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STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO (V)

Posted by on Lug 25, 2024

STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO (V)

CAPITOLO V.

ANTECEDENTI DELLA SPEDIZIONE MESSINESE.

Sommario

Le Camere Siciliane, compiuto lo statuto fondamentale del nuovo regno, onorano in singolar modo Ruggiero Settimo, e proclamano il Duca di Genova a loro Re. Delirii e Feste. Ferdinando II pubblica una protesta contro il nuovo atto. Una Deputazione si porta ad offrire al Sabaudo Principe la sicula corona; la quale vien rifiutata. In Napoli si prepara una spedizione contro la sconvolta Sicilia. Come nel parlamento britannico si condannasse la condotta di taluni Inglesi nelle sicule vertenze. Giustificazioni del Ministro Lansdowne. Discorso vibrato di Disraeli. Il napolitano governo partecipa ai Ministri Esteri le sua mosse guerriere sulla Sicilia. L’Incaricato della Repubblica Francese s’industria di opporvisi con una nota. Lord Napier fa lo stesso. Il Principe di Cariati non risponde. La Russia. minaccia contro ogni intervento. La spedizione è in pronto.

È ormai tempo che io riprenda il filo dei siciliani avvenimenti; poiché gravi casi erano vicini a svolgersi sulla contumace e sventurata isola. Fu narrato in qual modo il siculo Governo, non pago alle turbolenze interne, curasse di avventare il politico incendio nelle Calabrie e dargli fiato, e consistenza, ora cennerò, che nell’atto istesso in cui mandavansi ad effetto quei proponimenti non si preteriva la cosa essenziale ed importevole dello statuto fondamentale, che avrebbe dovuto reggere la nuova Monarchia; che anzi formò l’obbietto delle meditazioni, e delle discussioni di ambo le Camere, cosicché la Costituzione del 12 fu riveduta, modificata, e quasi totalmente rigenerata, nella quale sovrattutto era rimarchevole, che il Sovrano

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vi era considerato in una sfera angustissima, troppo disdicevole ad un Capo di una Nazione.

Intanto approvati tutti gli articoli della Carta fondamentale, si venne alla deliberazione di nominare un Re,che onoravano il Siculo Capo alla stessa guisa che gli Americani il celebratissimo Washington, emettendo il seguente decreto Ruggiero Settimo avendo immortale dritto alla gratitudine palermitana, gli è accordato a perpetuità

Il privilegio di ricevere da ora innanzi tutte le sue lettere franche di porto.

La seduta delle Camere Siciliane si potraeva a notte alta, non soffrendo l’animo che sorgesse la nuova luce senza Io splendore di un Re Siciliano; si che fra clamorosi e frenetici applausi veniva nominato a quel Trono il Duca di Genova, secondonato di Re Carlo Alberto. Approvata la proclamazione nella notte istessa si distendevano i due articoli del decreto: cioè i Il Duca di Genova figlio di Carlo Alberto di Savoja, re di Sardegna, è chiamato, come pure i suoi discendenti a regnare sulla Sicilia secondo la costituzione del 4848.

2° Assumerà i nomi e titoli di Alberto Amedeo Re dei Siciliani.

Il quale avvenimento fu al solito preceduto dallo arrivo di due Vapori Inglesi nelle palermitane acque, e destò allegrezze, deliri, e moti indicibili. II campanile di San Domenico a gran ressa festivamente squillava; io strade gli edifici pubblici e privati rischiarati da largito luminarie; gli abitanti con grida, gesti, parole in brio; nella ventura aurora innalzavasi la nazionale bandiera fra mille deliri e mille speranze sul castello che per ben cento ed una volta tuonò, e i navigli di Francia e d’Inghilterra salutarono con ventuna cannonata.

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Il Re, venuto a notizia di quest’altro atto sregolato, riserbandosi a miglior tempo gli opportuni spedienti, si limitava per ora a protestare ne’ seguenti termini.

Visto il nostro allo di protesta del 22 Marzo 4848

Visto l’altro nostro atto solenne di protesta del dì 48 aprile 4848, col quale dichiarammo illegale, irrito, e di niun valore la deliberazione presa in Palermo il dì 45 Aprile 4848, perché lesiva dei sacri dritti della nostra real persona e dinastia, e della unità ed integrità della monarchia.

Essendo venuto a nostra conoscenza l’altra deliberatone presa in Palermo nel 14 Luglio corrente con la quale, violandosi il principio di unità, e d’integrità della monarchia, ed i sacri dritti della nostra reale persona e dinastia, è chiamato al trono della Sicilia S. A. R. il Duca di Genova, figlio secondogenito di S. M. il Re di Sardegna. Udito l’unanime parere del nostro Consiglio dei Ministri.

Dichiariamo di protestare, e col presente solennemente protestiamo contro l’atto deliberativo di Palermo del dì 44 luglio 1848, dichiarandolo illegale, irrito, nullo, e di niun, valore.

In frattanto il Duca dì Serra di Falco una con i Principi di S. Giuseppe e di Torremuzza, il Barone di Riso, e tre Deputati, si affrettavano a partire nel 21 luglio per Torino, onde offrire al piemontese Principe la sicula Corona; ma Re Carlo Alberto loro rispondea: Non posso accettare per mio figlio una corona, che appartiene di dritto al mio parente ed alleato Ferdinando li. Tornavansi disconclusi i Siciliani dalla missione, nella quale ardentemente si erano cacciati; un sentimento di trepidazione o cattivi presagi in tutta Sicilia seguirono; poiché mancato il valido appoggio della sabauda spada, l’edificio sarebbe più facilmente scrollato.

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Ed alla verità il napolitano Governo, tornata vana ogni trattativa di pace, schiacciata la rivolta nei dominii continentali, ingrossate le sue schiere, applicava l’animo a dirimer con le armi ogni quistione sulla sconvolta Trinacria. Intanto ciò non andava a sangue a taluni Agenti dell’Inghilterra, i quali scopertamente avean dato favore alla rivoluzione, sperando di emancipare da terraferma quella importante isola.

Se non che, fa luogo qui accennare, che se la condotta di taluni inglesi negli affari di Sicilia fu plaudita da coloro che erano travolti nel reo girone di quei tempi, ritrovò biasimo nello stesso grembo del parlamento inglese; in cui parecchi commende voli personaggi, squarciato ogni velame di passioni, vagliavan la cosa secondo i dettami del dritto e della ragione. Infatti lord Brougham instava presso il Ministro Lansdowne, affinché fosse richiamato un Fagan, pertinente all’ambasceria brittannica nel regno di Napoli, ove risultasse, che egli si era menato in Palermo per dire al Governo provvisorio, che l’Inghilterra stornerebbe dall’isola ogni protezione se fra 24 ore non si fosse proclamato il Duca di Genova a Re di Sicilia.

Sulla medesima interpellazione dopo qualche giorno si cacciava lord Stantey facendo spiccare il principio «che nell’evento di civile contesa (son sue parole) insorta in uno stato indipendente, sia che questa contesa fosse di natura da cangiare la dinastia esistente in tutto il territorio dello Stato, o riguardasse semplicemente una separazione di dipendenza, fosse sempre essenzialissimo dovere di ogni straniero paese di mantenere in tali circostanze la più assoluta e stretta neutralità, e d’astenersi da ogni intervento in una lotta d’un carattere affatto interna e domestica»: e continuando nel suo discorso il nobile Lord esprimeva il desìo, che si «dovrebbe stabilire come massima, che il riconoscimento di una rivoltata porzione di territorio non potrebbe mai aver luogo sin tanto

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che il potere del governo dominante fa travedere l’intenzione di perseverare nel disegno di ridurre all’obbedienza i suoi sudditi, avendo anche i mezzi di effettuare una simile sott

Nè a questo si rimanea l’egregio Oratore, ma si facea a domandare al Ministro, se l’Ammiraglio Comandante della squadra del mediterraneo avesse avuto istruzioni di attraversare in menoma parte il libero esercizio dell’autorità del Re di Napoli nello spedire un’armata in Sicilia affine di ristabilirvi i suoi dritti.

Al che rispondeva il Ministro, Marchese Lansdowne agognare innanzi ogni altra cosa, che si fosse sgomberata dalla mente della nobil camera la idea, che il gabinetto inglese avesse menomamente volto il pensiero alla separazione di Sicilia da Napoli: godergli l’animo nel potere affermare, che in tutte le discussioni intorno alle siciliane cose l’Inghilterra era stata o continuava ad essere in amicizia col regno di Napoli; epperò manteneva lo sue relazioni tra Napoli e Sicilia nello stesso piede in cui erano state sempre: l’unico oggetto di Lord Minto consisteva appunto nel promuovere l’adozione di quelle misure, sulle quali riposava l’unica probabilità di serbare quelle relazioni: potere assicurare, che fino dal momento in cui Sicilia avea spiegato un assieme di forze tali, che eran valevole fondamento alla indipendenza, il Governo di S. M. Britannica non si era rimasto dallo allontanare i pensieri repubblicani dall’isola, e farvi rifiorire i monarchici; né avea esitato di consigliare ai Siciliani, che volendo eliggersi un Re, non si appartassero dai principi italiani , ch’epperò era un’ inganno ciò che si era detto intorno al Duca di Genova: infine riguardo alla condotta dell’ammiraglio Parker in Napoli, potere accertare, che la presenza della flotta non avea alcuna relazione con questi affari (??).

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Un discorso più franco, e vibrato facea il sig. Disraeli nella Camera dei Comuni addì 17 Agosto contro il pro

» 11 lord presidente del consiglio in un’ altra circostanza ricusò di dare una risposta a simile interrogazione; e questi fatti furono ammessi dal primo ministro in altro luogo, cioè che noi siamo intervenuti negli affari della Sicilia solo per indicare a quel popolo le basi sullo quali la Sicilia sarebbe divenuta indipendente, la forma del governo che dovrebbe scegliere, la maniera nella quale dovrebbe esser fatta la scelta, e l’individuo che l’Inghilterra approverebbe come sovrano. L’intervento era completo per parte nostra».

» Signori, il sistema di finta mediazione, è il sistema che questo paese non dovrebbe incoraggiare.

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Il corso che il nobile lord à da percorrere, se desidera assicura

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to, e ci dette un altro nome per difendere il partito, ch’è spesso stato usato per descrivere il loro sistema. Signori, io conosco le stesse antiche circostanze, e perciò uso lo stesso nome. E un sistema che principia con fraternità, e finisce con assassinamento. E un sistema che comincia col predicare carità universale, e termina col fare uno spoglio generale. Signori, non m’importa qual sia l’individuo, se sia Ledru Rollin. Non posso riconoscere persone di quella sorte, come la nazione francese, o come quelle persone colle quali desidererei che il mio paese fosse in alleanza ed intendimento cordiale. Io, signori, sono persuaso che se il nobile lord segue questo sistema, sarà colui che renderà prestamente questo paese della stessa sua opinione. Il nobile lord può anche adesso agire in modo da ingrandire il suo potere, ed ingrandire anche la riputazione di questo paese. Potrà in questo secolo matto asserire i principi di giustizia pubblica in un modo che conviene ad un ministro britannico; e troverà allora che nessun bandito, qualunque sia la sua posizione, attraverserà le montagne o invaderà le città, quando saprà che l’Inghilterra è preparata per sostenere i principi di legge pubblica. Perché, signori, tanto in cose pubbliche, quanto nello private, è veduto assai, e sono sicuro che ogni onorato gentiluomo presente, sulla sua personale esperienza, à veduto abbastanza per convincersi, che niente può resistere alla maestà delle leggi, alla forza del vero, ed all’ispirazione dell’onore».

In quella che si maturava la spedizione sopra Sicilia, il napolitano Governo partecipavala a tutti i Ministri Esteri accreditati appo lui; dei quali alcuni erano plaudenti, altri dubbi. Fra questi il signor di Rayenval, incaricato del governo della Repubblica Francese, addì 28 Agosto scriveva a S. E. il Principe di Cariati, una nota del seguente tenore.

» Il sincero interesse che il governo della repubblica prende a tatto ciò che concerne la prosperità dell’Italia,

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ed in particolare dei regno di Napoli e Sicilia, mi à spinto in molte occasioni ad esporre a V. E. i voti del mio governo per una pacifica soluzione della quistione siciliana; voti ispirati tanto dai sentimenti di umanità, quanto dai motivi che lo àn condotto di concerto col governo britannico ad offrire la sua mediazione nel nord dell’Italia affin d’arrestare l’effusione del sangue».

» Il mio governo crede che un tentativo colla forza delle armi, il cui successo sarebbe problematico, non paolo che aggiungere delle difficoltà ad un conveniente aggiustamento. Non avrebbe meglio a profittare delle nuove probabilità che l’andamento degli avvenimenti nel nord dell’Italia offre alle misure conciliative? Io desidero di tutto cuore che una tal considerazione, diunita a quelle che à già avuto l’onore di sviluppare al governo di S. M. siciliana, Io invitino a rinunziare di ricorrere alle armi, adoperando in preferenza le vie della conciliazione. Non esito punto a dichiarare, che qualunque proposizione conducente ad una soluzione pacifica, non solamente sarebbe ricevuta con trasporto dal governo della repubblica, ma ne avrebbe pure il suo cordiale appoggio».

» Confido che V. E. comprenderà, che nella presento condizione dell’Italia il momento è propizio per un aggiustamento fra Napoli e Sicilia. Il duca di Genova à rifiutato la corona siciliana; l’esercito del Re Curio Alberto non esiste più; i siciliani non possono più contare su questo appoggio, ed evidentemente sono inquieti e scorati. Il loro vero interesse li spingerà dunque a far la pace con Napoli. L’unione di Napoli colla Sicilia è per i due paesi una condizione di prosperità e di forza; per la Sicilia è essa una condizione d’indipendenza. In quali modi questa unione potrà realizzarsi? Vi sono due estremi partiti, da una parte l’indipendenza assoluta, che la Sicilia pretende di ottenere, dall’altra la fusione di due corone con

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Fra questi due estremi esiste un mezzo termine che potrebbe accertarsi. Per esempio, un figlio del Re Don sarebbe ben accolto in Sicilia?».

» Ma il governo napoletano avrebbe da opporre molto obbiezioni ad una tal combinazione, e si nega di prestarvi la roano. In tal posizione à egli il dritto di ricorrere ad estremi spedienti adoprando la forza? Non à esso argomenti per credere che le ostilità ravviverebbero lo spirito di resistenza e di antipatia di razza, la quale come tutte le passioni, estinguasi quando non viene eccitata, ma si rianima quando si viene a toccarla? L’evento è certo? Sarà intero? Non è sottoposto a varie probabilità? Una spedizione può non andare a vuoto e produrre al tempo stesso pochissimo effetto? In tal caso essa addiviene un male; perciocché fa rivivere l’animosità dei siciliani, impedendo così il progresso della conciliazione. Se non riesce che in parte, essa desta la guerra civile fra una porzione della Sicilia e l’altra: risultamento questo deplorabile e per nulla adatto a preparare le relazioni che per l’avvenire devono esistere fra Napoli e Sicilia».

» Una spedizione non può avere che una favorevole sortita, e sarebbe nel caso in cui la Sicilia intera all’apparire della flotta napolitana distruggerebbe da se medesima tutto che à creato, sottomettendosi immediatamente a quelle stesse milizie, contro delle quali con tanta ira à combattuto ora volge poco tempo. Per una probabilità tanto problematica è prudente lo esporsi a tanti rischi, disconoscendo i vantaggi che potrebbe produrre una negoziazione?»

» Riguardo alle condizioni proposte dal governo napoletano, non sarebbe utile di cedere qualche cosa? E evidente che la fusione delle due corone è la più grande delle sue pretensioni, e che se si contenta di meno, potrà contare sull’influenza del tempo, sugl’interessi finora poco compresi per giungere poi ai grandi mutamenti,

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ed

» É inutile il far notare quanto la cooperazione dì queste due potenze ne assicuri il successo, e di quanto peso possa essere nella bilancia. I due governi occupati a pacificare l’Europa e l’Italia, si oppongono fortemente in principio per una spedizione militare, ed in conseguenza quali siano i loro sentimenti intorno alla quistione italiana, vi è luogo a temere che questi stessi sentimenti tornino a detrimento della corte di Napoli, se la spedizione à luogo».

» Uno dei vizi della spedizione si è quello che mentre dà una dubbia probabilità per ciò che riguarda la Sicilia, conduce certamente ad un cattivo risultamento per quel che concerne le due potenze. È di fatti più probabile, che il Re Ferdinando agendo ostilmente in Sicilia perda in gran parie quel concorso, che oggi troverebbe in queste due potenze, se prendendo in considerazione i loro desideri tenterebbe con modi pacifici raggiungere Io scopo, che cerca conseguire colla forza delle armi; avendo luogo una lotta in Sicilia, (a malgrado che la simpatia delle due potenze non possa manifestarsi, mentre essa dura, in favore della causa siciliana) il governo del Re è esposto ad aver bisogno di ricorrere alle due potenze, ed ove s’impromette qualche cosa dalla loro cooperazione, deve riflettere alle modificazioni che una spedizione militare in Sicilia, fatta loro malgrado, non può mancar di produrre nei loro animi».

» Le loro ottime disposizioni sono abbastanza note, perciocché trovansi più che mai meglio disposte, ed il loro buon volere potrebbe aumentarsi di più. La Francia, da sua parte si compiacerebbe nel pensare che l’unione

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ma se i voti del popolo siciliano non sono contrari a (al combinazione, non correte il rischio di rendere questa opposizione più violenta, senza costringere al tempo stesso la Francia a sacrificare la opinione sua ai voti del popolo siciliano?»

» Non v’ ha mezzo di uscire da tal difficoltà? Non sarebbe possibile di sottoporre alle due potenze l’ultimatum del governo napoletano, e chieder loro, senza proporre una formale mediazione, se vogliono appoggiar questo ultimatum 1 Supponendo che questa dimanda non riuscisse, il governo napolitano avrebbe minor responsabilità, ed in seguito maggior libertà di azione».

» Riassumendo, le probabilità sono favorevoli per una negoziazione. 11 governo napoletano avrebbe sempre la libertà di accettarne o di rifiutarne le condizioni. Se il nord dell’Italia sarà pacificato, nulla verrà a mutarsi qui nella posizione degli affari. Se la lotta continua il campo rimarrà tanto più aperto. Lo ostilità al contrario, indipendentemente dalla quistione di umanità, non offrono di presente alcuna probabilità al governo napoletano; tutte lo probabilità son contro di lui. Esso deve correre la ventura di tutte le vicissitudini che accompagnano ogni spedizione; successi incompiati, guerra civile, accanita resistenza, odio ed esasperazione del popolo, ed in conseguenza una prospettiva molto più trista di quella che à ora d’innanti. Inoltre esiste la possibilità, e si può anche dire la certezza, di perdere le simpatie della Francia e dell’Inghilterra, e conseguentemente di diminuire i vantaggi del concorso, che il governo napoletano a causa degli avvenimenti potrebbe esser condotto a chiedere à queste due potenze».

Il giorno susseguente Lord Napier, a nome del Britannico Governo indirizzava anch’egli una nota al Principe

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Se non che, il napolitano governo nessun riscontro foco a tali note, e continuò a mandare ad effetto i suoi proponimenti; e veramente non si vede quale conciliazione poteva farsi o sperarsi con persone che giammai avean prestato ascolto alle ragionevoli trattazioni, e che tant’oltre si erano spinte, sobbalzandosi dalla costituzione alla indipendenza, alla detronizzazione, ed alla nomina di un altro Re? Assai meglio avrebbero benemeritato dalla Società, e dalla Umanità i sullodati Personaggi, se avessero vietato ai loro nazionali di riversare sulla sventurata isola i prodotti delle armerie e degli arsenali, o mostrato riprovazione alla sommossa, che pure si affidava nel loro valido appoggio. A tal modo veramente il sangue, le lacrime, il tutto, le sventure della guerra sarebbero state scarse o nulle! Né Messina, né Catania, avrebbero mostrato il seno lacero, arso, e sanguinoso!.

Intanto era manifesta la irregolarità di quello intervento, e nella istessa Inghilterra menossene rumore, ma le parole e gli scritti sarebbero tornati a vuoto se la spada Bussa non avesse poggiato le proteste contro qualunque intervento.

Per tal modo terminava col terminar di Agosto la guerra delle parole, e dei gabinetti, per dar luogo a quella dei fatti e dei campi. Il nembo sul procelloso Faro andava a scoppiare.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa2s/03_Storia_di_Ferdinando_II_Regno_due_Sicilie_1830_1850_libro_I_II_II_Giovanni_Pagano_2011.html#INSURREZIONE

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