Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO (XII)

Posted by on Ago 4, 2024

STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO (XII)

CAPITOLO XI.

NAPOLITANI NELLO STATO PONTIFICIO.

Sommario

Fermato l’intervento straniero a favore del Pontefice, sbarca à Civitavecchia un’armata francese ai cenni del Generale Oudinot, che emette un proclama, e spinge varie schiere intorno a Roma, le quali sono da inatteso urto percosse. Re Ferdinando II si muove con le sue truppe per lo Stato Pontificio; stabilisce il quartiere generale in Albano; si mette in corrispondenza col francese Duce. Garibaldi esce da Roma ai danni dei Napolitani, il Re manda i Generali Winspeare e Lanza a contrastarlo.

Fatti d’arme di Valmontone, Monteporzio, e Alontecomprato. Assalto di Palestrina. Garibaldi si allontana dai Napolitani. I Francesi danno in una seconda fraudo. Il Re fa avanzare le sue genti a Frascati; e spedisce la brigata Winspeare per a Zagarolo e Palestrina. I Francesi si ritirano dall’accordo fermato. Quanto fosse irregolare un tal procedere. 1 repubblicani di Roma, in gran numero e con gran furore tornano ai danni dei Regii. Il Re, dopo pubblicata una nobile protesta, ordina la ritirala delle sue schiere; le quali pernottano a Velletri. Cenno storico di questa Città. I Garibaldesi raggiungono i Regii a Velletri. Primo scontro che vi succede, in cui quelli son fugati. Il Re dispone Variamente le sue armi, rende fortissima la sua posizione, combatte, e vince. Nei giorni seguenti prosegue con calma, e compie la sua ritirata. La napolitana frontiera, brevemente notata da Garibaldi, vien guardala da milizie napolitani., spagnuole, ed alemanne, le quali scacciano dapertutto le repubblicane torme, e ristaurano il governo pontificio.

Ridotta nel più tristo stato la posizione del Pontefice sì come si è narrato più innanzi, per le inordinate e stravolte intemperanze dei Romani, erasi ormai reso indispensabile intervento di Potenze amiche,

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le quali mirassero a snidare dal Vaticano quella rotta e scellerata genia. A questa idea inclinarono concordemente tatti i Ministri delle Potenze straniere dopo il pontificio discorso; sì che dopo alquante diplomatiche discussioni; punto non si tardò a stabilire, che Austria, Francia, Spagna e Napoli menerebbero

un contingente rispettivo di armi sugli Stati della Chiesa pel conseguimento di quel fide.

Scioglieva da’ Tolone e da Marsiglia una flotta portatrice di un Corpo di 14,000 francesi, guidati dall’illustre Generale Oudinot, i quali sbarcarono ai 25 Aprile in Civitavecchia. Il Generale francese, benché favorevolmente ricevuto, prima di spingersi sulla ribellata città, venne nel pensiero di assicurarsi dello spirito pubblico, segnatamente intorno allo arrivo delle sue truppe; epperò spediva tre ufficiali a Roma» e pubblicava un proclama nei seguenti sensi. La repubblica francese, mossa dalle italiche agitazioni, avere spedito le sue schiere nel romano col proponimento di declinare le sciagure che minacciavanlo, non mai per difendere il governo attuale che non ha riconosciuto; la repubblica intervenire nei romani casi perché si rannodano con quelli di tutta Europa, e del mondo cristiano; la Francia aver creduto, che per la stia posizione le corresse il debito dello intervento, affine di ristabilire in Roma uno stato di cose ugualmente opposto agli abusi per sempre distrutti dalla generosità dell’illustre Pio IX, e dall’anarchia di questi ultimi tempi; la francese bandiera, che egli veniva ad impiantare in riva al Tevere, esser bandiera di pace, di Conciliazione, di ordine, di vera libertà; si raunassero intorno ad essa tutti i buoni affin di concorrere alla nobile impresa; rispetterebbero i suoi soldati le persone, le proprietà e di tutto farebbero acciocché la momentanea occupazione di molto peso non riuscisse.

Intanto ritornati da Roma al Quartier Generale di Civitavecchia gl’inviati uffiziali, riferivano,

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che la Capitale del Mondo Cristiano era dominata da un pugno di stranieri in mezzo al terrore ed alla forza; che la maggior parte dei cittadini agognava il ritorno del Papa; che una semplice dimostrazione delle francesi schiere sotto alle roteane mitra sarebbe stata bastevole a muovere il popolo in favore dell’ordine; e che in ogni canto dei pontifici Stati avrebbe fatto lieto suono il francese intervento, sol che nella Capitale,un gagliardo urto agli usurpatori si desse. Con le quali notizie si accordavan quelle della diplomazia | le quali recavano, che le pontificie truppe non avrebber combattuto le francesi, e che il Generale dei Carabinieri avvocato Galletti; avrebbe spinto i suoi a fare aprire le porte al francesi.

In seguito di tali notizie ordinava il Generale Oudinot una gagliarda riconoscenza sopra Roma, e stabilita Civitavecchia base delle sue operazioni si mosse il 28 aprile verso Palo, e nella dimane occupò Castel di Guido, e poscia Ostia e Fiumicino, donde gli veniva fatta abilità di tenersi in comunicazione colle napolitane schiere, le quali al medesimo fine andavano, e per ultimo nel 30 Aprile fu sotto le romane soglie.

I Triumviri, e l’Assemblea già avevan protestato contro la francese occupazione, e più che mai rinfocolavano il popolo affine di levarsi in armi ed ostare potentemente; nello stesso tempo giungeva nella scompigliata Roma un Garibaldi con vari drappelli rivoluzionari, perlocché apparse appena le francesi squadre intorno di Roma tosto vi furon sangue, ferite, e morti: i francesi non lieve danno dall’inatteso urto ebbero, e non lieve ne arrecarono al nemico.

A questo il Duce Supremo francese ordinava il regolare investimento di Roma, occupando il terreno sulla sponda destra del Tevere, dove l’ala dritta poggiava presso porta Portese, e la stanca alla consolare che si distende fra Civitavecchia e Roma; inoltre gittava un ponte

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sul cennato fiume onde corrispondere con l’armata napolitana, ed estese gli alloggiamenti alla Basilica di S. Paolo… Re Ferdinando li, avuta notizia sollecita ed esatta delle narrate cose, si accingeva a compiere la parte, di che Egli, spinto dal suo ardore per la religione, malgrado i casi del proprio regno, si era promesso; epperò apparecchiate e passate in rivista le sue schiere (1), e partecipati al francese Duce per gli opportuni accordi, i suoi proponimene e le sue mosse, tragittava la romana frontiera a Portella, e si recava in potestà Terracina.

L’Oste regia componevasi di 9 battaglioni di Fanti (2) ed una compagnia di pionieri ai cenni del Generale Lanza.; 12 squadroni di Cavalieri (3), guidati dal Generale Carrabba; 52 pezzi di artiglieria (4) diretti dal Tenente Colonnello Afan de Rivera. Comandava la intiera divisione il Maresciallo Casella, sotto gli ordini del Re, accompagnato dalle LL. AA. RR. i Conti di Aquila, e di Trapani, dall’Infante di Spagna D. Sebastiano; e seguito dagli Aiutanti Reali Tenente Generale Sali uzzo, Principe d’Ischitella, Ministro della Guerra e Marina, Maresciallo di Campo Conte Gaetani, dal Conte Ludolf, Inviato Estraordinario, Ministro Plenipotenziario presso la Santa Sede, dal Maresciallo di Campo Principe di Aci, dal Colonnello Garofalo, Capo dello Stato Maggiore dell’Esercito, dal Tenente Colonnello de Steiger, e dai Capitani Severino, de Angelis, e Dupuy.

(1) Il Corpo Napolitano fu organizzato in Terra di Lavoro, nei mesi di Marzo e di Aprile del 1849. La fanteria e porzione dell’artiglieria furono accasermate in Fondi, Uri, Gaeta, e Mola, il resto delle artiglierie, e la cavalleria in Cascano e Sessa.

(2) Battaglioni 2 del 1.° Regg. Granai della Guardia, ed 2.° 1. Cacciatori della Guardia: 1. Regg. Beai Marina: 1. Carabinieri a piedi: 1 dell’11.° di Linea: 1 dell’8.° Cacciatori: 1. Svizzeri

(3) Squadroni 4 del 1.° e 2.° Ussari della Guardia: 2. del 2.° Regg. Lancieri: 4 del 1° Regg. Dragoni: 2 dei Cacciatori a Cavallo.

(4) Una batteria di 8 pezzi da 12: due batt, di 16 pezzi da 6: una batt di 12 pezzi da 12; due batt. di montagna di 16 pezzi da 8.

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L’armata napolitana marciò per la strada Pia a Torretreponti, Velletri ed Albano, dove pervenne ai 5 Maggio, occupando Castel-Gandolfo e Marino. Nel medesimo tempo il Generale Winspeare con la sua brigata, passata la frontiera ai 30 Aprile, incardinandosi per Prosinone e Valmontone, giungeva ai 4 Maggio in Velletri donde larmata si era partita per Albano, ove anch’ egli si portava il giorno 6 accasermandosi a CastelGandolfo e Marina.

Gaeta era base cardinale del napolitano esercito, Porto d’Anzio, secondaria. Ariccia, piccola città murata,. fu designata per ospedale, magazzino di viveri con 30,000 razioni, deposito di abbigliamento, parco di artiglieria, ed ambulanze.

Stabilito il Quartier Generale in Albano, il Re, dopo aver fermato col francese Condottiere le scambievoli operazioni dirette al noto scopo, curava di fargli conoscere, che Garibaldi, uscito di Roma con 3,000 uomini, accennava per Palestrina all’ala dritta dei Napoletani, che a quanto dicevasi, un Galletti si fosse spinto al medesimo fine; chepperò esso Generale prendesse tutte quelle misure che meglio credeva.

Il Generale Oudinot riscontrava da Castel-di-Guido: che le sue armi si erano ormai rese più gagliarde per lo arrivo di nuove schiere francesi; che nessuna operazione farebbe sulla stanca del Tevere, dove poteva agire l’armata napolitana, ma che per essere in accordo con essa gitterebbe un ponte a S. Paolo: che egli interrompeva dal suo lato ogni comunicazione con Toscana, come i Napolitani dal loro le interromperebbero: e che in ogni modo, egli agirebbe sempre di accordo col Corpo napolitano.

Garibaldi intanto rumoreggiava in Palestrina, accennando alla dritta ed al tergo dei Regi, sì che il Re sapientemente ordinava al Generale Lanza

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che con una colonna di 3,000 soldati ritorcesse il passo per Velletri, ed al General Winspeare, che abbandonando Castel-Gandolfo e Marino, rannodasse le sue genti a Frascati, e spingendosi per la strada più breve che da questa città conduce a Palestrina concorresse agli stessi disegni del Generale Lanza, che consistevano a rincacciare il nemico verso Boma, per tener guarentita la napolitana frontiera, ed Albano.

Però Garibaldi, conosciute le mosse dei napolitani, si era affrettato a spedire delle torme per oppugnarli; le quali aveano già occupato Valmontone e Montecomprato; ma punto non tardarono a sgomberarne; perché il Generale Lanca dopo breve contrasto s’insignoriva di Val montone, ed il Generale Winspeare spintosi per Monte porzio, e Montecomprato, combatteva con valore il nemico ammucchiato in talune vicine boscaglie, che domi nano la strada, dalle quali furiosamente tirava: però tramontato il giorno, il Generale faceva ritorno in Frascati, luogo più opportuno alla sussistenza delle truppe, ed allo svolgimento delle convenienti operazioni ove Garibaldi in quei luoghi si portasse,

Intanto nella notte degli 8 Maggio e net vegnente giorno gli avamposti regi di Valmontone percossero con vivo trarre alcune turbe di fanti e cavalieri garibaldesi, che andavano a zonzo in quella regione per conoscere le posizioni e le forze dei napolitani. Per la qual cosa il Generale Lanza si spingeva contro Palestrina; e partiva i suoi in due colonne, perché due vie menano a quella antica città, ed amendue erano variamente munite e guardate dai repubblicani. Una colonna guidata dal Colonnello Novi s’incamminava per la strada vecchia col proponimento di scacciarne il nemico, e sostarsi avanti il luogo in cui la strada si avviene nel ramo che la unisce con la consolare, ed aspettare che l’altra colonna retta dallo stesso Generale Lanza attaccasse Palestrina per menarsi innanzi e girare il paese alle spalle per la via dei monti.

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Andavano i Regi ai loro disegni. Sulla china di ripida balza siede Palestrina, antichissima città, ricinta da mura, avanzo del tempio che Silla fece ergere alla Dea Fortuna in memoria della vittoria riportata a Preneste contro Mario. Un gran numero di giardini murati qui e colà dividono e frastagliano la regione sottostante alla palestinese balza; i quali rendono impossibile lo svolgimento delle manovre di cavalleria; epperò il napolitano Duce, riserbatosi un picco! nervo di cavalieri, e lascialo il resto della cavalleria in riserva sotto il comando del Colonnello degli Ussari Duca di Sangro, in un piano ad un miglio dal luogo della pugna; si spingeva all’assalto col resto della sua colonna. I garibaldesi scambiando fucilate ripiegavano su Palestrina, e si postavano dietro alle mura ed alle barriere. Davano l’assalto i napolitani fanti dalla parte dei giardini, tuonavano aggiustatamente le artiglierie contro le barricate, e in breve ne sfasciavano due che asserragliavano la consolare. Dall’altro lato il Colonnello Novi urtava un gagliardo distaccamento nemico, che da Valmontone si ritraeva in Palestrina per sostenere quel contrasto, e giunto il suo antiguardo in vicino luogo boscoso, s’ingaggiava un forte combattimento contro gli ascosivi nemici. Pugnavano i napolitani con somma gagliardia, accortamente ghermendo il repubblicano tempestare, ed esponendo i nudi petti contro le boscaglie, le mura e le barricate di Palestrina; sì che tre uffiziali ed altrettanti soldati vi perirono, e ventisei,’onorevoli ferite riportarono; ma tranne laudevol fama, nessuno effetto positivo fu per essi conseguito;imperciocché non compiuto il prefisso congiungimento, e sopravvenuta la notturna oscurità, si rannodavano in Colenno col proposito di ritornare all’assalto nella vegnente aurora.

Garibaldi intanto, affrettatamente poneasi in salvo, abbandonando Palestrina, e conducendo le sue schiere menomate di 12 morti, 40 feriti, e vari prigionieri,

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per a Roma, battendo le vie di Tivoli, e sprolungandosi di mot

Se non che, la franca baldanza con cui Garibaldi andava attorno per le cennate regioni, minacciando i napolitani, facea sorgere sospetti ben fondati, che un qualche segreto viluppo si ordisse; poiché in contrario non si avrebbe potuto restar capaci, come un corpo di ben 5,000 romani lasciasse Roma in un momento in cui le francesi legioni erano in su le romane soglie; ed infatti ecco quel ohe era succeduto. 11 Generale Oudinot, dopo i casi del giorno 29 più sopra mentovati, progredì innanzi fingendo un assalto a porta S. Pancrazio per farvi convenire l’inimico, ed insignorirsi di porta Angelica, dove si era promesso con certezza che il popolo sarebbesi chiarito pei Francesi. Ma un’ alta fraude le melate promesse chiudevano; ché avvicinatisi nel mattino dei 30 Aprile i Francesi a porta S. Pancrazio, uscivan fuori molti armati gridando fratelli, e prostendendo pace ed amistà, e poco stante di tratto li menavano captivi. Questo fatto, e molle bugiarde assertive quale fu contornato, fecero deliberare l’Assemblea Francese a mandare in Roma un F. Lesseps nella qualità d’Inviato straordinario, e Ministro Plenipotenziario per regolare le romane negoziazioni di accordo col Generale Oudinot, le quali, si come saremo per dire apportarono grandi mutamenti nel concerto dello intervento, e già un armistizio era stato concluso tra gli eserciti delle due repubbliche; sì che i Romani potevano a loro bell’agio operare.

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Il Re però, non soffrendogli l’animo che le romane terre fossero ulteriormente afflitte, e gravate dalle garibaldesi bande, quantunque ancora i Francesi non avessero spiegato opportuni e chiari movimenti concordi contro di quelle, e gli Spagnuoli non per anco fossero giunti, con solerzia ed animosità commende voli si spingeva tutto solo ai disegni suggeriti dall’onor militare, e dal bene delle afflitte popolazioni: per la qual cosa nell’aggiornare del 14 Maggio spingeva tutte le sue truppe da Albano a Frascati, dove, essendo opportuno il terreno dirimpetto alla cinta di Roma nella sponda sinistra del Tevere, foce schierarle, rimanendovele accampate per tutto il giorno, ed in questo mentre spediva la brigata Winspeare coi trecento cacciatori a cavallo del maggiore Colonna per a Zagarolo e Palestrina, affine di guarentire il paese, e mandare esploratori lunghesso la strada che mena a Tivoli a stanca del Te verone.

Il giorno appresso il Re mandava il Tenente Colonnello d’Agostino per la via di Porto d’Anzi» al Generale Oudinot per prendere le convenienti e concordi deliberazioni conducenti allo scopo pel quale eransi condotte le rispettive armate fuori dei rispettivi regni. Intanto il Duce Francese si schermiva dicendo, che per le nuove istruzioni avuto, egli non polca più serbare veruno accordo coi napolitani; ma che dovea agire soltanto con le sue armi, e che il Lesseps, trattando a suo modo coi capi della romana repubblica, nei conclusa e prorogata una tregua fra le dee armate repubblicane. La quale a vero dire avea paralizzati i francesi movimenti, e ponea in pericolo quelli dei Napolitani; e io fotti le romane armi sciolte dal freno francese, non ad altro pensavano che a riversarsi ai danni dei Regi; nel che non si vede quanta buona fede si ponesse dai Francesi; imperciocché due corpi di armata che uscivano in campagna per lo stesso scopo, e che dovéano concordar»

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epperò i Francesi mai non doveano concluder tregue per essi soli, ma sì bene per tutti quelli che con essi cooperavano; e non calersi dei Napolitani nelle negoziazioni fu un brutto egoismo, o una manifesta irregolarità, che la storia non può non addebitar loro. Non però di meno la insidia tesa ai napolitani, fa, siccome diremo, dal napolitano valore sventata.

Re dietro varie’ notizie, e fogli intercettati, veniva nella certezza di un assalto che si darebbe alle sue genti; si che faceasi a scrivere al Generale Oudinot, che i romani per la inoperosità delle truppe francesi, accennavano con tutte le loro forze a piombare sulle poche milizie napolitane, che un foglio intercettato agli avamposti di Castelgandolfo, e che spediva a lui, portava la notizia certa della uscita di due armate considerevoli da Roma, delle quali una spingevasi per Palestina onde assaltare i napolitani alle spalle in Velletri, e l’altra difilatamente andava ad affrontarli, e che rendeva tutto ciò alla sua conoscenza perché avesse prese quelle risoluzioni che l’onore e gli accordi dettavano.

Però il Sebezio Principe, suspicato in prima, e poscia assicurato, che nulla si sarebbe operato dall’oste francese, si apparecchiò a tutti gli eventi con le proprie forze; e nel tempo stesso, considerando che gli correva il debito di guardare la frontiera del suo regno da qualunque siasi aggressione, inclinò l’animo ad una ritirata, e nobilmente cosi fece protestare. L’accordo indispensabili nelle operazioni militari fra le regie truppe e le forze francesi, che si trovano aver già occupato parte del territorio romano, è venuto meno in conseguenza dell’attitudine spiegata dal governo della repubblica francese nella quistione romana, nella quale la Francia si riserba di agire sola, ed il suo diplomatico autorizzato a trattare con le truppe romane, le dà tutto l’agio di agire contro quello stesso corpo napolitan

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e Fiumicino doveva concorrere a far causa comune coi Francesi! Per siffatte considerazioni, e per la mancanza di azione delle altre potenze nelle vicinanze di Roma, S. M. ha creduto della Sua dignità il far ritorno alla frontiera dei Suoi Stati, e quivi attendere gli avvenimenti.

Il Re ordinava da Albano, che la ritirata si eseguisse con calma e decoro; infatti il giorno 17 si muovevano alcuni corpi per Velletri, altri per Ariccia, restava soltanto in Albano la dietroguardia composta di tre battaglioni, due squadroni, e mezza batteria di obici, intesa fra le altre cose a riportare tutto l’approvisionamento esistente nei magazzini di Ariccia e di Albano, e gl’infermi che erano negli ospedali. Nello stesso tempo, la brigata Winspeare che dovea rientrare in Albano da Velletri, riceveva T ordine di arrestarsi fra Ariccia e Genzano.

Nell’albeggiare del 18 Maggio tutta la napolitana oste si mosse a piè lento per Velletri; cosicché da Albano a Velletri che si contano appena 12 miglia, ossia poco più di mezza tappa militare, impiegava ben due giorni, durante i quali avrebbe potuto farne comodamente il triplo; la qual circostanza vuol notata la storia per disingannare coloro che chiamarono fuga precipitosa quella lenta ritirata.

Incerte e vaghe notizie durante il cammino si ebbero delle repubblicane legioni, ma nella sera dello arrivo a Velletri si seppe che già si attrovavano vicin di Palestrina nel numero di ben 12,000. I napolitani erano già rannodati in Velletri, dove pernottarono, e formavano un corpo d’armata composto da 7940 fanti, 1989 cavalieri, e 52 pezzi di artiglieria.

Velletri, l’antica Velitroe dei Volsci, è posta sul culmine di un colle attorno al quale corre scosceso e ripido il terreno, ricoperto di vigneti e di oliveti, e poi si conforma in tre valli, e molte convalli, le quali man mano verso il settentrione e l’occidente aggrandendosi per dirupi

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e montagne vanno a terminare nel monte Artemisio. Tre strade vi si rinvergano delle quali l’una flessuosa alquanto s’incontra ad angolo con quella che si protrae a Roma per Gemano ed Albano; l’altra quasiché retta accenna a Valmontone; e l’ultima incurvata alquanto, passa per Cisterna e si confonde con la notissima via Appia. La città di Velletri ricinta da antiche mura, e guarentita dall’alta collina dei Cappuccini si rende opportuna alle difese. Mirabile successione delle montane cose! Gli eventi preparavano a Ferdinando li una battaglia in quel medesimo luogo in cui laugusto bisavo Carlo III cento e cinque anni innanzi aveva combattuto e vinti gli Alemanni, e fermata la corona delle due Sicilie nella Sua Stirpe!

Nell’aurora del 19 nessun sentore inimico era in Velletri, ed il Re con la solita calma ordinava la continuazione della ritirata a Torretreponti, quando intorno allo 8 a. m. venne scorto un nervo di cavalleria nemica che per la via di Valmontone accennava a Velletri; e poco poscia la garibaldiana oste la quale s’indrappellava io quella regione. Il Re che aveva agguardato le mosse e i disegni del nemico dal palazzo del Legato, dove stanziava, diede al Maresciallo Casella ordini opportuni per arrestarne il corso, difendere la posizione di Velletri, in quella che la ritirata continuerebbe ad eseguirsi.

Giva il vecchio ed esperto Maresciallo alla sua missione, cominciando le sue operazioni dalla riconoscenza delle nemiche forze; o infatti spingevasi innanzi il secondo battaglione dei cacciatori con Una compagnia dei cacciatori a cavallo, e sparpagliati in ordine aperto negli estesi vigneti che fiancheggiano la strada di Valmontone, ingaggiarono la pugna coi garibaldesi che vi stavano postati, la quale resasi più valida e gagliarda, andava in rinforzo il resto dello squadrone dei cacciatori a cavallo guidati dal proprio comandante Maggiore Colonna, i quali ratto correvano a tutta briglia, e con impeto contro la cavalleria

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Il Re intanto con animo freddo osservava le nemiche mosse dal palazzo mentovato, e ben si avvide che il nemico s’industriava di sprolungare la sua ala sinistra verso Cisterna per tagliargli la ritirata; allora di tratto si portava nel luogo della pugna, e da sperimentato Capitano, dava provvedimenti vari, ed utili; sì che in breve le sue armi si trovavano in posizioni formidabili. La brigata Lanca con quattro pezzi di artiglieria, muniva la posizione dei Cappuccini, cardine di tutta la difesa, e con un nervo di armati ed obici di montagna guardava la strada di Genzano. Gli angoli salienti della cinta della città, dal piano fuori porta romana alla casa Lancellotti (1) variamente gremiti di artiglierie, opportune a folgorare i luoghi già occupati, od occupabili dal nemico ad oriente di Velletri, limitati ad angolo ottuso dalle due strade di Cisterna, e di Valmontone. La brigata Winspeare stava a guardia nello spianato innanzi Porta di Napoli, che forma un rientrante ad angolo retto con la strada che porta a Cisterna; vicino alla quale a due miglia da Velletri in opportuno campo si erano accampati la riserva della cavalleria, la grossa artiglieria e un battaglione svizzero. Il prode Principe d’Ischitella, Ministro della Guerra, era preposto alle redini del già incominciato combattimento a porta Romana, e con quel fervore, già inspiratogli nelle napoleoniche giornate,

(1) Il palazzo Lancellotti, è l’antica casa Ginetti, dove dimorò Carlo III nella vigilia della battaglia di Velletri.

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pugnando al lato del francese Achille (1), percuoteva ed urtava le garibaldesi schiere. Il Maresciallo Casella, e il Brigadiere Lanza quel bellico fervore mirabilmente secondavano: ed il Re mandava al Ministro i suoi fratelli Conte di Aquila e di Trapani, ritenendo presso di se solamente l’Infante di Spagna D. Sebastiano.

Durava da alcune ore la battaglia nel terreno che si distende presso alla Porta Romana, e di contro alla collina dei Cappuccini, quando i repubblicani, ormai scuorati dal furioso tempestare dei regi, si sostavano dalla foga con cui si erano affollati e spinti alla pugna, e andavano a zonzo lunghesso la strada di Valmontone, appoggiandosi a dritta sul terreno che ricinge le falde dell’Artemisio, e distogliendosi dal disegno per essi creduto facile di mozzare la napoletana ritirata. né miglior frutto coglieva l’altro generale repubblicano Galletti, il quale in sul tramonto di quel dì venivasene difilato per la strada di Albano; poiché le artiglierie e le truppe del Generale Lanza vigorosamente urtando, fecer sì, che ritorcesse il cammino, voltando le spalle alla custodita e forte Velletri.

(1) Il Principe d’Ischitella, conosciuto in altri tempi sotto il nome di Marchese di Giuliano, dopo servito nella Cavalleria di Marat, e nella sua Casa Militare, ne divenne Aiutante di Campo col grado di Uffiziale Superiore. Fece la campagna del 1811 nelle Calabrie, e nel 1812 quella di Russia nel corpo dell’avanguardia guidata da Murat. Riportò grave ferita nella battaglia della Moskowa, e fu promosso nell’ordine della legione d’onore di cui era insignito. Ritornato in Napoli nel 1813 ne ripartì con Murat, ed assistè alta prima campagna di Sassonia; molto si distinse nella battaglia di Dresda, cosicché Marat, comandante supremo della Cavalleria della grande armata, lo prescelse per condurre parecchie migliaia di prigionieri e presentare le prese bandiere all’Imperatore Napoleone. Poco dopo fu alla battaglia di Lipsia, ove ebbe il cavallo colpito da palla di cannone. Fece le due campagne d’Italia del 1814 e 15 e fu nominato Maresciallo di Campo in fresca età. Il Re presceglievalo a suo Aiutante Generale prima che si svolgessero i fati del 48; e nel 15 Maggio a Ministro delta Guerra.

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Per tal modo trionfavano le borboniche armi, e la stella di Velletri arridea a Ferdinando come a Carlo avea arriso. Non tutte, ma porzione delle napolitano truppa furono a giornata, e fiaccaron l’impetuosa audacia dei repubblicani, che laceri e sanguinosi batterono ritirata. La spada di Ferdinando onorevolmente riparò a quei casi, che un’armata, con la quale era uscito in campo di conserva, avrebbe dovuto prevenire; e che con grave scandalo permise indirettamente, rimanendosi con le armi ammontate. Durò la battaglia per bene otto ore; ed a sera innoltrata si ammorzò. Mancarono ai napolitani 42 tra morti, e feriti, oltre a qualche prigioniero, caduto per soverchio ardore nelle linee nemiche, e fra i primi, due uffiziali: il nemico, in quella vece lasciò sul campo cinque o seicento individui, oltre a molti feriti, e sbandati. I repubblicani non più vennero a combattimento coi regi, i quali continuarono la ritirata per Torretreponti, ove preser campo, e poscia seguirono il cammino per Terracina, dove giunti il giorno 21, il Re passavagli a rassegna, o secondo gli ordini ricevuti, rientravano a scaloni nella frontiera del Regno, preceduti dal Sovrano, il quale scorso di due ore il mezzodì di quel giorno, lasciava il Pontificio Stato.

Intanto pel fatale armistizio concluso dal Lesseps, continuavano a scorrere le garibaldesi torme per lo stato della Chiesa, ed accennavano ad invadere la frontiera del Regno di Napoli; per la qual cosa fu organizzato un Esercito inteso a stare a guardia di quella, risultante da duo divisioni capitanate dal General Nunziante, e dal Maresciallo Casella, delle quali luna difender dovea la linea fra Sora e Ceprano, e l’altra gli sbocchi di Terracina, occupando Fondi, Itri, e Mola.

Il Generale repubblicano Roselli lasciava il 23 Maggio Velletri, che avea occupato dopo la partenza dei regi, e spartiva i suoi in varie colonne, delle quali una guidata da lui, ritornava in Roma, e le altre, rette da Ma

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da Garibaldi tenevano la delegazione di Frosinone; dei quali l’ultimo si spingeva il 26 temerariamente ad una scorreria in Arce, e Rocca d’Arce, nel territorio napoletano, dove già non erano truppe; ma si ritraeva in fretta dal suo proposito, ritirandosi a Roma per Valmontone, appena conosceva, che erasi mosso contro di lui il General Nunziante, il quale pertanto rannodava la sua divisione nella linea da Isola ad Arce, occupando S. Germano, Aquino, Rocca Secca, ed Arpino, quartìer generale.

Intanto allo scopo di tutelare la frontiera napolitana e respingere sempreppiù i repubblicani da Roma, concorrevano gli Spagnuoli, e gli Alemanni; ché una divisione spagnuola ai cenni del Tenente Generale Fernandes de Cordova era giunta in Gaeta,accampandosi nello spianato di Montesecco, e di quivi era marciata per lo Stato Pontificio. Similmente il Tenente Maresciallo Wipffen, che capitanava l’esercito austriaco nelle Marche, facea marciare da Macerata ad Ascoli un forte distaccamento della brigata Liechtenffein. Per le quali cose la napolitana frontiera siepata da tante armi era ben tutelata, e le torme repubblicane di Masi e Sterbini si rifugiavano verso Roma. Frattanto questa città veniva espugnata dalle armi francesi, e Garibaldi soltanto, uscivane con un satellizio di 5 mila uomini nella notte del 1 al 2 Luglio, e dopo aver vagato pel romano territorio, fra varie vicende, inseguito dalle armi francesi, alemanne, spagnuole, e napoletane, si cacciava nel Piemonte.

Veniva a Gaeta, mandato dal generale Oudinot, il colonnello Nyel colla missione di deporre ai piedi del Pontefice le chiavi di Roma, e la notizia della pace riacquistata. Dallo stato Pontificio man mano si dileguava il repubblicano vessillo per opera delle armi accennate, T Esercito Napoletano rientrò nel Regno, rimanendo a Frosinone il 6.° battaglione cacciatori, in Aquila il 12 reggimento di linea e mezza batteria da campo.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa2s/03_Storia_di_Ferdinando_II_Regno_due_Sicilie_1830_1850_libro_I_II_II_Giovanni_Pagano_2011.html#NAPOLITANI

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