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STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO (IX)

Posted by on Lug 30, 2024

STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO (IX)

CAPITOLO VIII

RIAPERTURA DEL PARLAMENTO NAPOLITANO

Sommario

Le Camere son prorogate per la seconda volta, e perché; infine sopraggiunto il prefisso tempo sono aperte. Il Ministero per diverse e contrarie vie urtato, e riurtato. I Deputati dietro gagliarde e prolungate discussioni vanno scopertamente ai danni di quello con un indrizzo al Re. Quanto fosse imprudente un tal procedere. Il Ministero si tien saldo io mezzo alle tempeste, e con un memorando rapporto al Sovrano, difende se, dipinge a minuto le improntitudini, le sregolatezze, e gli eccessi della Camera dei Deputati e ne domanda la chiusura. Il Re con un decreto scioglie la turbolenta tribuna, né più di lei si cale.

Fu da noi detto nel capitolo quarto del presente libro, che le Camere Legislative erano state prorogate ai 30 Novembre, ora soggiungerò, che pei nuovi incidenti svolti in Italia, e segnatamente in Roma, il Re ai 23 di tal mese estendeva la proroga al 1.° di Febbrajo dell’entrante anno. Ed alla verità la fuga del Pontefice dal Vaticano, il forte ribollimento degli animi romani, l’attrito violento dei partiti, la contumace accidia dei Siciliani, le discussioni intorno allo stato discusso, ed altri obbietti d’importanza non avrebbero fatto altro che recare in momenti così trepidi urti, contrasti, e conflitti di passioni nel campo del nazionale parlamento; mollo più perché non eran per anco posate l’esagitazioni delle Camere; il Ministero e i Deputati tuttora si guatavan biechi; e d’altronde l’intorbidato Tevere, non si sarebbe rimasto dal mandare un funesto rivo al dubbio Sebeto, e spingerlo a gravi mutamenti.

Frattanto arrivate le calende di Febbrajo,si dischiudevano le Camere Legislative. Napoli memore della lamentevole catastrofe di Maggio, era fra timori e speranze tempellaate, e deserta;

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nondimeno non. mancava un brulicame di curiosi nella strada del Salvatore che menava all’edilìzio delle Tribune, non che nel Cortile di quello. I Deputati e i Pari, riuniti in uno dei gabinetti della Università, si recarono nella chiesa del Gesù vecchio per una scala interna, e dopo ascoltatavi la messa, invocato l’aiuto dello Spirito Santo, e ricevuta la S. Benedizione, verso il ‘mezzodì si portarono nelle rispettive stanze. Eran presenti alla funzione i Ministri Torcila, Carascosa, Bozzelli, Gigli, Ruggiero, e Longobardi. Vari drappelli di soldati si aggiravano per le vicinanze dell’Università, pronti ad accorrere ad ogni bisogno; ma l’apertura riuscì tranquilla in ambo i Consessi legislativi, e solo in quella dei Deputati vi furono fragorosi applausi.

Nelle susseguenti tornate, varie cose si ventilarono, nelle quali tralucea quella stizza contro il Ministero che sventuratamente la piupparte dei Deputati non avea saputo attutire o spegnere, e che man mano ingrossando finì con aperta guerra, nella quale per altro essi rimasero prostrati, e per sempre. Il Ministero veniva tempestato da molti lati, per contrarie cagioni; sì che era in punta degli odi, e se ne desiderava la caduta. Alcuni lo tassavano, perché non si era attraversato validamente alla riapertura di quelle Camere., le quali non pace, né progresso, ma guerra, tutto, e catastrofi aveano al paese procacciato; e di cui non pochi si Servivano per andar difilati alla distruzione del Trono, ed al completo sovvertimento della società. Altri che avevano a cuore la conservazione, e il progresso del costituzionale reggimento, gli portavano mala volontà, perché non sapeva o non voleva calarsi a concordia col Parlamento, mentre dalla discordia nessun bene, ma tutto il male al paese derivava. Altri infine gli tenevan broncio, perché avea applicato tutto l’animo suo allo spegnimento della rivoluzione di Calabria, cardine delle più lusinghiere speme, ed alla messinese guerra che tanto avea sconfortato i liberali ed innalzato i Regi.

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In mezzo a tante cagioni di odio, il Ministero era in mille modi minato, e cotidianamente alla sua distruzione si mulinava; e nella Camera dei Deputati, focolajo di tutte passioni, si andavano a rannodare gli sdegni, e le forze riunite per lo conseguimento dello scopo; e fu stabilito dì farne subbietto di un indrizzo al Principe.

Molte e calorose discussioni nacquero intorno alla convenienza dello indrizzo; nella tornata degli 8 Febbrajo fu agitatissima la tribuna parlamentaria; ben dodici gagliardi oratori con vario impeto, proposito, argomentare, ed eloquenza parlarono: infine fu concluso che l’imprudente indrizzo avesse il suo corso. Dissi imprudente e non a torto; poiché il governo non era si gonzo, che non vedesse gravi disegni nel mutamento di un Ministero che avea timoneggiato accortamente la nave dello Stato in mezzo alle politiche procelle, e massime in un tempo in cui i Ministeri di Piemonte e di Toscana erano sbalestrati per la demagogia, ed in sul Tevere, affascinate le menti dalle memorie antiche, e solluccherate dalle fantasime future, era vicina ad innalzarsi la repubblica. Adunque non tenersi fra i limiti della moderazione in quelle trepide circostanze, e gittarsi ad un certame col Ministero, era veramente una manifesta imprudenza, o una condannevole improntitudine. Le ire municipali, vecchia cangrena d’Italia, perderono le antiche istituzioni; le imprudenze, e gli odiuzzi personali dei moderni, passioni puerili schernite mai sempre da fortuna, le recenti instituzioni perderono. quest’esso è l’indrizzo.

» Sire – La camera de’ deputati volendo provare a Vostra Maestà ed al paese intero ch’è suo costante desiderio di prestare al potere esecutivo il suo franco e leale concorso, nel silenzio de’ ministri, à votato spontaneamente la riscossione provvisoria delle imposte».

» Ora sente il dovere e la necessità di rivolgersi alla Maestà Vostra, e con fiducia ella si rivolge al Principe,

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che primo inaugurava nella penisola italiana gli ordini costituzionali, e con fiducia ella attende una voce che riconduca l’armonia tra i poteri costituiti, ed impedisca che uno statuto liberamente dato sia da’ supremi agenti responsabili più oltre manomesso».

» Sire. I deputati della nazione persuasi che i veri bisogni del principe si confondono con quelli del popolo, di cui è capo e vindice supremo, non dubitano di manifestare francamente a Vostra Maestà, che l’attuale ministero non à la fiducia del paese, e ch’esso falsandole istituzioni, tradisce ad un tempo gl’interessi del Principe e quelli del popolo. Cosiffatti bisogni ed interessi si riassumono, Sire, nell’attuazione sincera e piena del regime costituzionale consentito dal Principe, legittimo dritto del paese, voto precipuo de’ suoi rappresentanti».

» Non è dubbio, o Sire, che il ministero à contro di se quasi unanime la riprovazione della camera elettiva; riprovazione giustificata abbastanza dal tenore ch’esso à serbato, e serba tuttora».

» Il ministero ostinatamente à celato alla camera tutto ciò che riguarda l’interna politica del governo di V. M., facendo sembianza di crederla ostile ad ogni ragionevole ed onorata proposta; le à negato ogni ragguaglio intorno alle condizioni economiche ed amministrative del paese, à trascurato colpevolmente ogni iniziativa di leggi, di cui suprema era la necessità ne’ primordi del nuovo reggimento; né contento di ciò interamente, prorogando le camere e fino impedendo che la loro voce giungesse innanzi al trono, à renduto impossibile ogni salutare provvedimento, né à temuto, fatte silenziose le camere, di sostituir la sua voce a quella de’ rappresentanti della nazione, usurpando la potestà legislativa con atti aggravanti sopratutto la condizione della finanza o de’ contribuenti. Infine à trascurato e trascura, con gravissimo danno del paese, di adoperarsi a spegnere

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le funeste cagio

» Che più?Gli stessi dritti scolpitamente assicurati alla nazione dallo statuto, non furono pel ministero oggetto di religiosa osservanza, ma di ludibrio. Vostra Maestà voleva garentita la libertà individuale, libera la manifestazione del pensiero, inviolabile il domicilio, indipendenti i giudizi, egualità innanzi alla legge: ma invece il ministero non uno solo di questi sacri dritti lasciava inviolato».

» E ben poteva qui la camera ritrarre agli occhi di V. M. un quadro doloroso di sofferenze e di angoscie indicibili; le carceri riboccanti d’imputati e di sospetti per opinioni politiche; innumerevoli famiglie vedovate de’ loro più cari, astretti a’ dolori dell’esilio, e l’universale mestizia inacerbita dal ministero che indugia a V. M. la gloria e le gioie del perdono».

» Sire la camera non può sperare ornai che un ministero, tante volte indarno censurato, si ritraesse dalla sua via; né dall’altra parte essa stima convenire alla propria dignità ed agì’ interessi della nazione consumare il tempo in una sterile lotta per combattere la illegalità e la ignavia de’ ministri. Contro le colpe di costoro ben sente ella di avere dritti severi ad esercitare, ma per temperanza civile antepone oggi di rivolgersi al principe. Collocata Vostra Maestà nell’alta sfera di quelle sublimi attribuzioni costituzionali, che spogliandola di ogni possibilità di fare il male, le lasciano l’onnipotenza di operare il bene, non tarderà a profferire quella regia paro la, medicina suprema a’ travagli dello stato: come dal loro canto i deputati sono stati sempre, e saranno parati a dure al governo di Vostra Maestà quel pieno e costi

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che le frutterà non men sostanza dì forma, che amore e riverenza de’ popoli».

Il Ministero a lai forma percosso, ripercuoteva, e in questi sensi andava il suo animo al Sovrano dichiarando.

«Sire – Nella mancanza di ogni possibile accordo fra il Ministero e la pluralità della Camera elettiva, in tempi nei quali, per le tristissime vicende in cui gli stati confinanti sono miseramente travolti, questo Reame, divenuto segno da ogni parte ai più malvagi tentativi di sovversione, riman perplesso ed agitato nella incertezza de’ suoi destini; non altro espediente offrivasi a noi, suoi fedelissimi sudditi e ministri, se non quello di rivolgersi alla inevitabile alternativa, o che fosse a noi dato il ritirarsi tutti; o che la suddetta Camera fosse sciolta. Nella gravità di sovrastanti casi, la inefficacia de’ nostri voti perché la Maestà Sua si appigliasse al primo dei due proposti partiti, ci rende unanimi nel richiamar la Sua Sovrana attenzione sulla imperiosa, urgentissima, invincibile necessità di ormai ricorrere al secondo. Conceda quindi la Maestà Sua, che a meglio indicarnele i prominenti motivi, noi percorriamo d’un rapido sguardo gli avvenimenti a cui si rannoda l’attuale stato delle cose, da quelli che per lo innanzi ci percossero, sino a. quelli che tuttavia ci premono e c’ incalzano».

» La Maestà Sua inaugurava un’ era novella in questa patria dilettissima con la Costituzione che spontaneamente concedea il 10 febbraio dello scorso anno ai suoi popoli: ed esser già stato il primo a formolarne il dettato in Italia, è una gloria che niuno le può contendere. Se non che mentre a questo inatteso mutamento di civil comunanza le masse applaudivano a gara con leal rendimento di grazie al Cielo, un pugno di audaci, avidi di far mercato delle lacrime nostre, concepirono sordamente il reo disegno di avvelenare la pubblica gioia delle lo

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» Or non è da obbliarsi che il Ministero attuale, onorato dalla fiducia della Maestà Sua in momenti disastrosi, nei quali sarebbe stata viltà il rifiutare di obbedirla, prendea le redini dello Stato dopo la spaventevole catastrofe del 15 maggio; la quale, benché compressa nelle strade di Napoli, pur prorompea in cento altri luoghi, pari a fuoco sotterraneo che cercasse violentemente un’uscita; e dopo aver commosso tutto, balzando di provincia in provincia, si dilatava con nuovo e più efferato mugghio nelle Calabrie, ove minacciò irreparabile una generale conflagrazione. Vidersi allora fra cittadini e cittadini, come se ogni vincolo sociale fosse andato in pezzi, attentati alla vita, attentati alla proprietà, attentati all’onore, e tutto rimescolato e confuso in una congerie di orribili ed inaspettati disordini. In questo convulsivo stato di cose, il dover primo e più sacro dell’attuai Mi

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e preservar la Costituzione dagli attacchi di chi avea voluto lacerarla: esso la riguardò come l’albero della vita, intorno a cui tutti, calmata la effervescenza delle passioni impure, si sarebbero un giorno riordinati e raccolti. Se questo non produsse immediatamente i suoi frutti, non fu colpa del Ministero; ma fu suo merito che in mezzo alle tempeste di esterminio esso non rimanesse schiantato fin dalle sue radici, perché oppose alle percosse che il crollavano una resistenza in gran parte passiva, ma sempre ferma e perseverante. Convinto che mercé la Costituzione la libertà si era identificata con la Corona, il Ministero, per serbare ad entrambe la loro integrità e la loro inviolabilità, si collocò intrepido fra la Corona e i pericoli che le sovrastavano; affinché divenuto esso solo bersaglio a tutt’i colpi, quest’area dell’alleanza si rimanesse invulnerata per la futura prosperità de’ popoli. Tutto quello che ha operato nell’intervallo è stato in vista di questo eminente obbietto; e forte della sua coscienza, il Ministero se ne applaude, aspettando la retribuzione di giustizia, non da’ suoi contemporanei ma dall’imparziale posterità.»

» I primi nostri provvedimenti governativi portarono infatti la duplice impronta della fermezza e della più riconciliante moderazione. Poiché mentre dall’un canto, a tutelare la interna sicurezza dello stato, e così preservar di rimbalzo il resto della minacciata Italia dalla funesta dissoluzione d’ogni ordine sociale, noi non fummo perplessi a richiamar subito nel Bearne quella parte del napoletano esercito che già preparavasi a combattere pugne gloriose in regioni esterne, mostrammo dall’altro che non dovendosi eriger trofei alle civili vittorie, ogni rincrescevole classificazione tra vinti e vincitori dovea sparir senza ritardi: per cui oltre a 600 individui, presi nella maggior parte con le armi alla mano, e ancor luridi, e fumanti del terribile conflitto del 15 maggio,

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vennero il dì appresso tutti rilasciati, e quest’atto di longanimità in un consimile clamoroso avvenimento, che avrebbe dovuto comporre immediatamente a stabil concordia le anime più ostinate nel mal operare, non ci riuscia malagevole, quando trattandosi di perdonare, il nobil cuore della Maestà Sua precorrea di gran lunga fino alte nostre intenzioni più occulte. né le altre simultanee misure che adottar ci convenne a garantia della tranquillità pubblica, furono suggerite da spirito men temperato ed indulgente; lasciando noi alla rigida storia il decider con facili confronti, se lo stato di assedio, a cagion di esempio, in cui fu dichiarata la Città di Napoli fosse stato più di nome che di fatto».

«Fermi così nel preconcetto nostro politico sistema di rianimar la devozione per l’Augusta persona della Maestà Sua, ed il rispetto dovuto alla Costituzione accordataci dal suo grande animo, noi ci rivolgemmo a pacificare per gradi le agitate province senza insoliti rigori, senza persecuzioni cieche, senza spargimento di sangue. E siccome in talune di esse offria perenne incitamento alle turbolenze lo stato di anarchia deplorabile in cui la contigua città di Messina si ritrovava, noi non fummo irrisoluti a spinger fin là i mezzi di disperdere a cornuti vantaggio i perturbatori dell’ordine, e ricongiunger di nuovo la intera isola al rimanente del Reame: al che bastarono pochi bravi di un esercito eminentemente intrepido e devoto, anche in breve spazio, affrontando con valore ogni specie di pericolo, restituirono alla desiderala calma quella derelitta contrada. Indispensabile quanto salutare impresa, che unita sempre alla franca lealtà ed alla costante buona fede della politica del Governo, ci meritò al punto la stima dell’Europa che due grandi Potenze vollero esse, ad attestato di antiche benevole relazioni, delegar due rinomati Ammiragli

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a portar parole di

» Se non che le passioni sovvertitrici eran represse ma non disarmate negl’indomabili faziosi che avean tentata la rovina di tutti; e divenuti impotenti a sfogarsi per le antiche vie, si gittarono, sotto le ipocrite apparenze dell’esercizio di un dritto, a macchinar più iniqui attentati ne’ Collegi elettorali che si convocavano per la novella Camera, dopo che restò sciolta la precedente. Le liste degli elettori eran già incompiute; perché in tanta general commozione i più timidi si ritrassero dal farvisi comprendere. Ciò malgrado la fazione audace, cui offri a si propizia l’opportunità di risommergere il reame ne’ tumulti, abusando della generosità del Governo, il quale si astenne da qualunque atto che potesse inceppare la libertà de’ suffragi, stimò che fosse ancor troppo esteso il numero di coloro che vi si trovavano iscritti; e pose tutto in opera per allontanarne la maggior parte col turpe mezzo delle menzogne; delle frodi, delle calunnie, delle minacce e delle violenze d’ogni specie. E che i successi rispondessero all’intento, lo provano geometricamente i fatti, poiché a Napoli, di 9384 elettori iscritti, soli 1491 intervennero alla elezione; ad Aversa di 2822, ne comparvero soli 483; a Lagonegro di 3448 se ne mostrarono soli 652; a Catanzaro, di 5853, soli 1140; a Nicastro, di 3623, soli 932; a Foggia, di 4608, soli 1300; a Bovino, di 2108, soli 421; a Lecce, di 3568, soli 508; a Bari, di 9652, soli 2175; ad Altamura, di 2801, soli 478; e cosi di tutti gli altri. né mancarono dei Collegi che o non si riunirono affitto, o che facendosi giudici essi delle più alte prerogative della Corona, dichiararono illegalmente sciolta la precedente Camera, e ne confermarono senza forma di elezione i Deputati».

» Frutto di tante inique pratiche e di una sì scandalosa minoranza di elettori fu l’attuai Camera de’ Deputati,

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tra coloro che ne fan parie, rappresentate da personaggi che intimamente convinti non potersi la vera libertà disgiugner mai dall’ordine, si fecero dell’una come dell’altro ardenti e leali propugnatori, spregiando i biasimi che lor ne veniano da una turba facinorosa ed insolente di spettatori, non parve riunirsi nella Capitale del Reame se non per mettere in piena mostra la impurità della sua origine. Poiché nella verifica dei poteri si lasciò trarre ad intrudere nel suo seno taluni individui a’ quali mancavano i requisiti richiesti per sostenere un sì alto mandato; ed avvertita dell’errore, sdegnò fieramente di emendarlo; dando così l’esempio di un Consesso che delegato a concorrere alla formazione delle Leggi, cominciava esso medesimo dal conculcarne i più aperti dettati. E indi si organizzava in assemblea legislativa, fingendo di obbliar nettamente, che innanzi di prender seggio ne’ suoi recinti, primo ed indispensabil dovere di ciascun Deputato era quello di prestare alla Costituzione in vigore quel giuramento temuto che rappresenta un atto, non sol di religione, ma di probità civile; e fingea di obbliarlo come obbietto di pochissima importanza, e come se Dio è la virtù non dovessero esercitar la menoma influenza sulle sue future ispirazioni; mentre la Maestà Sua e tutta la Sua Regal Famiglia sin dai primi giorni la giuravano con lealtà di benevoli affetti a pie degli Altari; e la giuravano i pubblici funzionari negli svariatissimi rami dell’Amministrazione dello stato, e la giuravano l’esercito e l’armata nelle loro più infime classi».

» Al certo Dell’indirizzo con cui rispose al discorso della Corona, la Camera non trascurò d’inserire per la Maestà Sua talune vaghe proteste di devozione, le quali prive di quella ingenuità espansiva che le indicasse surte dal profondo del cuore, vennero smentite immediatamente dai fatti; essendosi visti alcuni fra coloro che la com

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e fuori e dentro il Reame, sia per mettere in brani la Monarchia, sia per sovvertirla o venderla bruttamente ad altri. E per impadronirsi del potere supremo, di che avea fatto innanzi si tristo esperimento, rifulsero fin da allora i lampi di quella irrequieta sua impazienza di allontanarne sotto qualsiasi pretesto l’attual Ministero; cui ai suoi occhi eran gravissime colpe di esser pervenuto con la sola perseveranza de’ mezzi temperati a ricondurre la calma nel paese, a reprimere sempre rinascenti tumulti, a soffocar la perversa tendenza che ha posto due vicini stati sull’orlo di un abisso, a serbar la Costituzione intatta e ne’ soli precisi termini onde ci fu largita, a sostener finalmente con saldo animo, senza temerità e senza bassezza, la dignità e la indipendenza dello stato in faccia allo straniero».

» E la Maestà Sua non ignora quante volte per solo amore di pace noi l’abbiam sollecitata umilmente a degnarsi di accogliere la nostra demissione. Ma quando la Camera tradita nella sua fremente ambizione si lascia trascorrere in maligne accuse, che uomini d’intemerata vita non si abbasseranno mai a combattere; quando con novello stranissimo indirizzo, trascendendo essa i mezzi che la Costituzione le offre, osa fare alla indipendenza de’ poteri del Principe apertissima ed irriverente violenza, per cosi dischiudersi le vie a riaccendere le collisioni Od de il Reame fu per lo innanzi contristato; quando ad accrescere le perturbazioni e i pericoli, osa implicitamente, ma con arroganza intimargli, che terrebbe in poter suo le chiavi del Tesoro pubblico, fino a che le sue superbe insistenze non restino soddisfatte: quando alfine la M. S. francamente sia risoluta di continuarci quella fiducia che noi abbiamo la coscienza di non aver demeritata, mentre ogni ulterior contatto con la Camera de’ Deputati è per noi divenuto impossibile;allora è di necessità

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richiamando ai loro veri principi le leggi dell’elezione, affinché i turbolenti fautori dell’anarchia non riescano più oltre a falsarle coi loro perversi raggiri ed improbi attentati».

» E questo il voto che noi presentiamo unanimi a piè del suo Trono con quegli invariabili sentimenti di rispetto, di riconoscenza e di pienissima devozione, onde abbiamo l’onore di raffermarci».

» Suoi umilissimi, obbedientissimi, fedelissimi sudditi e ministri».

» Principe di Cariali. – Principe di Torello. – Ischitella. – R. Carrascosa. – Gigli. – Francesco Paolo Ruggiero. – Bozzelli. – Raffaele Longobardi».

Il vigoroso rapporto arrecò vigorosa risoluzione, e il Sovrano con decreto dei 12 Marzo da Gaeta scioglieva il Parlamento.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa2s/03_Storia_di_Ferdinando_II_Regno_due_Sicilie_1830_1850_libro_I_II_II_Giovanni_Pagano_2011.html#RIAPERTURA

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