già entro il 402), ma tanto era bastato a salvare la Sicilia greca da sicura rovina. Con lui la II repubblica muore e comincia la II tirannia.
Passato alla storia come un tiranno, nel senso moderno del termine, Dionisio fu certo un dittatore, ma anche un grande statista. In un certo senso egli è il vero fondatore dello Stato di Sicilia. Superando l’antica semplice egemonia, costruisce una vera amministrazione statale, sotto l’apparente struttura di Lega, della quale si mette a capo come “Arconte di Sicilia” (ma il titolo non è certo), mentre – a parte – resta “stratega autocrate”, cioè tiranno, della (altrettanto apparente) Repubblica municipale di Siracusa. A differenza dei predecessori non abolisce le assemblee popolari e le magistrature elettive, ma le svuota, facendo eleggere sempre uomini a lui fedeli, così come nelle altre città soggette al suo dominio.
Anche in Italia fa una cosa del genere, ponendo a Locri una “reggia secondaria”, con tanto di seconda moglie in contemporanea a quella siracusana, e proclamandosi Arconte d’Italia. Ma in Italia il suo potere è più debole, poiché riesce a controllare solo la Calabria meridionale, mentre per le altre città greche è solo un protettore rispetto all’espansionismo di Bruzzi e Lucani che pressavano verso sud. La massima espansione dei Sicelioti in Italia è rappresentata dalla fondazione di una colonia siracusana ad Ancona, in una zona sino allora mai raggiunta dall’espansionismo ellenico e in una incursione punitiva contro gli Etruschi a Cerveteri.
Dionisio trasforma la Sicilia a suo piacimento, deporta popoli, distrugge e rifonda città. Il tiranno siciliano si ingerisce anche nella politica della Grecia, più che altro sostenendo sempre Sparta, sia nel suo periodo di breve egemonia, sia dopo la sconfitta di questa ad opera dei Tebani. Sconfigge i Cartaginesi inseguendoli sino a Mozia, che distrusse nel 397. Questa poi sarà ricostruita nella vicina Lilibeo (l’odierna Marsala) più difendibile attraverso i rifornimenti da Cartagine. Non riesce però a debellare il dominio punico al di là dei fiumi Imera e Platani, nonostante ben tre guerre con cui tentò di scacciarli definitivamente dall’Isola; celebre ma non risolutiva la battaglia di Monte Cronio nel 375.
Anche Akragas resta uno stato-cuscinetto neutrale tra lo Stato siceliota e l’Epicrateia punica. Distrugge Naxos e la sostituisce con la fondazione della vicina Taormina. Finché vive (367) il suo dominio è fuori discussione; al suo fianco come generale e ammiraglio il valido fratello Lèptine. L’Isola di Ortigia, privata dei suoi abitanti, si trasforma in una grande reggia-fortezza a disposizione del tiranno. Un tentativo di Platone di trasformare lo stato siceliota nella repubblica ideale quasi costa la vita al grande filosofo che è costretto a riparare in Grecia. Chiamato più tardi da Dionisio il Giovane, il tentativo non avrebbe avuto migliore successo.
Dionisio II il Giovane, figlio del predecessore, salito al potere con una formale acclamazione dal popolo siracusano riunito in assemblea, si mostra da subito debole e inadeguato. Dopo una decina d’anni di governo malfermo, è cacciato da Siracusa da Dione, cognato di Dionisio il Vecchio, e deve riparare a Locri, nei domini italioti in Magna Grecia. Sul “trono” di Siracusa, sconvolta dalla guerra civile, si succedono altri tiranni, mentre lo Stato va in frantumi. I tentativi, sotto Dione e i suoi successori, di instaurare la “repubblica ideale” platonica, falliscono miseramente, insieme a progetti ideologici stravaganti, quali quello ad esempio di abolire la proprietà privata. Questi tentativi tuttavia dimostrano, al di là della loro inapplicabilità pratica, la permeabilità dell’ambiente siracusano, non solo di Dionisio il Giovane, rispetto all’ideologia di una repubblica “aristocratica” nel senso etimologico del termine (cioè il “governo dei migliori”). Nella realtà è solo un succedersi di tiranni, alcuni dei quali figli di Dionisio I, sistematicamente assassinati l’uno dietro l’altro, e di lotte tra i loro eserciti di mercenari.
Quando Dionisio II riesce a ritornare a Siracusa, solo nel 346, il suo dominio è comunque effimero. Il ritorno dei Cartaginesi di Annone fa insorgere i Siracusani che chiedono aiuto alla madrepatria, Corinto, la quale invia l’anziano generale Timoleonte. Il dominio italiota va in rovina, e la sua famiglia a Locri è sterminata. Dopo un assedio ad Ortigia gli si fa salva la vita, ma è costretto all’esilio a Corinto dove il povero Dionisio “il Giovane” chiuderà la sua esistenza come modesto maestro elementare.
Fin della quinta puntata/ Continua
Massimo Costa
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