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STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO (VI)

Posted by on Lug 26, 2024

STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO (VI)

CAPITOLO VI.

SPEDIZIONE ED OCCUPAZIONE DI MESSINA.

Sommario

Schizzo storico e topografico di Messina. I Siciliani, subodorato le regie mire, fortificano in mille guise con armi, domini, e munimenti Messina ed altri luoghi. I Napolitani vanno alla messinese spedizione con valida armata terrestre e navale.

Cenno biografico di Carlo Filangieri, Comandante sapremo di quella guerra. Inutile proclama di pace. Primo Impeto dei Regi, contro la batteria delle Moselle. Furioso bombardamento fra la Cittadella e I forti siciliani. Messina da vasto e furioso incendio divorata. Sbarco delle milizie nella sponda delle Moselle. Mire e partizione dei Begii. Combattimento, e fatti atroci in Contessa. Conquisto di Campanarolungo. Caso orrendo nella divisione del Maresciallo Pronio. Il sopravvenire della notte sospende il combattimento. Tristo cumulo di miserie nel 6 Settembre. Schiusa appena l’alba del di vegnente si riaccende la guerra. Inutili trattative di pace. Porta Zaera. e l’Ospizio di 9. Clemente espugnati. Fiero combattimento della Maddalena. Le troppo vincono in tutte le posizioni, e conquistano la insanguinata e combusta città. Resa di Melazzo, del Vapore Vesuvio e di altri luoghi. La flotta sì ancora nel porto, e la truppa si accaserma dentro ta città. Lamentevole stato di Messina dopo la guerra Morti e Feriti. Dolce ricorda di militare pietà. Provvedimenti varii pel riordinamento dell’addolorata Città. Abbandono delle batterie di Torre di Faro. Mediazione Anglo-Francese. Sospensione delle ostilità.

Era ormai lunga pezza da che la infelice Messina rimaneasi oppressa e addolorata fra le ire della guerra. Dal tempo in cui la sollevazione vi si era chiarita e abbarbicata non sorgeva mai più per lei sereno il giorno, non più tranquilla ritornava la notte: una crudele e perenne vicenda

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di agitazioni, congiure, furori, sangue, terrore, e tutto, la teneva lacera ed intristita. Ma i trascorsi fati erano assai da meno di quelli, che il crudo destino aveale serbati, e che ora a gran calca, e a gran furia si

Sorgo Messina, e si dilarga in ampio anfiteatro sulle facili e verdeggianti colline, che prospettano gli ultimi fianchi dell’Appennino, e che son lambite dal vorticoso faro, nelle cui profonde viscere si giaccion sommerse le terre che gli opposti paesi riunivano. Fu nomata lande da una colonia cumana che la fondò, e Messana dai Messemi fuggitivi, dopo la seconda guerra di Messenia, dai quali venne ingrandita. Anassila tiranno dì Reggio se ne insignoriva nel 495, stabilendovi nuovi Messeni. Dopo due secoli presa dai Mamertini, era minacciata di esterminio dal secondo Gerone, Re di Siracusa, collegato coi Cartaginesi, quando quelli chiesero ed ottennero aiuto dai Romani, il che mosse la prima guerra punica. Sostenne in tempi men lontani un lungo assedio contro Carlo d’Angiò, dopo l’orrendo massacro dei siculi vespri: nel 1674 assediata dagli Spagnuoli fu libera per opera dei Francesi;disertata dalla peste del 1743, e scrollata dal tremuoto del 1783. Non poche borgate le fan corona, e scompartita in sei rioni, è stanza a meglio che 90 mila abitanti.

Per sei porte si entrava in Messina, appellate Imperiale, Nuova, Porta legni, Boccetta, Ferdinanda, o Real basso, delle quali soltanto le prime due esistono, e la mettono in comunicazione col vicino sobborgo Zaera. In riva al mare una strada si distende fino al Salvatore dei Greci, ultimo fabbricato, e di qui a Torre di Faro.

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La maestosa strada Ferdinanda le stà dietro, e parallela a questa l’altra denominata del Corso, la quale, di

A mezzogiorno di Messina, a 200 tese circa dal mare, si ergono le borgate di Contessa e di Gazzi, separate dal torrente bordonaro, i cui fabbricati si elevano ai lati della strada di Catania. La Chiesa di S. Nicola dei Gazzi, è anche chiamata Campanarolungo, perché si estolle molto in alto, e domina sulla regione. Dal lido alla strada regia per due sole vie si comunica, dette fiumare, perché son fondi asciutti di torrenti. Vien dopo il sobborgo S. Clemente, attraversato da una strada che accenna fino a porta Zaera,a sinistra della quale sorge l’Ospizio di Collareale.

La strada consolare divide il villaggio Zaera, e poco prima del convento della Maddalena si bipartisce accennando a porta Imperiale, e porta Nuova. Alla dritta di questa è la Chiesa della Maddalena, spettante ai Benedettini, la quale consegrata nel 1836, è sormontata da un duomo, ai cui fianchi s’innalzano due altissimi campanili, e torreggia su Messina, e sul vicino contado; il quale ricoperto di ameni giardini per circa uu miglio, corre fino alla spiaggia di Maregrosso.

Le antiche mura bastionate, tranne a settentrione, ricingono la Città, e verso mezzogiorno si profonda eziandio il fosso delle vecchie fortificazioni erette per cura del Viceré Conzaga, le quali contano i 13 bastioni di Porta Reale, S. Vincenzo, d’Andria, Bocca guelfonia, Torre vittoria, Spirito Santo, Porta imperiale, S. Bartolomeo, Mezzo Biondello, S. Chiara, e D. Blasco; e i due di Porta di legni. La Cittadella, di cui si è già parlato, sorge nel porto. Il quartiere di Terranova, che era fra i più popolati, smantellato nel 1674, forma uno spianato

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che corre in giro più di duo miglia, ed è posto fra Messina, la

I Siciliani e i Regi con egual furore all’aspra tenzone si preparavano. Cuoceva ai primi di coglier la vittoria, per compiere il fondamento di quell’edificio al quale con tanto ardore eransi adoperati; cuoceva ai secondi di raccoglierla affine di ristaurare l’onore militare, che ingrate circostanze avean prostrato; e di mozzare il capo alla sollevata idra, e sommergerla nei vortici del Faro.

Venuti appena i Siciliani nella certezza di una napolitano spedizione, grandemente si scommossero, e con tutta ressa ed alacrità si adoperarono ad osteggiarla. Tenuto consiglio intorno al luogo dove fosse plausibile uno sbarco dei Regi, eransi portati a credere, che avrebbero potuto mandarlo ad effetto nel lido di Melazzo, o in quello che s’incurva da Torre di Faro alla Città, o nell’altro che si distende fra io Moselle e la Cittadella. Epperò deliberarono di fortificarli tutti. Stabilite delle batterie a fior di acqua nella milazzese spiaggia; ristaurati gli alloggiamenti fatti dagl’Inglesi nei tempi del decennio; trincerato un campo ben largo; rinforzato il poderosissimo castello di Milazzo fatta provvisione di gran quantità di guerresche munizioni.

Dall’altra parte ersero molti fortini nel faro e lunghesso la spiaggia che si protrae fino alla città, e con cannoni di lunga portata intendevano ad impedire o travagliare il passo alle navi napolitano, le quali pertanto a schivare quei perigli rasentavano il calabrese lido, nell’atto che a loro tutela folgoravano i forti di Torre Cavallo, e di Alta Fiumara, i quali messi in luoghi opportuni sulla calabra terra, prospettavano, e dominavano le fortezze di Torre di Faro.

In fine altre batterie eran surte nell’ultimo lito, con le quali ad un tempo si percuotevano le opere avanzate

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In frattanto era chiaro, che il pondo della guerra si andava a riversare su Messina; epperò il siculo governo voltò l’animo a renderla forte e munita. Già per noi si è detto, che vari fortini o batterie erano state in vario tempo erette sui punti più culminanti della città, sulle sovrastanti colline, e da altri luoghi dai quali si potessero batter la Cittadella e le sue opere avanzate; ora soggiungerò, che nello appressarsi della guerra ben centoventi cannoni o trenta mortai eran parati a tuonare; che furon mandati in Messina uffiziali di artiglieria ed architetti militari, i quali aveano rinforzati e ristaurati tutti i forti, aumentate le batterie, costruite validissime barriera nello sbocco di tutte le strade, che mettono alla marina munendole di cannoni e di fossi, murate non poche porte della città, disposti opportunamente tutti gli edilizi per farsene schermo, ed in altri modi vacato alla fortificazione della città. Oltrearciò si era scompartita la guardia nazionale in tre divisioni, delle quali una mobilizzata, un’altra in riserva, e l’ultima sedentanea; né mancavano due reggimenti di truppe regolari, ed una formicante moltitudine, organizzata a squadre, o sciolta e provveduta di armi e di munizioni. Per ultimo era fermato, che ogni volta che i campanili stormeggiassero, tutti gli abitanti dovessero mettersi in guardia e difendere la patria, usando armi da taglio e da fuoco, liquidi bollenti, pietre ed ogni altro mezzo che potesse arrecar danno e morte al nemico. né si era pretermesso di armare dei legni sottili, e di scavare non poche mine. Giusta il rapporto del Comitato Messinese fatto a quello dì Palermo, Messina era difesa da 80 mila combattenti; Q veramente parea agl’intendenti delle cose militari opera piuttosto impossibile, che difficile, di recarsi alla occupazione del suolo messinese.

Impertanto il Governo di Napoli, inclinato l’animo lilla conquista della Sicilia, volgeva le prime operazioni su Messina, la quale in verità era di somma importanza;

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sì perché aveansi grandissimi vantaggi nella Cittadella, e nel porto; e sì perché rifletteasi, che ove i tempi col sopravvenire della rea stagione si rompessero, sarebbe stato, se non impossibile, certo difficile valicare il siculo stretto. Si mandarono pertanto in epoche diverse delle navi da guerra nelle acque di Reggio, dove stanziarono, non che vari contingenti di soldatesche per ingrossare la guarnigione della Cittadella; si ordinò alle milizie dimoranti in Calabria, che si rannodassero in Reggio; si appratirono non poche fregate a vapore e molti altri legni minori a vela ed a vapore, i quali, stipati di troppe, e di provvisioni, mossero ai 30 Agosto dal porto militare di Napoli per a Reggio, dove giunsero al 1 Settembre.

Parte delle arrecate milizie furono sbarcate nella Cittadella, e parte in Reggio, ove convenuti già i calabresi contingenti, si era fatta una grossa raunata di combattenti. La reggiana città formi cava di soldati, il vicino lido era gremito di ogni maniera di bastimenti. Tutta l’osto napolitana sommava a circa 15 mila individui, ed era capitanata dai migliori Generali. L’esercito era spartito in due divisioni, rette dai Marescialli Pronio (1)

(1) 1. Divisione -maresciallo di campo Pronio. Capitano Ceci, capo dello stato maggiore.

1. Brigata – brigadiere Schmid t II presidio della cittadella di Messina, cioè: 4.° di linea 9 compagnie: S.° di linea 4 idem: 6 di linea; 1 battaglione: Zappatori e pionieri 3 compagnie; Artiglieria 6 idem.

2. Brigata-brigadiere Diversi: Carabinieri 1 battaglione: 13.° Reggimento di linea 2 idem: 4.° Battaglione cacciatori 1 idem: 3 Svizzero 1 idem: Quattro cannoni di montagna.

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e Nunziante (1),o in quattro brigate ai cenni dei Generali Schmid, Diversi, Lanza, e Busacca. L’armata navale, comandata dal Brigadiere Cavalcante, componevasi di tre fregate a vela l’Isabella, la Regina, e l’Amalia; di sei fregate a vapore il Ruggiero, il Sannita, il Roberto, l’Archimede, il Carlo III, e l’Ercole; di due corvette a vapore lo Stromboli, e l’Ercolano; di cinque pacchetti a vapore il Nettuno, il Copri, il Polifemo, l’Antelope, e la Maria Cristina; di venticinque tra barche cannoniere e scorridoje, e di dodici barcacce ed altri legni paesani da trasporto. I cannoni di vario calibro che munivano tutti questi legni ascendevano a ben 246; e stava eziandio da parte dei napolitani la fortissima cittadella, con le sue opere avanzate.

Comandante supremo delle regie armi era S. E. il Tenente Generale Carlo Filangieri, chiarissimo nei fasti della patria nostra; sì che sarammi grato di destinare questa pagina della mia istoria a qualche fuggevole ricordo delle sue gesta guerriere. Sormontato appena il 18.° anno di sua età, andava nel 1802 da Tenente di fanteria a militare coi Francesi che stavano al freno dei Paesi Bassi, ed a guardia dello coste della Manica e dell’Olanda | minacciate dalla nemica Inghilterra. Quivi successo un aspro combattimento, nel quale egli, essendo di presidio con una mano di soldati sur un legno della flottiglia

(1) 3. Divisione – maresciallo di campo Marchese Nunziante. Capitano Bertolini, capo dello stato maggiore.

1. Brigata-brigadiere Lanza. Capitano de Werra, capo dello stato maggiore. Quattro compagnie del 5.° di linea: 7.° di linea 2 battaglioni: 1.°, 3.°, 5.°, 6.° battaglione cacciatori 4 idem. Quattro cannoni di montagna.

2. Brigata-Brigadiere Bosacca. Capitano Grenet, capo dello stato maggiore. Pontonieri 2 compagnie: Pionieri 1 battaglione: 3° di linea 2 idem: 3.° Svizzero 1 idem: 4.° idem 2 idem. Una batteria di otto cannoni di montagna.

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Batava, guidata dall’Ammiraglio Werbuel, pugnò valorosamente, e sebbene avesse infranta una gamba da una nemica scheggia, non si ritrasse dal conflitto se non dopo aver menato al porto il suo naviglio.

Risanato dalla grave ferita erasi ridotto a Parigi, deputato ad assistere alla incoronazione di Napoleone, donde si parti nel 1805 con quell’esercito meraviglioso, che dallo spiagge dell’Oceano, ove avea fatto impallidire l’Inghilterra, sobbalzando come fulmine da vittoria in vittoria, andò a cogliere palme non periture nei campi di Osterlizza. I bei fatti che in quelle memorande pugne il Filangieri commise, e le ferite riportate gli frullarono il grado di Capitano, avendo appena 22 anni.

Ajuiante di Campo del Generale Dumas, Ministro della Guerra in Napoli, nel 1806, fè parte dell’assedio di Gaeta, in cui virilmente propugnò le inglesi aggressioni dirette a incendiare il ponte di battelli disteso sul Garigliano. Nell’anno appresso portatosi in Calabria con l’esercito guidato dal Generale Reinier, distinguevasi nell’assedio del forte di Scilla difeso dagl’Inglesi.

Già chiaro per tanti o sì onorevoli fatti il Filangieri fu invitato a prender parto nelle orribili guerre di Spagna.. ‘

Nel 1812, ormai colonnello nel secondo reggimento di fanteria leggiera, partiva per la guerra di Russia, ma giunto a Firenze fu richiamato per propugnare gl’Inglesi, i quali sbarcati nei lidi del Principato Citeriore, minacciavano il reame.

Nel Luglio di quell’anno, nominato Maresciallo di Campo, guidava la vanguardia dell’armata napoletana che spingevasi a guerreggiare sul Po. E giunto a Roma, divisa la sua dalle altre brigate, occupava la Toscana, e attraversata poscia Bologna, si fermava in Ferrara, spingendo una porzione dei suoi fino alla riva, destra del Po.

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un lungo tratto di paese da Ancona a Rimini, ebbe a fare, che in Ferrara non si Cacciassero ne’ Tedeschi ne’ Francesi, poiché non ancora si era chiarito chi si dovesse contrastare, e chi favorire con le sue armi. Il laudevol modo con che erasi egli comportato in quelle malagevoli circostante lo spinse al grado di Aiutante di Campo del Napoleonide che reggeva queste nostre provincie 5 e poco poscia a taluni importantissimi negozi a Parigi, a Vienna, ed in Milano presso il Maresciallo Bellegarde.

Usciva di nuoto in guerra il Filangieri nell’Aprile del 1815 contro gli Alemanni retti dal Cenerai Bianchi, i quali già si erano avanzati fino al Panaro, e posti al possesso del ponte di S. Ambrogio, che affortificavano con monimenti ed armati. Conveniva espugnare il ponte, Un Generale straniero, a quella impresa destinato, si denegava per codardia, il Napoletano Maresciallo si esibì tostamente a prenderla i accettata la generosa offerta, ordinava egli il modo dell’assalto, e postosi alla testa di scelto nervo di Lancieri avanzò animosamente contro il nemico, ma tradito da quel Generale, che amò piuttosto disonorarsi che seguirlo, si trovò tutto solo nella opposta riva con pochi dei suoi cavalieri in mezzo al tempestoso trarre del nemico, il quale maravigliato vedea commettere l’inegualissimo assalto.

Intanto grondande sangue per quattro colpi di fuoco, e semivivo, giacevasi in mezzo ai suoi prodi ago Rizzanti o spenti, e in tale stato era menato captivo, allorché il Napoleonide si spingeva con la sua colonna a trarlo in libertà, e già essendo in volta gli Alemanni, gittarono in un fosso semivivo il napolitano duce, il quale rinvenuto, ebbe io quel punto istesso il grado di Tenerne Generalo.

Qui finiscono lo gesta guerriero del Filangieri, ma non i fasti della sua vita, ampia ed onorata materia della sua biografia.

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Le siciliane rivolte pertanto davano opportunità, che agli antichi altri lauri si aggiungessero, si come saremo per dire.

Ridottosi in Reggio il Duce sapremo, prima di ve» «ire allo sperimento delle armi, tentò l’animo dei Siciliani con un proclama del 1. Settembre, nel quale andava ricordando le sventure passate, i pericoli della guerra, ed invitava tutti perché si rendessero alla obbedienza e piegassero gli animi alla pace, poiché, assicurante lui, ogni piaga si sarebbe molcita, ogni ferita risanata. Pertanto le benigne voci in mezzo al tumulto delle passioni, e fra gli apparecchi guerrieri non furono ascoltate; si che convenne dar di piglio alle armi.

Era intenzione del Generalissimo di operare lo sbarco sulla sponda delle Moselle, affinché avesse potuto far concorrere al combattimento l’agguerrita guarnigione della vicina Cittadella; e siccome i Siciliani aveano eretto una batteria allo sbocco del torrente Zaera, la quale mentre percuoteva il forte D. Blasco, poteva eziandio percuotere le navi che vi si appressavano; così abbisognava in primo luogo smantellarla. Per tale oggetto in sull’annottare dei 2 Settembre furono dati ordini opportuni ai Comandanti di vari legni a vapore ed a vela, in concordanza di altri già dati al presidio della Cittadella.

Oltrepassata appena la mezzanotte, salparono dalla rada di Reggio le fregate a vapore il Ruggiero, il Sannita, ed il Roberto, ed il piroscafo la Maria Cristina, e abbrivarono lentamente per la Cittadella, tirando a rimorchio sedici cannoniere, le quali al far dell’alba si disponevano in due linee a scacchiera di rimpetto, e lateralmente alla sicula batteria; rimaneano in seconda linea le tre fregate a vapore, ed in rctroguardo la fregata a vela la Regina, rimorchiata da quella a vapore il Carlo III.

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Intanto era chiaro il giorno, e nessun movimento sì faceva nel forte delle Moselle; forse perché i Siciliani credevano che non incominciasse a scoppiare in quel luogo la tempesta, o che quella fosse una spedizione di scoverta. Tutto era placido e tranquillo, ma di una quiete minacciosa, allorché intorno alle 5 a. m. Il Ruggiero ruppe il silenzio con una cannonata; e di tratto le preparate prue irruppero con un fuoco vivo e nutrito contro la moselleso batteria, la quale, percossa da un lato dalle artiglierie di mare, e per altro dalle opere avanzate della Cittadella proseguì a tacersi, come si era fin dal principio taciuta.

Non si tacquero però gli altri forti siciliani; ché appena veduto lo scoppio dei fuochi dei Regi, inalberata bandiera rossa, incominciarono un cannoneggiare crescente, rabbioso contro la Cittadella, la quale con pari rabbia e valore rispondea. Ed ecco in un istante ingombrarsi il messinese ciclo di denso fumo, illuminato continuamente dai lampi delle artiglierie; rintuonare quelle valli orrendamente per lo scoppio dei mortori, e dei cannoni; scuotersi i ‘ aere per ogni dove; mutarsi infine in un istante quella scena di quiete in una scena di guerra orrenda, terribile, furente.

Durava da due ore il trarre dei nostri contro del forte delle Moselle, quando la fregata Regina fè segnale al Roberto di eseguire la commissione avuta; ossia quella di innalzare nell’albero di maestra la bandiera Russa, e passare alla più breve distanza possibile dalla Cittadella, affinché la guarnigione nello scorgerla facesse una sortita per finire di sguernire il forte, e per addentarsi nello terre messinesi. Incontanente il Roberto innalza la convenuta bandiera, e si spinge nel luogo del pericolo, dove

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In quella che le milizie terrestri facevano queste operazioni, le navali continuavano a scorrere lungo la sponda tirando nella vicina campagna affine di snidarne i rivoltuosi. In questo movimento, essendosi il Roberto spiato oltre, fu tirato da una siciliana scorridoja, che era stata portata a terra; epperò fu spedita una lancia per impossessarsene; in un attimo gli snelli marinari sono vicini al lido, e si slanciano sul nemico navicello; lo vuotano delle provvisioni di guerra, o di ogni altra masserizia; quando da un muro contiguo partono ai loro danni delle fucilate, le quali tosto si tacquero per gli orribili tiri a scheggia che il Roberto prestamente fece.

Intanto il Colonnello Rossaroll, raggiunti i proponimenti prefissi, riducea le sue genti nella Cittadella menomate di un soldato morto e di alquanti feriti. La squadra, eziandio raggiunto dal suo canto quello che si era stabilito, preso il largo dirigendosi per Reggio, e rimanendo alcune cannoniere vicino alla Cittadel

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Terminarono così le ostilità dalla parte di mare verso la metà del giorno 3 settembre, ma non quelle della Cittadella, e dei forti sovrastanti, che anzi con maggior calore e rabbia scambievolmente si tempestarono pel rimanente del giorno, di tal che non la stanchezza, non il bisogno di rifocillare la vita, ma il sopravvenire della notte, mise sosta, non termine al combattere.

Ma ormai quietato il fragore della orrenda giornata, e dileguato il fumo dalle farine brezze, uno spettacolo più terribile offrivano gl’incendi di varie case messinesi; i quali già si eran facilmente preveduti da tutti, perché non era possibile che la infelice Messina in mezzo a tanta ira di guerra non patisse: invero, fra le migliaja di bombe briccolate dall’una e dell’altra parte, talune screpazzavansi per via e quindi incendiavano i luoghi dove quei divampanti sprazzi cadevano. Gl’incendi non eran pochi; si spegnevano in un luogo, si riaccendevano in altri; qui erano smorti, là rinvigoriti e vivi per le aura che soffiavano e pel molto combustibile; le fiamme s’innalzavano giganti in taluni punti e guizzavano per l’aere, La notte avea sopite in parte le ire, ma ne rimaneano le conseguenze funeste nella infelice Messina.

Dissi in parte perché nel corso della notte vi furono due accaniti fuochi Accadde uno verso le 10 p. m. o l’altro 3 ore dopo la mezzanotte. Si scorgevano nel bolo le linee e le direzioni degli spari, il corso delle granate; si udiva il fitto scoppiettio della fucileria interrotto spesso dal rumore delle artiglierie.

Corsero varie voci intorno a questi fuochi. Si disse che in Messina vi era un partito regio, il quale ormai

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era ito a rumoreggiare sulle linee nemiche, avealo sorprese, e in ultimo avea ridotte le sue genti nella Cittadella, lasciando al nimico non pochi danni, e seco portando parecchi cannoni.

Rompea appena l’alba del giorno 4 Settembre, e lo parti avverse ritornavano al combattere. Infuriavano i cannoni dei Siciliani, infuriavan quelli della Cittadella. La giornata fu più orrenda e più trista; perché gl’incendi si protassero non pure, ma si moltiplicarono; e perché il tempo da sereno e buono divenne nuvoloso e cattivo; cadde la pioggia non dirotta ma neppure scarsa, sovrattutto nelle ore di vespro; il vento si fe’ gagliardo; cosicché un singolare accordo offrivano lo avversità del cielo, e quello degli uomini. Pertanto, sopraggiunte le tenebre della notte quietarono i bellici rumori; ognuno diè riposo alle stanche membra per risorgere con maggior vigore alla pugna., 11 tempo al cadere della notte crasi abbonito, cosicché l’alba del giorno 5 Settembre non ritardò, espuntata appena si ripreso il combattimento dei forti e della Cittadella col solito furore. Muovi incendi non mancarono di svolgersi, i quali aumentavano senza modo l’orrore di quella guerra furibonda. Come annottò si sospese il combattere. La infelice Messina era da tre giorni straziata, divampante, piena di orrori; eppure sorti peggiori le aveano i Cieli riserbate nel dì venturi.

Il Tenente Generale Carlo Filangieri nella sera dei 5 Settembre, convocati tutti i Comandanti dei bastimenti a vela ed a vapore, e dei vari corpi dell’esercito, diede loro le opportune disposizioni per lo sbarco delle milizie sul lido delle Moselle, e perle operazioni sussecutive intese alla oppugnazione ed al conquisto di Messina. Al

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I Siciliani, che dalle coso operale nella mosellese sponda, avevano penetrato in parte le intenzioni e i disegni del Generalissimo, non avevano mancato da parte loro, per quanto la brevità del tempo e le altre circostanze il consentivano, di render forti e muniti tutti quei luoghi pei quali le regie truppe sbarcando nelle Moselle avrebbero dovuto passare per menarsi nella città. Avevano pertanto in tutta fretta aumentati e moltiplicati i raggi delle mine, portati parecchi cannoni di lungo tiro in luoghi più vicini al lido, ordinato di caricare sforzatamente i cannoni degli altri forti per colpire il luogo dello sbarco, disseminata la vicina campagna,e stipate le case le chiese i monisteri e i campanili di gente armata, messi due reggimenti regolari di scelti e giovani soldati nelle vicinanze del lido, fatti nascondere dei feritori dietro i muri dei giardini, infine operato in modo che i regii o non potessero spingersi innanzi affatto, o spingervisi con gravi perdite e gran sangue.

Volgeva la notte dei 5 Settembre al suo termine, quando tutta la napolitana flotta, già stivata delle milizie, salpava e muoveva pel designato luogo. Le acque del Faro eran solcate dalle regie prue; le fregate egli altri legni a vapore, traevano a rimorchio gli altri legni e le fregate a vele. Già era sorto il giorno 6 Settembre; già una furia di cannonate si vibravano a vicenda la Cittadella o i forti Siciliani, quando la squadra si approssimò alla costa delle Moselle, e si dispose in due file, prolungandosi a mezzogiorno della Cittadella; delle quali una formata dai legni sottili era vicinissima al lido, e l’altra composta dei Legni Maggiori discostavasene tanto quanto le nautiche circostanze permettevano. Lo Stromboli, corvetta a vapore comandante fu’ segnale alla squadra che si aprissero i fuochi sulla vicina campagna, e dato esso medesimo principio con una cannonata, in un momento tutte le navali artiglierie

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scoppiarono sfolgorando sulla vicina regione, onde sgombrarne il nemico. Percosso il piano dallo cannoniere, percosso le collino e gli edifizì dalle bombe delle fregate a vapore, percossi gli altri luoghi dai fianchi delle fregato a vele, non rimanea punto dell’agro messinese incolume da quella fitta gragnuola di orribili proiettili. Sbrancati, disvelli o spezzati gli alberi; scossi o diroccati i muri che assiepavano le ville, sfondate le tettoje, smantellate le campestri casipole, sgretolati i forti palagi, disseminato tutto il contado di orrore e di spavento, parea che anima vivente non dovesse più albergare in quella funesta regione; eppure i Siciliani, confirmati nel coraggio e stizziti nella ferocia, schermendo quella tempesta con ascondersi in luoghi opportuni, aspettavano impavidi il nemico.

Pertanto scoppiali appena i fuochi della squadra i Siciliani drizzarono il loro furore contro di essa; cosicché i soli cannoni ai quali era impossibile di tirare fino alle Moselle rimasero a sostenere il combattimento con la Cittadella, gli altri furono adoperati a quel fine. Lo palle rumoreggiavano spesso a traverso. il sartiame delle navi, o cadevante vicino con orribil tonfo, spruzzandole delle scommosse acque; ma volle il Cielo che in tanta moltitudine di legni nessuno soffrisse; solo la fregata Regina fu percossa in uno dei pennoni da una palla.

Il navale cannoneggiare incominciato con impeto alle 7 e mezzo a. m., elassa un’ora, si andò man mano minorando, e i bastimenti presero altre posizioni per eseguire lo sbarco. Bello era osservare quella nautica operazione. I legni sottili si scostavano dal lido per far luogo a quelli che eran carichi di milizie, e si distendevano a mezzodì per tempestare i punti dove si mostravan segni di movimento. Eran quelle acque solcate da una moltitudine di barcacce, di lance, di battelli, i quali scor

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e di munizioni, che tosto sbarcavano nel vicino lido, e dopo ritornavano al loro ufficio. Sgravati i primi legni dalle milizie, si allargavano, dando il luogo agli altri per fare lo stesso, e discorrevano per quelle acque proteggendo lo sbarco. Tutto in quel luogo era movimento e vita ed operosità. Le milizie dalle 8 1|2 a. m. fino all’1 p. m. sbarcarono..

Mandata a compimento questa parte delle militari operazioni, ossia Io sbarco, rimaneane un’altra ad eseguirsi più importante e difficile, cioè la espugnazione di Messina. Chiunque avesse preso a considerare lo stato di Messina, non avrebbe potuto sconvenire, che il nerbo della sua difesa consistea precipuamente nelle fortezze del Noviziato, di Matagrifona, di Torre Vittoria, della Vicaria, di Mezzomonnello, di Andria, della Maddalena, di Real Alto, di S. Chiara, e di altri luoghi, erette, come si accennò di sopra, nei punti più opportuni. Per la qual cosa era evidente, che colui che fosse riuscito ad espugnare quelle terribili batterie, si avrebbe senz’altro recato in mano il possesso di Messina. A questo intendimento Volse, a quanto parve, la sua mente il Generalissimo, e ad esso mirarono segnatamente le disposizioni per lui date. Però non è a tacere che gravi difficoltà conveniva superare, e moltissimi ostacoli abbattere per giungere a tal fine. Le vie che menavano ai forti brulicavano d’armati, e d’armati erano stivate le case, i monasteri, i campanili, dai quali avevasi il vantaggio di tirare al coperto delle offese nemiche: le strade erano state disselciate, spezzate, o ingombrate di terra e di pietre, o intersecate da fortissime barricate: d’altronde a cagione della difficoltà naturale dei luoghi le artiglierie portatili mal poteano essere trasportate; cosicché non altro rimanea che assaltare i Forti con la bajonette e conquistarli, operazione ardua, sì, ma unica per la salute delle armi napolitano.

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Tutta l’osto fa scompartita in vario divisioni, delle quali una comandata dal maresciallo Nunziante, era destinata a farsi strada ed operare sui monti e sulle colline che sovrastano e ricingono Messina, e poscia divallarsi sulla città e giungere a Porta Imperiale nel momento che sarebbevi giunto il maresciallo Prooio. La seconda capitanata dal Generale Busacca, dovea spingersi dentro la città per Porta di Legno, affine di attaccare i Forti che vi corrispondevano. La terza diretta dal General Zola, era intesa ad aprirsi il passo per Porta Nova, e riuscire alle spalle delle fortezze di S. Chiara e di D. Giovanni di Austria. La quarta, che obbediva al Maresciallo Pronio, dovea uscire dalla Cittadella, ove stanziava, e senza farsi scorgere, spingersi a traverso dei vani praticati dai Messinesi nel muro posteriore della Caserma di Terranova, e del vicino Monistero di S. Chiara, e giungere per l’interno al coverto dei fuochi delle sovrastanti batterie del Noviziato fino a Porta Imperiale, dove, come si è or ora cennato, sarebbesi incontrata con la divisione del maresciallo Nunziante.

Disposte presso a poco in tal maniera le cose, andavano i soldati con indicibile ardore alla pugna. Siccome prima a mettere il piede a terra erano stati il 1 e 3 battaglione dei Cacciatori, cosi essi furono i primi ad impegnare l’attacco, affin di proteggere la composizione e Io svolgimento della intera colonna. Le prime compagnie si spinsero in ordine aperto nei vigneti e nei giardini, ed in breve pervennero al muro che, assiepando questi, li separa dalla strada consolare che da Catania mena a Messina; poiché era stata opinione del maggiore Pianeti di profittare del primo impeto dei soldati per impossessarsi di Contessa, piccola borgata che resta sulla strada mentovata. Una spessa grandinata di palle che usciva dalle innumerevoli feritoje degli edilìzi, imperversava sullo compagnie, quando, avvisato il Generale Lanza del pericolo,

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furono

In tal circostanza accaddero fatti atroci, che la storia vuol palesati per Io esatto giudizio della civiltà dei nostri tempi. I cacciatori avevano occupate non poche case del mentovato paesetto, dove virilmente combattevano; ma qualcuna di esse, assalita ed espugnata dai Siciliani, fu teatro di scene crudeli, perché questi impadronitisi dei soldati, con efferato coraggio e studiata crudeltà gli deridono, gli martirizzano, gli smembrano, distribuendo alla contrastante gente le desiderate membra, le quali tuttora calde e sanguinanti sono in un attimo portate in segno di vittoria dentro Messina e per via addentate e masticacchiate, cosicché, intrise di umano sangue le labbra umane, eravamo serbati dai fati maligni a vedere riprodotti sotto al mite cielo d’Italia e nel secolo della civiltà gli orribili bagordi dei cannibali. I quali pertanto saputi e divulgati nell’esercito aggiunsero sensi di vendette ed offese alle naturali offese e vendette proprie delle armi. t Non andò guari ed il combattimento impegnato in Contessa si estese sur una linea lunghissima; imperciocché il Duce Supremo, intese le mosse che si operavano nello straziato villaggio, spedì dapprima il 3 ed il 5 Cacciatori sulle ali del primo battaglione, e poscia fece avanzare tutte le divisioni, le quali ormai si erano organizzate compiutamente. Irruppe tutta la colonna sul luogo contrastato «tosto se ne impossessò. Contessa arsa, rossa di sangue, e sparsa di cadaveri, offriva le prime e terribili orme della guerra. Occupata Contessa, la colonna volse il passo per Messina, ma giunta appena a Campanarolungo, incontrò una grave resistenza; imperciocché i Siciliani vi si erano ben bene fortificati.

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Aspra fu questa set onda battaglia, ma i soldati trionfarono. Lo morii, le ferite, le arsioni furon molte.

Conquistato Campanarolungo, la colonna procedé innanzi; i Siciliani scampati a quell’ira di guerra presero le alture, dove furono inseguiti, e mantenuti in rispetto dai cacciatori, e dalla divisione destinata pei monti o per le colline. Tutte le milizie intanto combattendo sempre, si spingevano innanzi, eseguendo ognuna le rispettive missioni, quando accadde una circostanza, da ricordare, alla divisione del Maresciallo Pronio.

Verso lo 5 p. m. di quel giorno, avuto costui il segnale stabilito dal Generalissimo, usciva con 7 battaglioni, e si recava in mano le caserme di Terranova, procedendo a traverso di una tempesta micidialissima di schegge, di tiri curvilinei, e di fucileria. Una mano di 130 scelti soldati aveva occupato l’edilizio di Porto Franco, ed era intesa a proteggere la colonna nella sua dritta. La compagnia dei Pionieri incontanente ponea mano a forare il muro della caserma per passare in S. Chiara; poiché l’antico vuoto era stato murato con una fabbrica 5 palmi spessa. Già il lavoro era al suo termine, già era per giungere il desiderato momento d’irrompere e di allontanarsi da quel pericolosissimo luogo, in cui molti morti e feriti si noveravano, quando verso il tramonto del sole, briccolata dal nemico una bomba da 12, e caduta nella caserma di Terranova in mezzo ai battaglioni, e segnatamente fra duo compagnie del 6 di linea, si crepò, accese le polveri che esse tencano nei sacchi a pane, e produsse ferite, scottature, morti, confusione, ed altri danni.

Questo grave incidente, l’ora larda, l’imbarazzo dei molli feriti, lo scompiglio generale dei soldati, la probabilità di un tristo esito, marciando di nottetempo in terra nemica, determinarono il maresciallo Pronio a far rientrare le sue genti in Terranova ed in Porto Franco.

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Intanto, sopraggiunta la notte, Il Generalissimo ordinò, che le truppe sospendendo qualunque movimento, prendessero posizione. Invero i corpi che formavano la colonna principale serenarono sulla strada consolare e nei giardini prossimani, a poca distanza dall’ospizio di Collereale e della formidabile batteria, con cui erasi barricata Porta Zaera; tutti i battaglioni dei Cacciatori sulle colline o sui monti; ed i soldati del reggimento Marina sulle arene del lido delle Moselle, ove aveano il debito di guardare la strada consolare, affinché la colonna fosse sicura da quel lato, e di prender pietosa cura dei feriti, raccogliendoli, e convogliandoli fino al lido, donde per mezzo delle lance erano portati sul vapore Capri, e poscia all’ospedale di Reggio.

Tali furono nella somma gli avvenimenti del giorno 6 Settembre, ai quali mise termine il sopravvenire della notte. Nessuno si pensi che siavi stato un altro giorno, più di quello ricordevole per casi miserandi, per atti di ferocia, e per orrore di guerra. Le vie disseminate di morti e di morenti: i cadaveri di varie età, di varie specie, perché non pure uomini, ma asini, cavalli;, cani, gallino ed altri animali casalinghi si vedeano distesi a terra; quasi un turbine devastatore avesse colà sbrigliati i suoi furori ed ogni vivente spietatamente mietuto: i morti giacenti in attitudine strana con viso tuttora torvo ed aspro, quasi lira fosse stato l’ultimo anelito della vita: individui testé nemici, ora prostesi nello stesso luogo e da comune sventura uguagliati; gli effetti delle armi svariati, strani, innumerevoli, per quanto il caso e gli strumenti del ferire svariati; membra infrante, o strappate; corpi contusi, o forati, o mutilati, o schiacciati, o arsicciati; il suolo bagnato di sangue; le ville devastate; gli edilizi distrutti dalle fiamme, o tuttora divampanti, o crivellati dalle palle; tutta la Città immersa nello spavento;

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gli abitanti fra i gemiti traevano chi nella campagna, chi

Né la notte poté fare disparire colle tenebre tutti i segni del terribil giorno; poiché, in mezzo ad un alto ed universale silenzio, e ad una folta oscurità, osservavasi Messina non presa da un incendio, ma avviluppata in un inferno che rendea massi spaventevoli di fiamme che riverberavano nelle vicine colline, e globi immensi di fumo che s’innalzavano nell’atmosfera. Pertanto le miserie di Messina non ebbero qui termine, ben altre avrommene a narrare.

La notte del 6 Settembre non si passò quieta nei campi. 1 Cacciatori furono bersagliati da impetuoso fuoco di moschetteria, che scaturiva a quando a quando dagli edilizi e da altri luoghi: gli altri corpi dell’armata ebbero anche qua e là diversi urti; staccatamente udivansi benanche gli scoppi delle artiglierie dei forti, e il corso curvilineo di qualche granata solcava il bujo. La piùpparte di questi fuochi fu fatta dallo parti avverse, per tenersi scambievolmente in rispetto; ma nessuna azione d’importanza fu tentata. I preparativi però non mancarono, soprattutto da parte dei Siciliani, i quali fecero una grossa raunata sulle alture che sovrastavano alle posizioni della truppa per assaltarle nel far del giorno. La flottiglia continuò a mantenersi lungo la spiaggia per esser pronta a tutti i bisogni delle milizie,

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tranne le fregate a vela la Regina, l’Isabella, e l’Amalia, le quali rimorchiate da treReggio.

Declinava al suo termine la notte dei 6 Settembre, e nei campi si preparavano alla pugna; di tal che, schiusa appena l’alba, si venne alle mani in tutte le linee e le posizioni nemiche. Le masse rassembrate sulle alture delle colline e dei monti, urtavano con vivo fuoco di moschetteria le milizie sottostanti, le quali alla lor volta si spingevano innanzi, inerpicandosi per quei sentieri alpestri e difficili, e giungevano a snidarne il nemico, impadronendosi di tutte le creste dei monti e delle casine che vi erano. Un altro fuoco impetuoso usciva dalle finestre, dalle tettoje, dai balconi gremiti di materassi, dai vani artificiali praticati nelle mura degli edifizi, né i forti fulminavano con minore impeto dei precedenti giorni; perché molti colpi eran diretti nelle file dei soldati. A tali furie dei Siciliani rispondevano mirabilmente i regi, si combatteva aspramente in tutti i luoghi; i moschetti, i cannoni, i mortari producevano un rumore orribile di guerra, e ferite e morti innumerevoli.

Le quali cose mossero l’animo dei capitani di vascello Nonay e Roob, dei quali il primo era comandante della stazione francese in Messina e del vascello l’Ercole, ed il secondo comandante della stazione inglese nella medesima città e del vascello il Gladiatore. Essi alle 4 a. m. del giorno 7 mandarono al Tenente Generale Filangieri, per mezzo del maresciallo Pronio una lettera in francese, che italianamente suona così:

» A bordo del vascello l’Ercole innanzi Messina li Settembre 1848 alle 4 del mattino – Al sig. Generale in capo dell’esercito del Re di Napoli innanzi Messina.

GENERALE.»I legni da guerra inglese e francese non possono più ricevere famiglie messinesi che fuggono il sacco e la rapina di cui si credono minacciate.

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» È però che in nome del Dio della Misericordia i

» I sottosegnati offrono i loro rispetti e l’assicurazione dell’alta stima, che professano pel Generale incapo.»

Ricevuta questa lettera, il Generalissimo in cambio di rispondere in iscritto, credette più opportuno di mandare sul vascello francese l’Ercole il tenente colonnello Picenna, capo del suo stato maggiore, onde manifestare al comandante Nonay, che egli sospenderebbe incontanente le ostilità, purché i Siciliani le avessero pria sospese col proponimento di sottomettersi al loro legittimo Sovrano; in contrario proseguirebbe a combattere insino al punto in cui tal sommissione si fosse compiutamente ottenuta.

Il Picenna si portò immediatamente nel designato luogo, dove erano anche ricoverati tutti i membri del Potere esecutivo di Messina; epperò si ebbe la opportunità di far loro conoscere le cennate condizioni. Essi pertanto, mandarono al Generalissimo un foglio, sul quale erano abbozzato del tenor seguente le Basi della capitolazione.

» 1. I regi si abbiano di fatto il possesso della città.

» 2. La quistione governativa rimanga a decidersi dal Parlamento.

» 3. Siano rispettati in tutta la estesione e senza eccezione alcuna l’onore, la vita, la libertà personale o le proprietà.

» 4. Restituzione de’ prigionieri, reciprocamente, che forse si saran fatti».

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Il comandante Nonay, consegnando questo foglio nelle mani del Picenna, disse esser egli anticipatamente pers

» Signor Comandante. Qui sopra è la copia delle pretese basi della capitolazione, che il mio capo di stato maggiore mi fa tenere da parte vostra. Il mio dovere o l’onor militare mi vietano di accettarle; il che anche voi fareste.

» Io colgo questa occasione per ringraziarviinsieme al vostro collega, della vostra mediazione amichevole! sebbene disgraziatamente infruttuosa».

Mentre queste trattative si facevano, già si combatteva in tutt’i punti, e la fortuna delle armi siciliane declinava. I Cacciatori continuavano a tener fermo sulle alture donde aveano fugato l’inimico, ed a fiancheggiare la colonna principale, la quale operando con immenso valore si recava in mano l’un dopo l’altro tutt’i forti, in cui la difesa di Messina consisteva.

La poderosa batteria di Porta Zaera, assaltata impetuosamente, cadde nelle mani dei Napolitani. Egual sorte ebbero altre batterie. né resistettero gran pezza quelle case, dalle quali faceasi fuoco vivissimo. l’Ospizio di S. Clemente, donde si tempestava l’8. fucilieri del 2.° reggimento svizzero, fu assalito furiosamente, e scardinate in un istante le porte, furon presi e massacrati tutti quei che vi erano. Da questo edifizio fu scorta una barricata munita di 4 pezzi di artiglieria, che fulminavano sulla colonna principale; e la medesima 8.» incontanente le diè l’assalto, trucidò i difensori, e il capitano di essa fè chiodare 3 pezzi, e per mezzo di alquanti soldati trasportò con sé il 4.° pezzo denominato l’Amalia, il quale fa dirizzato utilmente contro dei nemici.

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Un altro grosso cannone di ferro fuso, che muniva una barricata fatta sul ponte, fu preso e chiodato.

Né la fortuna delle armi napolitane si arrestò nelle più forti Latterie. La fortezza della Maddalena era la più munita e la più valida, ed arrecava maggiori iatture ai regi, perciò si ebbe l’ordine di assaltarla. Erano destinati a questa difficile azione il 1.° battaglione del 3.° svizzero, le compagnie del 6.° di Linea, le quali sortendo dalla cittadella per la saracinesca del forte D. Blasco, dovevano congiungersi sotto a quel terribil bastione col 1.° battaglione del 3° di Linea, e col 1.° del 4.° Svizzero. Una compagnia di Cacciatori del 3.° indicato, cominciò l’attacco, agendo in ordine aperto; ed in quella che essa respingeva è tenea in rispetto l’inimico, un distaccamento di Zappatori e Pionieri preparava il passaggio alla truppa ed alle artiglierie. Scrollate le due prime muraglie di recinto, si avanzarono le milizie fin sotto al terzo muro, che attornia la fortezza ed è vicinissimo al monastero della Maddalena. Traevano a furia i Siciliani, producendo ferite e morti innumerevoli. Quivi fu morto il 2.° tenente Bossi, aiutante di campo del General Zola, e ferito il capitano Svizzero aiutante maggiore Manuel: il colonnello Murald ebbe traforato il cappello da una palla che gli strisciò sul capo, ed il prode capitano Andruzzi fu percosso da una palla sotto la clavicola, la quale lo tolse dopo non molte ore ai commilitoni, che amaramente il piansero, e l’esanime spoglia sulle proprie spalle nel sepolcro portarono.

In mezzo a quel ferale combattimento procedevano con ardore le milizie. Alla sinistra di quella posizione si ergeva una batteria di sei mortari di bronzo, la quale assalita dal 1.° battaglione del 4.° Svizzero, fu presa alla baionetta, ed i siciliani rifugiaronsi nelle case a sinistra del monastero, donde si posero a trarre furiosamente. Tutti gli edifizi dai quali usciva quel tempestoso archibugiarc fu

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Il Colonnello Murald fe’ situare sul parapetto della batteria nemica 3 pezzi da montagna coi quali si tolsero a percuotere le mura, le finestre ed il campanile di quello; poscia, veduta la impossibilità di penetrarvi, si pensò di mettere i 3 mentovati pezzi di montagna innanzi al muro vicino al monastero: e per tal modo si fecero non pochi fori, i quali ingranditi dai guastatori e dai soldati potettero dare comodo passaggio alle truppe, che incontanente vi si addentarono, e piantarono la regia bandiera sulle mura del monastero; e facendo man bassa dei nemici s’impossessarono di una gran quantità di munizioni, di armi, bandiere, ed altre masserizie. Fu cosi vinta la terribile posiziono della Maddalena, o le soldatesche, chiodati i cannoni, passarono innanzi.

Fu benanche conquistato il forte Conzaga. Gl’intrepidi Cacciatori con 4 Compagnie del 2.° reggimento Svizzero, si spinsero avanti in mezzo al fuoco che infuriava dagli edifizi, e superando tutte le difficoltà, abbattendo tutti gli ostacoli, pervennero per la sinistra sotto ai rivestimenti di quello. Scardinata la porta, entrarono i soldati avidi di vendetta, ma non poterono sfogarla, perché i Siciliani da un recondito uscio erano fuggiti. Tolsero la bandiera sicula, ed inalberarono la napolitana.

La colonna progredendo e pugnando giunse a Porta Imperiale;donde si apparecchiava allo assalto delle formidabili batterie del Noviziato, di Real Alto, di Torre Vittoria, di Matagrifona, e della Vicaria; ma i nemici, vedutala appena, stimarono miglior consiglio quello di abbandonare i forti che combattere.

Era pressoché 1 una p. va. quando accadde questo simultaneo abbandono, di tal che da un fragore orrendo di artiglierie si passò di tratto in un silenzio cupo universale. La meraviglia fu grandissima in coloro, che stando su la flotta non sapeano cosa fosse successo;

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mas

Non aveano essi mancato di sostenere la fortuna dolio loro armi; ma le masse cedevano alle genti ordinate, e la strategia vinceva il numero eccedente. Negli ultimi loro momenti, tratti da disperazione, avean messo fuori ad una tremenda mina, fondamento ultimo di loro salute, la quale era scompartita in varie gallerie, che comunicavano per mezzo di appositi condotti, ma volle il Ciclo, che le accese polveri si spegnessero; in contrario gravissimi danni sarebbero avvenuti; mentre fu opinione dogl’intendenti, che lo scoppio di quella mina scuotendo il terreno siccome forte tremuoto, avrebbe fatto trabalzar per aria buona parte di quella regione. Questo fortuna lo evento devesi attribuire alla pioggia del giorno 5 settembre, più sopra ricordata, la quale inumidì od annaffiò i condotti entro cuj erano stipate le polveri.

Per tal guisa rimasero prostrate le armi sicule, e la difesa città, occupata dai regi, ritornò nella divozione del Re. Finì la pugna, ma non finirono le miserie della desolata Messina; imperocché molte continuarono, e di moltissime restarono tracce lagrimevoli ed orrende. Chi si fosse aggirato pel messinese suolo avrebbe avuto di che piangere, inorridirsi, e maravigliarsi insieme. Ma fra tutte le scene la più deplorabile, ed orrenda era quello interminabile incendio, che cominciato al 3 Settembre era ito imperversando ed allargandosi nei giorni 4, 5, 6 e 7

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dello stesso mese; di tal che nella notte del 7 era più che

I soldati sopravvenendo la notte, presero posizione, attorniando di scolte il conquistato paese, in quella che la flotta si aggirava nelle vicine acque.

Il Duce supremo dell’oste napolitana, dopo occupata Messina, volse la mente a molti ordini d’importanza, i quali miravano a prevenire gli ulteriori mali da cui era quella città minacciata, e riordinare l’amministrazione ed il governo dei Messinesi, e ad ostendere il movimento di occupazione in tutti quei paesi ove meglio si potesse; dello quali cose andrò man mano discorrendo, incominciando dalla resa di Milazzo e dalla presa del vapore Vesuvio.

I Siciliani, nel giorno 3 Settembre, credendo che la truppa condotta dal colonnello Rossaroll fosso rientrata nella Cittadella per la resistenza da essi opposta, e non mai perché avea compiuta la sua missione, che era consistita nel chiodare i cannoni del forte delle Moselle, e nello spingersi innanzi per scovrire se altre batterie esistessero, furono solleciti di far volare sulle ali dei telegrafi per Palermo la notizia di una prima vittoria; ma sgannati dappoi, vedendo ridotta a mal partito la loro causa, con egual sollecitudine, e per lo medesimo mezzo si fecero a chiedere soccorsi a Palermo. Il palermitano parlamento fu pronto a spedire il vapore di ferro il Vesuvio, stivato di 1500 armati, i quali sbarcati a Spadafora, lunghesso Torre di Faro, dovevano spingersi innanzi ed arrivare in Messina per sostenervi la fortuna delle loro armi.

Il Generalissimo informato del movimento del Vesuvio, ordinò al comandante della flotta, che ordinasse al comandante della fregata a vapore il Roberto di avviarsi per Milazzo, e dar la caccia a quel vapore.

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Erano le 9 e mezzo pomeridiane quando il Roberto si mosse per la sua commissione, lasciando Messina, e passando per Torre di Faro donde fu tempestato di cannonate, ultimi colpi che partirono da quelle fortezze; perché nel dì vegnente furono abbandonate: uscito fuori lo stretto, volse la prua a Milazzo.

È Milazzo un affienissimo paese fondato, a quanto si crede, dai Geti, che rimano sul pendio di una collina, la quale sorgendo dalla vicina pianura, e mai sempre serbando la medesima altezza, si spinge in mare per lungo tratto, curvandosi alquanto a mezzogiorno, e formando una baia (Basilicus sinus) Su di quella si erge un antico castello, forte per sé stesso, fortissimo per vari ordini di muraglie di cinta, provvedute di formidabili batterie, le quali innalzandosi in varia altezza, secondo il declivio della collina, si guardano 1’un l’altra, e proteggono il paese e la baja. Altre batterie a fior di acqua si elevano in lido al mare dalle quali il seno medesimo è più da vicino difeso. Meglio di sessanta cannoni di vario calibro, munizioni da guerra e da bocca in abbondanza, la stessa posizione della milazzese terra, rendeano quel punto fortissimo, ed inespugnabile, e la baja al nemico onninamente inaccessibile. Famoso è Milazzo nella istoria per due vittorie navali riportatevi dai Romani sui Cartaginesi l’anno 259 prima di nostra salute, e da Agrippa sulla flotta di Sesto Pompeo 223 anni dopo. Indarno fu assediato dagli Spagnuoli nel 1719.

La fregata a vapore il Roberto in poco tempo, scoccando luna dopo la mezza notte, si trovò al traverso de’ capo di Milazzo, ed a pochissimo moto si pose a solcare quelle acque sulla speranza di incontrare il nemico vapore; ma, riuscite indarno tutte le cure, ritornò sulla stessa via, per trovarsi rimpetto alla baja al far del giorno, aspettandosi miglior frutto.

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In vero dopo poco tempo giunta allo spuntar dell’alba degli 8 Settembre al prospetto del milazzese seno fu scorto il vapore Ventino, il quale era vicino a salpare, e porsi in viaggio.

Il Roberto era tutto intento ad impossessarsene; ma le poderose batterie che lo proteggevano gli attraversavano il proponimento, di forma che si limitò a prendere una posizione tale, che avesse potuto tagliare ogni cammino al Vesuvio, ove si fosse azzardato a tentare una fuga. Pertanto veduto ciò le genti siciliane, stimarono miglior consiglio di spegnere il fuoco, lasciare ancorato il vapore nella sicura baja, ed avviare gli armati per terra. Infatti dopo non guari, tutta la banchina di Milazzo la coverta delle stipate genti del Vesuvio le quali volsero il passo per Palermo innoltrandosi pei monti. Alle 8 a. m. il castello milazzese inalberò la sicula bandiera, e tirò Ire cannonate alla regia nave, la quale in un subito innalzata la propria bandiera, briccolò tre bombe da 117.

La popolazione di Milazzo scossa da quel terribile mezzo, e temendo non le avesse a toccare la sorte di Messina, profittando dell’assenza degli armati, cominciò a persuadere la guarnigione, perché avesse vuotato il forte; ma tutte le premure riuscirono indarno. Frattanto veniva la notte ed era a temere che il Vesuvio, profittando delle tenebre, non fuggisse; e perciò nulla lasciò intentato il comandante Marselli; affinché rimanessero sventati tutti i possibili disegni dell’inimico: d’altronde man mano spingendosi a poco moto, si strinse la crociera; ed a notte innoltrata il Roberto si appressò talmente sotto la fortezza di Milazzo, che chiaramente si udivano le voci delle sentinelle nemiche, ed anche il baiare dei cani.

Praticata questa somma vigilanza, il Vesuvio non poté svignarsela; epperò al far dell’alba fu visto immobile nello stesso luogo.

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Intanto al sopravvenire del nuovo giorno (9 Settembre) la piupparte delle milazzesi famiglie migravano,

Mentre si disponeva a muoversi il Milazzese legno, si vide nna lancia con bandiera russa a prua, e bianca a poppa, che allontanatasi dalla banchina di Milazzo dirigeva pel Roberto, e poscia avvicinatasi in mezzo alle grida reiterate di Viva il Re che le sue genti facevano, alle quali tutto l’equipaggio del Roberto rispondeva. Portava una deputazione, la quale sali sul bordo, e distese la dedizione della piazza, e del Fesumo. Incontanente si prese possesso del Vesuvio fra la esultante popolazione, innalberandosi la regia bandiera sul castello milazzese.

Intanto siccome correva voce, che i Siciliani non si erano molto allontanati dal paese; e che poteano fare una sorpresa al forte;

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così il comandante del Roberto dall’un de’ lati si approssimò alla rada, per proteggerlo in caso di bisogno, e dall’altro mandò ad inchiodare vari cannoni.

Si temeva inoltre dai Milazzesi, che nella notte del 10 sarebbero stati assaliti dai ribelli, e messi a sacco ed a fuoco, a causa della fatta deduzione; perciò nella sera sì fece tra militari e paesani un buon nervo di armati, i quali guardarono il paese.

Mentre cedeva nel surriferito modo la rocca di Milazzo ed era preso il vapore Vesuvio, seguiva la sottomissione di Barcellona, e di Lipari, e di altri punti, e sarebbe seguita quella di tutta l’isola ove una importuna e fraudolenta diplomazia non si fosse attraversata. Intanto ben altre cose faceansi in Messina. Nella sera del giorno 7 Settembre, siccome ho notato di sopra, la squadra solcava le acque del Faro vicino alla città, ebbe però l’ordino di entrare nel porto nel dì vegnente per ancorarsi sotto al forte del Salvatore, e della Cittadella. Così dopo molta stagione sventolava per la prima volta nel porto di Messina la napolitana bandiera. La truppa, dopo avere scorsa la campagna, assicuratasi della fuga compiuta del nemico, rientrava nella città, lasciando innumerevoli scolte in molti posti avanzati, e prendendo quartiere in diversi punii. Lo stesso Generale in capo che per poco tempo si era rimasto nella Cittadella dopo ottenuta la vittoria, toglieva le stanze dentro Messina nel palazzo municipale.

Frattanto gl’incendi si andavano man mano smorzando, poiché mancava nuova esca per le naturali distanze fra i gruppi dei palazzi divampanti e quelli che erano intieri. Le vampe non si osservavano più, ma si svolgeva in cambio un fumo denso e nero, il quale continuò per lunga pezza, empiendo laria di un puzzo infame di arso.

Vuolsi qui notato,che gl’incendi furono in parte incidentale ed inevitabil frutto della guerra, ed in parie apposito effetto dell’ira;

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poiché le truppe a massa nell’agonia della loro causa, venute nella credenza di tradimento da parte di qualche Messinese, si dettero a saccheggiare ed ardere le case. In mezzo a tante cause d’incendi, gl’in

Lo stato di Messina fu deplorabile in tempo della guerra, né lasciò di esserlo dopo di essa.

Se a te fosse piaciuto di aggirarti per la dilaniata città avresti osservato cose degne di ricordanza. 1 luoghi dove si era combattuto, rossi di sangue, sparsi di estinti, ripieni di proiettili. Tutto il paese che comprende Contessa, Campanarolungo, e Messina infino ai quattro cavallucci, consumato dalle fiamme: dove prima s’ innalzavano gradite dimore e graziosi palagi, ora non eran altro che confuse macerie, e nude ed affamate mura, ovvero ammassi di tizzoni, di travi slogati dai muri o spezzati, di tegole di pietre, e di rottami di ogni maniera: rimanea fra le arse qualche cosa intiera, la quale facea vieppiù risaltare l’orrore di quelle. Gli edilìzi non tocchi dal fuoco erano per le palle o crivellati o scrollati o cadenti; i balconi sterpati, o spezzati, o in modo strano curvati e pendenti dalle mura; le finestre e le porle scardinate, abbattute e forate; le tettoie sfondate o fracassate; le sottostanti vie cosparse di calcinacci, di polverio, e di frantumi di legno di ferro, di vetri, di mattoni. I quali danni non è a dire quanto fossero moltiplicati ed orrorosi nei casamenti vicini alle fortezze, che soffrirono sì pei colpi delle palle, e sì pel fremito continuato, che scuoteva orribilmente 1 aere circostante.

Scena consimile, osserva vasi nei forti e nei castelli. Taluni cannoni dalla violenza delle palle spezzati a tronco, altri in vario modo rotti, o tempestati di fossette; altri sbalzati dagli affusti;

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ed altri infine screpazzati per le cariche sforzate: gli affusti medesimi anneriti o sconquassali pel frequente trar

l’acro balsamico di Messina reso pestilente da un puzzo di arso, e da un lieve fetore cadaverico. Le strade deserte; gli abitanti fuggiti in gran parte, ed i rimasii, presi da sommo spavento, non ardivano, non che uscir di casa affacciarsi dalle finestre. né a contristar l’anima mancavano pensieri affliggentissìmi dei quali non toccherò per non riuscir di peso agli animi gentili: solo rimembrerò, che quante sono le tristizie e le miserie dello guerre civili, tutte gravarono sulla straziata Messina.

Corsero molte voci intorno al numero dei morti e dei feriti. Dicevano taluni, che dei Siciliani fossero mancati cinque o sei mila, sì per lo effetto delle armi da fuoco, quanto per quello delle arsioni, perché, assaltali ed arsi gli edilizi dai quali sparavano, furon preda della fiamme. Altri al contrario affermavano che di quelli fossero periti pochissimi, poiché tutti tiravano al coperto, e dai casamenti per reconditi usci svignavano. Solo i due reggimenti di regolari, tutta gente nel fior dell’età, tennero piè fermo contro le regie truppe, ed in molta parte rimasero estinti. Pertanto si può ritenere, che un tremila Siciliani perirono.

Intorno al numero dei Napolitani anche si dissero tante rose esagerate, massime da coloro che erano lontanissimi dal teatro della guerra, nella cui mente allignò l’idea,

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che tutto intiera l’oste napolitana fosse stata dal siculo ferro mietuta. Le quali esagerazioni vanno bene spiegate dallo spirito di partito che sovente fa velo allo intelletto, e le cose prospere de’ contrari fa vedere impiccolite, e magnificate le sfavorevoli. Tra feriti spenti si noverarono fra i regi meno di due migliaia. I primi furono portati nell’Ospedale di Reggio, ed in quello di Messina, nei quali erano chirurgi, farmacisti, e pratici napolitani, partiti a bella posta da Napoli con la spedizione. Gli estinti furono interrati nella vicina campagna

Pochissimi furono i prigionieri, e presi fra quelli che combattevano; poiché il furore della vendetta sacrifico tutti.

Prima di dar fine alle cose riguardanti il combattimento, esattezza istorica richiede, che io non trascurassi di narrare un fatto notevole fra i molti che avvennero, il quale farà grata impressione nell’animo ormai da sì crudi e gravi casi inorridito. Dimoravano nella strada di D. Giovanni d’Austria un sartore, con padre, madre e una zia decrepita, non che una moglie giovane, e vari bambini. La casetta era di loro proprietà. Appressandosi la tempesta della guerra, si decidevano a fuggire, ma il vecchio padre non volle abbandonare la sua dimora; né la sorella stroppia, che era impossibilitata a muoversi.

(1) Fra gli ufficiali morti si annoverarono il colonnello Cesare Mori; i capitani Demetrio Attirimi, Francesco Pellegrini, e Carlo Manuel, aiutante maggiore; i tenenti Paolo Rossi, Luigi Monetti, e Andrea Borrelli.

Tra gli ufficiali fen’U, vi furono il generale Ferdinando Lanza; i maggiori Tommaso Clarv, Pietro Paolo Mauro, Carmine Bruno; il tenente colonnello Alvisio Hedinger; i capitani Giovanni Antonelli, Carlo Dupuy, Vincenzo Polizzi, Nicola Hetendes, Giacomo Livrea, Ferdinando Verdinois, Ferdinando de Torrent, Domenico Skeinauer, Eugenio de Stokalper, Luigi Carisiet, Carlo Ulrich, e Pietro Wolff; il cappellano Errico Suter, i tenenti Cantore, Castellano, Valente, Ardizzone, Negri, Ventura, Gatti, Paolo, Giuseppe e Carlo de Stokatper, Dufnur; e gli Alfieri Fiorillo, Lombardi, Tufani, Cesare, Enea, Lavezza, e Stassano.

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Si partirono dolentissimi il sarto, la moglie, i figli e la vecchia madre volgendo il passo sulle colline fra mille tiro» ri, e dopo molti stenti si ricoverarono in una campestre casipola. Dato l’attacco dai soldati alla strada suddetta, fu assalita fra le altre, la casa del sartore che rinvennero aperta, e infiammati da vendetta vi s’introdussero; ma giunti appena al cospetto di quei vecchi venerandi, che barbugliavano appena miti parole, buttano le armi, se T inginocchiano ai piedi, e le rugose e tremule mani gli covrono di mille affettuosi baci, mentre se li offrono a tutti i loro bisogni. Tanto poté negli animi d’inviperiti soldati il rispettabile aspetto della canizie! Così fu salva non pur la vita dei rimasti; ma benanche la casa. Ritornarono i fuggitivi, e con estremo contento videro non tocche le domestiche mura, e tuttavia viventi quei cari vecchi che essi aveano come estinti deplorato.

Molte e gravi erano le piaghe di Messina, ma ormai cominciavano man mano ad essere se non in tutto saldate, almeno molcite; ché il General Filangieri applicò l’animo a fare allignar l’ordine nella disordinata città. L’amministrazione municipale fu rimessa, invitando a reggerla tutti quei funzionar! siciliani, che la reggevano nella fine di agosto 1847, e che non avean presa parte attiva, né volontaria nella rivoluzione. Essi accettarono tuttocché fosse corsa voce, che i Palermitani avessero di pena capitale minacciati coloro fra i Messinesi, che si facevano ad occupare impieghi.

Furono nominati Sindaco il marchese Loffredo, accerchiato da sei decurioni; direttore dei Dazi Indiretti e del Porto Franco D. Giuseppe Mancini; direttore dei Rami e Dritti diversi D. Placido Donato; ricevitore generale il Principe di S. Elia; conservatore delle Ipoteche il principe di Alcontres. Inseguito furono riempite tutte le altre amministrazioni, e riaperti i vari tribunali.

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Mentre queste cose si facevano, molti avvisi si leggeva

» Avviso. Sua Eccellenza il Tenente Generale D. Carlo Filangieri, Principe di Satriano, Comandante in capo del Corpo di esercito di spedizione, mi ha incaricato di annunziare al pubblico: j.. :.

» Che S. M. il Re (N. S.) qual padre amoroso dei suoi popoli dimentica i passati traviamenti nella sicura persuasione, che da ora innanzi i suoi sudditi Siciliani ritorneranno a quel devoto e fedele attaccamento per la Sacra sua Persona, che li ha sempre resi sì cari al suo cuore.

» Per la sola mancanza di facoltà la prefata E. S. è nell’obbligo di eccettuare da questo generale ed amplissimo perdono i capi della ribellione e gli eccitatori a gravi disordini, che sì gran danno arrecarono a questa bellissima Isola. Costoro nulladimeno, dando pruove di sincero ravvedimento, debbono serbare la speranza di ritrovare nella nota clemenza di S. M. la stessa benevola indulgenza.

» Attesa l’affliggente posizione in cui Messina trovasi per le conseguenze delle passate vicende, permette l’Eccellentissimo Generale in Capo che rimanga fino a nuova disposizione sospeso il dazio sul macino, il quale nella, maggior parte è soddisfatto dalla classe meno agiata ch’è pure la più numerosa.

» Viene parimenti per ordine di S. E. il Generalo Principe di Satriano dichiarato, che da oggi innanzi la intera Città di Messina in dentro della sua cinta murata sarà Porto Franco, e godranno lo stesso privilegio i sobborgo di S. Leone, Boccetta, Portalegni, e Zaera, tosto che sarà compiuto il muro di cinta che formerà d’allora in poi l’intiero novello ambito del cennato Porto Franco.,

» Da ultimo ha stabilito l’E. S che tanto le Autorità ecclesiastiche, quanto i funzionari finanzieri ed am

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si restituiscano immediatamente al posto che occupavano alla fine di agosto dello scorso anno, affin di riprendere senza indugio l’esercizio dei rispettivi loro uffici.

» Quanto riguarda i magistrati, le autorità giudiziarie, e la riapertura dei Tribunali verrà in prosieguo stabilito.

» Messina 10 Settembre ecc.

» Un altro avviso degli 11 Settembre ordinava: tutti gli abitanti di Messina e sue dipendenze suburbane, che posseggono armi di qualunque sorta dovessero depositarle fra tre giorni (12, 13, e 14) all’uffiziale superiore che farebbesi appositamente rattrovare nel Palazzo Senatorio. Con altri avvisi infine si annunziava al pubblico la riorganizzazione del Banco, della Posta, e di tutte le altre amministrazioni. I Messinesi per tal modo rientravano man mano nelle loro dimore, il Porto cominciava ad essere frequentato; infine tutto dava a vedere che si riprendesse lo stato dell’ordine e della calma.

Nel giorno 8 Settembre dopo talune minacce furono abbandonate le fortezze innalzate lungo il Faro dal SS. Salvatore dei Greci fino ai Canzirri; e per tal modo si rese libero il passo delle navi. Furono benanche prese le cannoniere siciliane, le quali erano state lasciate sotto al bordo del vascello francese l’Ercole.

Intanto il Generalissimo, avuta contezza delle cose falle dal Roberto in quel di Milazzo, ed avvisato del bisogno imminente di truppa, perché si diceva che molte masse di Siciliani ronzavano intorno a quel punto, spedì con la fregata a vapore il Sannita 4 compagnie di Linea sotto il comando del tenente colonnello Nini, affiancato dal capitano dello stato maggiore Buonopane, le quali arrivate a Milazzo presero posizione nel Castello, donde si estendevano nel vicino contado, e resero libera la strada che mena alla volta di Messina.

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Impertanto se il valore delle armi regie non avea trovato ostacoli nelle vantate forze della rivolta, veniva a trovarle nelle tergiversazioni della diplomazia, la quale da rei motivi spinta man mano si attraversava al progresso della occupazione sicula, che sarebbe stata in breve e intieramente compiuta. Primo a muoversi fu Lord Napier con una nota del 10 Settembre al Principe di Cariati, nella quale, rimembrato che ai 29 Agosto si era fatto a mandargli un’altra scritta contenente la proposta di una mediazione anglo-francese; e lamentatosi del silenzio serbato intorno a ciò, e deplorati i casi di Messina continuava a dire» il sottoscritto invita di nuovo con rispetto, ma con fermezza Sua Maestà Siciliana ad accettare le negoziazioni proposte, ed a spedire gli ordini per sospendere le ostilità, e stabilire un armistizio, che dovrebbe essere osservato da ambe le parti, fino a che non si potran conoscere le risoluzioni de’ gabinetti inglese e francese».

» Tale è stata la impressione del vice ammiraglio Sir William Parker divisa col sottoscritto, che nel qui accluso dispaccio di lui il vice ammiraglio à manifestato l’intenzione, nel caso ricomincino le ostilità contro la sua aspettazione, d’interporre la sua autorità per stabilire una sospensione d’armi, fermamente convinto, che così agendo servirà agl’interessi permanenti del Governo di Napoli, ed a quelli della pace generale in Europa, che si trova minacciata mercé la lotta di simigliami passioni».

Medesimamente nel giorno istesso il sig. di Rayneval sulla partecipazione avuta dall’Ammiraglio Baudin degli avvenimenti di Messina così scriveva al napolitano governo.

» La mancanza di ogni atto perentorio preliminare, di ogni tentativo per un accomodo all’amichevole; la continuazione del fuoco dopo la sottomissione de’ Messinesi; il carattere di ferocia

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onde si mostra questa lotta, e che minaccia le più orribili scene ove la guerra si prolunghi; le interminabili e sanguinose rappresaglie che ne seguirebbero; il grand’eccitamento dato agli odi che dividono il paese, che debbono estinguersi; l’impossibilità nella quale si sarebbe per stabilir saldamente un ordine di cose qualunque; tutti questi motivi han portato l’Ammiraglio a considerare come un dovere di umanità l’arrestare una lotta sì fatale, fino a che non sian conosciute le intenzioni della Repubblica sulla pacificazione di questa parte dell’Italia».

£ poscia manifestò che l’Ammiraglio avea dato gli ordini opportuni al Comandante delle forze francesi sulle coste di Sicilia, perché ottenesse dal Comandante supremo delle armi regie, e nel bisogno imponesse ad ambe le parti una sospensione di ostilità.

Faceasi a riscontrare il napolitano governo ad amendue le note, e ricordava «che il Ministro degli affari esteri della Repubblica francese ha detto il di 8 Agosto al conte Ludolf PEL MOMENTO BRAMIAMO RIMANER FUORI QUISTIONE»; nondimeno assicura «che il governò del Re farà tutto il possibile per mitigare i mali inerenti alla guerra. Ma d’altra parte egli crede aver diritto di domandare alle potenze straniere una stretta neutralità. Esse potenze non debbono per nulla incoraggiare i ribelli siciliani, né assisterli, la qua! cosa avrebbe per iscopo il renderli più pertinaci nelle loro pretensioni di prolungare la lotta, e quindi lo spargimento del sangue; estremi dal quale il governo del Re rifugge».

Rispondeva poi a Lord Napier il Ministro degli affari Esteri nel seguente tenore.

» Il sottoscritto (Cariati) avendo ragioni a credere che i rapporti i quali han dato luogo alle osservazioni ed ai suggerimenti del signor incaricato d’affari sono stati alquanto esagerati, cosa avvenuta spesso durante gli avvenimenti che da otto mesi hanno afflitto la Sicilia,

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crede necessario, prima di rispondere alla noia summentovata,

» Questo indugio è addivenuto indispensabile dopo il dispaccio telegrafico che l’incaricato d’affari troverà annesso alla presente. Secondo esso dispaccio, la popolazione rientra nella città, e l’ordine è sul punto di esservi ristabilito.

» Aspettando, il sottoscritto dichiara a Lord Napier, che ogni misura presa dal viceammiraglio Parcker por attraversare i piani del governo del Re, in violazione manifesta dei dritti d’un sovrano libero ed indipendente, e dei riguardi dovuti ad una potenza amica, sarà necessariamente considerata come un atto emanante dalla volontà particolare dell’Ammiraglio, e non dalle intenzioni del governo britannico. In fatti, Lord Palmerston ha più volte dichiarato ai rappresentanti di S. M. a Londra, e particolarmente nella conferenza del 4 caduto Agosto, che il governo di S. M. Britannica non metterebbe ostacoli di sorta alla spedizione militare che preparava il governo reale per ristabilire la pace e l’ordine nella Sicilia, e per liberare questo paese dal giogo di alquanti scellerati, che sebbene in piccol numero, gridano ed opprimono la maggioranza de’ loro compatrioti con mezzi di terrore, minacciando incessantemente le loro proprietà o la loro vita.

» Il sottoscritto non può trattenersi dal far osservare al signor incarito d’affari il cattivo effetto che la sua nota può produrre nello spirito de’ ribelli siciliani appena sarà da questi conosciuta; perché, essendo certi più che mai della protezione e del buon volere degli agenti di Francia e d’Inghilterra, saranno inclinati a perseverare negl’insensati progetti che han fatto finora inefficace ed impossibile qualsivoglia tentativo per effettuare una riconciliazione tra le due parti del regno delle due Sicilie».

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In frattanto nessun valore avea la forza delle ragioni, contro la ragion della forza; e mentre i Plenipotenziari

Il General Filangieri riscontrava che nessuno meglio dei Comandanti le forze navali anglo-francesi, potea conoscere in qual maniera egli si fosse comportato per ammansire le piaghe che la guerra all’afflitta Messina avea aperto; e che intanto andava a rapportare al suo Monarca il contenuto delle loro inchieste, affine di avere le opportune istruzioni per le sue ulteriori operazioni…, Ma l’ammiraglio Parker procedeva più accesamente, «nel 16 Settembre dopo avute le risposte del Principe di Cariati; scrivea a Lord Nàpier: la mediazione anglo-francese essere stata accettata dall’Austria per portare a fine le sue vertenze con gli Stati Italiani; nutrire però speranza che si distenderebbe anche a comporre quello fra Napoli e Sicilia: esser chiaro, che gran sangue si effonderebbe, e gran dolore nascerebbe nell’isola ove non si vietasse quella fatale collisione, e non si spegnessero quegli sdegni, al quale proponimento certo si calerebbero i governi francese ed inglese. I miei sentimenti di umanità (finiva dicendo) mimpongono in questo frattempo d’insistere più fortemente presso il governo napolitano acciò accordi una prolungazione d’armistizio, domandata dalle forze francese ed inglese

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a Messina, accordata condizionalmente dal Principe di Satriano il giorno 11. La umanità richiede ciò, ed io spero che non saremo costretti ad usare la forza per conseguirla.

Le quali ultime parole svelavano qual fosse la indotte dei tempi, nei quali bandivasi a tutta gola libertà, protestavasi contro ogni intervento, mentre col fatto s’interveniva negli affari di Napoli, e non si permetteva la libertà di agire di un Sovrano nelle proprie Provincie. Ben sovente avviene chela forza del dritto, deve dar luogo al dritto della forza! Se non che, il Ministro degli Affari Esteri, Principe di Cariati punto non si rimanea dal rispondere decorosamente all’inglese Ammiraglio per mezzo di Lord Napier, nel seguente modo.

» Il sottoscritto à ricevuto, con la nota di lord Napier del 17, la copia di una lettera del viceammiraglio Parker del 16 relativa alla sospensione delle ostilità in Messina».

» Il sottoscritto non può trovare, né riconoscere alcuna somiglianza fra l’accettazione da parte dell’Austria della mediazione offerta dalla Francia e dall’Inghilterra per aggiustare le differenze tra quella potenza e gli stati italiani, e la sommissione de’ siciliani al loro legittimo Sovrano; dappoiché nel primo caso l’oggetto è di stabilire la pace tra due indipendenti potenze belligeranti, e nel secondo trattasi di liberare una parte de’ domini reali dallo insoffribile giogo di una perniciosa banda d’individui faziosi o male intenzionati, di ristabilire la pace e l’ordine nel regno delle due Sicilie, e di conservare riunita la monarchia, della quale quell’isola forma una parte integrale».

» Oltre a ciò dal rapporto ricevuto dall’ammiraglio, è chiaro e manifesto, che i capi della insurrezione non avrebbero avuto altro mezzo di salvarsi, che di fuggirsene sulle montagne, da dove anche sarebbero stati cacciati, se fossero stati privi dell’ajuto morale e materiale delle potenze straniere, essendo a loro ben nota

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la disposizione

» In riguardo poi al modo di abusare della forza armata con la veduta di comprimere la libera indipendenza di un governo che non può essere rimproverato di alcuna violazione della legge internazionale, il sottoscritto Don à altra alternativa che di protestare formalmente ed innanzi a tutto il mondo incivilito contro un atto simile. E le potenze di second’ordine al certo osserveranno con sorpresa e dispiacere gli eventi che in tal momento àn luogo nel regno delle due Sicilie, e la ingiuria che può tornar dannosa in un tempo, in che il principio della indipendenza e della libertà delle nazioni è in tutte parti proclamato».

Malgrado cotante ragioni il Real Governo, pressato da tanti urti, e sperando che le trattative uscissero a buon fine, si calava a sospender lo ostilità, e a far sosta al movimento di occupazione, rimanendo nel possesso della conquistata regione.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa2s/03_Storia_di_Ferdinando_II_Regno_due_Sicilie_1830_1850_libro_I_II_II_Giovanni_Pagano_2011.html#INSURREZIONE

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