Sud, sempre Sud
Alcuni amici, tempo fa, si recarono al Nord, dove si produce, dove c’è chi “ci prova” (vorrei vedere il contrario vista la diversa, e per loro favorevole, distribuzione dei fondi e dei progetti sul territorio nazionale). Si recarono lì, nel modenese, per un convegno: volevano imparare, apprendere, arricchire la propria esperienza e cogliere idee che si aspettavano fossero migliori delle proprie.
Dal confronto, invece, venne fuori che le loro idee erano le migliori, per stessa ammissione dei settentrionali, e che erano questi ultimi che avrebbero fatto proprie le idee degli altri, dei “meridionali” andati su per imparare. Questi amici, però, si resero conto, purtroppo per loro e per noi tutti del Sud, che l’organizzazione, lì al Nord, era più funzionale ed efficiente e questo spostava l’ago della bilancia a favore delle stesse attività al Nord svolte.
A pensarci bene, però, “organizzazione” è un termine che sintetizza tante cose: fondi, certo, ma anche libertà e possibilità di provare ad attuare ciò che si è pensato … libertà da tutto ciò che è negativo, si intende.
Una pessima situazione economica, infrastrutturale e gestionale, stimola l’ideazione di chi comunque è mentalmente libero, ma anche la spinta ad emigrare o ad arrangiarsi in situ: la furbizia, la “cazzimma”, diventa così il metodo d’elezione; il “particulare” ha la meglio sulla soluzione sistemica ed è così che, alla lunga, si finisce per fare la fine dei capponi di manzoniana memoria, a tutto vantaggio di quelli lì che hanno la situazione gestionale migliore della nostra.
Lo stato di fatto fondamentalmente negativo (da 155 anni a questa parte), genera frustrazione, sconforto e disperazione: se una cosa non posso averla, smetto anche, ingannandomi e fuorviando me stesso, mentendomi nella percezione che ho di me stesso, di desiderarla. Questo provoca rassegnazione, acquiescenza e una inevitabile, a questo punto, pessima gestione della cosa pubblica (fatte salve le debite eccezioni); questa, a sua volta, ha come effetto il mantenimento e, dunque, il perpetuarsi di questa gestione che, così, viene eletta a sistema.
Da qualche parte bisognerà pure cominciare a rompere questo cerchio “magico” (“perverso” mi sembra un termine più adatto).
Il punto iniziale c’è: il “come eravamo, come siamo e perché lo siamo“, è già da tempo cominciato e, ormai, largamente diffuso. Ma da solo non basta più: di fronte ai continui e più duri attacchi portati sempre nell’ottica del programma del loro risorgimento (e che opera oggi in un contesto ancora più privo di freni inibitori politico/morali), quello che oggi alcune Forze dichiarano apertamente e traducono, con linguaggio più immediato e privo di veli retorici, in “Prima il Nord“, non ci si può limitare al come eravamo. Questo è indispensabile (“Chi sbaglia storia, sbaglia politica“), non dovrà mai mancare anzi, dovrà diventare sistemico (i nostri figli, i nostri nipoti a scuola non dovranno più imparare il Grido di dolore ma la Preghiera al Padreterno) ma si dovrà operare diversamente, già da ora.
Eravamo “il sorriso del signore” (prima del 1860), ma non sta scritto da nessuna parte che questa Terra non possa più tornare ad esserlo.
In ogni caso, dirselo non basta più, perché, per quanto fondamentale, non è altro che il primo passo, indispensabile quanto si vuole ma soltanto il primo passo: quello della presa di coscienza.