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STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO (XI)

Posted by on Ago 1, 2024

STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO (XI)

CAPITOLO X.

FINE DELLA CONQUISTA DI SICILIA.

Sommario

Filangieri spinge le sue armi al compimento della impresa. Dedizione di Augusta e di Siracusa. II General Nunziante parte per Adernò, e il Brigadiere Zola per Caltagirone; il Duce Supremo li segue. Tutti i paesi per mezzo di deputazioni si sottomettono. Le truppe entrano nella festante Caltanissetta, dove affluiscono altre deputazioni, e segnatamente quella di Palermo.

Sensi che Filangieri esprime all’armata terrestre e navale. Come si avvicinano le milizie in Palermo vi nasce tumulto indicibile, e perché. S’implora e si fa sperare un’amnistia, il cui casuale ritardo sveglia le ire, e i tumulti. Le ribollenti squadre escono ad affrontare i regii in Villa Abbate, e Mezza gno; combattono, e vanno in rotta. Infine si calmano gli animi con la pubblicazione dell’amnistia. Proclama del Comandante in Capo. L’esercito entra in Palermo, e si accaserma in varii luoghi. Filangieri applica l’animo al riordinamento dell’Isola, e precise della sua Capitale. Fremii e decorazioni largite dal Re all’armata conquistatrice.

Non grande tratto di paese occupavano le regie armi dopo conquistata Catania; imperciocché la massima parte dell’Isola, e segnatamente molte grosse Città, e la stessa siciliana metropoli obbedivano ancora alla ribellione, ed eran pronte a contrastare; nondimeno i casi di Messina e di Catania avevano arrecato non lieve sgomento in tutti gli animi, e squarciato quel denso velame che ricuoprendo le traviate menti aveale distolte da quei sensi equi e moderati, che avrebbero risparmiato alla Sicilia altri tutti ed altre miserie. Il Generalissimo intanto con attività commendevole, traendo partito dalla impressione cagionata dai catanesi accidenti,

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spingeva le sue armi e per terra e per mare affin di compiere la conquista di tutta l’isola.

Nel vespro degli 8 aprile le tre fregate a vela, e

Intorno alle 4 p. m. i bastimenti, approssimatisi alla sicula Gibilterra, si disposero a combattere; procedevan riguardosi, poiché un colpo di cannone si era inteso; ma l’acre caliginoso nulla rendea visibile. Frattanto spingendo Io sguardo sulle batterie pare di non vedervi nessuna bandiera; anzi sull’ultima antenna del vapore francese, ancorato nel porto, sembra che sventoli la napolitana: s’intende meglio lo sguardo, i dubbi man mano si dileguano; le apparenze non sono di guerra, ma ne anche di pace; per ultimo a rassicurare la flotta il Guiscardo, preso da generoso ardire, si spinge innanzi a poco moto, entra al tiro de’ cannoni, e le fortezze tacciono, progredisce oltre e nessun movimento osserva; s’imbocca nel porto e rassicura sè e la flotta dello abbandono delle batterie; fe’ il segnale di riunione, e così l’Ercole prima, poscia il Roberto, e infine i bastimenti a vela rimorchiati dagli altri tre vapori entrarono nello spazioso e sicuro porto di Siracusa, e gittaronvi le ancore.

Erano nel medesimo porto ancorati il Buldog ed il Descartes; i cui comandanti furon solleciti di recarsi dal comandante della squadra,

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affine di compiacersi dell’arrivo, e dichiarargli che avevan contribuito alla pacifica resa della piazza siracusana. Sapemmo di poi, che il vapore francese aveva tirato il colpo per richiamare l’attenzione

Medesimamente si muoveva il General Nunziante con opportuno numero di fanti, cavalieri ed artiglieri per Adernò; e per Caltagirone il Brigadiere Zola con buon seguito di milizie. Dopo non guari andava ai medesimi disegni il Duce Supremo col grosso delle sue schiere, scemate soltanto delle guarnigioni qui e colà rimaste per tutela dei conquistati luoghi. Delle torme siciliane che avanzarono alla catanese battaglia, molte si sbandarono, e molte altre qui a colà riunendosi andavano a zonzo per tener ferma la rivolta, e opporsi al progresso delle regie milizie; e già avean fatto pubblicare che Catania era stata tolta di mano ai Regi, e ripresa dai Palermitani! Intanto ogni sforzo tornò vano; perché dall’un dei lati evitavano gli scontri, sottraendosi dai luoghi ove le conquistatrici truppe accennavano, e dall’altro lato le popolazioni non ritardavano a chiarirsi amiche alle armi, e fedeli alla Persona del Re.

Però l’un di più che l’altro le regie schiere si appressavano «Ila sconvolta Palermo, dove le notizie della catanese catastrofe in prima si vollero celate, poscia rammezzate e inorpellate, e quando la realtà dei fatti venne a palesare le menzogne e le arti vi nacque un indicibile sgomento, siche quelli stessi che avevan fatto mille. proteste, e mille giuramenti pel siciliano onore furono i primi a cercar salute e ricovero sulle navi straniere ancorate nella palermitana rada.

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Il movimento di occupazione pertanto mirabilmente proseguiva. La squadra si sprolungava lunghesso tutta la flessuosa costa che da Siracusa a Palermo si distende, o moltissimi paesi conquistava; l’esercito si spingera innanzi, e ad ogni pie sospinta si avveniva in deputazioni mandate dai prossimani e longingui paesi e con parole varie, ma col medesimo fervore attestavan sensi benigni per le regie armi, e piena ubbidienza al Sovrano. Unicamente Palermo tentennava, ma infine vedendo quei subiti e generali precipizi della rivolta, inclinava l’animo alla dedizione, la quale consigliata eziandio dall’Ammiraglio Baudin con un foglio indiritto al Ministero, fu votata dal Parlamento appositamente congregato. Intanto il Ministero che tuttavia pendeva per la guerra si dimise, ne surse un’altro che sendo dalla guerra abborrente, distese un indrizzo al francese Ammiraglio, manifestando col proponimento della sottomissione, il desio di una generale amnistia.

Intanto ai 26 Aprile giungeva Filangieri in Caltanissetta, la quale con ogni maniera di esternazione manifestava la sua letizia. Alberata la regia bandiera su tutt’i campanili che squillavano a festa; numeroso popolo con in mano rami di ulivo e bandiere, ed in bocca ripetuti evviva al Re, al Generale, ed alle truppe, usciva fuori la città all’incontro delle regie schiere; bianchi lini sciorinati dai balconi; i larghi e le piazze ornate dei ritratti del Re e della Regina; una banda musicale suonante l’inno borbonico; la Cattedrale magnificamente addobbata e illuminata, nella quale, ricevutovi dal Capitolo, entrava il prode Filangieri, e fu cantato il Te Deum, e impartita la S. Benedizione. Una larga e moltiplicala luminaria protrasse nella notte il diurno tripudio.

Quivi accorrevano tuttavia le deputazioni, fra le quali è a notare quella di Palermo, composta da Monsignor Ci Muffo, Arcivescovo di Adana Giudice della Regia Monarchia, dal Dottor G. Napoletani,

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dal Principe di Patagonia, dal Marchese Rudini, e dal Conte Luigi Lucchesi Palli, la quale fu accompagnata dal Duca di Mignano, Ten. Colonnello Nunziante, mandato appositamen

Intanto il Supremo Condottiero, essendo ormai vicino il conseguimento finale del suo scopo, volgevasi nei seguenti sensi all’armata navale e terrestre – Soldati.

Le fazioni

In frattanto il Generalissimo lasciata Caltanissetta, avvicinava le sue schiere nei dintorni di Palermo; ma i sediziosi compiutameli le non quietavano, e tuttavia umano sangue dovea le sicule zolle intiepidire. Coloro che per gravi e numerosi delitti non poteano fruire del regio indulto, nel primo sentore di pace, mutato il municipio, scorrazzavan rabbiosi, e inciprigniti per la trepida Palermo, minacciando ferro, sacco, e fuoco a quelli che avean gli animi inclinati alla dedizione; e andavano dicendo e rinvesciando, che punto non si affuceva al siculo onore sottomettersi, e lasciarsi cadere una causa per la quale si era tanto sudato e battagliato; che la fermata sottomissione non altro era che fraudolenta opera dei traditori della patria; che tuttafiatasi era al caso di sgarare il nemico; e che la deliberazione e il voto del popolo era la guerra. In momenti così rotti riusciva indarno la voce e l’opera di vari sacerdoti e cittadini, i quali per altro calmarono alquanto la tempesta promettendo l’amnistia; opperò un’altra deputazione si recava dal Ten. Col. Nunziante, e ripetendo alte proteste di devozione al Sovrano, e di amore all’ordine pubblico, instava perché s’implorasse dal benigno animo del Re un’amnistia per quelle concitate torme, e nel tempo medesimo venisse consentito a coloro

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che erano in punta degli attuali sdegni di fuggire a scampo di lor vita per la via di mare, Ormai assiepata dalle regie prue.

L’uno e l’altro desiderio si fornivano; poiché fu permesso di fuggire ai minacciati; ed il Duca di Mignano partiva tosto per a Gaeta, e poscia per Velletri dove già il Re campeggiava; e conseguita l’amnistia, facea ritorno alle siculo contrade, e per la via di Termini s’ indirizzava al quartier generale di Misilmeri, dove albergava il Supremo Duce. L’indispensabile ritardo della venuta del Nunziante àvea ingenerato dubbiezze nei facinorosi, i quali imbizzarriti andavano spargendo semi di discordia, ed aizzando gli animi. La Guardia cittadina che invano si era adoperata a tener l’ordine, fu sopraffatta; e conosciuto, che le regie schiere si avanzavano nel vicino Mezzagno, vi nasceva un indicibile subbuglio: le piazze echeggiavano della infuocata parola di furiosi concitatori; dappertutto si dileticava il siculo valore, gli animi alla guerra appellando; prescelto un comitato di guerra; fu dato nei tamburi, e nelle trombe; i campanili stormeggiavano a gran ressa; calata la parlamentaria, e alberata la bandiera di guerra; innumerevoli stormi di armati, d’insano furore compresi, uscivano dalle palermitane mura a propugnare i regi; gremivano di molti armati le case che fiancheggiano la strada di Mezzagno, per la quale i regi dovean passare, ed obbligavano quel parroco ad andarli a incontrare col SS. Sagramento, affine d’inreiirli facilmente nel teso agguato, il quale per altro andò a vuoto, poiché aborrendo il buon piovano da si sceferata opera, fuggiva colatamente dal contaminato paese, riparava nel quartier generale, e ragguagliavane il Duce principale. né si erano rimasti dal preparare antecedentemente altre insidie (1) ma di tutte il senno e la prudenza di Filangieri trionfò.

(1) Ecco come scriveva il Comitato di guerra al presidente della Commissione delle fortificazioni.

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Givano adunque le furenti squadre ad affrontare i regi avamposti di Misilmeri il 7, e ritornavano agli assalti i due giorni appresso in maggior numero, poiché aveano astretto la guardia nazionale a seguirle; ma le milizie si abbandonarono con l’usato ardore alla pugna, e respinsero ogni audacia nelle sconsigliate torme, le quali furono snidate dalle nude e inaccessibili balze di Villa Abbate, e di Mezzagno, e da questi paesi che andarono in fiamme. Perlocché sconfortati da quest’ultimo sperimento i ribelli entrarono nella trepida Palermo, rimandando una deputazione, che il Console francese, ed il Comandante del Vapore il Descartes convogliarono sul Capri, dove attrovavasi il Duca di Mignano, affin di rinnovare la sottomissione e le preghiere dell’amnistia, e affrettare l’entrata delle truppe per tranquillare la pavida e sovvertita Città. Ma già il clementissimo Sovrano aveva concessa l’amnistia, ed il Nunziante col seguente manifesto la pubblicava.

» Il tenente colonnello Nunziante all’immediazione di S. M., conoscendo gli alti poteri stati comunicati a S. E. il Principe di Satriano, sicuro altronde della clemenza del Sovrano verso i suoi sudditi, per rinfrancare maggiormente gli animi dei Palermitani, non che di tutti i Siciliani,

«Signore. Questo comitato di guerra in data di oggi Stesso delibera ad unanimità ciò che segue». «Viste le già mancate forze per sostenere una decisiva guerra tra la libertà e la schiavitù; volendo con mezzi violenti L’ esterminio delle truppe nemiche, si è deciso che ella qual’incaricato delle fortificazioni, si accinga prestamente ad affittare in Villa Abate, Ficarazzi e, Mezzagno delle casette matte, ed ivi faccia trasportare mezze botti, barili, tinozzi, bicchieri, ed altri oggetti ad uso di bettole, ove ripostare del vino che abbia la forza di far perire quei soldati assetati: e perciò resta in sua cura di munirsi del necessario chimico, e di ridurre le dette case a forma di bettole abbandonate. A tal’uopo si è scritto oggi stesso al delegato delle finanze per pagare a lei segretamente la somma provvisoria di onze cinquanta – Palermo 3 Maggio 1849».

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dichiara solennemente, che l’amnistia emessa riguarda tutt’i Siciliani, e comprende i reati comuni di qualunque natura, ed i reati politici, meno gli autori e capi della rivoluzione, che s’intendono cioè coloro solamente che architettarono la rivoluzione ai sensi dell’atto del prelodato pretore, datato il 7 Maggio 1849 da Misilmeri. Quindi ritorni ciascuno tranquillamente e sicuramente nell’ordine, il che farà raggiungere la tanto desiderata tranquillità. Le truppe resteranno negli accantonamenti fino a quando il municipio di Palermo si sarà messo d’accordo con S. E. il Principe di Satriano, e saranno occupati pacificamente i quartieri fuori città, compreso S. Giacomo ed i forti – Rada di Palermo dal bordo il Vapore Capri il 9 Maggio 1849. Alessandro Nunziante».

Nel giorno 10, i sediziosi, abbandonate le armi, e francati con salvocondotto, rientravano fra i domestici lari; e si stabiliva il conveniente per la estraregnazione della legione straniera; i quarantadue esclusi dall’amnistia lasciavano la per essi addolorata isola; i comandanti delle squadre ed una deputazione di principali Cittadini si portavano dal Generale in Capo gli uni per esprimere gratitudine alla Sovrana magnanimità, e l’altra per sollecitare l’ingresso delle regie truppe, nella siciliana metropoli.

Intanto il Generalissimo si rivolgeva agli abitanti dell’Isola col seguente proclama.

» Siciliani – Sua Maestà il Re nostro Signore, animata sempre dal sentimento di portare a questa parte dei suoi reali domini una pace completa ed un balsamo che sani le piaghe che l’anno sì crudelmente afflitta per lunghi mesi, è venuta nella spontanea magnanima deliberazione di amnistiare tutti i reati comuni di qualunque natura commessi sino al giorno d’oggi».

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Questo atto generoso della sovrana munificenza non potrà non iscuotere dal fondo del petto le anime più dure, e ridurre nel sentiero dell’onore e dell’onestà tutti coloro che lo avevano smarrito.

Questo alto, che la storia registrerà tra i fatti più magnanimi della umanità, raccoglierà intorno al trono del migliore de’ principi tutt’i suoi sudditi, de’ quali non à egli desiderato altro che la pace e la prosperità, fondata non sulle chimere, ma sui bisogni reali della società e sulle leggi di Dio».

» Sua Maestà vuole però essenzialmente, che questa amnistia si abbia come non data e non avvenuta per coloro i quali torneranno a delinquere. Rientrino dunque tutti alle loro case, sicuri e tranquilli, attendano ai loro antichi uffizi, vivano da fedeli sudditi e da onesta gente, e non abbiano più nulla a temere sotto la parola del sovrano perdono. Ma se taluno commetterà novello reato, allora alla nuova pena vi si dovrà aggiungere quella che doveva espiare. Il che la Maestà del Re nostro Signore non vuol temere che avvenga, poiché non vi sarà nessuno, il quale dopo tanto soffrire non senta tutta la forza del sovrano beneficio».

» A togliere anche ogni equivoco, ed a rinfrancare meglio gli spiriti, è carissimo al mio cuore il far conoscere, che nell’atto di amnistia, già pubblicato a 22 aprile ultimo in Catania, non è inteso dare doppia, e varia significazione alle parole di Autori e capi della rivoluzione, che debbono essere esclusi dall’atto della sovrana beneficenza, sibbene una sola che colpisce unicamente quelli che architettarono la rivoluzione, e sono stati la funesta cagione di tutt’i mali che ànno travagliato la Sicilia». E qui a maggiore schiarimento indicava le persone escluse.

Nel mattino del giorno 15 Maggio tutto l’esercito ormai lieto delle finite sciagure, muovevasi da Misilmeri per le vie di Villabate, e varcato di tre ore il mezzodì

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i Quartieri S. Giacomo, Borgognoni, S. Teresa, Monreale, Bocca di Falco, Olivuzza, Quattroventi, e i Forti di Castellammare, e Garitta.

Il Generale Supremo, rimessa la spada nel fodero, ponto non ritardava a riordinare la sconvolta Sicilia, per allenire quelle profonde piaghe che per tanta ora l’aveano addolorata, e a seconda dei poteri avuti nominava maestrati, amministratori, ed altre autorità; agguardava con giusta severità la pubblica pace; svelleva le ultime barbe della rivolta; facea infine tutto ciò che al riordinamento dell’isola si attenesse, mostrando in tale aringo, come in lui stessero in laudevole armonia la virtù guerriera inspiratagli dalle napoleoniche battaglie, ed il talento civile eredato da Gaetano Filangieri.

Il Sovrano, compiuta la siciliana conquista, dava vari pegni della sua benignità all’esercito, ed alla squadra. Il supremo condottiero si ebbe il titolo di Duca di Taormina con una competente rendita, e sì lui che gli altri, a seconda dei gradi e dei meriti, ebbero ornati i forti petli delle decorazioni dei vari ordini cavallereschi del regno; e di una medaglia appositamente coniata, la quale presenta nel dritto la effigie del Re, e nel rovescio la leggenda campagna di Sicilia 4849 in mezzo ad un serto circolare di lauro, con ai lati trofei militari, al quali sovrasta un giglio.

Per tal modo Sicilia tutta ritornava alla divozione del Re, ed ogni vestigio della rivoluzione si dissipava, rimanendo soltanto a crucio degli animi Della memoria degli uomini, e nello pagine dell’istoria.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa2s/03_Storia_di_Ferdinando_II_Regno_due_Sicilie_1830_1850_libro_I_II_II_Giovanni_Pagano_2011.html#FINE

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