Alta Terra di Lavoro

già Terra Laboris,già Liburia, già Leboria olim Campania Felix

STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO (XIV)

Posted by on Ago 7, 2024

STORIA DI FERDINANDO II RE DEL REGNO DELLE DUE SICILIE DAL 1830 AL 1850 LIBRO TERZO (XIV)

CAPITOLO XIII.

COMPIMENTO DELLA RISTAURAZIONE.

Sommario

Il napolitano Governo progredisce sempreppiù nel ano proposito, e compie la ristaurazione. Opportune disposizioni intorno alla pubblica istruzione. Determinata per Sicilia un’amministrazione civile, giudiziaria, finanziera, e degli affari ecclesiastici separata da Napoli. Viene stabilita una consulta in Palermo. Provvidenze varie per la siciliana finanza, ed istituzione di un Gran Libri» del debito pubblico.. Riordinamento del ramo dei lavori pubblici e delle acque e foreste. In qual modo il giuramento prestato alla costituzione fosse divenuto nullo nei suoi effetti. Si riprende l’antica formola di giurare. Solenni parole di Carlo Botta contro I Governi rappresentativi. Le popolazioni supplicano il Re per l’abolizione della costituzione. Conclusione.

Il Napolitano Governo consolidato di giorno in giorno, si per le proprie forze, e si per la felice piega degli affari dì Europa, non ritraeva l’animo dai suoi propositi, ma ogni cura ponea al compimento della ristaurazione. I tentativi di Settembre del 1849 avean messo nelle mani della giustizia il bandolo della setta dell’Unità Italiana, la quale veniva in tutte le sue recondite parti chiarita. Nel tempo stesso nei principi di Marzo di quell’anno era scoperta un’ altra congiura intesa a piantare l’albero repubblicano nel campo della Monarchia; e la Gran Corte Criminale di Napoli, espletava entrambi i giudii, fulminando le convenienti pene agli autori di tale colpa, le quali per altro furono dalla solita clemenza del Re ammansite.

Né si mancava di pubblicare tutte quelle disposizioni, che meglio e tostamente potessero alleviare i malanni, che erano il triste retaggio della ribellione,

– 248 –

e far rinverdire il regno, e segnatamente la cotanto addolorata Sicilia smunta di danajo, grondante di sangue, e per crudeli memorie, e crudelissimi fatti trista.

Veniva fuori un decreto inteso a garentire opportunamente l’esercizio del dritto della stampa e reprimere il disordine e la licenza dei giornali e delle scritture volanti provvenienti dall’Estero, o stampate nel Regno. Disciolte le guardie nazionali di tutti i comuni. Abolite le commissioni provvisorie di pubblica istruzione stabilite nel 1848, ed in vece istituito un Consiglio Generale di pubblica istruzione, e fermato che gli Arcivescovi ed i Vescovi fossero gl’ispettori dei collegi, dei licei, o di ogni altra scuola d’insegnamento per tutto ciò che ragguarda la parte religiosa e morale tanto scientifica, quanto disciplinare. Instituito un Ministro Segretario di Stato per gli affari di Sicilia residente presso il Re. Aboliti i dazi comunali imposti in Sicilia in supplemento a quello sul macino, il quale fu riattivato con ordini ed istruzioni opportune. Ordinato, che Sicilia si avesse per sempre un’ amministrazione civile, giudiziaria, finanziera, e degli affari ecclesiastici, separata e distinta da quella di Napoli; che continuasse a contribuire nella proporzione del quarto a’ pesi comuni riguardanti la Casa Reale, gli Affari Esteri, e della Guerra e Marina; che siffatta amministrazione venisse confidata, quando il Re non risiede nell’isola, ad un Luogotenente Generale, che sarebbe un Principe Reale, o un personaggio distinto, avente presso di se un Consiglio composto di un Ministro Segretario di Stato, e di tre o più Direttori per gli affari di grazia e giustizia, ecclesiastici, dello interno, della polizia, e della finanza. Instituita inoltre in Palermo una Consulta formata da un Presidente, e da sette Consultori, con altri impiegati; la quale per regia commissione, e nei limiti delle prescritte attribuzioni potesse portare discussioni ed emetter pareri su di determinati oggetti.

– 249 –

Decretato di usare nuovi bulli per le dogane di Sicilia, e fermata la esazione del dazio di esportazione sui siciliani zolfi allo stesso modo che fu prescritto in

Richiamata in vigore la legge del Gennajo 1820 sulla carta bollata, e su i dritti di bollo; ma con dilucidazioni e modifiche; aboliti i banchi frumentarii liberi, ossia gli antichi regii caricatori di Girgenti, Sciacca, Lirata, Terranova, Termini e Catania, si perché inutili per lo progressivo abbandono fattone dai proprietarii, e sì perché lo stato attuale della Tesoreria punto non consentiva una spesa totalmente inutile; ed altrimenti provveduto alla siciliana finanza per riparare al gravissimo deficit cagionato dai mali «derivati (son parole del decreto) dalla sconsigliata, ed infedele amministrazione, non che dalle tante dilapidazioni verificatesi nel tempo dei passati luttuosi avvenimenti, durante il quale le pubbliche casse furono del tutto espoliate, la fede dei banchi violata con essersi sottratto e consumato il numerario raccoltovi di conto dello Stato, delle amministrazioni, delle varie corporazioni, degli stabilimenti diversi, e dei privati, i depositi giudiziari involati; il debito pubblico non pagato, gli stabilimenti di pietà e di beneficenza abbandonati, e privati de’ loro assegni; i comuni depauperati; gli edifici pubblici in gran parte distrutti, la manutenzione dei porti, delle strade, dei ponti totalmente negletta, ed ogni altra maniera di spese pubbliche affatto obbliata».

Decretato, che i debiti della Tesoreria generale di Sicilia compresi quelli verso la Tesoreria generale di Napoli, la real Cassa di sconto, e il Banco delle Due Sicilie, fossero consolidati, e costituissero un ammontare di circa venti milioni di ducati.

– 250 –

Che venisse instituito un Gran Libro del debito pubblico, nel quale fossero inscritte le rendite al 5 per 100 alla pari, rilasciandosi ai creditori i relativi estratti d’iscrizione o certificati coi quali si potrebbe riscuoter la rendita semestralmente, o nego

Utili disposizioni venivano pubblicate in Napoli, ed estese di là dal Faro intorno all’importante punto dei maestri che si addicono allo insegnamento delle scienze e delle arti; ed alla collazione dei gradi accademici per coloro, che per adempiere pubblici uffici sono obbligati di fare sperimento del loro sapere, e prendere il con vendite diploma. Modificato opportunamente l’organico della Regia Università degli Studii di Napoli.

Veniva opportunamente prescritto il modo di riordinare il servizio de’ lavori pubblici, e delle acque e foreste in Sicilia, la cui tutela era riportata al dipartimento dello interno di quel Ministero, il quale dovea avere sotto la sua dipendenza la Commessione, de’ pubblici lavori e delle acque e foreste, appositamente istituita con speciali istruzioni ed incumbenze. Erano inoltre stabiliti gli uffici delle deputazioni provinciali e locali; il numero delle ispezioni alle quali tutto il servizio si riducea; i soldi, i doveri e tutto ciò che riguardava il personale ed il resto dell’importante ramo dei lavori pubblici e della acque e foreste.

– 251 –

Impertanto in mezzo a questo incesso del Governo, il quale era diretto a restaurare il nostro sociale ordinamento, e a distruggere quella costituzione che avea dato origine a tanti e sì gravi accidenti, non si preteriva di pubblicare in taluni giornali, e in varie stampe clandestine, e di andare rovesciando, che grave scan

1.° Il giuramento promissorio si scioglie allorché àvvi notevole cambiamento di materia, o in altri termini allorché la cosa promessa si è renduta fonte di danni; poiché se nel giuramento si chiama Dio in testimonio di ciò che si promette, Iddio non può consentire il male, la ingiustizia, il danno. Ora dalle cose narrate per lo innanzi si rileva pur troppo, che durante la costituzione avvenner danni incalcolabili alla morale, alla religione, alla società. Sangue civile qui e colà sparso; attentate onorevoli esistenze; dilapidate le proprietà; messi in periglio l’onore, e la vita dei cittadini; reso precario e tumultuoso il vivere; dottrine sovversive propalate; commercio ristretto e intorpidito; morale rilasciata; religione addentata; ed altri più gravi cose susseguite, le quali voltando in male la promessa, non poteano renderla stabile; poiché il bene dev’essere agognato e praticato dall’uomo, e tutto ciò che ad esso si attraversa non può non essere schivato.

– 252 –

2.° In secondo luogo il giuramento rimane sciolto allorquando la cosa promessa non è accettata; e infatti se la obbligazione cade sur una data materia, non è chi non vegga che si discioglie tutte le volte che siffatta materia è rifiutata da colui in favore del quale riverbera.

Il Re avea giurato lo statuto del 10 Febbrajo; ed era obbligato a quella promessa; ora era naturale che ne rimanesse sciolto allorché quello statuto non si volle, ed in mille modi ed apertamente fu rifiatato. E infatti molti il rifiutarono perché non bastevole ai propri disegni; moltissimi no ‘l vollero in prosieguo perché cagione di molti danni. Annullato adunque il giuramento costituzionale fu prescritto, che il giuramento da prestarsi dagl’impiegati dovesse essere secondo la formola precedente a quella dello statuto.

Intanto molto si scrisse contro i parlamenti, e le camere delle italiche terre, affine di sbarbicare compiutamente dagli animi ogni radice di novità; ma per evitare qualunque prevenzione avverso ai contemporanei scrittori, mi accontenterò di riportare talune parole del celebratissimo Carlo Botta, con le quali egli dà termine alla sua storia continuata dal Guicciardini.

» Io credo (così dice) che nelle provincie meridionali dell’Europa le assemblee popolari, pubbliche e numerose sono un cattivo sostegno per la libertà; perché danno troppo appicco alle ambizioni, agli scandali, ed alle sedizioni. Per me, non sono persuaso, che, perché vi sia libertà, sia necessario, che vi siano delle annuali chiacchiere in bigoncia. Veramente io mi maraviglio nel vedere e sentire, che non così tosto in una di quelle province sorgono lamenti ed anche rivoluzioni contro il governo, si proponga di ricorrere, o si dia mano effettualmente a questa triaca delle assemblee popolari e numerose e pubbliche. Mi maraviglierei ancora più, in ciò vedendo e sentendo, se non sapessi,

– 253-

che troppo spesso nello stato attuale dei costumi d’Europa, non l’amore della libertà, ma l’ambizione, cioè l’appetire smoderatamente la potenza, gli onori e l’oro, fa gridare, e che le assemblee numerose, massime se pubbliche sono, teatro sono

E qui il solenne storico dopo di avere accennato i danni prodotti dalle assemblee popolari in Francia, nella Spagna, nel Portogallo, e nell’America meridionale, così prosegue a dire «Buone, anzi ottime furono le riforme (1) desiderate dai generosi spiriti d’Italia, più o meno eseguite dai principi, nella parte amministrativa e giudiziale dello stato; ma pessime sarebbero quelle, che alcuni vorrebbono fare nella parte politica con introdurre, come uno degli elementi sovrani, le assemblee popolari, pubbliche e numerose. Se poi a queste assemblee fia congiunta una libertà larga di stampa, l’elemento democratico come un fiume furibondo, e senza freno, porterà via tutto con se, e nissuna forma di governo sarà più possibile. Le democrazie antiche di Grecia e di Roma non erano tanto pericolose, perché non avevano con se quella terribil fiaccola, quel tizzone sempre acceso della stampa. La democrazia pura, che è la testa, ha per ventre la tirannia, per coda il dispotismo; «chi crede di poter cambiare queste cose, che sono nella natura, è matto.»

– 254 –

» Vedano adunque gl’Italiani, se quando o per volontà dei loro principi, o per altro caso qualsivoglia sali; Egli scriveva tali cose Dell’Ottobre del 1830.

ranno chiamati a qualche sociale riforma, dovranno ricorrere, e mettere il capo, per istabilire la libertà, ad un mezzo, che la esperienza condanna. L’errore sarebbe inescusabile, lo sperimento fuoesto, poscia che il passato contro il futuro grida. Ciò dico appunto, perché sono amico di libertà; imperciocché sono con tutta certezza persuaso, che nelle condizioni presenti, e nei paesi, di cui si tratta, le accennate assemblee sono stromenti di tirannide, non di libertà (1).» Intanto a compiere le mire del Governo grandemente contribuivano le popolazioni, le quali, oggimai sciolte da ogni ritegno che teneane inceppata la volontà, instavano presso del Sovrano affinché fosse compiutamente abolita la costituzione, contro la quale si era fatto non breve e non grato sperimento per opera (vedi singolarità.’) di quei medesimi che si erano affaticati a darle nascimento e vigore, ed ai quali incombeva che progredisse. Troppo eloquente frutto della divina Provvidenza è questo, poiché Ella sovente si serve nella distruzione del male di quelle stesse braccia che ad edificarlo ed aggrandirlo potentemente si adoperarono. Il popolo corse al nuovo annunzio, perché le novità scuotono gli animi, ma della sua precipitosa credenza si ritrasse, e fece ammenda….

Per tal modo la nave dello stato, dopo vario e periglioso tempellare, rientrava nel porto della Monarchia da cui le insidie e le condanne voli passioni di una balda, e ribollente casta l’aveano balestrata; e si riposava in quella calma fuori della quale ogni civile progresso è vano. Che se la storia è la maestra delle genti, poiché mostrando i vizi e le virtù, addita le vie da seguire o da schivare; io mi affido,

(1) Botta. Storia d’Italia continuata da quella del Guicciardini sino al 1782. Libro 50.

– 255 –

che le cose narrate in queste pagine non siano perdute pei presentì e per gli avvenire; poiché troppo grave dolore mi squarcerebbe il cuore, ove dovessi menomamente suspicare lopposto; ed io posando ormai la mia stanca penna, non altro agogno, che la società non si rimanga dal considerare, e ritenere, che la pace è un gran bene per allietare la umana vita, o almeno per disgravarla da quell’anno affannoso fardello che pur troppo la preme; e che le ribellioni son ferali calamità, al cui paragone le furie dei vulcani, gli orrori dei tremuoti, le stragi delle pestilenze non reggono; poiché nelle naturali calamità, in mezzo all’universale dolore gli uomini si stringono via maggiormente in quel fratellevole affetto, che grandemente onora l’umanità; mentre nelle civili calamità la umana famiglia si strazia, si lacera, insanguina con le proprie mani, e sovente i legami più dolci di sangue, e i più sacri affetti si disciolgono e si sperdono, sì che l’uomo decade dalla sua altezza, si dilunga assaissimo dal fine assegnatogli da Dio, e non altro diventa che insensata belva di ogni obbrobrio degna.

fonte

https://www.eleaml.org/sud/stampa2s/03_Storia_di_Ferdinando_II_Regno_due_Sicilie_1830_1850_libro_I_II_II_Giovanni_Pagano_2011.html#COMPIMENTO

Submit a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.