Alta Terra di Lavoro

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STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO SECONDO (IX)

Posted by on Lug 6, 2024

STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO SECONDO (IX)

Dovremmo smettere di definire certi storici “borbonici” e chiamarli semplicemente “preunitari” o “napolitani” nel nostro caso. Non si  capisce per quale motivo il Colletta che non scrive certo un trattato di obiettività scientifica sia considerato uno storico e i napolitani che scrissero al tempo di Ferdinando II siano considerati dei lacchè di regime.

Gli esuli pagati profumatamente in quel di Torino dal conte di Cavour per scrivere le loro ricostruzioni storiche antiborboniche che cos’erano? I depositari  della verità rivelata?

Buona lettura e soffermatevi sul profluvio veramente impressionante di innovazioni normative operate dal Re Ferdinando II

CAPITOLO IX.

GIORNATA DEL 15 MAGGIO 1848.

Sommario

Aspetto deplorevole e minaccioso di Napoli. Parecchi Deputati curano di evitare la guerra civile, ed il Re per l’istesso fine condiscende a tutto e decreta l’apertura delle Camere. I ribelli frastornano le benigne mire. Ulteriori tentativi di pace da ulteriori smodatezze sventate. A rassicurare gli animi il Sovrano fa ritirare le truppe; ma le barriere per inetto consiglio non sono disfatte. Le milizie riprendono le abbandonate posizioni. Preparativi ed attitudine minaccevoli. Speranze dei liberali mal fondate, e perché. Le pacifiche trattative continuavano, allorché una moschettata ruppe gl’indugi; la pugna furiosamente divampa. Le barriere di S. Ferdinando, di S. Brigida, di Montoliveto, dopo furioso assalto e furiosa difesa espugnate. Orribile incendio del palazzo Gravina. Fieri combattimenti in altre barricate, pei liberali perduti. Tattica delle milizie e dei ribelli. Memorabili parole del Re. Tumulti, progetti sregolati, deliberazioni, protesta e sgombero dei Deputati. Vittoria universale delle milizie. Destino dei captivi. Feriti e morti. Il nuovo sole discuopre le vestigia orrende della pugna.

alba del 15 Maggio fu alba di sangue per la contristata Metropoli, e fra terribili e funesti segni si dischiuse: l’ecatombe del rivolgimento ormai a grandi passi si avvicinava. Insolito e terribile spettacolo nel romper della prima luce agli occhi dei riguardanti si offriva. Toledo e le strade che vi sboccano intersecate o chiuse da innumerevoli barriere, disselciate, o altrimenti guaste; quasi tutta la Guardia Nazionale, e molta gente in armi a guardia di quei segni e mezzi di ribellione; un andare ed un venire

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i portoni, e le botteghe socchiuse; i balconi gremiti di materassi; talune case abbandonate; i domicilii violati., la proprietà qui e colà guasta; l’aere di minacce e di grida sediziose assordato; la real Toledo, in cui i Napolitani sogliono abbandonarsi ad ogni giuliva manifestazione ora ridotta a campo di guerra; le vie della città deserte; le pubbliche faccende sospese; la piupparte della popolazione trepida rimaneasi fra le domestiche mura; perché la voce corsa della composizione delle vertenze era smentita dai fatti dell’affortificamento delle barriere, dei corrieri spediti durante la notte nei paesi prossimani per avere aiuto di armati, e delle milizie che teneano posizioni strategiche, e che immobili e silenziose guardavano.

Il descritto stato delle cose affrettò la riunione di parecchi Deputati, i quali tosto si posero a scrutinare il modo come fare scommettere gli asserragliamenli, e cessare la sciagura di un conflitto. Assai meglio si sarebbero comportati se non avesser data causa a quel tremendo precipizio; poiché non ismuovere le passioni è nella facoltà degli uomini, ma infrenarle dopo smosse è opera sovrumana l – Ad ogni modo si fece affigger per le cantonate il seguente manifesto.

«La Camera dei Deputati, provvisoriamente riunita, reputa suo debito di rendere quelle grazie, che può maggiori, alla gloriosa ed intrepida Guardia Nazionale di questa città, ed a questo generoso popolo per la dignitosa e virile attitudine che han preso per tutelare e guarentire la Nazionale Rappresentanza. Ma essendo l’intento della Camera, che tendeva al maggior benessere della Nazione, stato pienamente conseguito, essa crede dover invitare la Guardia Nazionale a fare scomparire dalla città ogni aspetto di ostilità col disfarne le barricate, acciò si possa inaugurare l’atto solennissimo dell’apertura del Parlamento, senza alcuna sebben gloriosa, pur dispiacevole ricordanza. Di Montoliveto il mattino del 15 Maggio 1848. Il Vicepresidente Provvisorio – V. LANZA.

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Nel tempo stesso furono inviati al Ministero alcuni Deputati affin di far richiamare l’attenzione del Re sul minaccevole aspetto delle cose, e supplicarlo di convocar subito le Camere indipendentemente dal programma.

Il Monarca pel bene del suo popolo faceva il desiderio dei Deputati, emanando in un decreto i seguenti articoli.

«1.° L’apertura delle Camere riunite, e 1’apertura del discorso della Corona avranno luogo in questo giorno alle ore due p. m. di Francia nella sala destinata a’ Deputati nel locale della Regia Università degli Studii».

«2.° Il giuramento prescritto cogli articoli 12 e 13 del Programma del 13 Maggio corrente non avrà luogo».

«3.° Le Camere cominceranno a procedere alla verificazione dei poteri, dopo la quale i Deputati ed i Pari daranno il giuramento secondo la formola seguente».

«Io NN. prometto e giuro innanzi a Dio fedeltà al Re Costituzionale Ferdinando Secondo».

«Prometto e giuro di compiere con massimo zelo, colla massima probità ed onoratezza la funzione del mio mandato».

«Prometto e giuro di essere fedele alla Costituzione, quale sarà svolta e modificata dalle due Camere d’ accordo col Re, massimamente intorno alla Camera dei Pari, com’è detto nell’art. 5 del Programa del 3 Aprile».

«Così giuro ed Iddio mi ajuti». «Napoli il di Maggio 1848».

Questo decreto avrebbe dovuto ormai calmare il baccano delle intemperanti voglie; sì perché empieva il desiderio dei Deputati medesimi; e si perché mostrava nel Principe una pieghevolezza senza pari in tutto ciò che al bene del popolo conferisse; ed in quei supremi momenti non vi era altro a pensare che all’allontanamento della guerra civile.

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Assai bene sì sarebbe giunto al santo scopo, se uomini prudenti, non belve furibonde, avessero tenuto le redini di quello scompiglio.

Nessun frutto adunque si era ancora ricavato, e nessuno parea doversene ricavare dalle imprese trattative; perché si ripetevano le strane domande; gli uomini erano in maggior fermento; pressavano vieppiù i momenti; stranissime notizie si divulgavano dalla infernal Toledo per innalzare l’arditezza e le opere dei malvagi, ed avvolpinare i balordi; si pubblicava un’ avventata scritta, nella quale il Deputato Ricciardi, compendiando i turbolenti sensi dei suoi confratelli, a tal modo si esprimeva:

«La situazione è aumentata di molto da ieri in poi: il perché diverso esser debba il nostro linguaggio colla corona. La diffidenza della nazione, ed in ispecie delle milizie civili, è cresciuta a mille doppii: unico mezzo a farla cessare sarà l’ottenere dal governo garentie positive: io propongo che gli sieno indirizzate il più presto possibile le due seguenti. dimande moderatissime, moderatissime, io dico, in ragione dei miei principii e desiderii ben noti: la consegna delle castella in mano della guardia nazionale: lo scioglimento, ovvero l’invio della guardia reale in Lombardia. Che se il governo sarà per opponi il pessimo stato delle finanze; e noi diamo al paese l’esempio del sacrificio, soscrivendo ciascuno secondo le proprie facoltà. Ed io primo nella opposizione mi segno fra i primi per la somma di docati 400.

E ad infiammare gli animi non mancava l’avversa fortuna di fare accadere in quell’istante Io sbarco di 300 Siciliani, ai quali, carpendo la occasione propizia, calse di recarsi per la città, precise nei focolai della rivolta, ed aizzare gli esagitati spiriti, e spingerli al truculento fine.

Intanto il Brigadiere Pepe, ed altri Ufficiali Maggiori della Guardia Nazionale si menarono dal Re, sponendo, che a rassicurare la milizia cittadina convenisse far ritirare le milizie, le quali al rumore

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della rivolta erano uscite dalle Caserme, e stavano indrappellate nei larghi, di Palazzo, del Castello, e del Mercatello; e che si benignasse ordinare la Maestà Sua, che un competente numero di soldati inermi dessero opera al disfacimento delle barricate, mentre la Guardia Nazionale non era a ciò valevole in tatto.

Il buon Ferdinando, al quale godeva l’animo di allontanare dalla Città quel nembo, che le pazze ire aveano addensato, condiscendeva a tutto; sì che ordinò la ritirata, delle truppe, la quale di breve fu eseguita; ma le barriere in alcuni punti furono scommesse, in altri rafforzate: quella del Gesù Nuovo fu intieramente disfatta, ma in modo che in un istante si potesse ricomporre; l’altra di Montoliveto fu diradata nelle sue estremità in guisa che potessero, sebbene un po’ scomodamente passare le persone; tutte le altre furono via maggiormente guarnite e consolidate; perché, dicevano i maligni, che le truppe anche ritirate potrebbero irrompere in un momento; ma ricostruire le barricate sarebbe opera lunga, malagevole, e faticosa. Inettissimo consiglio, perché alla fin fine queste celebri barriere non eran bastioni o castella inespugnabili, che avrebber potuto resistere all’arte ed ai mezzi guerrieri di che le milizie abbondavano.

Dall’altra parte il Generale Garofalo, Capo dello Stato Maggiore, il Brigadiere Pepe, ed altri uffiziali si portavano con mezzo centinajo di granatieri inermi per aiutare il disfacimento delle barriere, ma alle prime parole ed alle prime mosse i rivoltosi spianarono i fucili, irruppero con voci minacciose, e vennero al punto dei fatti; sì che fu mestieri, che la pacifica missione andasse a vuoto. Più tardi ritornava alle esortazioni, ed alle istanze il Brigadiere Pepe, ma i suoi medesimi subordinali di lui punto non si calsero; anzi di traditore lo notarono. La quale. contumacia nasceva in gran parte da un erroneo concetto, che cioè la condiscendenza del Re fosse indizio di debolezza, e di timore, e chepperò conveniva stare in sul fermo.

Mileto e Romeo, i quali eran debitori della vita alla clemenza di Ferdinando, ora retribuivano

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tanto benefìzio con aizzare la ribellione ai danni del Trono, e andavan dicendo: Perché oggi si è veduto chiaramente che a farsi sentire si ottiene qualche cosa, bisogna andare innanzi a questa

In mezzo a tanta accidia intemperanza, e vicino perìglio d’insurrezione fu d’uopo che le truppe riprendessero le abbandonate posizioni. Due reggimenti svizzeri, altrettanti squadroni di cavalleria e due compagnie di pontonieri si attelarono nel largo del castello; ed in quello del mercatello un altro reggimento svizzero, una mezza batteria di artiglieria, ed uno squadrone di lancieri: il rimanente reggimento svizzero, ed una sezione di artiglieria occupò it quatrivio che guarda la calata di S. Teresa, il Largo delle Pigne, le fosse del grano ecc.: una sezione di artiglieria, ed uno squadrone di lancieri si postarono nei dintorni della Vicaria: il 2.° reggimento di Usseri nel largo del mercato: nello spianato della Reggia si erano indrappellati un battaglione del 2.° Granatieri, due dei cacciatori della Guardia, un battaglione del Reggimento Real Marina, una batteria di artiglieria a cavallo, un reggimento degli Usseri, ed un battaglione di zappatori: infine nei Granili rimanea in serbo il 1.° Reggimento Granatieri.

Dall’altro lato si sollecitava la fortificazione delle barricate, guernivansi di materassi i balconi, accorrevano gli armati, segnatamente provinciali, facevansi molti provvedimenti, montava l’audacia, si aspettava con ansia il primo segno della pugna.

L’attitudine era minaccevole da ambo le parti, ma recava sorpresa in tutti il considerare, come il partito liberale potesse provarsi in un cimento con mezzi disuguali: munizione scarsa, gente raccogliticcia senza capi, senza ordini, senza disciplina, poca di numero, asserragliamenti fragilissimi, non piano di attacco, non ligami di operazioni, non punto di ritirata, non verun’altro provvedimento indispensabile

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alla retta riuscita di una fazione; mentre dal!’altra parte stava milizia istruita, sufficiente,

Vero è che non si dovea combattere in guerra giusta, ma ad ogni modo la sproporzione era significante, e tanto meravigliosa, che avea fatto aggiustar fede a varie dicerie che eran corse e correvano di labbro in labbro.

Queste erano 1.° che gli svizzeri, come pertinenti ad una Nazione liberale, mai non avrebbero impugnate le armi contro i liberali, né contro la Guardia Nazionale con cui si erano affratellati nelle diverse operazioni fatte insieme nella occasione del nostro politico rivolgimento; che anzi affermavasi essersene avute delle assicurazioni da parecchi Uffiziali. 2.° Che le patrie milizie non avrebbero osato combattere contro i proprii fratelli, ed a fare involgare questa credenza avevan pubblicato quel falso avviso di che si è cennato più innanzi. 3.° Che per fermo sarebbesi avuto qualche soccorso, se non materiale, almeno morale dai Vascelli francesi ancorati nella rada; massime perché taluni Uffiziali francesi, per quanto dicevano, nel corso della notte avevan data mano alla costruzione delle barriere. 4.° Che dai palazzi si sarebbero gittati mobili, pietre ed altre cose a gran copia, le quali avrebbero schiacciato il nemico, ingombrate le vie, ingrossate le barricate.5.° In fine, che il popolo caldeggerebbe la causa dei liberali, ed al combattimento sarebbe a strade calcate accorso. Ma tante speranze malaugurate, e malfondate di breve vennero frustrate dalla trista realtà del cannone. Guai a chi in guerra fonda sulle speranze, e non. su dati positivi!…

Dissi malfondate, e non a torto; perché la mente di coloro che si pascevano di tante lusinghe non dovea essere ottenebrata al segno da non dar luogo a facili riflessioni nascenti da freschi e notissimi ricordi.

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Doveasi rimembrare, che la Storia di tutti i tempi mostra negli Sviz

Se queste ed altrettanti riflessioni si fossero fatte, io mi affido, chi i promotori di quelle gravi sciagure mai non avrebbero nutrita veruna speme, si sarebbero ritratti dal reo proponimento, ed ora il 15 Maggio del 1848 non si tramandarebbe alla posterità in pagini luttuose! Era destino pertanto, che questa invidiata e dolce patria minasse in grembo alle furie civili, e vi ruinò; le umane tigri vollero il sangue dei pacifici fratelli, e se l’ebbero!…

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Intanto non si trasandava una corrispondenza attiva, né si preterivano i modi onde sviare dal nostro cielo il minaccevol nembo. Il Sovrano mandava il Brigadiere Carrascosa in casa Troja, ove erano congregati i Ministri, esortando si muovessero a dar pronti e vigorosi ordini. I messaggi si affrequentavano; il popolo accorreva, tiratovi da vituperevole curiosità, per molti fatale, affine di osservare l’insolito Spettacolo; i liberali si affaccendavano intorno alle barriere, le milizie rimaneansi tacite ma frementi, si tentennava fra timori e speranze, quando un’ ora prima di mezzodì udissi una fucilata vicino all’angolo di S. Brigida, la quale ruppe le more, e seguita da clamorosi applausi, chiamò all’armi i difensori tutti delle barricate. Ed ecco due altri colpi di fucile tirati dalla barriera che occupava l’entrata di Toledo rimpetto al Largo di palazzo, pei quali fu morto un granatiere della Guardia e ferito un Uffiziale. A questo non ebbe più limite la lunga pazienza dei soldati, epperò senza attendere alcun comando quasi istintivamente si spingono alla provocata pugna: indarno gli Uffiziali cercano d’infrenare quell’impeto, indarno adoperano la persuasiva, il comando, le minacce, indarno si fa battere il rullo dei tamburi a segnale di cessazione del fuoco; poiché tutto fu impossibile, segnatamente perché i ribelli in cambio di sostarsi, con maggior furore e numero al cimento si slanciarono. Allora fu mestieri regolar quell’impeto, ed opporlo alle micidiali offese: ed ecco uno scoppiettio continuo, fitto, crescente di moschetteria, reso orrendo a brevi intervalli dal rimbombo delle artiglierie portatili: tuonarono per tre volte a segnale di guerra i Forti di S. Elmo, dell’Ovo, del Carmine, e del Castel Nuovo, innalberando bandiera rossa; ma non tirarono sulla Città, tranne l’ultimo che facea scoppiare i cannoni dal bastione che prospetta palazzo reale, e dalla linea che fronteggia il largo della Posta, e Fontana Medina. Impegnossi a tal modo in tutti i punti una lotta orrenda, accanita, esiziale!…

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Combattevasi aspramente nella barricata di S. Ferdinando, che era la più salda. Un battaglione dei Granatieri dapprima, al quale poco poscia si unì il 1.° Reggimento Svizzero, e l’Artiglieria a cavallo, ai cenni del Brigadiere Carascosa furiosamente la tempestavano, mentre vivamente era difesa dalla strada, e dai vicini palazzi, da cui una mortifera gragnuola di palle imperversava. Intanto una Compagnia del Reggimento Real Marina prende posizione sui balconi e terrazzi del palagio Zabbatta, ed un plutone dei Granatieri va a postarsi sulla terrazza della Foresteria; a tal modo dominate le micidiale case scemarono i difensori, colpiti dall’inatteso combattimento aereo. Un battaglione dei Cacciatori, va a supplire quello dei Granatieri, ed una con gli Svizzeri procede innanzi. Guari non passa e la barricata di S. Ferdinando, creduta il baluardo della rivoluzione, pel valore e T arte militare è abbattuta o va in rottami.

Simile furore di guerra infieriva nella barriera di S. Brigìda, la quale era anch’essa ben solida, e difesa dall’intiero 1.° battaglione della Guardia Nazionale. Il 2.° e 4.° Reggimento Svizzero, ed una mezza batteria attelati nel largo del castello, eran pronti ad entrare in azione, ma spinti dal lodevole scopo di schivare il sangue, spedivano due Compagnie, onde pacificamente scommetterla, le quali salutate prima con grida di evviva gli Svizzeri, ebber poscia un nembo di fucilate non appena la pacifica opera incominciavano.

Immantinenti accorse la riserva. Furioso fu l’assalto, furiosa la difesa. Stette per lunga pezza in dubbio la pugna, ed ancora vi sarebbe stata, ove non si fosse mutata tattica; imperciocché dapprima irrompevasi in colonna per divisione, e poscia con utile consiglio s’irruppe per file sui lati della strada con l’artiglieria nel mezzo. Per tal guisa la barricata fu di breve sfasciata e distrutta, e le attigue case occupate. Il palazzo Cacace divampò.

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Pari impeto ardeva intorno alla barricata di Montoliveto, la quale era ben costruita, e meglio difesa da moltissimi armati che brulicavano nei palazzi vicini, e precisamente in quello di Ricciardi, il quale parea una fortezza. Appressatisi i Granatieri del 1.°, prese ad imperversare un impetuoso fuoco di moschetteria, al quale impetuosamente quei prodi rispondevano. Guari non passa e i Guastatori atterrano il portone, due compagnie vi penetrano, ed ecco nel più forte impeto della orribil pugna incominciaronsi a vedere le stanze del secondo e terzo piano di quel palagio illuminate, e poscia le fiamme serpeggiare per la secca mobilia, comunicarsi alle porte alle finestre, insinuarsi dovunque, accrescersi, ingrandirsi a dismisura. Quante erano le aperture di quel grande edilìzio, tante le spaventevoli bocche per le quali ora si spingevan fuori, ed ora rientravano gli ammassi delle scoppiettanti fiamme, lampendo l’esterno delle mura: le travi divorato dal fuoco crepolavansi, scricchiavano, quando s’inabissarono con rombo cupo e spaventevole una col tetto e coi pavimenti, ed ecco formarsi una vulcanica voragine, e dal suo grembo uscire globi nerissimi di fumo illuminati dalle incerte e guizzanti fiamme, i quali agglomerandosi per l’aere, andavano in dileguo.

Rimasero attoniti i circostanti. Finì il combattere; poiché nessun riparo avevano i sollevati contro dell’incendio, nuovo ed orrendo nemico. Si salvò chi poté. Il primo piano fu preservato dalle fiamme per una poderosa volta che Io copriva. Accorsero i pompieri, ma l’incendio per lunga ora durò. Miserabile avvenimento, se fu casuale opera dello scoppio dei moschetti; condannabile, se nacque dall’apposita accensione di colpevoli carte, affine di disperder le tracce delle innumerevoli nequizie tramescolate in quell’infame muda.

Il 2.° Reggimento Svizzero proruppe sulla barriera distesa vicino all’edificio degli Studii, e combatté per circa un’ora; dopo della quale d’un tratto cessarono i fuochi nemici, perché i liberali,

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avuta appena la falsa novella

Tatto le altre barricate furono man nano dalle milizie espugnate, e conquise, dopo valorose ed ononorate fazioni, delle quali per amor di brevità non parlo, accontentandomi di dire in generale, che in talune barricate furon poche o mille le resistenze, in molte esiziali e tempestose, e quando l’impeto delle artiglierie ne sgombrava i difensori, facendole sbalzar per aria, questi ricoveravansi nei vicini palagi, e facevan fuoco sui soldati, i quali alla lor volta si spingevano innanzi in due file opposte, rasentando le mura, e incrociando i fuochi contro le finestre e i balconi: progredendo, forzavano i portoni, li scardinavano con le accette i Guastatori, e dove non «i poteva li schiantavano col cannone: salivano sugli appartamenti, e bistrattavano, o percuotevano, o ferivano quelli che ostilmente agivano, e li mandavan captivi, rispettavano quegli altri che nimichevoli segni punto non mostravano. Assicuratisi delle stanze, si postavano dalle finestre dai balconi e dai terrazzi, dirigendo fucilate là donde gliene venivan dirette. Conquiso un palazzo vi lasciavan presidio, ed a segnale di sicurtà un lenzuolo, o coverta, 0 tovaglia o altro lino bianco sciorinato; indi passavano in altro palagio, e poscia in altri ed altri, fino a che non si recarono al possesso di tutti i palazzi che fiancheggiavano i luoghi del conflitto.

In frattanto il Brigadiere Carrascosa, essendo ormai nell’ultima agonia la fortuna degl’insorti, cavalcava pei rimanenti quartieri della Città, ed era lieto di ritrovare quella tranquillità, che era il più chiaro argomento della riprovazione di ciò che facevasi da una casta sovvertitrice, sotto il mentito nome di popolo, nella scompigliata ed insanguinata Toledo.

Mentre nell’accennato modo la guerra civile ardeva, cose degne di memoria susseguivano da parte del Re, dei Ministri, e dei Deputati, che fa luogo qui raccoltam

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I Ministri, udito il primo scoppio dei fuochi, andarono alla Reggia per informavo il Monarca oralmente di ciò che pur troppo il guerresco rumore ormai divulgava. Re Ferdinando II ricevé alla sua presenza, ed al Ministro Scialoja, che andava in parole per lo ardore delle milizie, così prese a dirgli con severo piglio siete or contenti di aver gittata per le vostre opere il paese nella guerra civile? ed egli si mise a rispondere, che sarebbesi a tempo di riparare ove la Maestà Sua, ordinasse che il fuoco cessasse. Si cesserà dal fuoco, ripigliò il Re, ma come trattenere l’impeto dei soldati già troppo irritati, se voi non vi date la cura d’inculcare a’ vostri perversi satelliti di cessare dall’offendergli ulteriormente? Così soltanto può sperarsi che il fuoco si smorzi, e l’ira si reprima. Al suono delle regie parole frustrati ed avviliti partivano. i Ministri, portando il rimorso del sanguinosa cataclisma.

In frattanto i Deputati, i quali, come si è cennato, erano, in trattative e fra varie speranze, al primo rimbombo del cannone, si ebbero la certezza, fatale per taluni, lusinghiera per altri, della incominciata pugna: rimanean taciti e confusi fra varii pensieri, secondo che le varie passioni portavano; quando alcuni frenetici col fine di aizzare gli sdegni entrarono frettolosi nella Camera presentando, le palle ancor calde di cannone, ed esclamando: Ecco i regali che si fanno dal Re alle Camere. Montò a tali detti la costernazione nei buoni, lo sdegno nei malvagi, i quali non si rattennero dal proporre consigli estremi,

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cioè un

Frattanto consideratosi, che l’ultimo Messaggio inviato a Sua Maestà non avrebbe più potuto ritornare, che non era conveniente allontanarsi da quel posto mentre ardea la guerra civile, fu fermato dai Deputati di tenersi in seduta permanente. Furon presentate altre palle per eccitare e commuovere, alcuni Deputati rendean tumultuosa la Camera con progetti e clamori stranissimi; e si venne alla seguente deliberazione.

«La Camera dei Deputati unanimamente ha deliberato di creare un Comitato di sicurezza pubblica con potere assoluto di tutelare l’ordine pubblico, e provvedere all’urgenza del momento».

«Che la Camera si dichiari in seduta permanente, e che chi dal suo seno si allontana sia dichiarato di poca fiducia della nazione».

«Che la guardia nazionale sia di assoluta dipendenza del Comitato della pubblica sicurezza».

«Che il Comitato riferisca alla Camera continuamente il processo delle operazioni incoate, e decreterà le ulteriori sue disposizioni, e che questo regolamento si pubblichi al momento»…. ‘

«Da Montoliveto li 15 Maggio 1848».

Il Comitato composto da 5 Deputati diede cominciamelo al suo ufficio dallo spedire una deputazione al Ministero per informarlo delle prese risoluzioni; un’altra sui Vascelli francesi per impegnare l’Ammiraglio Boudin ad una mediazione, il quale, assicurante l’Arlincourt (1), era stato premurato da Leyraud, rappresentante della Repubblica Francese, a dare appoggio morale e materiale ai ribelli, ma l’Ammiraglio vi si negò.

Il Comitato facevasi ad inviare un messo al Generale Labrano; Comandante la piazza di Napoli, con una lettera del seguente tenore.

(1) Opera Citata pag.227.

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«Sig. Generale. La Camera dei Deputati, unica rappresentante della Nazione, è in permanenza, ed ha destinato un Comitato di pubblica sicurezza. Con questa qualità, di cui si è data partecipazione al ministero, il Comitato le domanda perché il conflitto tra la truppa e i cittadini sia nato, ed insiste perché cessi sul momento ogni violenza».

Il Generale in un viglietto mandato per mezzo di un Uffiziale dello Stato Maggiore, si facea a rispondere: avere inteso, che il conflitto era nato dalla parte dei cittadini, e che le truppe avevano ingaggiata la pugna dopo serie provocazioni; esser suo vivo desiderio di mettersi d’accordo con la Camera per far terminare quell’orrenda tragedia. Il Comitato mandò sollecitamente dal Generale i Deputati Pepe ed Avossa per trattare una sospensione di armi.

Pertanto le inviate Deputazioni non facean ritorno né dal Ministero, né dalla squadra francese, né dalla Piazza; poiché l’infuriare della battaglia rendea pericolose e impraticabili le vie, e spaventevole la stessa dimora di Montoliveto per l’infernale attacco del vicino palazzo di Gravina. Cosicché resi certi i Deputati del progresso delle regie armi stavansi disconclusi e contristati intorno all’ottuagenario Presidente Arcidiacono Cagnazzi, il quale chiamato a se La Cecilia, capitano della Guardia Nazionale, che rimanea a tutela della Camera, gli ordinò, accomiatasse tutti, non altri ritenesse che una sola Guardia di onore di dodici individui; venendo militari si aprisse la porta senza contrasto; richiedendosi le armi subitamente si rendessero.

Infrattanto avvicinandosi a gran fretta lo scioglimento del dramma, curarono gli Assembrati di stendere la seguente protesta. La Camera dei Deputati riunita in Montoliveto nelle sue sedute preparatorie, mentre era intenta ai suoi lavori, ed allo adempimento del sito sacro mandato vedendosi aggredita con inaudita infamia dalla violenza delle armi regie nel

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Elassi alquanti momenti entrarono nella sala di Montoliveto un Capitano Svizzero ed un altro della Guardia di Sicurezza, portando ordini, che l’Assemblea si sciogliesse; così che molti Deputati fecero ritorno nelle proprie case, altri fuggirono nelle provincie, ed altri si ricoverarono sui Vascelli francesi, donde, dopo qualche giorno, si mossero per a Civitavecchia ed a Marsiglia.

Per tal guisa la Camera fondamento delle nuore speranze fu disciolta e finì; ma l’orrenda conflagrazione divampava tuttavia, e si protrasse fino a sera innoltrata, durando per circa 8 ore, quando le truppe vincitrici ristettero dal trarre, e dichiarata la città nello stato di assedio, serenarono nei larghi e nelle principali strade.

I prigionieri furono menati alla spicciolata nel quartiere del Reggimento Real Marina, luogo fortunato e sicuro, fra Io scherno della popolaglia, la quale al primo segnale di guerra si era scatenata contro i liberali, indi passarono in numero di circa 600 a riempire la fregata Amalia, e i Brigantini l’Intrepido, e il Valoroso, i quali erano disarmati ed ancorati nella Darsena.

Molti furono i feriti ed i morti; perché oltre ai combattenti, molta gente si trovava

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per maledetta curiosità vicino

I modi delle ferite innumerevoli e strani, per quanto il modo del ferire svariato. Non mancò il caso di chi gittatosi o gittato dai balconi venne giù pesto e sfracellato, di altri che fra gli orrori dell’incendio, arrandellati da disperazione, precipitaronsi nei pozzi, pria morti che annegati, e di altri che svenuti per timore o per aria rarefatta, furono arsi dalle fiamme dei divampanti edifizii, o schiacciati dalle cadenti ruine.

numero dei morti non si sa di preciso. Affermossi, che furono trasportati nei Campisanti circa 1200 cadaveri, ma facilmente vi compresero gli spenti da morbi comuni (1).

Così fu mesto e procelloso il 15 Maggio!. Chi lo avrebbe mai detto, che un giorno destinato alla più ricordevole delle feste, l’apertura delle Camere, sarebbe stato giorno di guerra, di miseria, e di tutto! Eppure tanto è delle umane cose, le quali dal gaudio al duolo han breve il passo!

La notte del 15 si passò in calma; ma dileguata appena, e surto il nuovo sole, una scena commiserevole si offriva nei luoghi del conflitto. Le mura tempestate di buchi, e di sgretolature, segnatamente là dove più fitta era stata la gragnuola delle palle, e delle schegge; le cantonate qua e là rotte;

(1) Molti Svizzeri perirono sul campo, e fra essi il Maggiore de Salis, il Capitano de Murali, e gli Uffiziali Eyemann, de Stiirler, de Goumeaus, de Striger, uomini di fama onorata. Delle Guardie Nazionali scarsa fu la perdita, perché garantite dagli edifizii. Fra gli spenti noveravansi benanche 15 donne,3 ragazzi, un Laico di S. Teresa, ed un Sacerdote (Giornale Ufficiale). E monta qui riferire, che si trovò sotto la tunica di un guardia nazionale estinto una bandiera con sopravi questa leggenda in grandi lettere rosse. Repubblica, Napolitano,13 Maggio,

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le porte crivellate; i portoni scardinati, le finestre fracassate, le invetriate infrante; le strade disselciate, e ingombre dagli avanzi delle barriere, taluni balconi sterpati dalle mura, altri piegati o spezzati, e gli arsi palagi ridotti in neri e deplorabili abituri.

I napolitani erano in paurosa sollecitudine, le botteghe chiuse, i pizzicagnoli con le porte socchiuse, i cibi incanti, le rie maggiori presidiate dalle truppe, i pubblici uffizi sospesi, la città delle Sirene tramutata in campo lugubre e deserto. Accrescevano mestizia i cadaveri che si andavan togliendo per la sepoltura, e le novelle di casi miserandi, di ruberie, di eccidii, e di enormità commesse, le quali, per la Dio mercé, non furon punto cosi come la fama divulgava.

Questa fu la prima ecatombe che immolavasi al maligno genio della ribellione! Eppure felice sarebbe stata l’età se qui si fosse fatto sosta! continua……

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa2s/02_Storia_di_Ferdinando_II_Regno_due_Sicilie_1830_1850_libro_I_II_II_Giovanni_Pagano_2011.html#COMITATO

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